Immagine tempo e immagine movimento di gillez deleuze PDF

Title Immagine tempo e immagine movimento di gillez deleuze
Author Dave Piunti
Course Storia del cinema
Institution Sapienza - Università di Roma
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GILLES DELEUZE, L’immagine-movimento e immagine-tempo Gilles Deleuze, in "L'immagine-movimento" e in "L'immagine-tempo", scritti entrambi negli anni Ottanta, sostiene la tesi secondo la quale i grandi autori del cinema possono essere paragonati non soltanto ad altri artisti, quali architetti, pittori o musicisti, ma anche a dei pensatori, che pensano attraverso delle "immagini-movimento" e delle "immagini-tempo" al posto dei concetti. Deleuze riallaccia le sue riflessioni sul cinema alle concezioni di Henry Bergson sulla natura del movimento e del tempo (Materia e memoria). Nella contrapposizione elaborata da Bergson tra il tempo inteso come durata nella coscienza e il tempo misurabile della matematica e degli orologi, il cinema si presenta come l'esempio tipico del falso movimento: esso, infatti, procede con due dati complementari, delle sezioni istantanee che si chiamano immagini e un movimento, o tempo impersonale, uniforme e astratto, che è nella macchina da presa e con cui si fanno "sfilare" le immagini. Il cinema attraverso il montaggio arriva a dare un'immagine del tempo che può essere diretta se legata alle immagini-tempo o indiretta se proveniente dalle immagini-movimento e dai loro rapporti. Il cinema dunque ricostruisce il movimento con delle sezioni immobili. Tuttavia, sostiene Deleuze, non si può concludere l'artificialità del risultato a 1

partire dall'artificialità dei mezzi: infatti il cinema, sebbene proceda con fotogrammi che sono delle sezioni immobili di tempo (sequenze di 18 o 24 immagini al secondo), ci restituisce un'immagine media (ovvero risultante dalla somma di tutti i fotogrammi) a cui il movimento non si aggiunge astrattamente, ma che appartiene invece all'immagine come dato immediato. Attraverso la cinepresa mobile e il montaggio, il cinema non ci offre un'immagine alla quale aggiungerebbe, solo in un secondo momento, il movimento, ma ci dà immediatamente un'immagine-movimento. Attraverso l'inquadratura, la macchina da presa ritaglia dallo spazio aperto del mondo un sistema chiuso, una sezione mobile del tempo-durata, un sottoinsieme fatto di immagini, di personaggi e di oggetti posti in relazione dinamica tra di loro. A differenza di quelle arti fatte di pose (scultura, pittura, fotografia), le quali rimandano a forme e idee eterne ed immobili, il cinema, come la danza e il mimo, libera valori "non-posati", riporta il movimento all'istante qualsiasi; esso non cerca il "tutto", poiché il movimento si fa solo se il tutto non né può essere dato: appena ci si dà il tutto, il tempo diviene immagine dell'eternità e di conseguenza non c'è più posto per il movimento reale che è puro divenire senza sosta. Secondo Deleuze, la cosiddetta classica narrazione deriva direttamente dalla composizione organica delle immagini-movimento (montaggio), secondo 2

le leggi di uno schema senso-motorio. Come dice lui, le forme moderne di narrazione derivano dalle composizioni e dai tipi dell’’immagine-tempo, compresa la “leggibilità”. La narrazione non è mai un dato apparente delle immagini, o l’effetto di una struttura che le sottende; è una conseguenza delle immagini apparenti stesse, delle immagini sensibili in se, cosi come si definiscono, prima di tutto, per se. L’origine della difficoltà sta nell’assimilazione dell’immagine cinematografica ad un enunciato. Questo enunciato narrativo, dunque, agisce necessariamente per somiglianza o per analogia, e, per quanto proceda con dei segni, questi sono “segni analogici”. La semiologia necessita dunque di una doppia trasformazione, da una parte la riduzione dell’immagine a un segno analogico appartenente a un enunciato, dall’altra la codificazione di questi segni per mettere allo scoperto la struttura relativa al linguaggio (non analogica) sottostante a questi enunciati. Tutto avverrà tra l’enunciato per analogia e la struttura “digitale” o digitalizzata dell’enunciato. Ma per l’appunto, dal momento che si è sostituito un enunciato all’immagine, si è attribuita all’immagine una falsa apparenza, le si è sottratto il proprio carattere apparente più autentico, il movimento. Perché l’immagine-movimento non è analogica nel senso della somiglianza, non assomiglia a un oggetto che rappresenterebbe. Deleuze sviluppa il pensiero di Bergson, in senso 3

