Kelsen -Essenza e valore della Democrazia PDF

Title Kelsen -Essenza e valore della Democrazia
Author Alex Giò
Course Filosofia del diritto
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
Pages 11
File Size 118 KB
File Type PDF
Total Downloads 45
Total Views 122

Summary

Download Kelsen -Essenza e valore della Democrazia PDF


Description

Kelsen -Essenza e valore della Democrazia O - Prefazione Con le rivoluzioni borghesi di fine '700 e primi dell'800, spopola l'ideale democratico. All'inizio del '900, nonostante la lotta di classe, tra borghesia e proletariato non esistono divergenze per quanto riguarda la forma dello stato, e tra i secoli XIX e XX la democrazia diventa ovunque una moda politica. Tuttavia, come tutte le mode, perde un po' del suo significato originale, e assume diversi significati tra loro anche contrastanti. Si comincia ad utilizzare la democrazia impropriamente, per cercare di risolvere ogni questione politica e non. Ma la rivoluzione sociale, dopo la Grande Guerra, porta ad una revisione del movimento democratico. Questo movimento si divide in due: ad insorgere contro l'ideale della democrazia abbiamo da un lato il comunismo russo attuato dai bolscevichi, dall'altro, per reazione a questa pressione del proletariato sulla politica europea, l'atteggiamento antidemocratico della borghesia, che trova espressione pratica e teorica nel fascismo italiano. Stando così le cose, al tempo di Kelsen (anni '20/'30) si presentava il problema della democrazia di fronte alla dittatura di partito, sia essa di destra o di sinistra, così come si presentava un secolo prima contro l'autocrazia monarchica. Capitolo 1 - La libertà Secondo Kelsen, i principi della democrazia moderna, che chiama "postulati della nostra ragion praticd' e "istinti primordiali dell'essere sociale", sono 2: la libertà, intesa come rifiuto dell'eteronomia, cioè della volontà altrui (il rifiuto di essere comandati da altri), e l'eguaglianza, nel senso che gli individui sono uguali in quanto nessuno nasce con il diritto di comandare che lo distingua dagli altri (concezione di eguaglianza nel pensiero politico moderno a partire da Locke). Questi due principi dello stato democratico moderno, nascono dalle prime dichiarazioni moderne dei diritti, scritte dopo le grandi rivoluzioni Americana e Francese ("Gli uomini nascono liberi ed eguali nei dirittf', dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, 1 789; "Tutti gli uomini sono nati egualmente liberi e indipendenti", dichiarazione dei diritti della Virginia, 1776), che caricano questi stessi principi di valori universali e positivi. Anche lo stesso Hobbes aveva insistito molto sul tema dell'eguaglianza, per far vedere come tutti partono dalla stessa situazione di base (per Hobbes questo accade sia in senso fisico che intellettuale: uguaglianza di fatto). Tuttavia, continua Kelsen, nonostante l'idea che siamo tutti uguali suggerisca che nessuno ha il diritto di comandare su un atro, è necessario che ci sia un potere , una regola a cu tutti devono obbedire se si vuole vivere in società: anche Hobbes sosteneva che senza questo potere itivo, non può esserci pacifica convivenza e ordine sociale, ma al contrario si sfocia nella guerra di tutti contro tutti. Se vogliamo essere veramente uguali, bisogna lasciarci comandare. Ma allora se proprio dobbiamo essere comandati, da chi lo vogliamo essere? ln altre parole: quale ordinamento coercitivo è più compatibile con le esigenze naturali di libertà e di eguaglianza? La risposta di Kelsen è la democrazia, perché in essa le leggi non sono eteronome, ma sono date da noi stessi, e obbediamo così unicamente alla nostra volontà. A questo punto Kelsen fa una lunga digressione sul significato di libertà, e sulla sua trasformazione, nel contesto del principio di maggioranza. Si è passati dalla libertà, come la definisce Kelsen, "germanicd', cioè intesa come assenza totale di qualsiasi potere o dominio (anarchia), alla libertà intesa come autodeterminazione politica del cittadino (democrazia), in un cammino che porta l'uomo dallo stato di natura, all'ordine sociale: dalla libertà dell'anarchia si passa alla libertà della democrazia.

