L Educazione Difficile Maccario PDF

Title L Educazione Difficile Maccario
Author Anna Cappellari
Course Didattica e progettazione educativa  
Institution Università degli Studi di Verona
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Riassunto l'educazione difficile...


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L’EDUCAZIONE DIFFICILE Maccario INTRODUZIONE. L’AZIONE DIDATTICO – EDUCATIVA NEI CONTESTI SOCIOCULTURALI E ASSISTENZIALI. PROBLEMI E PROSPETTIVE DI INDAGINE 1. Che cosa fa l’educatore quando educa? Obiettivo = fornire strumenti concettuali utili a contrastare rischi di disorientamento e smarrimento del significato formativo del proprio agire da parte degli educatori, che possono portare alla dipendenza culturale ed operativa da altre figure professionali e da modelli e paradigmi di impianto non pedagogico. Definizione azione didattico educativa. 2. Per circoscrivere il discorso: alcuni presupposti Tre aspetti dell’azione didattico – educativa: 1. PROCESSI MEDIATORI Si tratta di considerare l’azione didattico–educativa come quell’insieme di scelte e di azioni che un educatore o un’equipe di educatori mette in atto per ricercare, allestire, organizzare e proporre esperienze che si ritengano atte a promuovere lo sviluppo, l’attivazione e il recupero delle risorse personali del soggetto educando in direzione della progressiva conquista dell’autonomia personale. Æazione didattico-educativa è considerata mediale = si colloca tra un soggetto/gruppo in apprendimento/formazione e uno o più “oggetti educativi. ÆAzione didattico educativa si esplica nella realizzazione dei mediatori = costruzione e gestione di condizioni fisico – materiali, relazionali, simboliche che si ritengono adatte a promuovere cambiamenti considerati educativamente auspicabili da parte del soggetto in formazione. L’azione educativa muove dalle esperienze, dalle conoscenze, dai modi di pensare ed essere del soggetto educando per arricchirli e portarli al miglior compimento possibile. Nel concetto di MEDIAZIONE DIDATTICA richiamo fondamentale alla natura protetta e comunque in certa misura funzionale/analogica delle esperienze che l’educatore propone a scopo formativo. IL COMPITO FONDAMENTALE CHE SPETTA ALL’EDUCATORE è QUELLO DI METTERE IN ATTO AZIONI VOLTE A FAVORIRE E A SOSTENERE IL PROCESSO DI CONTINUO RIMANDO TRA L’ESPERIENZA E LA SUA ELABORAZIONE CHE è ALLA BASE DELL’EDUCAZIONE. La prospettiva dei processi mediatori mette in evidenza ulteriori elementi che rendono complesso il quadro di riferimento. Nodi problematici sono: x Ruolo cruciale che va riconosciuto al soggetto educando nella possibilità/modalità di rielaborazione degli stimoli formativi è legato a un insieme dinamico e intrecciato di aspetti che vanno a costituire la struttura personale di ciascuno, che è difficilmente circoscrivibile. Le esperienze che si propongono si fondano inevitabilmente su una conoscenza parziale del soggetto. x Anche in presenza di un progetto didattico–educativo formalizzato si assiste a un intrecciarsi spesso imprevisto di operazioni e attività, a modulazioni che sono legate a considerazioni di efficacia che l’educatore elabora sul momento, a scelte di ordine tattico connesse alle dinamiche contestuali. x I significati che sottendono le scelte compiute dagli educatori in situazione e dalle rappresentazioni che guidano il loro operato. Ad un’azione possono corrispondere intenzionalità e significati differenti, a un’intenzione possono seguire scelte di ordine pratico operativo non sovrapponibili. Si parla di dimensioni latenti del lavoro educativo x CONDIZIONI DI ESERCIZIO = vincoli contestuali di tipo organizzativo, normativo, socio professionale, fisico, materiale e culturale entro i quali prende forma l’azione didattica. 1

