La comunicazione generativa PDF

Title La comunicazione generativa
Author Federico Mazzella
Course Teorie e tecniche della comunicazione
Institution Università degli Studi di Firenze
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Teorie e tecniche della comunicazione

LA C OMUN I CAZ ION E G EN E R AT I VA Capitolo 1: la società sceneggiata La società che stiamo costruendo è inedita, senza modelli di riferimento precedenti e la nuova scrittura sociale infrange i consueti meccanismi della creazione come atto consapevole di generazione di idee, non corrisponde cioè a un atto di volontà, ma siamo esecutori ignari e passivi sulla base di copioni già assegnati. Per cercar di capire la presente situazione è necessario partire da due constatazioni: 1) la realtà in corso di costruzione non è migliore di quella passata; 2) l’uomo non ne è necessariamente autore consapevole; ma entrambe le condizioni potrebbero verificarsi qualora diventasse patrimonio di tutti la conoscenza di questa nuova scrittura della realtà. Tale urgenza è corroborata dal fatto che il mondo delle sceneggiature (script) è fortemente condizionato dall’uso delle macchine, meccanismi autogenerativi i cui processi sono oscuri ai più, garantendogli un potere assoluto. Urge abbandonare perciò la prospettiva di opposizione al sistema, in favore di un uso strategico della comunicazione e delle stesse tecnologie. Chi sono i costruttori di questa società? La metafora utilizzata è quella dei LEMMINGS, protagonisti dell’omonimo videogioco del 1991, i quali si muovevano instancabilmente all’interno di un mondo oscuro e rigidamente strutturato, liberi di esercitare solo quelle poche funzioni consentite nell’illusione di dare un senso alla loro vita. La prospettiva da assumere di fronte a ciò è di tipo generativo, tale da realizzare realtà nuove, abbandonando una visione meramente conservatrice. Tale cultura di progetto viene però considerata pericolosa per il sistema, rifiutando di generare nuova conoscenza per rafforzare e ripetere il già noto. Gli script sono i copioni dell’agire sociale, deboli nella riconoscibilità ma fortissimi negli effetti, che concorrono a definire gli ambienti operativi per la costruzione della realtà con obiettivi e forme diverse a seconda del contesto e delle epoche. Oggi la Comunicazione, da forza stabilizzante, appare sempre più “contaminata” da processi di ricerca e sta gradualmente rilevando posizioni divergenti dalle grammatiche dominanti, tali da gettare le basi per un nuovo sistema. Il problema sta nel fatto che quello attuale garantisce dei cambiamenti pur mantenendo continuità, non è interessato a un salto di sistema per favorire la nascita di nuovi soggetti. L’unica possibilità per dare un senso alla DERIVA in cui siamo immersi è trasformarsi in autori, creatori di nuove grammatiche e sceneggiature, per evitare che la realtà prosegua nel suo sviluppo privo di progetto. L’immagine della nave alla deriva rispecchia quella della società in balia della comunicazione, che travolge gli uomini non in grado di reagire; in realtà questa metafora nasconde un duplice significato: una forza talmente incontrollabile che induce a rassegnazione o la scoperta di una nuova forma di energia che può permettere il generarsi di un’inedita fase storica. Ogni essere umano può essere al contempo prodotto e produttore della propria umanità, ma solo nel momento in cui venga insegnato a leggere la realtà e vengano forniti gli strumenti per la sua riscrittura. Educazione e comunicazione sono inscindibili: i docenti non devono essere trasmettitori di grammatiche immutabili ma favorire lo sviluppo della capacità critica, per evitare che gli script, così comuni e universalmente assimilati da risultare invisibili, nascondano le grammatiche sociali che li ispirano. Da sempre l’uomo mescola realtà e finzione a tal punto che la reificazione dei nostri immaginari ci porta a percepirli come cose naturali, non era necessario l’arrivo del digitale perché ciò accadesse, ma il fatto che la forza dell’elaboratore operi in stretta sinergia con il pensiero umano e che l’estensione di esso incontri altri pensieri in rete è un dato del tutto nuovo. E’ in corso da secoli la ristrutturazione del mondo analogico in digitale naturale, ossia il riflesso tecnologico dei nostri saperi e modi di agire sul mondo. Purtroppo però il successo commerciale del digitale Pagina 1