Ma il cammino non finisce qui. Anche quando la volontà generale è realizzata direttamente dal popolo (come scriveva Rousseau, che Kelsen considera uno dei più grandi teorici della democrazia), il cittadino è libero solamente in un unico momento, cioè nel momento della votazione, e solo se ha votato con la maggioranza, e non con la minoranza che soccombe. L'unanimità, dunque, sembra essere l'unica garanzia che la libertà individuale sia conservata per tutti. Tuttavia, come l'esperienza ci insegna, è politicamente impossibile avere l'unanimità, a tal punto che anche un difensore della libertà come Rousseau vuole l'unanimità solo per il contratto iniziale che fonda lo stato. Per tutte le altre votazioni, quindi, la democrazia prevede che la minoranza soccomba alle decisioni della maggioranza, rinunciando all'unanimità. Tuttavia, anche colui che vota per la maggioranza non è più sottomesso solo alla sua volontà, e questo accade quando cambia opinione: a quel punto sarà sottomesso ad una volontà esterna, che non corrisponde più alla sua. Ma allora se il principio maggioritario ha questi difetti, apparentemente in contrasto con l'ideale di libertà che è un postulato della democrazia, da cosa si deduce che è il principio migliore da adottare? C'è solo un'idea, scrive Kelsen, che porta alla giustificazione del principio di maggioranza, ed è l'idea che, se non tutti, almeno la maggior parte degli individui sia libero: è necessario un ordine sociale che sia in contrasto con il minor numero possibile di individui, e questo è la democrazia con il principio maggioritario. Quindi la discordanza tra la volontà dell'individuo e quella dello stato, è ormai da considerarsi inevitabile, anche se nello stato democratico a principio maggioritario, si cerca di ridurre questa discordanza al minimo. Si verifica a questo punto una nuova trasformazione dell'idea di libertà politica: dal momento che la libertà dell'individuo si rivela irrealizzabile, finisce per rimanere in secondo piano, mentre succede in primo piano d'importanza la libertà della collettività, della persona anonima dello stato. Avviene uno spostamento del soggetto di dominio: dall'individuo all'insieme. I cittadini di uno stato sono liberi soltanto in questo insieme, cioè nello stato: chi è libero non è il cittadino, ma lo stato (ciò è anche espresso dalla formula secondo la quale è libero solo il cittadino di uno stato libero). Alla libertà dell'individuo dunque subentra la libertà della persona dello stato. Questa è l'ultima tappa del processo di trasformazione di libertà nello stato democratico moderno. Capitolo 2- Il popolo Ideologicamente, per la democrazia, il popolo è il detentore del potere politico, e il realizzatore dell'ordine sociale. Per esserci dunque questa identità di governanti e governati, il popolo deve essere coeso, costituendo un'unità. Ma, nei fatti, questa unità sembra venire meno, a causa delle numerose divergenze religiose, economiche, nazionali, ecc. Dunque, cos'è il popolo?, si chiede Kelsen. Il popolo appare unico, in realtà, solamente dal punto di vista giuridico: tutti sono sottoposti ugualmente al medesimo ordine normativo. Il popolo non è altro che un insieme di atti individuali, ordinati dalle leggi dello stato. E visto che esiste una sfera d'azione dell'individuo in cui lo stato non può intervenire a livello giuridico la sfera privata - esiste un gran numero di atti dell'individuo che sfugge sempre. Non è vero, quindi, che lo stato coincide con il popolo. Il popolo come sottomesso alle norme, è considerato qui come oggetto del potere. Per quanto riguarda il popolo come soggetto del potere, cioè come creatore dell'ordine sociale, bisogna considerare solo gli individui detentori dei diritti politici (ad esclusione, ad esempio, delle donne, degli schiavi, degli stranieri, ecc.), che risultano essere quindi una piccola frazione rispetto agli individui sottoposti all'ordine stesso. L'idea di democrazia, dunque, accetta numerose limitazioni nella nozione di