2. PROCESSI PRO-ATTIVI, ATTIVI E POST-ATTIVI Articolazione dei processi di mediazione che sono costitutivi dell’azione didattica secondo una dimensione pro-attiva, attiva e post-attiva: x PRO–ATTIVA = la natura intenzionale di qualsiasi azione didattico educativa e la tensione alla razionalizzazione degli interventi implicano l’assunzione da parte dell’educatore di posture pratico– operative, relazionali e comunicative, di sforzi per reperire risorse, per prefigurare setting, situazioni ed esperienze da proporre in chiave formativa. x x

ATTIVO = azioni che corrispondono a ciò che concretamente l’educatore fa nel vis a vis con gli educandi. Generalmente non si risolvono secondo quanto previsto e predisposto nella fase pro-attiva. POST-ATTIVO = tutte quelle azioni che consentono all’educatore di mettere in prospettiva il processo attivato, per ricavarne elementi utili al rilancio continuo dell’azione o per l’avvio di un ciclo successivo di interventi.

3. AZIONE DIDATTICO-EDUCATIVA Una qualificazione che considera fortemente integrate la dimensione didattica e quella educativa. Nella distinzione tra azione didattica ed azione educativa comunemente ammessa sembra di poter dire: -azione didattica = un focus sui contesti scolastici e sulla proposta di contenuti la cui valenza culturale rinvii generalmente ai saperi disciplinari. -azione educativa tende invece ad essere riferita alla sfera più ampia della formazione personale, considerata secondo un’integrità di dimensioni di crescita che vanno oltre quelle strettamente cognitive o comunque connesse all’integrazione del sapere. Una delle ragioni che può autorizzare a considerare in forma integrata l’azione didattico – educativa nella tematizzazione e nello studio delle pratiche, risiede nella difficoltà di distinguere ciò che si fa a scopo educativo da ciò che si fa con finalità didattiche CAPITOLO 1 – L’EDUCATORE IN CLASSE. GLI INTERVENTI DI AFFIANCAMENTO INDIVIDUALIZZATO 1.1 L’educatore all’interno della scuola All’educatore viene richiesto di operare in classe nella conduzione di particolari esperienze laboratori ali rivolte al gruppo. L’educatore può affiancare gli insegnanti per più ore alla settimana per seguire individualmente bambini che manifestano difficoltà e disturbi di apprendimento o che mostrano problemi di comportamento e di carattere relazionale. L’interlocutore diretto della scuola non è in realtà l’educatore ma sono, in genere, i servizi socio educativi, tenuti per competenza ad attivare interventi attraverso proprie risorse o ricorrendo all’attribuzione dell’incarico a soggetti del terzo settore, in particolare alle cooperative sociali. Educatore viene chiamato per problemi di varia natura. Æprogetti di affiancamento educativo individualizzato Le azioni di supporto individualizzato possono essere richieste per intervenire nei confronti di bambini e ragazzi per i quali è stata emessa una diagnosi funzionale che ne certifica una qualche forma di disabilità, quando la risorsa dell’insegnante risulta insufficiente a far fronte ai problemi di inserimento scolastico. In altri casi educatore lavora per supportare alunni per i quali non sussistono le condizioni per una certificazione di disabilità, che quindi non possono usufruire dell’insegnante di sostegno ma che presentano quadri di apprendimento e comportamentali di difficile gestione da parte degli insegnanti. In ultimo caso l’educatore viene chiamato ad operare all’interno di classi in cui sono inseriti uno o più studenti che possono presentare problemi di vario genere, già segnalati o in carico al servizio sociale. Si 2

