Il timbro, Risset PDF

Title Il timbro, Risset
Course Storia della Musica Moderna e Contemporanea
Institution Università degli Studi di Parma
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Riassunto del saggio Il timbro, Risset. Facoltà beni artistici e dello spettacolo...


Description

1. Il timbro, un parametro residuale? Il timbro indica la qualità del suono e ci permette di identificarne la fonte d’origine. La parola deriva dal greco tympanon che identificava una specie di tamburo a corde, in francese, invece, identifica suoni di allerta come per esempio il campanello della bicicletta o la suoneria del telefono. Il timbro può essere chiaro/scuro, brillante o cupo suggerendo analogie con il colore: infatti in inglese viene definito tone-colour e in tedesco Klangfarbe. E’ indicato come uno dei parametri del suono musicale, come l’altezza, l’intensità e la durata. Parlando del timbro di uno strumento musicale si fa riferimento alla firma dello strumento, quindi la caratteristica che ci permette di riconoscere di quale strumento stiamo parlando. L’associazione americana di normalizzazione lo definisce come: “attributo che permette di differenziare due suoni della stessa altezza e della stessa intensità, presentati in maniera simile”. Si parla quindi di attributo residuale in quanto non può essere classificato in gamme o grandezze come invece accade per le durate e per le intensità. Il timbro è multidimensionale, due timbri quindi possono differire sotto più punti di vista (scuro/chiaro, percussivo/continuo). Nella notazione tradizionale il timbro si riduce all’indicazione dello strumento e del modo di suonarlo (violino sul ponticello). Il primo ad occuparsi dell’importanza del timbro fu Hector Berlioz; dal XX secolo il timbro diventerà un tema centrale: Debussy, Varese e Messiaen sono tra gli autori che più si interessarono all’argomento. Alla fine del XIX secolo vi furono due importanti invenzioni: -

Fonografo (1877) registra il suono e lo riproduce in assenza della sua origine meccanica; Telefono (1876) permette di trasmettere suoni a distanza sotto forma di impulsi elettrici.

Questi trasduttori elettroacustici apriranno poi le porte a quella che sarà la “rivoluzione elettrica” e verranno sfruttati più tardi per produrre nuovi suoni. La musica concreta (1948), la musica elettronica (1950) e la musica digitale (1957) hanno permesso per la prima volta ai musicisti di avere un controllo sul timbro e di comporre il suono stesso.

