IL Monachesimo E LA Regola DI SAN Benedetto alla base dello sviluppo civiltà medioevlae PDF

Title IL Monachesimo E LA Regola DI SAN Benedetto alla base dello sviluppo civiltà medioevlae
Author Stefano Cigognani
Course letteratura italiana
Institution Liceo Classico Linguistico Antonio Gramsci (Olbia)
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Summary

lavoro monografico di approfondimento delle lezioni di storia con dettagliata analisi dei contenuti della Regola di San Benedetto e degli importanti sviluppi economici e culturali che si originarono dalla stessa...


Description

IL MONACHESIMO E LA REGOLA DI SAN BENEDETTO Breve inquadramento cronachistico del monachechesimo Il monachesimo (dal greco monachos, persona solitaria) è un modo di vivere la propria religiosità, caratterizzato da alcune rinunce agli interessi terreni, per dedicarsi in modo più completo all'aspetto spirituale. Molte religioni sono caratterizzate dal monachesimo: buddismo, cristianesimo, induismo... e Due sono i tipi di monachesimo: quello anacoretico e quello cenobitico - “Anacoreta” è detto un religioso che abbandona la società per un condurre una vita solitaria dedicandosi alla preghiera. L'anacoretismo è dunque caratterizzato da isolamento e preghiera. Tra gli anacoreti più noti si può ricordare Sant’Antonio Abate - “Il cenobita” “ è un religioso che vive la sua vocazione e ministero in una forma comunitaria di monachesimo secondo una disciplina fissata da una regola scritta. I cenobiti si differenziano dagli anacoreti in quanto praticano una vita comunitaria anziché solitaria. Il cenobitismo fu diffuso in occidente, soprattutto, da San Benedetto da Norcia . Il monachesimo anocoretico è più antico del cenobitismo e si diffuse soprattutto in Oriente (Siria, Egitto) ed è caratterizzato da forme particolarmente “estreme” di vita solitaria e dal rifiuto del mondo. Il cenobitismo è nato sempre ad oriente, nell’Egitto del IV secolo, ma si è diffuso soprattutto in occidente grazie alla figura di Benedetto da Norcia, fondatore dell’ordine monastico dei Benedettini. Il santo nacque a Norcia (PG) verso il 480 d.C. da una famiglia benestante, che lo mandò a Roma per studiare. Inorridito dalla corruzione romana andò a vivere come eremita ad Affile, poco distante da Roma, e in seguito, desideroso di maggior solitudine, a Subiaco (sempre nei pressi di Roma). Dopo tre anni, trascorsi in una grotta del monte Taleo (sulla quale sarà costruito Il Sacro Speco), alcuni eremiti dei dintorni lo vollero come padre spirituale (abate). Interrompendo la sua solitudine, Benedetto accettò, ma i monaci trovandolo troppo severo, tentarono di avvelenarlo, ed egli tornò alla sua grotta. Nel 529 si trasferì a Cassino, dove, su un’altura, fondò il celebre monastero di Montecassino che divenne il punto di partenza dell’Ordine dei Benedettini, basato sulla Regola che Benedetto scrisse nel 540, sintetizzata nel motto ORA et LABORA (Prega e