Illuminismo giuridico PDF

Title Illuminismo giuridico
Course Storia contemporanea oppure Storia della cultura contemporanea
Institution Università degli Studi di Milano
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L’ILLUMINISMO GIURIDICO

§ 1: Caratteri generali dell’illuminismo giuridico

Intorno alla metà del 700 nasce, sulla base delle teorie giusnaturalistiche secentesche, la cultura illuminista, una corrente di pensiero a raggio europeo, caratterizzata da una piena fiducia nella ragione umana e nella decisione di servirsi di essa liberamente. Il Settecento è un’epoca che gli storici chiamano illuminismo, o età dei lumi, proprio perché questo movimento di idee è fondato sulla convinzione di un rischiaramento complessivo nelle vicende umane grazie alla luce della ragione. Il 5 dicembre 1783 il grande filosofo tedesco Emmanuel Kant pubblica su una rivista scientifica un articolo fondamentale dal titolo “Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?”. In questo articolo Kant afferma che l’illuminismo è per l’uomo sapere aude, cioè, avere il coraggio di sapere, di servirsi liberamente della ragione senza ricorrere a principi di autorità precostituiti. Vi è nel pensiero di Kant l’idea di una rigorosa autolimitazione della ragione entro i limiti dell’esperienza, del mondo sensibile (il mondo percepibile coi sensi), un’idea però cui si accompagna la fiducia nelle illimitate possibilità di indagine della ragione umana. Al pensiero illuministico si ricollega dunque il rifiuto di ogni imposizione autoritaria, di ogni credenza non fondata sulla ragione e di ogni sapere accettato a priori senza un conveniente atteggiamento critico: si delinea così il rifiuto di ogni imposizione autoritaria di tipo politico (antiassolutismo), di tipo filosofico (antiirazionalismo) e di tipo religioso (anticonfessionalismo). In questo senso l’illuminismo rappresenta la condizione fondamentale del pensiero moderno. Sul terreno politico il principale obiettivo dell’illuminismo è quello di una riorganizzazione della società attraverso un ritorno dell’uomo ai suoi diritti naturali e di un’organizzazione dello Stato secondo i principi razionali del diritto naturale, secondo i quali esso ha il compito di tutelare l’individuo nel libero esercizio dei suoi naturali diritti soggettivi. Le teorie illuministiche mirano alla creazione di uno Stato di diritto, cioè di uno Stato completamente sottoposto alla legge in ciascuna sua manifestazione, la cui attività non dipende dalla mutevole volontà individuale del sovrano, ma dal tassativo principio di legalità. Tramonta l’idea del sovrano d’ancien régime legibus solutus (appunto ‘assoluto’, cioè sciolto dal vincolo del rispetto delle leggi) e si afferma l’idea di un sovrano sottoposto anch’egli alla legge, alla quale deve rispetto e obbedienza. La legge da un lato è lo strumento di tutela dei diritti naturali dell’uomo, dall’altra lo strumento per realizzare il progresso sociale: il sovrano è un semplice funzionario al servizio dello Stato, al quale si chiede di farsi promotore di programmi di riforma. Questo, nei suoi tratti generali, è quanto si intende per illuminismo. Occorre ora comprendere il significato dell’espressione illuminismo giuridico che rappresenta le specifiche manifestazioni del pensiero illuministico nel campo del diritto. Esso ha diffusione europea, tanto che possiamo affermare che, nella seconda metà del Settecento, vi è un’intensa circolazione delle medesime idee in tutte le nazioni del continente. Esiste quindi un patrimonio comune di dottrine che tuttavia assume connotazioni specifiche nei diversi territori dell’Europa, a seconda del diverso retroterra politico.

