Introduzione all\'italiano contemporaneo riassunto PDF

Title Introduzione all\'italiano contemporaneo riassunto
Author Marina Santucci
Course Linguistica generale
Institution Sapienza - Università di Roma
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Introduzione all’italiano contemporaneo

1.Il repertorio linguistico degli italiani Se l’italiano è la lingua nazionale del nostro paese, fa però grave torto alla realtà dei fatti sostenere che tutti gli italiani parlino solo l’italiano; sono infatti presenti anche i dialetti che, tuttavia vanno considerati varietà linguistiche a sé stanti, e le lingue minori. Il repertorio linguistico degli italiani dovrebbe quindi anzitutto tener conto di tale molteplicità nazionale. Poiché ovviamente i parlanti delle varie regioni ed aree linguistiche d’Italia non usano di solito la lingua indigena tradizionale delle altre regioni ed aree: non esiste dunque un unico repertorio linguistico panitaliano, ma i concreti repertori linguistici vanno sempre riferiti alle singole regioni ed aree. Nel fenomeno della diglossia presente in Italia, Trumper fa una distinzione tra macrodiglossia (aree in cui il dialetto è forte) e microdiglossia (aree in cui è debole). In conclusione, si potrebbe definire il repertorio italo-romanzo medio come una situazione di bilinguismo endogeno, dove però tale bilinguismo è di origine interna dei parlanti e non è dovuto a fenomeni di migrazione o spostamenti di popolazione più o meno recenti. 2. Varietà dell’italiano Le fondamentali dimensioni della variazione sincronica della lingua sono costituite da: - diatopia: regione di provenienza dei parlanti e loro distribuzione geografica; - diastratia: strato o gruppo sociale a cui appartengono i parlanti; - diafasia: situazione comunicativa in cui si usa la lingua; - diamesia: mezzo fisico-ambientale attraverso cui la lingua viene usata. Le 4 dimensioni di variazione costituiscono degli assi di riferimento lungo i quali si possono ordinare le varietà compresenti nello spazio di variazione dell’italiano contemporaneo. Difficili da collocare con precisione sono le varietà di lingua legate a movimenti culturali, mode, costumi più o meno passeggeri, ecc. Nella situazione italiana è praticamente impossibile separare la variazione diatopica da quella diastratica. Si potrebbe sostenere che esiste fra le dimensioni di variazione un rapporto tale che esse agiscono l’una dentro l’altra: la diastratia dentro la diatopia, la diafasia dentro la diastratia, la diamesia dentro la diafasia; un parlante nel periodo dello sviluppo linguistico impara una varietà sociale dell’italiano della propria regione, entro la quale impara diversi registri adeguati a diverse situazioni, entro cui impara la fondamentale dicotomia fra parlato e scritto. Sugli assi della diastratia e diafasia si possono distinguere, dall’alto verso il basso, i seguenti tipi di italiano: - formale aulico; - tecnico-scientifico; - burocratico: - standard-letterario; - neo-standard (comunemente usato da persone colte); - popolare; - informale, trascurato - gergale. 3. Il continuo ed il discreto nelle varietà dell’italiano Trattare i rapporti strutturali fra le varietà in termini di continuum implica grosso modo la presenza di una scala di varietà avente agli estremi due varietà ben distinte e fra queste una serie di varietà in