tratta di minori provenienti da situazioni difficili, spesso vittime di forme di maltrattamento più o meno grave. Sono alunni che in classe tendono a mettere in atto comportamenti disturbanti, che sono segnali di disagio e celano richieste di aiuto. 1.2 Promuovere contesti inclusivi L’educatore può trovasi a lavorare in situazioni tra loro relativamente diverse ma sempre per conto dei servizi socio educativi, all’interno della scuola, con minori che in essa devono imparare a integrarsi. L’educatore che opera all’interno della classe deve sapersi porre nella zona di incontro tra il minore e il resto del sistema classe, costituito dall’insieme intrecciato di relazioni tra compagni, tra alunni e insegnanti, tra docenti: sistema nel quale il bambino manifesta i suoi problemi relazionali e di apprendimento e al quale occorre riferirsi per l’elaborazione delle possibili strategie di intervento. Si tratta in prima istanza di considerare i comportamenti del minore alla luce dei significati che gli stessi assumono per gli altri attori del sistema. Allargare lo sguardo al sistema classe è un tipo di approccio non esente da rischi per l’educatore perché può comportare il perdere di vista il bambino, pericolo che va tenuto costantemente sotto controllo. (es. pag. 28-29) MA intervento che coinvolge tutto il sistema porta alla costruzione progressiva di un nuovo clima. 1.3 Condividere il mandato formativo Spesso presente uno scarto tra intervento educativo che educatore ritiene opportuno e aspettative degli insegnanti. Solitamente aspettative insegnanti prendono avvio dalle difficoltà scolastiche e dalla necessità di porvi rimedio; quando il problema percepito è connesso con l’apprendimento, all’educatore viene richiesto di essere un esperto di didattica. Ö Di fronte all’aumento dei bambini certificati e a una riduzione degli insegnanti di sostegno risulta naturale che la scuola tenda a trasformare la risorsa dell’educatore cercando di assimilarla a figure professionali che meglio conosce e di cui lamenta una carenza. Quando il problema percepito è invece di carattere comportamentale, la richiesta frequente all’educatore è quella di trasformarsi in una specie di guardiano, di contenere il ragazzo nel momento in cui mette in atto i suoi comportamenti più disturbanti: magico riabilitatore. In qualsiasi caso gli insegnanti si aspettano che l’educatore si occupi direttamente del minore e del suo disagio: essi si attendono che l’educatore stia frequentemente da solo con il minore, magari in un’altra stanza e ritengono la sua presenza inutile se il bambino è assente. MA per mettere in atto un’azione che tenga conto del sistema un educatore deve avere la possibilità di collocarsi all’interno di un macro contesto, costruito su basi collaborative, di condivisione di mandati e orientamenti strategici tra i soggetti istituzionali in campo. La scuola da nun lato e i servizi socio educativi dall’altro dovrebbero condividere il senso e le possibilità operative che scaturiscono dall’incontro attorno alla volontà di affrontare insieme un problema di entrambi. 1.4 Stabilire alleanze educative La situazione sopra descritta comporta un disequilibrio tra i ruoli di educatore e di insegnante. Asimmetria che tende a trasformare l’educatore in una risorsa degli insegnanti, a renderlo una sorta di operatore scolastico in contrasto con la propria appartenenza istituzionale ai servizi socio educativi territoriali. Rischio è che l’educatore risponda alla richiesta di aiuto della scuola non come supporto educativo ma con interventi di secondo livello, rivolti agli insegnanti. Cedere a questa tentazione significherebbe andare incontro ad un fallimento: gli insegnanti potrebbero non sentirsi compresi e aiutati ma piuttosto percepiti come cause del problema. Si apre un dilemma: 3