Prendiamo ad esempio due paesi come l’Austria e la Francia: in Austria, così come avvenne anche in Prussia, la cultura giuridica illuministica è la cultura giuridica dei sovrani e dei loro funzionari, utilizzata per realizzare i loro programmi politici assolutistici (assolutismo illuminato). In un’area culturale come la Francia, invece, la cultura giuridica illuministica non è la cultura giuridica del potere politico. Gli uomini dei lumi francesi, i c.d. philosophes, per lo più, non sono funzionari né magistrati, seppure con qualche vistosa eccezione come nel caso di Montesquieu, che fu presidente del Parlamento di Bordeaux, una delle principali corti di giustizia del regno. Proprio per la sordità dei sovrani francesi alle istanze illuministiche l’illuminismo francese tende col tempo ad assumere aspetti sovversivi e una carica ideologica di opposizione al potere politico che porterà allo sbocco finale della rivoluzione. Tuttavia, pur tenendo conto di questo diverso atteggiarsi delle medesime teorie, si possono fissare alcuni comuni punti fermi del pensiero giuridico illuministico. Il primo è l’idea della legge come espressione della ragione, ossia di quelle regole universali di giustizia insite nella ragione umana. L’illuminismo entra qui in contatto con il pensiero giusnaturalistico e ne accoglie alcuni postulati, primo fra tutti l’idea dell’esistenza di un diritto naturale universale, fondato sulla ragione umana. La legge deve positivizzare quel diritto di ragione, vale a dire i fondamentali diritti soggettivi dell’uomo, affinché quei diritti ricevano tutela nella società civile: questi sono innanzitutto il diritto di libertà, di uguaglianza, di sicurezza e di proprietà. Un secondo aspetto che caratterizza l’illuminismo giuridico è quello volontaristico e positivistico. Il diritto positivo, che traduce gli eterni e immutabili diritti naturali dell’uomo, è concepito come manifestazione di volontà del legislatore: solo allo Stato è riservato il compito di fissare in legge i diritti naturali dell’uomo e di imporne coattivamente il rispetto. E’ evidente che in quegli Stati caratterizzati dalla forma monarchica tale volontà sarà la volontà del sovrano: il sovrano si pone così come fonte esclusiva del diritto. Terzo aspetto caratterizzante la dottrina illuministica è la ricerca della certezza del diritto: le norme devono essere chiare, semplici e precise per essere facilmente comprensibili a tutti e dunque rispettate dall’intera collettività, nell’interesse sia dei singoli che dello Stato. Con particolare riguardo alle leggi penali, poi, gli illuministi fissano il fondamentale principio della legalità del diritto penale (nullum crimen, nulla poena sine lege), per cui i comportamenti criminosi e le pene devono essere tassativamente stabiliti da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto; il principio della necessaria proporzione tra la gravità del reato e la severità della pena, contro la tipica prassi d’ancien régime di pene sproporzionate e inumane; e infine l’eliminazione dal diritto penale dei reati c.d. di coscienza (eresia, stregoneria, magia etc.) in base al principio che le norme penalistiche devono punire solo le azioni esterne, oggettivamente dannose per la società, e non anche punire il semplice pensiero. Sono valutazioni che si trovano già presenti negli scritti di Montesquieu ma che verranno messe a punto soprattutto nel celeberrimo Dei delitti e delle pene del milanese Cesare Beccaria, del 1764, l’opera più famosa di questo periodo, che diventerà il manifesto stesso dell’illuminismo in tutto il contesto europeo; un successo che si deve anche alla traduzione dell’opera in lingua francese di cui prese l’iniziativa Voltaire, dal momento che il francese si era sostituito al latino quale lingua della cultura in tutta Europa e tale rimarrà fino al primo Novecento. Ultimo punto messo a fuoco dal pensiero illuministico europeo è che l’interpretazione della norma deve consistere in un’attività semplicemente dichiarativa del suo significato letterale. Questa è l’inevitabile conseguenza del principio secondo cui la legge è espressione di ragione ed è chiara e precisa: essa dunque