2. Le determinanti fisiche del timbro musicale. La concezione tradizionale. Si attribuisce il timbro musicale alle intensità relative delle armoniche che compongono il suono. Agli inizi del XIX secolo Fourier dimostrò che un’onda periodica poteva essere ricostruita da onde sinusoidali sovrapposte (le armoniche) le cui frequenze sono multipli interi dell’onda fondamentale. In seguito, Ohm constatò che l’orecchio era insensibile alle fasi delle armoniche. Quindi il timbro di un suono dipende dallo spettro di Fourier, quindi dal dosaggio di ampiezze delle armoniche successive. Per la verità i musicisti non avevano atteso Fourier per rendersene conto intuitivamente. Fin dal sedicesimo secolo gli organari costruivano dei registri detti mutazioni con i quali un tasto della tastiera apre più canne accordate alle armoniche di una stessa frequenza fondamentale. Se si costruisce una gamma, lo spettro può essere trasportato verso gli acuti ma il timbro tende a restare più stabile se nel corso di questa trasposizione si preserverà non lo spettro stesso ma il profilo spettrale, in modo tale da mantenere fisse le posizioni dei massimi degli spettri. Ciò è comprensibile nella misura in cui un oggetto stabile possiede frequenze di risonanza ben definite. Nel caso della parola l‘articolazione modifica la forma del condotto vocale e dunque le posizioni delle risonanze dello spettro. Accordando con estrema precisione le risonanze sopra un’armonica della vibrazione delle corde vocali, i cantori tibetani o mongoli danno l’impressione di due voci simultanee; si parla in tal caso di canto difonico. Per un certo numero di strumenti, l’interprete, può, controllando il tocco o l’emissione, influenzare lo spettro prodotto e dunque il timbro. Il timbro di un suono viene giudicato chiaro o scuro a seconda che il centro di gravità spettrale sia acuto o grave; la posizione di questo centro di gravità determina un attributo che viene indicato col termine brillantezza. Vi è qui un’analogia con il colore: sappiamo che il colore percepito dipende dalla composizione spetrale della luce. Il suono è luce sotto un’altra forma. 3. Il timbro dei suoni evoluti Nella concezione classica il timbro viene determinato sulla base della sola composizione spettrale del suono, ossia la distribuzione delle sue componenti significative di frequenza. Soltanto un suono di durata illimitata può essere considerato un suono periodico. Se si esaminano attentamente le onde di suoni musicali impressi su rulli o su dischi, si può osservare che lo spettro si modifica spesso nel corso del suono. Si potrà continuare a riconoscere uno strumento anche se la sua registrazione viene diffusa da un altoparlante o da un apparecchio a transitor, che provocano entrambi una distorsione degli spettri. Quando si inverte il senso di scorrimento di un suono registrato su nastro magnetico, ci si accorge che determinati timbri, come quello del pianoforte, diventano irriconoscibili, sebbene questa inversione temporale non modifichi gli spettri. I transitori giocano un ruolo importante nel riconoscimento dello strumento: la soppressione dell’attacco di determinati suoni strumentali registrati su nastro magnetico rende praticamente impossibile la loro identificazione. Pierre Schaeffer, inventore della musica concreta nel 1948, ha utilizzato tecniche di laboratorio per delle ricerche sul suono musicale. Se questa evoluzione è sufficientemente radicale può svolgere un ruolo decisivo nel riconoscimento del timbro. Se s’impone un suono periodico a spettro fisso il profilo temporale lento e risonante che si avvicina all’andamento di una