popolo. Tra tutti coloro che detengono i diritti politici, come ultimo passo, bisogna considerare solo coloro che effettivamente li esercitano (il demos), al contrario di coloro che non si interessano della vita politica dello stato, o che si lasciano trasportare passivamente dalle idee altrui, senza una propria opinione. Ora, bisogna vedere in che modo vengono esercitati questi diritti all'interno dell'ordine sociale. Questo avviene mediante i partiti politici, uno degli strumenti più importanti della democrazia moderna, a detta di Kelsen, che è un fervente sostenitore del partitismo. Per decenni i partiti sono stati delle associazioni amorfe, senza una legislazione interna, nonostante siano una parte essenziale nella formazione della volontà generale. Kelsen a questo proposito afferma che, fondandosi la democrazia moderna quasi interamente sui partiti politici, bisognerebbe dare loro una legislazione costituzionale. L'attacco ai partiti da parte dei detrattori del partitismo, è un attacco mascherato, per Kelsen, alla democrazia. Infatti, questa non è possibile senza l'esistenza dei partiti. Secondo l'antipartitismo, la natura dello stato sarebbe in contrasto con l'esistenza dei partiti. Ma ciò che si vuole qui far passare per natura dello stato, per Kelsen, è in realtà solo un ideale antidemocratico. Che cosa sarebbe quindi a mettere i partiti in contrasto con lo stato? Nulla. Anzi, vista l'esistenza di opposizioni di interessi nello stato, è bene che ci sia dialogo, confronto tra i partiti politici, di modo che lo stato democratico che ne risulti segua una linea media e sia il compromesso (cruciale per Kelsen) risultante proprio dall'opposizione degli interessi. Chi è ostile ai partiti politici, vuole che un solo ed unico gruppo di interesse prenda il potere politico, e quindi è ostile anche alla democrazia. Abbiamo visto, nei primi due capitoli, la riduzione della libertà naturale ad una autodeterminazione politica per decisione maggioritaria,e della nozione ideale di popolo a quella di demos, cioè l'insieme dei detentori -fruitori dei diritti politici. Ma queste limitazioni della democrazia non finiscono qui. Infatti, solo nella democrazia diretta, che per ragioni di numero negli stati moderni non è più attuabile, era possibile la reale espressione della volontà generale, per mezzo della decisione maggioritaria dei titolari dei diritti politici nell'assemblea. Negli stati moderni, è possibile solo la democrazia indiretta, in cui la volontà generale è formata da una maggioranza di eletti dalla maggioranza dei titolari dei diritti politici. Di tutti gli argomenti fin qui trattati, che limitano l'idea di democrazia, il parlamentarismo è per Kelsen quello più importante. Capitolo 3- Il parlamento Quella per il parlamentarismo, condotta tra il XVIII e il XIX secolo, è stata prima di tutto una lotta per la libertà politica, che ha portato a risultati importanti quali l'emancipazione della classe borghese e la conquista dei diritti politici del proletariato. Tuttavia, già al tempo di Kelsen (anni '20, '30), il parlamentarismo aveva cominciato a suscitare più di un malumore, sia tra gli storici dell'epoca, sia tra le fazioni estreme degli schieramenti politici. Si sentiva, scrive K, una certa insofferenza verso il parlamentarismo, anche se all'epoca ancora non si poteva parlare di crisi o di agonia del parlamento. E chiaro, insomma, che dall'inizio del secolo il parlamento è stato messo sempre più in dubbio. Tuttavia, dal momento che negli stati moderni è impossibile applicare la democrazia diretta, il principio parlamentare è l'unica forma possibile di democrazia, perciò il destino del parlamentarismo deciderà anche il destino della democrazia. Definizione: il parlamentarismo è la formazione della volontà generale dello stato, attraverso un organo collegiale eletto dal popolo in base al suffragio universale, secondo il principio della maggioranza. Tuttavia, la libertà ottenuta con il parlamentarismo, è, come abbiamo visto, libertà politica, che si deve unire