non necessita di alcuna interpretazione dottrinale o giudiziale che ne alteri il significato. Al giudice deve perciò essere vietata qualsiasi attività interpretativa di tipo creativo: egli è il mero ed automatico applicatore della legge, la bouche de la loi secondo l’efficace espressione utilizzata da Montesquieu; ogni interpretazione diversa da quella letterale, esegetica e dichiarativa trasformerebbe il giudice in creatore del diritto e dunque in legislatore. Emerge qui in tutta evidenza l’ostilità degli illuministi verso il ceto dei giuristi che per secoli aveva alterato la legge attraverso l’attività interpretativa e l’uso dell’arbitrio, a scapito della certezza del diritto. Ma emerge anche la limpida teorizzazione della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), lucidamente presente nell’opera di Montesquieu, al quale l’autore associa l’idea stessa di libertà dei cittadini: perché la libertà si realizzi è necessaria, secondo l’illuminista francese, un’organizzazione politica che impedisca gli abusi di potere, in cui pertanto i tre poteri siano esercitati da organi diversi e in rapporto di reciproco controllo; insomma è necessario che ogni potere sia limitato da un altro potere. E’ una struttura costituzionale che Montesquieu auspica in Francia e che ritiene già realizzata in Inghilterra. Questa teoria fornirà ai rivoluzionari una potente arma ideologica contro l’assolutismo monarchico, caratterizzato al contrario da accentramento del potere nelle mani di un solo soggetto, il sovrano assoluto, e sarà accolta non solo nel periodo rivoluzionario ma anche negli ordinamenti costituzionali contemporanei. E’ su questo terreno dottrinale che si comincia a pensare in tutta Europa alla riforma del diritto e si inizia a parlare di codice per attuare una riforma che si ponga non come opera di semplice riordinamento del sistema giuridico vigente bensì come opera di radicale rifondazione del diritto. L’illuminismo è dunque essenzialmente riformistico; è un grande movimento volto a riformare radicalmente ogni aspetto della vita sociale, in nome della razionalità: si fa così promotore di una razionalizzazione dell’amministrazione dello Stato, di una riforma economica che propugna la libertà di commercio per chiunque e l’abolizione delle vecchie corporazioni di arte e di mestiere (che invece consentivano l’esercizio del commercio solo agli iscritti ad una corporazione); di una riforma religiosa che abolisca ogni privilegio ecclesiastico (a cominciare da quello dell’esenzione dal pagamento dei tributi) e le istituzioni repressive quali l’inquisizione e la censura; di una riforma giuridica che mira a sostituire la molteplicità delle leggi in vigore con una legge unica, semplice, chiara, uguale per tutti, cioè con un codice.

Ma soprattutto il merito dell’illuminismo è di aver posto l’accento sull’individuo: si rifiutava ormai l’idea di una società divisa in classi sociali, ricca di privilegi e di immunità, in una parola ricca di disuguaglianza. L’illuminismo guarda all’individuo come singolo, disarticolato dalle varie comunità di appartenenza, tutte tranne la famiglia (considerata un istituzione di diritto naturale, dunque da conservare), guarda all’individuo con le sue libertà, a cominciare da quella che si esprime nella proprietà e nell’iniziativa economica. Moltissimi profili del diritto vennero dunque sottoposti ad un severo vaglio critico al quale presero parte intellettuali francesi, italiani, inglesi, tedeschi e olandesi. Si ebbe così la grande svolta che condusse all’abbandono del sistema del diritto comune e all’avvento delle moderne codificazioni; nel giro di pochi decenni si giunse così a riforme radicali in tutta Europa, per iniziativa dei sovrani illuminati (in Austria e Prussia) o sotto la spinta dell’ondata rivoluzionaria: riforma del processo civile e penale, istituzione di una magistratura priva degli enormi poteri discrezionali goduti nell’ancien régime, abolizione della tortura, istituzione della giuria popolare nei processi penali, codificazione del diritto civile, commerciale, penale e processuale. L’età delle riforme si comprende solo in questo ampio contesto europeo in cui le voci di

Montesquieu, Voltaire, Rousseau, dell’Encyclopédie française, di Beccaria e di Kant sono indubbiamente tra le più rilevanti.