curva esponenziale-il suono ricorderà il pianoforte, il clavincembalo o la chitarra, anche se lo spettro originario corrisponde a quello di uno strumento a fiato. Si utilizzano molto le rappresentazioni tempofrequenza, nelle quali il tempo compare in ascissa e la frequenza in ordinata, un po’ come accade in una partitura musicale. L’intensità delle componenti spettrali varia sulla base di una terza dimensione verticale: è possibile raffigurarla schematicamente in un diagramma piano con l’annerimento più o meno intenso delle componenti, o con una rappresentazione a curve di livello o a colori, simili alle rappresentazioni dei rilievi sulle carte geografiche. Emile Leipp ha molto insistito sulla pertinenza delle immagini di suono costituite dai sonogrami. Con quale aspetto classificabile ha a che fare l’dentità di uno strumento? L’ascolto è l’unico giudice. È soltanto dal 1960 circa che grazie al calcolatore si sono potuti sintetizzare suoni complessi in modo perfettamente controllato, per riuscire a isolare i determinanti fisici del timbro e poter così comprendere da cosa dipendeva l’identità di questo o quell’altro suono. Fino all’irruzione dell’elettricità nel campo sonoro, la genesi del suono era indiretta. Non si poteva produrre direttamente un suono sulla base di una forma d’onda o di uno spettro dato, ed era difficile modificare gli spettri. Soltanto la sintesi digitale dei suoni permette di costruire direttamente un suono sulla carta a partire dalla specificazione dei suoi parametri fisici. Lo scopo finale non è dunque tanto quello della produzione di un surrogato di sintesi; ma è certo che il passaggio attraverso l’imitazione degli strumenti per via di sintesi è stato decisivo al fine di comprendere i fattori che determinano l’identità e la vita interna di certi suoni. Per esempio, l’impronta peculiare dei suoni squillanti non è quella di uno spettro di Fourier caratteristico ma una relazione fra spettro e intensità: quando l’intensità aumenta, lo spettro s’arricchisce di frequenze acute, anche nella fase dell’attacco. Non si può imitare un suono squillante con un suono a spettro costante, nemmeno imponendogli un profilo d’ampiezza globale che riproduca fedelmente le durate dei transitori d’attacco e di estinzione. Per i suoni degli strumenti a fiato o a corde soffregate, il sostegno del suono costringe le vibrazioni a essere quasi periodiche e i loro spettri sono formati di componenti armoniche le cui frequenze stanno fra loro come i numeri interi consecutivi. La componente inarmonica di questo spettro influenza il timbro; perciò i suoni del pianoforte sono quasi armonici, le prime componenti di un suono di campana si avvicinano alle frequenze di una serie armonica, a differenza dei suoni del gong, dei piatti o del tamburo. Un suono sintetico periodico, il cui aspetto è la copia di quello di una vocale, non assomiglia a una voce, tuttavia, è in grado di suggerire la voce cantata in modo sorprendente, se si introdurrà un appropriato vibrato. Dunque, la presenza di taluni aspetti caratteristici può essere decisiva per indurre l’identificazione di un timbro, anche se l’imitazione del suono iniziale è approssimativa. Lente variazioni d’ampiezza che risultino da risonanza di frequenze contigue, comunicano al suono una sorta di calore. Le caratteristiche fisiche di uno strumento variano dal grave all’acuto della sua tessitura; eppure si parla di timbro del pianoforte, del violino o del clarinetto. Il timbro è influenzato dal modo con cui il suono evolve nel corso del tempo. In funzione di tale evoluzione, è possibile classificare gli strumenti in due grandi famiglie: gli strumenti sui quali l’esecutore deve reggere il suono in modo continuo e gli strumenti sui quali l’esecutore controlla i suoni soltanto all’inizio, mentre sarà il funzionamento fisico dello strumento a determinare lo sviluppo ulteriore- è il caso degli strumenti a percussione ma anche del clavicembalo, del pianoforte, del liuto e della chitarra. Queste due famiglie, associabili ai due archetipi della voce e della percussione, ricompaiono quando ci si pone il problema del controllo sui suoni di sintesi. Come si è visto il timbro è legato in maniera complessa ai parametri fisici del suono. E così le relazioni di fase tra le componenti periodiche non sono captate dall’orecchio, mentre certi dettagli frequenziali facilitano molto l’identificazione dello strumento. È anche chiaro che l’identificazione del timbro richiede un apprezzamento dell’andamento generale del suono: per identificare il suono, l’orecchio si fonda su parametri spettrotemporali, ma si avvale anche di determinate specificità. Come si può verificare tramite sintesi, la pertinenza di questo o quel dettaglio della struttura sonora dipende considerevolmente dal contesto. Però non sempre è possibile trovare un unico tratto fisico che riduca all’identità di un timbro. È possibile decifrare questo enigma prendendo in considerazione l’ascolto nella prospettiva funzionalista o ecologica raccomandata a partire dal 1966 dallo psicologo Gilbson. Stando a tale punto di vista, i sensi e l’ascolto in modo particolare, si sarebbero evoluti per trarre il massimo profitto dai segnali fisici al fine di estrarne delle informazioni sull’ambiente in grado di contribuire alla sopravvivenza. L’identità di un timbro risulterà più marcata e robusta quando questo suono è di origine meccanica o quando la sua struttura permette d’interpretarlo come tale. L’orecchio è sordo alle relazioni di fase, in quanto queste relazioni sono totalmente perturbate in qualsiasi ambiente appena riverberante. L’orecchio è sempre alla caccia di