ad elementi che limitano la libertà propriamente detta. Il primo di questi elementi, affrontato nel capitolo 1, è il principio maggioritario; il secondo, è la formazione indiretta della volontà: la volontà del popolo è espressa non più direttamente dal popolo, ma indirettamente da un parlamento, dal popolo eletto. La libertà propriamente detta, necessiterebbe che la volontà del popolo fosse espressa unicamente dall'assemblea del demos riunito. Il trasferimento di questo compito ad un organo estraneo al popolo significa per forza una restrizione della libertà. Da un lato, dunque, il parlamentarismo si presenta come un compromesso tra l'esigenza democratica di libertà, e il principio moderno della differenziazione del lavoro, secondo cui ognuno deve svolgere un determinato ruolo nella società, rendendo di fatto impossibile l'attività di tutti nell'assemblea. Dall'altro lato, però, si vuole dare l'impressione anche nel parlamentarismo, l'idea di libertà sia realizzata integralmente. Ma questo non è vero, è una menzogna, perché l'idea di rappresentanza, secondo cui un cittadino può esprimere la propria volontà per mezzo dei propri rappresentanti nel parlamento, è una finzione, dal momento che tutte le costituzioni stabiliscono che il parlamentare non è vincolato dai propri elettori. Il che rende il parlamento, di fatto, indipendente dal popolo. Questa è la principale, secondo Kelsen, patologia del parlamentarismo. La finzione della rappresentanza serve quindi a giustificare il parlamentarismo dal punto di vista della sovranità del popolo. Ma questa finzione, è l'argomento principale e fertile che utilizzano gli avversari della democrazia, per affermare appunto che il principio democratico si basa su una falsità. E possibile, si chiede Kelsen, un'eliminazione completa del parlamentarismo? Segue un'analisi storica per rispondere a questa domanda. Non è un caso, scrive, che in ogni civiltà più o meno progredita, ad un certo punto della sua storia si sia venuto a creare un collegio, un'assemblea che incarnava la volontà del gruppo in questione. E dunque una necessità dell'evoluzione sociale la creazione, accanto al governo, di un organo (il parlamento, in tutte le sue forme) per la legislazione. Questo processo inevitabile parte da una forma embrionale astratta, passando per diverse forme intermedie, e concretizzandosi in quelli che sono oggi i parlamenti moderni. Dunque, il tentativo di eliminare il parlamento dallo stato moderno avrebbe, a lungo andare, uno scarso successo. Il punto della questione è solo come il parlamento debba venir convocato, come deve essere composto e quale debba essere l'estensione della sua competenza. ln fondo, tutti quei tentativi di abolire il parlamentarismo da uno stato, in realtà non mirano ad altro che ad una pura e semplice riforma del parlamento. Capitolo 4 - La riforma del parlamento Anche se non è possibile far creare direttamente dal popolo l'ordine statale, è tuttavia possibile ampliare il raggio d'azione del popolo più di quanto non avvenga nel sistema parlamentare moderno, dove il suo intervento è limitato alla sola elezione del parlamento. 1) ln primo luogo, si potrebbero consultare più spesso, in merito in merito ad alcune questioni, direttamente i cittadini, tramite uno sviluppo dell'istituto del referendum. 2) Si potrebbe istituire la cosiddetta "iniziativa popolare", per cui un certo numero minimo di cittadini può proporre un progetto di legge al parlamento in merito al quale quest'ultimo dovrà deliberare: dal momento che gli elettori non possono per costituzione dare istruzioni obbligatori ai deputati, per lo meno al popolo dovrebbe essere lasciata la libertà di dare suggerimenti per indirizzare al meglio la propria attività. 3)l deputati dovrebbero essere sottoposti costantemente da dei gruppi di cittadini, organizzati in