§ 2 : Illuministi francesi a confronto: Montesquieu, Rousseau e Voltaire

Una figura molto significativa fu sicuramente Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, vissuto tra il 1689 e il 1755, che pubblicò, nel 1748, l’opera più importante fra quelle prodotte in quegli anni e destinata a fornire l’impianto ideologico della Rivoluzione francese: l’Esprit des lois (Lo spirito delle leggi). Montesquieu si era laureato in diritto e poi, come usualmente avveniva nelle famiglie appartenenti al ceto forense, era divenuto prima consigliere e poi presidente del Parlamento, cioè del supremo tribunale, di Bordeaux, carica che aveva ereditato dallo zio. Il suo capolavoro fu preceduto da altri scritti importanti, come le Lettere persiane del 1721, che anticipano temi destinati a tornare nell’opera maggiore, e fu subito attaccato dagli ambienti ecclesiastici e messo all’indice, ma le sue teorie divennero un punto di riferimento obbligato non solo per i suoi ammiratori, ma anche per i suoi detrattori. Come rivela il titolo dell’opera, l’intento di Montesquieu è quello di occuparsi dello spirito delle leggi, cioè delle cause e dei presupposti che ne sono alla base. E’ celebre la sua definizione di leggi: le leggi sono i rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose. Rapporti necessari sono innanzitutto le leggi naturali della fisica e della chimica, quelle che regolano il comportamento umano (l’istinto di sopravvivenza, il sentimento dell’amore, l’istinto sessuale, sociale etc.). Ma rapporti necessari sono anche le leggi positive che costituiscono il diritto storicamente esistente in una determinata società e che devono uniformarsi alle leggi naturali espressione di ragione. Mentre però il giusnaturalismo aveva teorizzato un diritto naturale unico per tutti i tempi e tutti i luoghi, universale ed immutabile, Montesquieu elabora l’idea di un diritto naturale relativo, variabile nel tempo e nello spazio appunto in relazione alla natura delle cose: non vi è un diritto naturale unico, valido per l’intera umanità, ma vi sono diritti naturali per ciascun popolo, ai quali devono uniformarsi le leggi positive dei singoli Stati. Quest’idea verrà respinta dalla rivoluzione francese e da Napoleone: sia gli uomini della rivoluzione che Napoleone sosterranno infatti l’universalità del diritto naturale e dunque del diritto positivo ad esso conforme, convinti che le esigenze naturali degli uomini siano sempre identiche per tutti. E’ un concetto questo che tornerà molto utile a Napoleone: quando l’imperatore vorrà imporre i suoi codici a popoli diversi tra loro, che nulla avevano in comune se non il fatto di essere assoggettati ad uno stesso conquistatore, l’idea dell’universalità delle esigenze umane e dell’universalità del diritto naturale consentirà l’esportazione del diritto napoleonico, considerato espressione del diritto naturale universale. Al contrario, le idee relativistiche di Montesquieu costituiranno la base del moderno nazionalismo, dell’idea cioè che ciascun popolo si dia un proprio e specifico diritto nazionale. Per Montesquieu vi sono dunque diverse variabili che, in ciascuno Stato, determinano il tipo di diritto. Tali variabili sono le caratteristiche fisiche del paese, la sua conformazione orografica, il suo clima, i costumi di vita dei suoi abitanti, la loro religione e così via. Ma la principale tra le variabili che determinano il diritto in ciascuno Stato è la forma di governo in essa vigente. Per Montesquieu tutti i governi storicamente esistiti ed