irregolarità, di idiosincrasie del suono che lo aiutano a risalire alla sua origine. L’orecchio è riluttante a creare nuove categorie di timbro; esso tende a ricollegare lo sconosciuto al conosciuto, a identificare un’andatura sonora con un prototipo familiare, a meno che una differenza di morfologia importante non inibisca questa assimilazione e costringa l’ascolto ad adattare le proprie categorie all’esperienza. Il timbro di uno strumento è legato alla sia struttura in quanto sistema vibrante; tale struttura è vistosa e stabile nel caso di un dispositivo meccanico, da cui la marcata identità degli strumenti acustici. Queste osservazioni finiscono con l’attenuare la speranza che si potrebbe nutrire circa suoni nuovi o inauditi, suoni che non sempre vengono percepiti come tali, ma talvolta come delle cattive copie di archetipi acustici; inoltre giustificando taluni orientamenti attuali miranti a produrre suoni digitali sulla base di modelli fisici che simulano il funzionamento di dispositivi meccanici vibranti. 4. Mappe e spazi timbrici Il protocollo di sperimentazione consiste nel domandare a degli ascoltatori di valutare quantitativamente la differenza di timbro fra coppie di suoni. Un programma matematico analizza i risultati e ricava il modello geometrico compatibile con i dati: ogni suono viene rappresentato come un punto di uno spazio a più dimensioni, le distanze fra i punti stanno a indicare le differenze percepite fra i suoni corrispondenti. Si ottiene così una rappresentazione dello spazio soggettivo di tutti i timbri presi in esame. L’ipotesi è che l’ascoltatore che cerca di identificare una fonte sonora tende a separare le sue proprietà temporali dalle sue proprietà strutturali che non cambiano nel tempo. Le rappresentazioni diventano vere e proprie mappe dello spazio timbrico che servono d’aiuto per esplorare materiali sonori nuovi come quelli che vengono usati per la musica concreta o elettronica. Per esempio, si può costruire un morphing, simile a quello delle immagini, che segna la traiettoria tra punti che rappresentano due timbri che si trasformano continuamente tra loro; Chowning dal 1971 ha realizzato dei morphing sonori e successivamente anche Rush, Grey e Wessel. Tutto ciò permette di fare previsioni sull’organizzazione percettiva di un susseguirsi o di un insieme di timbri. La rapida alternanza di due timbri darà luogo a una fissione melodica dove l’orecchio separerà le linee associate a ognuno dei due timbri. 5. Al di là dei suoni isolati Il timbro non si riduce alla qualità del suono o all’identificazione della fonte sonora; alcuni aspetti del timbro possono anche fungere da tramite per l’organizzazione percettiva e per il riconoscimento di oggetti musicali. Se si cambia l’accordatura di uno strumento, le variazioni non vengono percepite tutte come tali: la tendenza dell’ascoltatore occidentale ad assimilare le altezze udite a quella dei gradi della scala cromatica stabilizza la percezione dell’altezza; così si prova un mutamento di qualità, di colore, di timbro. Alfred Cortit era famoso per la sua eccezionale sonorità: trasfigurava il timbro del pianoforte e dava l’impressione di suonare un altro strumento. Per ogni singola nota il pianista è in grado di controllare l’intensità e la durata della pressione sul tasto, ma può anche dosare le intensità rispettive delle note di un accordo e sfalsarle nel tempo. Bregman ci mostra come l’ascoltatore tende a raggruppare le note che si succedono in funzione delle loro intensità e della loro articolazione e a percepirle come proveniente da un’unica fonte. Il timbro dunque è un attributo complesso che raggruppa alcuni aspetti legati all’intensità e alla qualità del suono. 6. Ruolo musicale del timbro In molte tradizioni musicali non europee non esiste un termine specifico per designare il timbro. La musica viene prodotta su particolari strumenti che determinano implicitamente i timbri risultanti. Molti degli strumenti africani presentano dispositivi che arricchiscono il timbro, spesso confondendo l’altezza. Alcune musiche cinesi o vietnamite producono sonorità inconsuete; altri artifici di liuteria creano delle nonlinearità che danno luogo a timbri particolari come la corda di seta del “tambura” nella musica indiana. 7. Musiche tonali ed evoluzione del linguaggio armonico