che se si estrae il movimento dal mobile, non esiste più alcuna distinzione tra l’immagine e l’oggetto, perché questa distinzione vale soltanto per immobilizzazione dell’oggetto. Deleuze ammette che, l’immagine-movimento è l’oggetto, è la cosa stessa colta nel movimento come funzione continua. L’immagine-movimento è la modulazione dell’oggetto stesso. Lui dice che qui ritroviamo l’analogico, ma in un senso che non ha più nulla a che vedere con la somiglianza e che designa la modulazione, come nelle macchine cosiddette analogiche. Si obietta che la modulazione a sua volta rinvia da una parte alla somiglianza, non fosse altro che per valutare i gradi in un continuum, dall’altra ad un codice capace di “digitalizzare” l’analogia. Ma, ancora una volta, questo è vero solo se s’immobilizza il movimento. La modulazione invece è tutta un’altra cosa; è una messa in variazione dello stampo, una trasformazione dello stampo a ogni istante dell’operazione. Se rinvia a uno o più codici, lo fa attraverso innesti, innesti di codici che moltiplicano la sua potenza (come nell’immagine elettronica). Per se stesse, somiglianze e codificazioni sono mezzi poveri; non si può fare granché con dei codici, anche se li si moltiplica, come si sforza di fare la semiologia. è la modulazione che nutre i due stampi, che ne fa dei mezzi subordinati, anche a costi di trarne nuova potenza. Perché la modulazione è l’operazione del Reale, in quanto costituisce e continua ricostruire l’identità fra l’immagine e l’oggetto. 4

Deleuze critica la nozione di Metz di cinema come linguaggio e non lingua, dicendo che in verità questa lingua della realtà (cinema) non è affatto un linguaggio. È il sistema dell’immagine-movimento, che si definisce sull’un asse verticale e un asse orizzontale, assi che non hanno nulla a che vedere con il paradigma e il sintagma e che costituiscono due “procedimenti”. Da una parte l’immaginemovimento esprime un tutto che cambia e si insedia tra degli oggetti: è un procedimenti di differenziazione. L'inquadratura, il piano e il montaggio sono i mezzi attraverso i quali il cinema costruisce il suo sistema di relazioni tra immagini. L’immaginemovimento (il piano) ha due facce, una secondo il tutto che esprime, l’altra secondo gli oggetti tra i quali passa. Le due facce; specificazione e della differenziazione, costituiscono una materia segnaletica che comporta tratti di modulazione d’ogni tipo, sensoriali (visivi e sonori), cinestetici, intensivi, affettivi, ritmici, tonali, e anche verbali (orali e scritti). Ejzenstejn prima li comparava a degli ideogrammi, e poi profondamente, al monologo interiore come proto-linguaggio o lingua primitiva. Ma nonostante i propri elementi verbali, non è ne una lingua ne un linguaggio. Secondo Deleuze è una massa plastica, una materia a-significante e a-sintattica, una materia non linguisticamente formata, benché non sia amorfa ma semioticamente, esteticamente, 5