cui ciascuna sfuma impercettibilmente nell’altra. Se non paiono esserci molti dubbi sul fatto che varietà dell’italiano e del dialetto non possono propriamente far parte di uno stesso continuum, non vi è pieno accordo sulla reale natura di continuum delle varietà dell’italiano. Sobrero considera la variazione italiana come continuum dinamico. Continuum con addensamenti: gamma di varietà sufficientemente ben identificabili ma senza dei confini troppo marcati, in cui ogni varietà è caratterizzata sia da un certo numero di tratti tipici che la definiscono, che da altri tratti condivisi da più varietà. Ogni varietà sarà dunque costituita da: 1) tratti comuni a tutte le varietà; 2) tratti comuni ad alcune varietà; 3) tratti peculiari a quella determinata varietà. Ogni elemento della lingua è caratterizzato da una certa collocazione nel continuum, in quanto si estende lungo una certa (sotto)gamma di varietà. Qui la distinzione fondamentale è fra elementi neutri (perché fanno parte del common core, nucleo comune) ed elementi marcati (tipici di una sola particolare di varietà o di una fetta di esse). Ogni asse corrispondente ad una dimensione di variazione è una scala orientata con i caratteri tipici del continuum. La continuità raggiunge il massimo nella variazione diafasica. 4. Modelli del repertorio Un modello di repertorio linguistico della comunità italofona deve dar conto non solo delle varietà interne all’italiano, ma anche a quelle del dialetto, della loro collocazione rispetto alla lingua standard e dei rapporti che intercorrono fra tutte le diverse varietà. PELLEGRINI: 4 varietà fondamentali del repertorio. MIONI: 7 varietà fondamentali, 4 sul versante dell’italiano e 3 su quello del dialetto, dando grande importanza alla variazione diafasica. SOBRERO: 6 varietà divise in 3 gradini ciascuno dei quali si divide in alto e basso. DE MAURO: 6 varietà, rilevante la v. diafasica. SANGA: 8 varietà per la sezione italiano del repertorio, e 3 per una sezione del gergo. TRUMPER: distingue a priori fra scritto e parlato proponendo 2 repertori diversi per ciascuna delle due classi e troviamo 6 varietà per l’uso orale e 4 per l’uso scritto. Tutti questi modelli ed altri ancora non esauriscono la reale molteplicità degli usi riscontrabili nel comportamento linguistico degli italofoni, ma ne colgono comunque i nodi e le trame principali. Nonostante la notevole oscillazione terminologica, c’è un certo accordo su alcuni assi portanti dell’attuale situazione linguistica italiana: il rilievo della differenziazione diatopica; il riconoscimento di una tensione fra italiano standard della tradizione letteraria e una forma comune di uso della lingua standard ben più radicata nella comunità di quanto fosse nel passato; il riconoscimento dell’esistenza di una varietà sub-standard, l’italiano popolare. Il dialetto presenta una gamma di variazione minore rispetto alla lingua: in diatopia per l’ovvia minore estensione geografica; in diafasia per la specializzazione del dialetto nelle situazioni informali; in diastratia poiché la differenza sociale fra un parlante colto ed uno incolto sarà meno evidente nel dialetto che non a) nell’italiano, b) nel fatto che il primo tenda ad usare l’italiano ed il secondo il dialetto. Mentre la gamma di funzioni dell’italiano è aperta anche verso il basso, quella del dialetto è chiusa o quanto meno limitata, verso l’alto poiché normalmente non viene usato per realizzare funzioni elaborate e quindi su questo lato dell’asse si è atrofizzato. Altri aspetti per l’identificazione del dialetto sono poi l’opposizione città/campagna. Modello di architettura con 4 fondamentali varietà di dialetto: letterario, urbano, rustico, gergale. Potremmo considerare come cardini del repertorio linguistico italo-romanzo le seguenti varietà:

- ital. medio (standard); - ital. popolare; - dial. italianizzato; - dial. locale rustico. 5. Tra italiano e dialetto Il settore di contatto e confine, nel repertorio, tra dialetto e italiano è molto problematico. Il dialetto italianizzato si può ritenere correlato in maniera plurivoca con le dimensioni fondamentali di variazione. Esso è una varietà diafasica in quanto per un parlante più vicino all’italiano sarà più difficile da essere utilizzato; d’altra parte però quanto più le sfere lessicali oggetto del discorso riguardano fatti e cose tipiche della società moderna e lontane dai tradizionali ambiti del dialetto, la presenza di italianismi del lessico andrà ad infittirsi. Diatopia: sembra assodato che dialetto urbano sia più italianizzato di quello dei piccoli centri. Diastratia: il dialetto dei ceti medi e medio-bassi cittadini è più italianizzato di quello dei ceti agricoli delle campagne. I fenomeni di contatto fra italiano e dialetto hanno come manifestazioni più lampanti il forte avvicinamento di varietà del basso italiano al dialetto e vistosi adeguamenti del dialetto all’italiano. La morfologia e la forma morfonologica della parola costituiscono generalmente il discrimine che permette di assegnare elementi all’uno o all’altro sistema e di dire nei casi di mescolanza che un termine molto dialettizzato è tuttavia ancora italiano, o viceversa. Forse l’italianizzazione del dialetto può sembrare un indebolimento di quest’ultimo, ma non bisogna dimenticare che nei casi di contatto linguistico a lungo termine ingressi anche massicci di prestiti e di calchi della lingua dominante sono del tutto fisiologici. La fonetica e la morfosintassi tendono a rimanere intatte, talché il processo di italianizzazione dei dialetti risulta per ora molto più evidente in superficie. Fatto sta che comunque il lessico è l’aspetto più appariscente del sistema linguistico, il che giustifica l’impressione di grande distanza del dialetto “originale” che può lasciare il dialetto fortemente italianizzato. Considerazioni analoghe valgono anche sul versante dell’italiano, circa le varietà di italiano fortemente dialettizzate. Commutazione di codice: uso alternato di (varietà di) italiano e (varietà di) dialetto nel corso dello stesso evento comunicativo da parte dello stesso parlante, o addirittura all’interno della stessa battuta/frase. (Fenomeno che ha una larga accettazione sociale). Poiché l’alternanza nello stesso evento linguistico di italiano e dialetto costituisce una delle scelte a disposizione di parlanti italiani, il discorso mistilingue può avere riconosciuta una sua posizione all’interno del repertorio linguistico.

Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche 1. Una distinzione preliminare: italiano scritto e italiano parlato Le caratteristiche che distinguono il parlato dallo scritto sono da riportare in parte alla differente natura semiotica del mezzo di trasmissione del messaggio, che impone una serie di limitazioni e di scelte preferenziali alla strutturazione del messaggio stesso; in parte alle condizioni situazionali di produzione che rendono il parlato molto più indessicale e legato alla specifica interazione interindividuale; in parte all’architettura stessa della lingua, che prevede e assegna certe funzioni piuttosto che altre, e quindi una certa collocazione nel repertorio, alle varietà tipicamente scritte piuttosto che a quelle tipicamente parlate.

Le proprietà generali retrostanti che danno conto dei singoli tratti che differenziano il parlato e lo scritto ai diversi livelli di analisi possono essere fondamentalmente ricondotti a fattori quali: il grado di pianificazione del discorso, massimo nello scritto; il modo pragmatico di organizzazione del testo; lo stretto legame con il contesto e in particolare con i partner dell’interazione, Koch e Koch-Oesterreicher propongono come tratto profondo unificatore, che consente di interpretare gran parte delle differenze tra scritto e parlato, l’opposizione (graduata) fra vicinanza comunicativa (parlato), e distanza comunicativa (scritto). Vi sono, inoltre, cose che non ha lo scritto: prosodia, fenomeni intonatici, paralinguistica; e vi sono cose che non ha il parlato: fatti grafici (interpunzione, sottolineatura, maiuscole, ecc..); tutte il resto è costituito da cose comuni ai due. Le descrizioni correnti di una lingua di cultura sono di solito basate sulla forma tipica dello scritto, per questo conviene tenere lo scritto come punto di riferimento e vedere in quali punti, e come, il parlato se ne differenzia. TRATTI DEL PARLATO Cresti: “l’intonazione esprime sempre almeno una forza illocutiva convenzionale della quale si deve tener conto nel computo finale del valore illocutivo di un enunciato”. La differenziazione tra scritto e parlato è massima a livello di testualità e di pragmatica. La trascrizione convenzionale di un testo parlato spicca a prima vista rispetto un testo scritto per la frammentarietà sintattica e semantica e per l’uso massiccio di segnali discorsivi di vario genere. Il tessuto testuale e il flusso dell’informazione sono spezzettati, scissi in blocchi accostati l’un l’altro senza essere fusi in un periodo strutturalmente coeso. Nella vasta famiglia dei dispositivi tipici della testualità del parlato potremmo citare; allora, bene/be’/beh, niente, e, con particolari valori, tanto e solo (che) iniziali (segnali di apertura); capito (?), vero(?) (segnali di chiusura); guarda, senti, ascolta, dai, ecc. Altri caratteri testuali rilevanti nel parlato sono il forte ricorso alla deissi e il largo affidamento all’implicitezza nello sviluppo e nell’instaurarsi della coerenza tematica. Lo stesso meccanismo di sfruttamento è responsabile di riprese anaforiche e coreferenze abnormi rispetto a quelle previste dalla grammatica dello scritto. Ancora, un tratto caratteristico dei testi parlati è la presenza di autocorrezioni che nella produzione del testo scritto ovviamente sono assorbite nel processo di realizzazione, mentre nel parlato emergono e rimangono in superficie come costitutive del tessuto testuale. Passando alla sintassi, possiamo individuare principalmente 3 ambiti nei quali si avverte la differenza tra il parlato e lo scritto standard: - sintassi del periodo: il parlato preferisce la paratassi all’ipotassi, ovvero la costruzione di un periodo basata sulle coordinate. Sono infatti caratteristici del parlato gli impieghi del cosiddetto che polivalente con un generico valore esplicativo; - fenomeni concernenti l’ordine dei costituenti frasali: si tratta del perché a inizio del periodo come introduttore di una (pseudo)principale con valore grosso modo esplicativoargomentale, e del così introduttore di una frase a metà fra la coordinata e la subordinata con valore finale-conclusivo; - fenomeni riguardanti l’effetto della ridotta gittata di pianificazione sulla coesione sintattica delle frasi: presenza di frasi segmentate di vario genere, aventi in comune la funzione di sottolineare l’articolazione tema/rema e di marcare la struttura informativa della frase (dislocazione a dx/sx; c’è presentativo; strutture sintattiche interrotte: frasi incomplete, anacoluti, cambiamenti di microprogettazione, ecc.).