Lavora). Non si tratta di due alternative, ma di due aspetti inscindibili, ognuno dei quali finisce per dare il vero senso all’altro». Ogni attività ha la stessa dignità delle altre e, nello spirito della Regola, tutte devono ricevere la stessa dedizione, - la preghiera, così come le opere e cioè la carità, - il lavoro manuale come quello intellettuale. Ogni attività prepara e conduce all’altra, e tutti vi sono impegnati, in quanto ognuno ha il dovere di sostenere la comunità. Il lavoro manuale si alterna alla preghiera e si vive in preghiera. I monaci benedettini svolsero un’opera di evangelizzazione dell’Europa (necessaria perché i culti pagani erano ancora molto diffusi, spesso mescolati con il cristianesimo). I benedettini furono inviati prima in Inghilterra e Irlanda, poi presso varie popolazioni germaniche, infino presso le popolazioni scandinave e slave. Una fitta rete di monasteri ed abbazie si estese così in tutta l'Europa. Questi monasteri divennero un punto di riferimento essenziale per tutte le popolazioni vicine. I monaci non insegnavano soltanto i contenuti della fede cristiana ma anche a leggere e scrivere. I monaci benedettini furono fondamentali nella trasmissione della cultura greca e latina attraverso gli amanuensi (copisti). Essi riuscirono ad offrire un grande impulso alle scienze mediche attraverso lo studio dell’erboristeria, introdussero il minuscolo carolingio, inventarono l’antecedente del rigo musicale, dando vita al canto gregoriano. Per lungo tempo i monasteri furono l'unico luogo in cui ci si preoccupava di istruire ed insegnare. Nel 789 Carlo Magno in un suo capitolare ordinò che "in ciascuna diocesi, in ciascun monastero vengano insegnati i salmi (per apprendere le letture), le note, il canto, l'aritmetica, la grammatica (per saper scrivere) e vi fossero dei libri corretti con cura". Lo scriptorium, all’interno dei monasteri, fu uno dei luoghi più importanti. Era di solito un vasto ambiente esposto a sud e con molte vetrate per godere di tutta la luce possibile dove operavano gli amanuensi (copisti), che trascrivevano i testi sacri ma anche opere di grandi autori latini e greci. San Benedetto voleva che i suoi monaci sapessero leggere e scrivere (cosa a quel tempo molto rara), per poter studiare e meditare la parola di Dio. Ma il carattere fortemente distintivo del monachesimo benedettino fu la valorizzazione del lavoro (ora et labora), considerato come mezzo di elevazione dello spirito e perciò imposto a tutti come un dovere, portò ad una ripresa della bonifica del suolo e del lavoro dei campi in tempi in cui gran parte dell'Europa occidentale era incolta e spopolata. l monastero, che normalmente sorgeva in un luogo isolato, divenne un centro presso cui si radunavano, in determinati giorni dell'anno, le popolazioni vicine per scambiarsi i loro prodotti; ben presto divenne il luogo in cui, sotto la protezione dell'abate, poté sorgere un vero e proprio mercato.