pragmaticamente formata. È una condizione, virtualmente anteriore a ciò che condiziona. Non è un’enunciazione, non sono degli enunciati. È un enunciabile. Cosa esattamente voleva dire Deleuze è che quando il linguaggio ci impadronisce di questa materia, che necessariamente lo fa, allora essa da’ luogo a enunciati che domineranno o persino sostituiranno le immagini e i segni e che rinviano per loro conto a tratti pertinenti della lingua, sintagmi e paradigmi, del tutto diversi da quelli di partenza. Quello che dice lui, è che dobbiamo quindi definire non la semiologia ma la “semiotica” come il sistema delle immagini e dei segni, independemente dal linguaggio in genere. Quando viene ricordato che la lingua è soltanto una parte della semiotica, non si vuole più dire, come per la semiologia, che esistono linguaggi senza lingua, ma che la lingua non esiste che nella sua reazione a una materia non relativa al linguaggio, che essa trasforma. Per questo, enunciati e narrazioni non sono un dato delle immagini apparenti, ma una conseguenza che deriva da questa reazione. La narrazione è fondata nell’immagine stessa, ma questa non è data. Quanto alla questione di sapere se esistono enunciati propriamente cinematografici, intrinsecamente cinematografici, scritti nel cinema muti, orali nel cinema parlato, questa e tutt’altra questione, che riguarda la specificità di questi enunciati, le condizioni della loro appartenenza al 6

sistema delle immagini e dei segni, insomma la reazione inversa. Queste riflessioni aprono la possibilità per una nuova filosofia: mentre la filosofia antica si proponeva di pensare l'eterno, l'universale, il cinema diventa il portavoce dell'altra filosofia, capace di un modo di pensare nuovo che cerca il singolare, in ogni istante qualsiasi. L'inquadratura, il piano e il montaggio sono i mezzi attraverso i quali il cinema costruisce il suo sistema di relazioni tra immagini. L'inquadratura è il punto di vista, il sistema chiuso che comprende tutto ciò che è presente nell'immagine. Essa può comporsi secondo schemi geometrici, dinamiche di luci e ombre, "disinquadrature" e fuori campo, e il suo scopo è rendere l'immagine leggibile, oltre che visibile, dallo spettatore. Il piano rappresenta il movimento stesso, il rapporto tra le parti e il cambiamento che ne scaturisce l'immagine-movimento stessa, la sezione mobile della durata secondo la visione bergsoniana. Attraverso esso si rende possibile una modulazione spazio-temporale grazie alla quale il tempo assume il potere di dilatarsi o concentrarsi e il movimento assume il potere di rallentare o accelerare. Infine, il montaggio che rappresenta il tutto del film, l'idea che ci fa dono di un'immagine della durata e del tempo effettivi. Deleuze, ripercorrendo la storia del grande cinema d'autore, individua diverse scuole di montaggio che sembrano segnare un 7

percorso di trasformazione da un cinema classico a un cinema moderno che si differenziano per la diversa immagine del tempo che hanno saputo dare: mentre il cinema classico ha veicolato un'immagine indiretta del tempo, proveniente dalle immagini-movimento e dai loro rapporti, il cinema moderno ha dato un'immagine diretta del tempo grazie ad immagini-tempo che hanno instaurato nel cinema un regime di scambio tra immaginario e reale, tra soggettività e oggettività, con il fine di comunicare l'idea del passaggio, del cambiamento quale natura stessa del tempo. Tra gli autori di immagini-movimento, Deleuze individua diverse forme di montaggio utilizzate: la tendenza organica della scuola americana, la tendenza dialettica della scuola sovietica, la tendenza quantitativa della scuola francese d'anteguerra e infine la tendenza intensiva della scuola espressionista tedesca. La scuola americana concepisce con Griffith un'idea di montaggio in cui i personaggi e le azioni sono presi in rapporti binari che costituiscono un montaggio alternato parallelo, con l'immagine di una parte che succede a quella di un'altra seguendo un ritmo, un'alternanza delle parti differenziate; ad esempio, il mondo dei poveri e il mondo dei ricchi, oppure il mondo dei buoni e quello dei cattivi, vengono presentati come sfere in conflitto, indipendenti le une dalle altre, appunto come modi paralleli, opposti, mentre si trascura il fatto, commenta Deleuze, che le parti in opposizione sono in realtà il frutto di una stessa causa, le due facce della stessa 8