Dal punto di vista della morfologia il parlato mostra una tendenza ad organizzare paradigmi e funzioni morfologiche secondo linee semplificanti rispetto lo scritto. Nel parlato alcuni templi e modo verbali sono sottoutilizzati, con la conseguente creazione di valori ed impieghi su alcuni tempi dell’indicativo (presente/passato prossimo/imperfetto/trapassato prossimo). L’imperfetto ed il futuro tendono spesso a funzionare come modi, esprimendo in particolare la modalità non fatturale (imperfetto) ed epistemica (futuro), riducendo così lo spazio di impego del condizionale, il quale presenta come tipico del parlato l’uso cosiddetto di cortesia. Nel parlato si ha anche una diminuzione d’uso del congiuntivo; uso del passivo senza agente, o di costrutti impersonali generici. Per quanto riguarda l’uso di pronomi nella forma parlata: maggiore frequenza dei pronomi personali e dimostrativi, da collegare con l’alta indessicalità del parlato oltreché con l’enfasi espressiva. Ricorrente nel parlato è inoltre il rafforzamento della negazione attraverso: mica, un cavolo, un cazzo, assolutamente. Altrettanto ricorrente è l’impiego aggettivale-predicativo di niente (es. niente pomodori oggi?). Nel parlato si verificano fenomeni connessi con la velocità di pronuncia che modificano la forma della parola. Oltre alla mera caduta di sillabe non prominenti accentualmente, vi sono fatti ricorrenti quali apocopi (es. son venuto; so’ venuto; lavora’ bene); aferesi (es. ‘nsomma/’somma; ‘sto); fonosintassi (es. fusioni di consonati, legamenti: i-fazzoletto; assimilazioni e semplificazioni di nessi consonantici: arimmetica; propio). Anche nel lessico è possibile identificare alcuni aspetto preferenziali che distinguono il parlato dallo scritto. Il parlato, anzitutto, tendo ad usare un minor numero di parole diverse, a realizzare sull’asse sintagmatico una minore variazione lessematica. Da ciò discende tra l’altro che il parlato conterrà frequenti ripetizione dello stesso lessema e impiegherà volentieri lessemi dal significato molto generico, le cosiddette parole passe-partout: cosa/o, roba, affare, faccenda, tizio, ecc. Ricorrenti nel parlato sono fatti di rafforzamento semantico ed intensificazione di aggettivi e sostantivi, attuati secondo vari meccanismi: impego di bello, forte, tutto, un mucchio. Sono poi molto più presenti nel parlato che nello scritto superlativi morfologici in -issimo, mentre lo scritto preferisce forme analitiche con molto, assai, quanto mai, ecc. Vi sono poi sfere lessicali che per loro natura sono specifiche del parlato: i saluti, le routines e formule di cortesia, le esclamazioni di vario genere ed i disfemismi, insulti ed epiteti ingiuriosi. Nel parlato spontaneo sembrano inoltre di uso molto meno frequente che nello scritto i forestierismi, almeno nella forma di prestiti non adatti 2. Varietà diastratiche e italiano popolare La variazione diastratica è quella correlante con lo strato o classe sociale dei parlanti. Nella situazione italiana i fattori per determinare l’appartenenza a determinate classi sociali sono il grado di istruzione ed i modelli culturali e comportamentali di riferimento. Uno dei modi classici in cui si manifesta la var. diastratica è la variabile sociolinguistica (=insieme di varianti ciascuna delle quali connessa con fattori o variabili sociali). Le variabili sociolinguistiche sono state studiate fondamentalmente a livello fonologico, per la variazione della pronuncia, ma possono riguardare tutti i livelli di analisi. Un tipo assai interessante di variabili sono quelle che presentano una configurazione laboviana, vale a dire che sono sensibili contemporaneamente alla variazione di classe sociale e di registro o stile