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informatico, invece di aiutarci a capire che quanto è possibile con i bit rappresenta una minima proiezione di quanto lo è con persone e cose, sembra aver finito con l’affiancarsi e poi contrapporsi al reale, quando l’obiettivo era quello di sostenerne i processi di trasformazione. La parola vincente oggi nella comunicazione è “personalizzazione”, ma spesso anziché assumere il significato di vivere a pieno la nostra condizione così da incidere sulla storia fino a cambiarla, è una dittatura mascherata, che si nasconde dietro l’illusione di dare a ognuno la possibilità di scrivere testi. Lo sviluppo tecnologico ha armato la comunicazione di strumentazioni prima immaginabili, ma è importante capire se ne stiamo facendo un uso adeguato alle esigenze del momento. Secolari sistemi comunicativi si intrecciano tra loro dando vita a nuovi, la cui caratteristica più innovativa è la visione della comunicazione come forza in grado di generare oggetti e soggetti. Ma questo fenomeno si sta evolvendo in modo tale da offrire all’uomo gli strumenti per riproporsi come architetto del proprio ambiente? L’identità comunicativa (l’insieme cioè dei caratteri fisici e simbolici che caratterizza ogni attore sociale comunicante) è il risultato di scelte che i vari soggetti esprimono in un determinato ambiente comunicativo, lo scriptware, in cui le sceneggiature, ideate per rispondere ai nostri bisogni, sono visibilissime nell’uso ma non alla conoscenza critica, disseminatori di testi sociali a nostra insaputa. La nostra cultura continua a basarsi sulla forza del potere e non su ricerca e conoscenza, le quali dovrebbero essere i valori fondanti della nuova strategia, che continuando a sostenere un modello trasmissivo-persuasivo non potrà influire sulla nostra deriva. La Conoscenza infatti per vivere deve accettare il suo continuo divenire e nessuna logica della conservazione è compatibile con essa; vero è che in giro c’è poca voglia di conoscere e molta più di ri-conoscere, poiché è rassicurante ciò che si sa da sempre piuttosto che fare ricerca su ciò che ci è ignoto. E’ indispensabile inoltrarsi nell’oscurità dello scriptware, che ha una funzione così vitale per la nostra realtà, e svelare quali grammatiche esso nasconda per ripensarne scopi, obiettivi e valori che la nostra umanità gli sta dando, in quanto sono considerati facilitatori di scrittura/lettura, agevolati di operazioni minime ma necessarie e scudo difensivo delle vecchie e ancora operanti grammatiche. Il linguaggio di Internet sta orientando pensieri, azioni e immaginari come nessun’altra dimensione comunicativa perché esso si pone come mezzo per sia l’organizzazione oggettiva del mondo sociale, sia per la costruzione identitaria. Inoltre ci offre la possibilità di ‘esserci’ sempre e comunque: sia lo scrittore che il lettore della Rete possono operare quanto vogliono su di essa, ma lo script del loro fare ed essere è disegnato da altri. In realtà le nostre capacità sono limitate: il problema non è il controllo fisico della rete, che deve certamente essere accessibile a tutti, quanto quello sul linguaggio della Rete per poter costruire tramite la cultura la propria libertà. La cultura di internet è rivoluzionaria, è un potente mezzo che nasce prima del digitale nelle menti e nelle passioni dell’umanità risorta dalle tragedie degli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, davanti agli orrori della possibilità concreta degli uomini di autodistruggersi. Internet sarà libero solo se la literacy (conoscenza linguistica della sua testualità) sarà ben conosciuta e dominata nella pratica da ognuno di noi, per la libera costruzione del global brain. Riprendendo le note metafore di Stefik riguardo a Internet si può osservare che, per esempio, le mail hanno sostituito la posta tradizionale, ma senza portare ad alcuna rivoluzione, perché se da un lato è vero che la scrittura è diventata più veloce, non è altrettanto indubbio la costruzione di una comunicazione migliore. Stefik parlava anche dei Marketplace, mercati online per la compravendita di beni e servizi che rappresentano un nuovo modo di fare business con l’obiettivo di rivoluzionare il rapporto con il cliente, rendendolo attivo nella produzione; di Library, ossia la nascita dell’editoria elettronica: il digitale informatico si è impossessato della letteratura Pagina 2