La comparsa della polifonia a partire dal XIII secolo ha comportato la semplificazione dei ricchissimi melismi esistenti nelle musiche monodinamiche. L’adozione del “temperamento equabile” ovvero la suddivisione dell’ottava in dodici intervalli uguali, ha aumentato le possibilità di modulazione. Se non si impiega questa tecnica si può dar luogo a effetti curiosi: le qualità melodiche o armoniche particolari che ne risultano sono interpretate come effetti timbrici. Dal XVI al XIX secolo il linguaggio tonale si è sviluppato in maniera logica e complessa nella dimensione armonica. Il timbro il più delle volte compare solo come una componente accessoria di secondo ordine: si riduce all’indicazione dello strumento e del modo di suonare. Il timbro finisce per colorire la musica o introdurre connotazioni pittoresche, sottolinea l’organizzazione del discorso musicale. Varese ha espresso con chiarezza la duplice funzione del timbro strumentale: “il mio atteggiamento è l’esatto contrario di quello sinfonico. L’orchestra sinfonica cerca di amalgamare tutti i colori, io mi sforzo di chiarire la distinzione tra colori e tra le loro densità. Utilizzo il colore per distinguere i piani, i volumi e le zone di suono”. L’evoluzione dell’armonia verso una sottigliezza e una complessità sempre maggiori ha arricchito le potenzialità espressive del linguaggio tonale, ma ha anche minato la forza strutturante. In Mozart l’impiego delle modulazioni a toni lontani e l’irruzione crescente del cromatismo hanno provocato un’erosione del linguaggio tonale; in Wagner il movimento armonico risulta ambiguo e sfuggente, le tonalità sono instabili come i sentimenti o le situazioni drammatiche. Da questo momento il linguaggio tonale entra in crisi. 8. Innovazioni musicali nel XX secolo: grammatica e vocabolario sonoro Stravinskij e Hindemith hanno tentato di operare una restaurazione del linguaggio tonale. Invece di resistere al cambiamento alcuni compositori hanno tentato di spingere alle estreme conseguenze l’evoluzione del linguaggio tonale. Schonberg ha sospeso la tonalità ed emancipato la dissonanza, ha definito le basi di un sistema di composizione nuovo detto “dodecafonico” o “seriale”. In questo sistema il discorso musical è organizzato a partire da una seria, da una permutazione dei dodici suoni della gamma cromatica. Dopo la 2 guerra mondiale il modo d’organizzazione seriale è stato esteso alle durate e ad altri parametri, ne è derivato un nuovo stile che privilegia la discontinuità e instaura una grammatica poco percettibile all’ascoltatore. Xenakis ha proposto nel 1954 un metodo di composizione “stocastico” che controlla statisticamente gli effetti di massa. Anche altri compositori seriali hanno tentato di ammorbidire le regole che reggevano la composizione e si sono posti il problema della forma; attorno al 1906 si assiste a un moltiplicarsi delle “opere aperte” con schemi varianti e mobili. Le ricerche appena descritte mirano a rinnovare le regole d’assemblaggio dei suoni musicali: si dedicano alla grammatica e non al vocabolario. Nella musica del XX secolo vi è anche una tendenza complementare, ovvero di spostare l’attenzione sul suono in quanto tale e di rinnovare il materiale musicale prima di considerare nuove tecniche redazionali. In effetti anche nel periodo classico i musicisti occidentali non hanno mai smesso di preoccuparsi della qualità sonora: è il caso di Berlioz che ha dedicato molte energie a sviluppare e migliorare lo strumentario a sua disposizione. Non c’era soltanto l’aspetto cosmetico della realizzazione musicale, ma tutte le componenti del suono concorrono all’espressione (le sue armonie appaiono piatte, senza rilievo). Nel XX secolo il timbro assumerà un’importanza sempre maggiore. In Debussy i timbri, le sonorità e i registri giocano un ruolo essenziale nell’organizzazione musicale; era un rivoluzionario che fondava la sua musica su principi architettonici differenti da quelli della musica tonale classica, per lui la forma musicale non viene definita in base ad uno strumento, ma tramite il risultato dell’esecuzione. Varese è sulla stessa linea di Debussy, sono entrambi nemici dei sistemi, ma in Varese l’impiego dei timbri e dei registri è provocatorio, sottolinea la tensione fra suoni (“l’infrazione è il motore della creazione”). Egli voleva poter lavorare direttamente a plasmare i suoni in funzione delle sue esigenze: “la musica che deve vivere e vibrare ha bisogno di nuovi mezzi di espressione”. Più che allineare note Varese cercava di comporre il suono in quanto tale, vedeva la forma come risultante di una manipolazione del materiale. Appare quindi come prec...


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