Nel tempo emerse, tuttavia, un interesse delle dinastie regnanti, verso abbazie e monasteri sia perché essi rappresentavano un luogo di pietà religiosa, ove poter esprimere il proprio credo intimo, l’anelito alla salvezza e al Paradiso, sia perché i monasteri divennero simboli di potere, dislocati strategicamente in varie parti del regno. Per una famiglia aristocratica donare i propri beni avrebbe dovuto comportare, in teoria, una diminuzione del patrimonio volturandoli di fatti al monastero. Nella pratica, però, le cose andarono in modo molto diverso. I potentes laici continuarono infatti a esercitare un controllo su quei beni, intervenendo direttamente negli affari del monastero, nominando, molto spesso, come abati dei loro famigliari, seppure senza vocazione. Inoltre donare terre a un monastero consentiva alcuni innegabili vantaggi, come evitare di dover mantenere la manovalanza agricola e dall’altro godere di una serie di privilegi e sgravi di tasse in quanto considerate terra della Chiesa. Così dopo la dissoluzione dell’Impero carolingio, e della conseguente scomparsa dell’autorità centrale, l’ingerenza (intromissione) dei signori locali nella vita dei monasteri, minacciò e compromise il fondamento dalla Regola, a favire di interessi politici ed economici. Questo fatto portò ad una progressiva crisi morale dell’ordine benedettino, anche se molti furono riformatori che cercarono, dal secolo X in avanti, di recuperare lo spirito autentico della Regola di San Benedetto e di riportare le abbazie ad occuparsi più dello spirito che dei beni materiali . Un grande impulso nella riforma dell’Ordine Benedettino venne dall’abbazia di Cluny fondata nel 910, quando il duca di Aquitania e conte d’Alvernia, Guglielmo I detto il Pio, fece dono di un grande possesso fondiario a un abate, Bernone, che fu incaricato di costruirvi un monastero. Da essa si diffuse un movimento di rinnovamento spirituale. I monaci cluniacensi diedero un esempio di vita spirituale coerente e severa. I monaci di Cluny intesro, dunque, reagire alla corruzione della chiesa, alla simonia e al concubinato del clero, ma anche a quei monasteri benedettini divenuti ricchissimi centri di potere. Mantennero la regola di san Benedetto (ora et labora) ma aumentarono le ore di studio ed eliminarono i lavori manuali, che furono affidati ai servi. La Regola benedettina - o meglio la “Regula Benedicti” -, questo antico testo, scritto nell’Abbazia di Montecassino, non può e non deve essere considerato un trattato di teologia, bensì una guida di sapienza. S. Benedetto per gestire, promuovere e sostenere il cenobio scrisse questo testo, composta da un prologo e da 73 capitoli, in cui il santo riprende e fa sintesi delle esperienze monastiche precedenti, finendo con prevalere ed essere adottata in tutti i monasteri grazie al valore intrinseco che essa fu in grado di esprimere. In tutta la Regola san Benedetto non si limita a dare ordinamenti ma li ammaestra, li istruisce ed esorta , facendo emergere un amore spirituale grande per i suoi monaci. Lo stile familiare e piano lo si intuisce fin dalle prime parole: "Ascolta, o figlio, gli insegnamenti del maestro e tendi l'orecchio del tuo cuore; accogli volentieri l'ammonimento del padre affettuoso ed eseguiscilo con impegno". Il monastero è scuola del servizio del Signore, ma una scuola nella quale, dice il santo, "speriamo di non stabilire nulla di aspro e gravoso". La regola può essere suddivisa in quattro parti: 1) capitoli 1 – 7 vengono esposti i VALORI fondamentali della vita benedettina; 2) capitoli 8 – 20 viene fornita una STRUTTURA alla vita di preghiera della comunità; 3) capitoli 21 – 70 viene DIMOSTRATO COME i valori della Regola devono essere applicati nella vita quotidiana ed all’interno del monastero; 4) capitoli 71 – 73 vengono forniti elementi di riflessione e suggerimenti relativamente al POSTO da dare alla Regola nella vita ed alla NATURA dello“zelo buono” e della vera spiritualità. La Regola, non scritta di getto da S. Benedetto, ma vista, scritta e composta lungo tutto la sua vita, ce lo dicono le ridondanze e ripetizione, è appunto composta da 73 capitoli, oltre il prologo, e questi si possono anche e ulteriormente suddividere nelle seguenti famiglie: • nove trattano i doveri dell’Abate; • tredici regolano l’adorazione di Dio; • ventinove sono relative alla disciplina ed le relative pene conseguenti; • dieci regolano l’amministrazione interna del monastero; • i rimanenti dodici riguardano provvedimenti diversi