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tradizionale sviluppandone alcuni aspetti (portabilità) a discapito di altri (la conoscenza tattile e la ricerca visiva), generando altro tipo di testualità. Infine di Worlds virtuali, un’occasione offertaci dalla Rete, per immaginare, elaborare, progettare quell’impossibile resosi storicamente necessario. Il problema difficile da risolvere è la mancanza di autorialità nel tessere collegamenti fra questi mondi testuali: la nostra è una crisi di scrittura, ma soprattutto di cultura di progetto. La tendenza oggi vincente (complici gli script facilitatori) è quella di cessare di interrogare l’esistente secondo una logica conservativa; è invece tutta da inventare una cultura della domanda che faccia del non-sapere uno strumento insostituibile per la crescita della conoscenza, che parta cioè dall’esigenza di andare oltre la descrizione dell’esistente: ciò significa che le domande non possono avere risposte già pronte, ma che queste sono da trovare e costruire, perché la prevedibilità non si addice al nostro tempo. Questa Internet è un ambiente che risponde a una comunicazione trasmissiva, specchio di una società che non intende dar vita ad altro, se non a sé stessa, non come era stata pensata dai suoi inventori, cioè capace di creare grammatiche inconsuete, fatta non per mettere in ordine l’esistente, ma per scompigliare tutte le pratiche conoscitive tradizionali.Questa scrittura reticolare, fortemente generativa era stata ideata per sostenere le grandi trasformazioni storiche che si richiedevano.

Capitolo 2: essere e comunicare Oggi siamo vivendo una crisi la cui natura è radicalmente diversa rispetto alle precedenti: è culturale, di visione del senso della nostra condizione di uomini. Il modello a cui ha fatto da sempre riferimento la nostra umanità si è rivelato inadatto a mantenere la centralità dell’uomo di fronte alle grandi trasformazioni che stanno andando avanti e di cui subiamo gli effetti. Domina a ogni livello sociale una forte rassegnazione, dunque occorre prendere le redini di questo immenso movimento epocale, durante il quale l’uomo sarà sempre più architetto della propria condizione. La realtà dovrà essere interpretata non più come antitesi all’utopia, ma come la possibilità di dar vita all’ideale, valorizzando i limiti del presente. Realizzare l’ideale è una scelta etica, politica ed esistenziale, che si sviluppa su due piani, distinti eppure interdipendenti: 1) dare vita al praticabile in questo momento, pur con le incompletezze rispetto all’ideale, e 2) agendo concretamente su una realtà necessariamente difettosa, analizzare comunque l’ideale che la ispira. La comunicazione è la terra di mezzo tra astratto e concreto, lo strumento di interazione fra i due piani, trasformando la realizzazione dell’ideale nel possibile. La condizione umana oggi è contrassegnata dalla complessità, che però non assume solo la connotazione negativa di problemi da affrontare, ma anche quella positiva di risorse inesauribili per il nuovo umanesimo. La svolta epocale degli ultimi decenni, ha segnato l’affermarsi di un processo generativo messo in moto non solo dalle azioni dell’uomo, ma anche dal comportamento delle “cose” che essi hanno creato; come se tali prodotti avessero vita autonoma dai loro artefici. Di fronte a questa perdita di controllo, la macchina i cui effetti si teme di non riuscire più a prevedere è l’aumento esponenziale della popolazione terrestre, uno sviluppo non più coerente e omogeneo rispetto al passato, la causa prima della crisi di sistema. Come siamo arrivati a questo punto? Forse nel secondo dopoguerra non si è stati in grado di governare la rottura radicale rispetto al passato, portando a una interazione tra ideale e reale controproducente, tanto che le nuove generazioni (quelli intorno al ’68) finirono per predicare il nuovo e praticare il vecchio. Bisogna riprendere in mano il filo della storia, che da troppo tempo si è perso, ma che ha continuato ad andare avanti per conto proprio, priva di progettualità. L’abbandono di vecchie Pagina 3