partiti: un contatto permanente e costituzionalmente valido tra elettori ed eletti, riavvicinerebbe sensibilmente le masse al principio parlamentare. L'irresponsabilità del deputato di fronte all'elettore (es.: trasformismo)è una delle patologie relative alla rappresentanza che più ha aumentato il discredito del parlamentarismo moderno, e non è affatto, come si dice, un male necessario. A tale proposito dovrebbe essere istituito l'istituto della revoca, secondo cui i deputati, anche se non sono vincolati dai loro elettori, perdano il mandato non appena lascino il partito con il quale furono eletti, o vengano allontanati da esso. La richiesta della perdita di mandato dovrebbe essere presentata dal partito con il quale il deputato è entrato in parlamento, i cui interessi venissero compromessi da eventuali dimissioni, mentre in merito all'effettiva perdita o meno del mandato dovrebbe deliberare un tribunale indipendente ed imparziale. 4) Bisognerebbe far scomparire, continua Kelsen, l'immunità parlamentare , secondo cui un deputato può essere perseguito o arrestato solo dietro al consenso del parlamento. Questa è un'irresponsabilità non di fronte agli elettori, ma di fronte alle autorità dello stato. Il privilegio dell'immunità è un retaggio della monarchia costituzionale, epoca in cui l'opposizione tra parlamento e governo regio era la più accanita, e per evitare abusi di potere da parte della corona fu istituito appunto questo diritto. Tuttavia, oggi, in una repubblica parlamentare è un nonsenso voler proteggere il parlamento dal suo stesso governo, anche perché il governo è sottoposto oltre che al controllo dell'opposizione, anche e soprattutto da quello dell'opinione pubblica. Se il parlamentarismo, nel corso della sua esistenza, si è acquistato le antipatie sia delle masse, sia delle persone colte, ciò lo si deve in gran parte agli abusi derivati dal privilegio inopportuno dell'immunità. 5) Per rispondere all'accusa, sempre più frequente, fatta al parlamento di non avere conoscenze tecniche per promulgare leggi buone nei diversi campi della vita pubblica, si potrebbero istituire diversi parlamenti tecnici per i vari campi della legislazione. ln questo modo, appoggiandosi al principio della divisione del lavoro, i vari campi specifici della vita pubblica moderna sarebbero regolati da legislazioni fatte da esperti. Parlamenti del genere, che comunque necessiterebbero di un parlamento generale che coordini tutti gli altri, sarebbero eletti non dall'intero corpo elettorale, ma da gruppi tecnici, cioè professionali, di elettori. Una riforma di questo tipo, potrebbe riavvicinare così il popolo al principio parlamentare, a cui oggigiorno si sente estraneo.

Capitolo 5 - La rappresentanza professionale I conservatori chiedono, dice Kelsen, non una semplice riforma del parlamento, ma una sua completa sostituzione con un'organizzazione corporativa, che dia ad ogni gruppo professionale la partecipazione politica che gli spetta, in base alla sua importanza. Ora, questo tipo di rivoluzione del parlamentarismo, incontra delle difficoltà enormi. ln primo luogo non è vero che l'organizzazione in gruppi professionali comprende tutti gli interessi pubblici: infatti, accanto ad interessi professionali, coesistono sempre interessi che fanno parte di un'altra sfera rispetto a quella lavorativa, come interessi religiosi, etici, estetici, ecc. ln secondo luogo, a causa dello sviluppo della società, il numero di professioni si differenzia sempre di più, e il numero di gruppi professionali da rappresentare diventerebbe insostenibile. E fra tutti questi gruppi, inoltre, esistono per natura conflitti di interessi; come potrebbero essere risolti? L'unica soluzione è quella di delegare la decisione definitiva ad un'autorità esterna ai gruppi

professionali, quindi ad un parlamento democratico o comunque ad un organo più o meno autoritario. Il sistema corporativo basato su gruppi professionali, inoltre, non eliminerebbe la rappresentanza, ma cambierebbe solo il copro elettorale: dai partiti ai gruppi professionali. Cambierebbe solo la forma, la sostanza rimarrebbe la stessa. Si tratterebbe solamente di creare un parlamento professionale. Infine, bisognerebbe stabilire quale sia il grado di importanza di ogni gruppo professionale. Questi sono i motivi per cui un sistema corporativo non sarà mai in grado di sostituire il parlamento democratico, ma potrà esistere al massimo accanto ad esso, come organo consultivo. Nella storia, l'organizzazione professionale ha sempre rappresentato la forma con cui uno o più gruppi hanno cercato di dominare sugli altri. Da notare inoltre che la borghesia richiede un'organizzazione corporativa proprio quando si manifesta ...


Similar Free PDFs