realtà sociale di sfruttamento. Le parti distinte entrano in conflitto, ma le azioni tendono a ricongiungersi, fino ad arrivare ad una situazione trasformata che costituisce una grande unità organica. Nei film russi di Eisenstein, Vertov, Pudovkin e Dovzenco l'obiettivo del montaggio è quello di comunicare l'idea di una meta unitaria da raggiungere (presa di coscienza, azione politica) attraverso una giustapposizione di situazioni legate tra loro e in evoluzione. L'opposizione dialettica, il passaggio da un opposto all'altro si realizzano attraverso il ricorso al patetico (l'immagine viene caricata di una tensione emotiva fino ad esplodere, ed emergere dall'insieme come "immagine al quadrato"; e al montaggio di opposizione: questo si differenzia dal montaggio parallelo poiché l'unità a cui riporta non è un semplice assemblaggio di parti giustapposte, ma una spirale organica che cresce attraverso le contraddizioni per arrivare ad un'unità più elevata, appunto ad una sintesi dialettica. Il cinema francese degli stessi anni è profondamente legato, invece, allo spiritualismo. Il movimento della macchina da presa rispecchia il movimento dell'anima, la passione. Le diffuse immagini d'acqua (mare, fiumi, riprese subacquee) diventano la forma di quanto non ha consistenza organica: l'astratto, lo spirito (ne "L'Atalante" di Jean Vigo l'acqua diventa il luogo dell'apparizione di fantasmi). Attraverso il montaggio accelerato, la polivisione, la sovrimpressione delle immagini, il 9

tempo e il movimento diventano smisurati, incommensurabili: il sublime matematico kantiano fa così la sua apparizione nel cinema. Il senso del sublime dinamico, invece, emerge dai giochi di luce nei film dell'espressionismo tedesco. Il contrasto diventa la matrice del montaggio, luce e ombra creano un mondo striato, lo spazio è costruito attraverso una geometria gotica. La luce che si oppone alle tenebre, la vita che lotta con l'inorganico per emergere atterrisce l'immaginazione, ma dà vita allo stesso tempo ad una facoltà pensante attraverso cui ci sentiamo superiori rispetto a tutto ciò che ha il potere di annientarci. Con l'immagine-tempo il montaggio tende quasi a scomparire a vantaggio del piano sequenza e della profondità di campo: l'uno trasmette il senso della continuità di durata, l'altro (sperimentato da Welles), facendo comunicare lo sfondo con il primo piano, il lontano con il vicino, rappresenta il rapporto tra passato e presente, ovvero un'immagine-tempo diretta. Mentre l'immagine classica costruiva sequenze di montaggio secondo leggi di associazione o opposizione che sfociavano poi in concetti, l'immagine moderna instaura un "regno degli incommensurabili", in cui le immagini non si associano più in maniera razionale, ma vengono spezzettate per poi essere riconcatenate. Il fuori campo e il falso raccordo assumono un nuovo senso. In Godard, ad esempio, a differenza del cinema classico dove persisteva l'ideale dell'identità 10

e del sapere come totalità e armonia, il mixage sostituisce il montaggio: le immagini appaiono dissociate, non c'è più unità tra autore, personaggi e mondo; il rapporto tra il sonoro e il visivo diventa asincronico, la voce fuori campo si fa indipendente dalle immagini e la sua funzione è quella di produrre un sistema di sganciamenti e intrecci tra presente e passato. Qualunque sia la forma di montaggio scelta, la macchina da presa agisce come una coscienza giudicante, ritaglia una visione particolare dal flusso continuo della materia e, isolando una sezione nell'insieme infinito delle immagini, agisce come lo schermo nero posto dietro la lastra fotografica che fa sì che l'immagine si distacchi. Deleuze costruisce una vasta tassonomia di immagini cinematografiche, elaborandola sulla scia del sistema di classificazione generale delle immagini e dei segni stabilito dal Peirce. Se un'immagine può esprimere un concetto, possiamo pensare allora che esistono convenzioni simboliche e discorsive per interpretare i segni cinematografici? Ovvero esiste un repertorio codificato d’immagini-significato come nella lingua oppure un'immagine, a differenza di una parola, non significa sempre la stessa cosa? Deleuze afferma, che nel cinema troviamo 3 (6) tipi di immagini a costituire l'immagine-movimento: immagini (percezione), affezione e (pulsione), (che rappresentano la "primità", secondo la semiotica di Peirce), immagini azione e 11