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prospettive dovrebbe far affermare nuove priorità: bene comune, capitale sociale, cooperazione, economia sociale, educazione, globalizzazione, legalità, libertà, uguaglianza. I paesi più sviluppati come il nostro hanno possibilità immense di progettare il loro futuro, ma l’impresa appare così ardua da spingerci a restare aggrappati a un presente auspicabilmente senza fine. La paura del nuovo, del cambiamento, porta a un progressivo impoverimento della nostra umanità. Ai paesi più poveri va riconosciuta l’immenso valore e il coraggio della gente che affronta le migrazioni, investendo speranze e cercando contaminazioni. La causa della paura diffusa sta nella scelta compiuta di voler relegare alla marginalità e alla clandestinità le risorse che affiorano dal futuro. In questo scenario vanno collocate le grandi difficoltà che sta incontrando al comunicazione, il cui aspetto essenziale sembra esser la possibilità (scelta critica) di mettere in collegamento e viceversa scollegare elementi della realtà, portando l’uomo a creare sistemi mai incontrati prima in passato. Eppure, nonostante questo processo generativo della comunicazione, la cultura resta sempre di tipo conservativo. Il paradosso vede scontrarsi quotidianamente due forze contrapposte: 1) tecnologie che collegano incessantemente uomini e cose generando nuove realtà (gli aeri uniscono le culture ad esempio); 2) quella di una cultura quotidiana della comunicazione che pone moltissime resistenze a ogni tentativo di ibridazione, integrazione, mescolanza e ad ogni processo generativo di persone o cose radicalmente nuove. Toschi racconta che nel 1995 la Coop Toscana-Lazio decise di avviare una ricerca su come i nuovi media avrebbero potuto creare un ponte tra la memoria della cooperativa e la sua storia futura. Questa era il segnale del fatto che si avvertiva il bisogno di dare corpo a una nuova forma di comunicazione -> dall’area soci a quella commerciale, con l’obiettivo di potenziare la centralità del socio-utente coinvolgendolo nella realizzazione dell’indirizzo strategico da dare alla cooperativa. La comunicazione, cosi come oggi si è affermata, contribuisce notevolmente alla crisi, perché da risorsa enorme, quale potenzialmente è, viene usata in maniera così errata da trasformarsi in veleno. Ciò che in particolare lo spinse a collaborare era il carattere divergente rispetto alle varie organizzazioni interessate ai new media: la tendenza era quella di dare alla comunicazione digitale il valore di un mondo parallelo a quello analogico, viceversa, la ‘divergenza’ consisteva nell’occuparsi di comunicazione dentro il prodotto, come parte integrante del loro ciclo vitale. Il problema è che oggi la comunicazione continua a essere praticata sulla base unicamente di modelli fortemente gerarchico-trasmissivo-imitativi (GTI), anche se la veste appare mutata, basti pensare ai social network e alle strategie di personalizzazione di massa che caratterizzano il web 2.0. La soluzione è esclusivamente a livello culturale: da un lato con il cambiamento della knowledge society quando la libertà si coniugherà con conoscenza e ricerca,; dall’altro attraverso l’innalzamento del livello culturale abbattendo le forti pressioni economicopolitiche. Per questo la comunicazione è uno strumento professionale, che può essere usato bene o male, a prescindere dei contenuti che trasmette, continuando a ignorare il fatto che una stessa comunicazione non possa essere espressione di culture, valori e obiettivi diversi fra loro e conflittuali. Si deve perciò parlare di comunicazioni, al plurale, tante quante sono le visioni etiche, politiche, economiche del vivere sociale. Ogni comunicazione, proprio perché diversa dalle altre, concorre a rafforzare un tipo di società. Nell’organizzazione del lavoro c’è bisogno di una cultura dell’impresa; la comunicazione è posta essenzialmente a valle del processo produttivo, serve cioè a far conoscere il prodotto. Una lezione in classe o un telegiornale risultano ispirati dallo stesso modello comunicativo: una persona trasmette la verità mentre gli altri ascoltano e cercano di riprodurla. Si tratta di Pagina 4