esistenti e teoricamente possibili si possono ricondurre a tre forme fondamentali: il dispotismo, la monarchia e la repubblica. Nel dispotismo il potere è esercitato da una sola persona a suo arbitrio; mancano leggi fisse, il che equivale a dire che non ci sono leggi vere e proprie: ai sudditi non è dunque garantito nessun diritto. Il dispotismo si mantiene con la paura, sentimento collettivo dominante che ne impedisce il rovesciamento. Montesquieu non considera il dispotismo una sottospecie della monarchia, ma una forma di governo distinta e a sé stante. Nei governi monarchici, invece, il potere è sì esercitato da una sola persona, il sovrano, ma attraverso leggi fisse: ciò significa che i comandi emanati con la legge possono essere modificati o abrogati solo da una legge successiva e non a piacimento e ad arbitrio del sovrano. Ai sudditi sono garantiti i diritti civili (nei confronti degli altri cittadini) e in parte anche i diritti politici (nei confronti della pubblica autorità). La monarchia si fonda sul sentimento dell’onore e della fedeltà, tipico delle classi aristocratiche e militari. Nobiltà, clero e cittadini costituiscono i cosiddetti corpi intermedi: essi partecipano al governo dello Stato, se pure in modo limitato, e agiscono pertanto da freno al potere monarchico, che si trova così ad essere limitato ed evita di tramutarsi in dispotismo. Le leggi che più si addicono alla monarchia devono mantenere le distinzioni di classe sociale, rafforzare l’autorità paterna nella famiglia e la soggezione dei singoli al sovrano. La descrizione entusiastica del governo monarchico dimostra la preferenza di Montesquieu per questa forma di governo che a suo dire presenta il vantaggi della stabilità. Nei governi repubblicani, infine, tutti i cittadini o una parte di essi partecipano al governo dello Stato tramite propri rappresentati e godono, pertanto, dei diritti politici a cominciare dal diritto di voto. Le repubbliche si distinguono dunque in democratiche o aristocratiche (oligarchiche) a seconda che tutti i cittadini o solo gli appartenenti ad una classe dominante esercitino i diritti politici. Le prime sono le più rare e per Montesquieu le meno preferibili. Nelle repubbliche, siano esse democratiche o aristocratiche, le leggi garantiscono l’eguaglianza dei cittadini; le repubbliche sono fondate sul sentimento della virtù, intesa come moderazione e come onestà dei cittadini nella partecipazione al governo dello Stato. Ma la vera novità del pensiero di Montesquieu è la teorizzazione della separazione dei poteri cui viene associata l’idea di libertà. La libertà per Montesquieu è libertà dalla paura di essere turbati nel pacifico godimento della vita e dei propri beni. Ma perché tale libertà si realizzi è necessaria un’organizzazione politica che impedisca gli abusi di potere da parte degli organi dello Stato, in cui pertanto i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) siano esercitati da organi diversi e in rapporto di reciproco controllo; insomma è necessario che ogni potere sia limitato da un altro potere (è celebre la sua frase in cui si ipotizza una costituzione in cui “il potere arresti il potere”). E’ una struttura costituzionale che Montesquieu auspica in Francia e che ritiene già realizzata in Inghilterra. Il potere legislativo è alla base degli altri due, dato che produce le norme che gli altri due devono poi eseguire e far rispettare. Titolare del potere legislativo è il popolo o quella parte di esso che gode dei diritti politici, che lo esercita attraverso propri rappresentanti. Negli Stati monarchici ciascuno dei corpi intermedi (ossia nobili, clero e borghesia cittadina) si deve esprimere attraverso una propria separata assemblea: se infatti i rappresentanti dei tre ceti si riunissero in un’unica assemblea, i ceti meno numerosi, ossia l’aristocrazia e il clero, si troverebbero sempre in minoranza nelle votazioni e vedrebbero pertanto

costantemente lesi i loro interessi di categoria, il più delle volte fossero in contrasto con quelli del terzo stato (la borghesia). Il potere esecutivo va invece affidato ad una sola persona, individuata nel sovrano, in nome della rapidità e dell’efficienza dell’azione di governo. Per Montesquieu il potere esecutivo può porre dei limiti a quello legislativo, ma non viceversa, perché l’esecutivo è già un potere per sua natura limitato, dovendo dare esecuzione a leggi create da altri. E veniamo all’ultimo potere: il potere giudiziario. Tale potere non deve essere esercitato da professionisti del diritto, ma deve essere affidato a persone estratte a sorte dal popolo (giudici popolari), più precisamente tra persone appartenenti alla stessa classe sociale della persona sottoposta al giudizio, secondo il principio che ciascuno ha il diritto di essere giudicato dai suoi pari. Se a rivestire il ruolo di giudici sono semplici cittadini estratti a sorte tra il...


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