(riflessione) ("secondità"), immagini relazione ("terzità"). Vi sono immagini che hanno una relazione per così dire "naturale" con le cose che rappresentano, come nel caso di un ritratto che viene associato automaticamente al suo modello. Ciò che lega le due entità è soprattutto l'abitudine a vederle associate, il patrimonio comune di gesti che tutti noi compiamo; così, ad esempio, l'apparizione di un'arma richiama subito un significato di violenza o di dolore. Queste immagini sono dei cliché. In questo senso l'immagine filmica, come l'immagine poetica, non significa ma mostra, non è segno ma intuizione lirica, senso immanente all'immagine stessa, realtà direttamente presente senza mediazione simbolica o riformulazione del reale stesso. Il primo piano cinematografico è un'immagine affezione e il suo ruolo è quello di astrarre l'immagine dalle coordinate spazio-temporali per trasformarla in icona, espressione pura di un affetto che non esiste separatamente da ciò che lo esprime: nel vedere un volto sofferente vediamo la sofferenza in persona. L'immagine affezione esprime qualità o potenze considerate in sé, senza riferimento a nient'altro. L'affetto è impersonale, esprime il possibile senza attualizzarlo e si distingue da ogni stato di cose individuato, ma allo stesso tempo esprime qualcosa di singolare, all'interno di una 12

storia che lo presenta come l'espressione di un'epoca o di un ambiente. Il film affettivo per eccellenza è, secondo Deleuze, La passione di Giovanna D'Arco di Dreyer. Il regista astrae la passione dal processo attraverso una predominanza di primi piani del volto della santa, mentre il piano medio e quello generale sono costruiti con assenza di profondità come fossero anch'essi primi piani. Anche un spazio qualsiasi può esprimere qualità e potenze ed essere quindi un'immagine affezione. A metà strada tra l'immagine affezione e l'immagine azione troviamo l'immagine pulsione, la quale rappresenta un affetto degenerato che si manifesta in un'azione "embrionata", informe o perlomeno non formale. Troviamo immagini pulsione in tutti i film naturalisti; le pulsioni rappresentate sono spesso semplici come la fame o la sette e sono inseparabili dai comportamenti perversi che producono e animano. Buñuel, considerato con Stroheim e Losey uno dei massimi naturalisti del cinema, ha arricchito l'inventario di pulsioni e perversioni spirituali ancora più complesse, riguardanti questioni teologiche e filosofiche. A differenza del realismo che si esprime attraverso immagini azione, il naturalismo esprime una violenza statica, interiore, che si impossessa dei personaggi e fuoriesce da essi fino a penetrare l'ambiente e a degradarlo. L'immagine-azione o "secondità" rappresenta tutto ciò che esiste solo opponendosi a 13

qualcos'altro, come in una relazione duale: azione-reazione, eccitazione-risposta, situazione-comportamento. Ci troviamo all'interno della categoria del reale, dell'attuale, dell'esistente, dove le qualità e le potenze si attualizzano in stati di cose particolari. Siamo nell'ambito del realismo, il genere che ha fatto trionfare universalmente il cinema americano. Nel regno della "secondità" la situazione e il personaggio (o l'azione) sono due termini correlativi e antagonisti: l'ambiente agisce sul personaggio, il personaggio reagisce a sua volta in modo tale da rispondere alla situazione e modificare l'ambiente, pervenendo dunque ad una nuova situazione. Molti generi di film hanno una simile struttura: tutti i film di guerra; i film-documentario, dove si vede l'uomo, o la natura in genere, fronteggiare le sfide dell'ambiente; i film psico-sociali (Gran Torino), dove da una comunità emerge la figura di un capo in grado di rispondere alle difficoltà della situazione (qui il realismo descrive una patologia dell'ambiente e le reazioni ad essa da parte dei personaggi che la subiscono); i film western, dove il duale, lo scontro tra due forze antagoniste si esprime attraverso la rappresentazione del duello; i film storici, etc. Comunque, l'immagine azione ha tuttavia anche un'altra forma, una piccola forma sostiene Deleuze, dove questa volta è l'azione che svela la situazione, o un aspetto di essa, la quale a sua volta dà inizio ad una nuova azione.

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La nuova immagine az...


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