¾ Da una parte educatore consapevole di non poter accettare l’interpretazione del proprio mandato proposta dai docenti, che metterebbe a rischio l’efficacia dell’intervento ¾ Dall’altro lato la coscienza di rappresentare una risorsa messa in campo gli richiede di cercare attivamente una risposta ai problemi segnalati. La via di uscita può essere costituita dall’accogliere la domanda degli insegnanti valorizzandola per quella che è: si tratta di partire proprio da quella richiesta di collaborazione per costruire regole condivise di cooperazione e per stabilire alleanze educative. ÆL’educatore allora accetta di stare fuori dalla classe, di relazionarsi individualmente con il minore, di impegnarsi in prima persona nel trattare il problema del bambino, ma lo fa portando uno sguardo altro, svelando i giochi relazionali del sistema classe, suggerendo, condividendo con gli insegnanti strategie di intervento rivolte al minore e al gruppo, aiutando a intravedere nuove possibili strade comunicative e cooperative all’interno dell’equipe docente. Approccio che può comunque provocare delle resistenze: da parte dei bambini può verificarsi un certo disorientamento nel trovarsi di fronte un nuovo insegnante. Negli insegnanti le principali resistenze possono essere legate al dover modificare prefigurazioni e aspettative rispetto al possibile ruolo dell’educatore in classe, all’essere chiamati a rimettere mano alle proprie strategie di intervento. x Necessaria una logica collaborativa. 1.5 Co-costruire il senso dell’intervento Educatore deve tener conto che il tipo di richiesta che gli insegnanti avanzano rappresenta una chiave di accesso utile a comprendere la posizione assunta dai vari componenti del sistema – classe, in rapporto al disagio manifestato dal minore Æ individuare le posizioni dei diversi soggetti in relazione e i significati da essi attribuiti alle manifestazioni di disagio del bambino. (es. pag. 35) L’educatore nella costruzione del proprio intervento di fatto interpreta e traduce il proprio mandato alla luce della situazione allo scopo di agire all’interno di un comune orizzonte di senso. 1.6 Stare in classe L’educatore, per i bambini della classe, non è solo un estraneo ma anche una figura anomala; deve quindi anzitutto prepararsi a rispondere alle domande dei bambini (chi sei? Perché sei qui?...) Nei primi tempi un impegno per l’educatore è quello di trovare il proprio posto nella classe, di riuscire a inserirsi nel contesto anche dal punto di vista fisico. ÆIdentificare e fare identificare le proprie coordinate spazio-temporali di azione è essenziale per darsi una riconoscibilità che non è scontata per chi si trova ad operare senza un proprio setting (es. pag. 37). Importante concordare con insegnante. L’educatore interagisce con tutti gli alunni ma in particolare con il minore o i minori che mostrano il disagio, per portarli ad affrontare domande circa il loro impegno, le loro difficoltà nell’apprendimento o il loro rapporto con gli altri all’interno della classe. Pur non avendo un mandato specifico sulla didattica è consapevole del fatto che essa costituisce la dimensione fondamentale che legittima l’incontro di tutti gli attori in quel luogo. Un compito particolare generalmente assunto dall’educatore è quello di trattare con i compagni del minore le emozioni e i significati che suscitano in ciascuno le interazioni con il compagno più problematico. L’educatore manipola a scopo comunicativo, per far arrivare messaggi mirati, le situazioni e il clima relazionale che si vengono a creare e per questo valorizza sia il linguaggio verbale che quello del corpo e degli oggetti.