contestuale. Esempio di variabile di questo genere è relativo alla realizzazione della -r intervocalica nell’italiano di Roma (es. ‘a bira). Italiano popolare: varietà sociale per eccellenza dell’italiano, vale a dire quell’insieme di usi frequentemente ricorrenti nel parlare e nello scrivere di persone non istruite e che per lo più nella vita quotidiana usano il dialetto. Spesso si tende a definire come italiano popolare ogni manifestazione e tratto sub-standard, ma con sub-standard in realtà ci si riferisce ad un concetto molto più ampio che concerne o comprende tutto ciò che è marcato in quanto al di sotto dello standard. Molti tratti sub-standard compaiono sia nell’italiano diastraticamente basso che nel parlato colloquiale trascurato e nei registri bassi. I fenomeni che caratterizzano l’italiano popolare sono da ascrivere a due grandi ordini di meccanismi: da un lato il contatto con il dialetto retrostante, che dà luogo a svariate manifestazioni di interferenza i anche ipercorrettismo e iperdistanziameno; dall’altro lato, la rielaborazione e la ristrutturazione di settori ed aree del sistema o della noma dell’italiano standard. Il carattere fondamentale che contrassegna a livelli alti i testi prodotti in italiano popolare è dato dalla presenza della testualità tipica del parlato spontaneo anche nello scritto che fornisce loro quell'apparenza di devianza. Come espediente testuale non è da dimenticare l'impiego insistito di "dire" alla 3°pers sing. del presente indic., per segnalare e poi ribadire il discorso diretto e con varie funzioni di segmentazione. Nella sintassi spicca un'alta frequenza di strutture a tema libero, costrutti in cui l'elemento isolato a dx o sx non reca alcuna preposizione che ne specifichi il caso o ruolo sintattico, e può o non può essere ripreso da un pronome clitico all'interno della frase di cui nella costruzione corrispondente non marcata sarebbe un costituente. Altro tratto sintattico caratteristico dell'italiano popolare è la costruzione sub-standard del periodo ipotetico dell'irrealtà. L'italiano popolare è poi il regno del che polivalente in tutta la sua possibile gamma di impieghi: il "che" in italiano popolare è anche usato come rafforzativo o integrativo di altre congiunzioni subordinate dal valore specifico (es. mentre che/siccome che/etc). Lo stesso che è anche l'introduttore della frase relativa nel costrutto tipico dell'italiano popolare, in cui che relativizza qualunque posizione sintattica, con ripresa disambiguante attraverso un clitico o senza. Da ricordare sempre per la sintassi: - l'uso frequente di frasi nominal...


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