La regola nei suoi 73 capitoli fissa in particolare le tre virtù principali che devono essere prima riconosciute, assimilate e poi esercitate- sono: • l’obbedienza, che è un mettersi in ascolto (ob-audire), in piedi, e pronti ad agire secondo saggezza e conoscenza (cioè, le competenze) [capitolo 5°]; • il silenzio, che non è un vuoto mentale o l’assenza di proposte, ma il momento e il modo che le fa maturare. Collegate al silenzio, e funzionale ad esso, ci sono la sobrietà e la proprietà di linguaggio [capitolo 6°]; • l’umiltà, che è un sentirsi permanentemente vicini alla terra (humus) -cioè vicini ai problemi ed attenti alle realtà quotidiane-. L’acquisizione di questa virtù consente di avere la reale percezione della propria fallibilità e della propria fragilità in ogni situazione [capitolo 7°] Ma vediamo nel dettaglio alcuni elementi fondanti della Regola L’ABATE Uno dei principali pilastri della “Regola benedettina” è costituito dalla ruolo esercitato dall’Abate, il capo della comunità; attraverso sia la sua opera quotidiana, sia le sue particolari caratteristiche umane, «deve riuscire a costruire la comunità per mezzo dell’organizzazione». E’ indispensabile che l’Abate «detesti i vizi, ma ami i fratelli …» San Benedetto, nel suo modello di conduzione dell’organizzazione della comunità monastica, vuole che l’Abate si debba liberare dall’orgoglio di dirigere una comunità di grande fama e che, invece, presti la massima attenzione al singolo -da rispettare con tutta le sue debolezze- e se ne occupi come il buon pastore. In questo modo, mentre segue il singolo (nelle sue debolezze) potrà conoscere meglio anche le proprie e troverà il modo per combatterle. "Quando, dunque, qualcuno assume il titolo di Abate, deve esercitare il suo governo sui propri discepoli con duplice insegnamento, mostrando cioè tutto ciò che è buono e santo più con i fatti che con le parole; di conseguenza, ai discepoli in grado di intenderli deve spiegare verbalmente i comandamenti di Dio; mentre a quelli duri di cuore e piuttosto semplici, è con l'esempio del suo agire che deve insegnare i precetti del Signore ... Non faccia l'Abate distinzioni di persone in monastero". (Cap . 2) "Ogni volta che in monastero si deve trattare qualche affare di particolare importanza, l'Abate convochi tutta la comunità e sia lui stesso ad esporre la questione in esame. Ascoltato il consiglio dei monaci, ci ripensi su e decida nel senso da lui ritenuto migliore. La ragione per cui s'è detto di convocare tutti a consiglio è che spesso il Signore rivela ad uno più giovane la decisione migliore". (Cap. 3) Tuttavia San Benedetto ci tiene molto a precisare anche il concetto dell'obbedienza reciproca tra i monaci "Tutti i fratelli non obbediscano solo all'abate, ma si obbediscano anche a vicenda, tenendo per fermo che essi andranno a Dio per questa via". (Cap.71) L’ORA ET LABORA I monaci vivono una giornata molto scandita dal suono della campana claustrale. Prima che sorga il religioso in Chiesa prega l'ufficio notturno a cui fa seguire le lodi mattutine. Al termine di questo spazio di preghiera inizia il proprio lavoro, che non interrompe più sino alla Messa il momento più solenne e pregnante della giornata. Attorno al mezzogiorno con i rintocchi dell'Angelus il religioso si ritrova nel refettorio, dove l'abate benedice la mensa ed il lettore che, come vuole la regola, legge un brano di S. Scrittura. I monaci pertanto servendosi con turni settimanale reciprocamente mangiano in silenzio per evitare ogni diminuzione di raccoglimento. Dopo il pranzo e l'ora di ricreazione comune, i monaci ritornano al loro lavoro, sino alla preghiera del vespro e la cena rapida e frugale. Quindi il monastero si immerge nel silenzio: è l'ora di compieta, la preghiera della sera, l'ultimo atto della giornata del monaco. L'abate benedice i monaci e il sonno della notte. Da compieta all'indomani mattina, finito l'ufficio notturno, nessuno può rompere il silenzio senza un grave motivo. Seguendo l'esempio del profeta che dice: "Ti ho lodato sette volte al giorno", raggiungeremo questo sacro numero di sette se adempiremo quanto c'impone il nostro servizio alle Lodi, a Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro e Compieta". (Cap. 16)