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L’educatore deve tenere conto anche di possibili azioni dirette agli insegnanti: offrire suggerimenti per la gestione del bambino, provare a rivedere insieme alcune regole di conduzione della classe, dialogare con tutti i docenti. Contattare i genitori degli alunni in difficoltà. 1.7 Nodi critici L’ingresso a scuola può essere per l’educatore ricco di difficoltà: ¾ Sul piano della relazione tra scuola e sistema dei servizi socioeducativi il fatto che la figura professionale dell’educatore sia da ascrivere a quest’ultimo può presentare delle insidie: tanto dalle famiglie quanto dalla scuola l’educatore può essere percepito come una figura intrusiva, estrinseca rispetto ai problemi della vita in classe. La possibile risposta può risedere nel rendere riconoscibile la funzione essenziale di raccordo che l’educatore può esercitare tra scuola e servizi. ¾ Rischio che l’educatore corre di rimanere invischiato nei giochi relazionali del sistema scuola o in quelli del rapporto, non sempre facile, tra scuola e servizi territoriali. La richiesta di intervento dell’educatore rischia di diventare una copertura per una più implicita domanda valutativa: rischio per figura educativa di rimanere schiacciata in un conflitto interno alla scuola. ¾ Problemi più rilevanti forse connessi alla costruzione di un setting educativo che non è definito da coordinate spazio– temporali specifiche. L’educatore entra come ospite. L’educatore deve riuscire a ritagliarsi uno spazio simbolico all’interno di un ambiente fisico e relazionale particolarmente strutturato come la scuola. CAPITOLO 2 – L’EDUCATORE IN STRADA. L’INTERVENTO CON I GRUPPI FORMALI DI ADOLESCENTI 2.1 Uno scenario complesso Difficile mettere a fuoco i compiti dell’educatore che i trova ad agire in un ambito operativo forse tra i più complessi: la strada Æ servizi e progetti educativi che assumono generalmente un mandato preventivopromozionale rivolgendosi a gruppi informali, spontanei, naturali di adolescenti L’impulso istituzionale all’attivazione di progetti di educativa di strada è giunto da leggi nazionali come il DPR 9 ottobre 1990, n.309 sulle tossicodipendenze, la legge 19 luglio 1991, n.216 sulla delinquenza minorile e la legge 28 agosto 1997, n.285 sulla promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. La denominazione EDUCATIVA DI STRADA denota la specificità di esperienze nelle quali risulta dichiarata la presenza di figure educative professionali, permettendo così una differenziazione dal più ampio ed eterogeneo campo di azione sociale centrato sul lavoro di strada. ÆEducativa di strada = servizio che si propone di migliorare la qualità dell’aggregazione spontanea dei gruppi di adolescenti presenti in un determinato territorio, rilevandone bisogni, interessi e richieste e allestendo percorsi finalizzati a promuovere lo sviluppo delle abilità sociali dei ragazzi. Tale approccio intende inoltre offrire una rete di supporto agli adolescenti fornendo opportunità di eventuale accompagnamento ai servizi del territorio in grado di trattare un bisogno specifico: dall’orientamento formativo e lavorativo a questioni relative alla salute e alla sessualità. L’equipe di una educativa di strada si trova a collaborare con un’ampia rete di servizi sociali, educativi e sociosanitari. 2.2 La prevenzione come sostegno alla crescita 2.2.1 Adolescenza e strada La strada evoca significati ambivalenti. Da una parte può essere considerata luogo di libertà dove si può agire relativamente esonerati dai vincoli e condizionamenti e al di fuori delle convenzioni, oppure può essere vista come occasione di incontro, di socializzazione di partecipazione. Dall’altra parte come emblema del pericolo, luogo dove si possono incrociare i principali rischi per la salute e per l’integrità delle 5

persone, territorio esposto per eccellenza alla mancanza di controllo, alla latitanza delle regole, alla presenza del crimine. L’adolescenza viene spesso definita come età a rischio, ma anche come terra di mezzo, ambivalenza simile a quella associata alla strada. 2.2.2 Educativa di strada e prevenzione A partire dagli anni 90 il lavoro di strada si è affermato come una modalità di intervento privilegiata nell’ambito dei progetti di prevenzione al disagio giovanile. Successo che può essere ricondotto anche alla supposta crisi di efficacia di altre iniziative in campo preventivo (es centri di aggregazione giovanile). L’educativa di strada si è affermata nel segno di un accostamento tra l’adolescenza considerata come età a rischio e l’esigenza di un approccio di carattere preventivo. 2.2.3 Dal ‘venire prima’ al ‘venire incontro’ Il lavoro di strada ha contribuito a emancipare gli interventi educativi: sono state prese progressivamente le distanze da tutti quei modelli che si possono considerare fondati sull’evocazione del nemico da combattere, sull’idea del rischio da evitare. Ö Si afferma un nuovo significato di prevenzione: da un’accezione esclusivamente temporale (venire prima) e una declinazione spaziale (venire incontro). Educativa di strada si configura come una PRATICA DI PROSSIMITA’ con gruppi giovanili spontanei Æ stare accanto ai ragazzi e alle ragazze che trascorrono selle strade una parte del loro tempo libro per offrire ascolto e guida. Si presenta come attività a BASSA SOGLIA che rovescia la prospettiva tipica delle modalità di fruizione di un’offerta formativa, senza anteporre una linea di confine definita a priori dall’istituzione socio educativa, ma confrontandosi con le soglie di accesso al territorio affettivo e relazionale determinato dai gruppi È un intervento di mediazione, un mettersi in mezzo alle interazioni tra pari, ovvero alla vita affettiva e relazionale del gruppo, alle interazioni tra il gruppo, l’ambiente esterno e gli altri soggetti che vivono in un medesimo contesto. Fare prevenzione non più inteso come annullare gli elementi di rischio...


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