"L'ozio è nemico dell'anima; è per questo che i fratelli devono, in determinate ore, dedicarsi al lavoro manuale, in altre invece, alla lettura dei libri contenenti la parola di Dio. Di conseguenza, entrambe le occupazioni vanno a nostro avviso così distribuite nel tempo loro proprio: la mattina i monaci, uscendo dall'Ufficio di Prima, attendono ai lavori necessari fin verso le dieci; da quest'ora fino a quando celebreranno Sesta si dedichino alla lettura. Dopo la celebrazione di Sesta, il pranzo e poi il riposo a letto in perfetto silenzio; nel caso che uno voglia continuare la lettura per suo conto, lo faccia in modo da non dare fastidio a nessuno. Nona la si celebri con un po' di anticipo verso le 14 e 30; poi si torni al proprio lavoro fino a Vespro. Se poi le particolari esigenze del luogo o la povertà costringeranno i fratelli a raccogliere personalmente i frutti della terra, non se la prendano, perché allora sono davvero monaci se vivono del lavoro delle proprio mani come gli apostoli". (Cap. 48) L’OSPITALITA’ legata all’idea della sacralità dell’uomo "Non appena dunque l'ospite si annunzia gli vadano incontro i superiori ed i fratelli con tutte le premure che lo spirito di carità comporta ... con particolare attenzione e riguardo siano accolti specialmente i poveri ed i pellegrini, perché è proprio in loro che si accoglie ancor di più il Cristo; ché la soggezione che i ricchi incutono, ce li fa da sola onorare". (Cap. 53) "L'assistenza che si deve prestare ai malati deve venire prima ed al di sopra di ogni altra cosa, sicché in loro si serva davvero il Cristo (…) I fratelli malati abbiano un locale a loro riservato ed un infermiere timorato di Dio, attento e premuroso ... ai ma lati del tutto debilitati sia anche concesso di mangiare carne perché riacquistino le forze". (Cap. 36) "Per quanto l'uomo sia portato naturalmente ad essere tenero di cuore verso queste due età, cioè a dire, i vecchi ed i fanciulli, tuttavia provveda loro anche l'autorità della regola. Nei loro riguardi si tenga sempre conto della debolezza "delle forze e non si applichino mai le restrizioni alimentari previste dalla regola ma, con amorevole comprensione, si consenta loro di prendere i pasti prima dell'ora fissata per la refezione". (Cap. 37) L’ESSENZIALITA’ che favorisca l’ascesi "… nei luoghi a clima temperato possono ad ogni monaco bastare una cocolla (di panno di lana pelosa d'inverno, liscio o consumato dal lungo uso d'estate) e una tunica, uno scapolare per il lavoro e, ai piedi, calze e scarpe ... come arredamento del letto bastino un pagliericcio, una coperta leggera, una pesante ed un cuscino". (Cap. 55) L’ORDINE DEL MONASTERO Il dormitorio. Il dormitorio comune prescritto da S. Benedetto fu sostituito nel corso dei secoli dalle singole celle. Dapprima si praticarono delle divisioni di legno per proteggere il lavoro dei fratelli dalle distrazioni inevitabili in una sala comune ed incompatibili con le esigenze dell'attività intellettuale (studio). Se possibile, vi sia un unico dormitorio; se impossibile, per il gran numero, dormano in gruppi di dieci o di venti, sotto la vigilanza dei decani, in un locale dove resti sempre acceso un lume fino al mattino. Dormano vestiti, con al fianco una cintura o una corda ma senza coltello, perché non abbiano a ferirsi durante il sonno. Così i monaci siano sempre pronti, perché appena dato il segnale si levino e si affrettino senza indugio all'Opera di Dio…". (Cap. 22) Il refettorio, è il luogo del pasto comune. Non è una banale sala da pranzo, ma anche qui, come in tutta l'abbazia, si rivela una caratteristica della vita benedettina: la cura di elevare le minime azioni della giornata ad atti profondamente religiosi. A nostro avviso, per il pasto quotidiano, da prendersi a mezzogiorno o alle quindici, sono sufficienti in tutti i mesi dell'anno, in considerazione degli acciacchi di questo o di quel monaco, due vivande cotte, perché chi per caso non può mangiare una, si rifocilli con l'altra ... se sarà possibile avere frutta o legumi freschi, se ne aggiunga anche un terzo ... l'astinenza dalla carne di quadrupedi deve essere osservata assolutamente da tutti, tranne che dai malati assolutamente privi di forze". (Cap. 39) Il capitolo Qui i monaci ascoltano ogni giorno la lettura di un capitolo della regola di san Benedetto commentata dall’abate e discutono degli affari più importanti del convento. Qui il postulante si presenta a

chiedere l'ammissione al monastero; qui, iniziando il noviziato, l'abate gli impone il nome nuovo e, in segno di umiltà ed affetto, ad imitazione di Cristo, si piega a lavargli i piedi, seguito in ciò da tutti i fratelli. Ogni volta che in monastero si devono trattare cose d’importanza, l’Abate raduni tutta la comunità ed esponga egli stesso di che si tratta. E udito il parere dei fratelli, consideri dentro di sé la cosa, e faccia quello che gli sembrerà più utile. Abbiamo detto di chiamare tutti a consiglio, perché spesso il Signore ispira al più giovane il partito migliore. … consigliati in tutto ciò che fai e dopo non avrai a pentirtene» [capitolo III]...


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