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comunicazione formativa, assolutamente insufficiente e fuorviante per gli obiettivi educativi che abbiamo davanti; anziché usare le propria intelligenza per comprendere e analizzare le cose, il ricevente sii riduce a usarla per fare propria la visione della realtà fornita da chi detiene il controllo dei processi comunicativi. Il controllo sulla comunicazione viene esercitato sia attraverso il dominio dell’hardware, dimensione fisico-logica del medium, sia del software, l’insieme delle tecniche necessarie al suo utilizzo, sia del knoware, l’area dei relativi linguaggi, la cui gestione è oggi fondamentale per avere il predominio sul business di tali contenuti. Questa società affida alla comunicazione il compito di rafforzare l’esistente e l’illusione di poter rispondere a un salto di paradigma facendo riferimento a un modello comunicativo vecchio emerge in tutte le pratiche quotidiane a livello politico ed economico. Ma la comunicazione può avere tante forme, ognuna di esse fatta di progetti, strumenti e comportamenti che condizionano strutturalmente la realtà in cui opera. Come il DNA, essa ha iscritto in sé i propri fini. Per la cultura cooperativa ad esempio, raggiungere la pubblica opinione non significa dover usare mezzi e le strategie vincenti; può essere assai più efficace cercare di rafforzare la propria comunicazione anziché seguirne una che penalizzi tutti i valori in cui la cooperativa crede (dalla cooperazione alla creatività individuale), col rischio di degenerare e snaturare la propria missione. La comunicazione cooperativa è il miglior modo per creare e gestire conoscenza, eppure il modello comunicativo dominante è lontanissimo da una funzione del genere, ne è una prova l’insanabile separatezza tra comunicazione esterna e interna. Dividere forma e contenuto, comunicazione e produzione è stato il grave errore in cui è cresciuta la nostra debole economia. La buona comunicazione sta dentro il prodotto matrice, che è a monte di tutta la produzione, cioè dentro l’identità sociale dell’impresa, dell’organizzazione, dell’identità sociale di cui si sta parlano. Accanto all’impresa orientata al profitto c’è bisogno di organizzazioni produttive che perseguono fini sociali. L’economia deve essere orientata “eticamente” tramite la consapevolezza che acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico e il consumatore viene investito di una responsabilità sociale. La comunicazione è importante in questo processo: è necessario passare dal marketing dei prodotti al marketing dei progetti sociali. Deve essere chiaro che questa prospettiva di cambiamento è contraria al modello consumistico della società, il che significa che si devono gettare le basi per una economia differente, dove il benessere non si identifichi necessariamente con il potere d’acquisto, iniziando a esigere non più prodotti a scatola chiusa, ma la partecipazione alla loro scelta, ideazione e produzione; abbandonare cioè il vecchio paradigma, quello del desiderio imposto, per inventarne uno nuovo dove desiderare in maniera consapevole significhi realizzare in prima persona. Il che è difficilissimo poiché la mondializzazione impone un’unica narrazione della realtà, a partire dall’infanzia, in cui la pubblicità induce nei bambini modelli di comportamento che educano a pensare che se compare conduca alla felicità.

Capitolo 3: la deriva comunicativa. Verso un modello generativo della comunicazione Uno degli script dominanti nella nostra cultura è quello che ci sollecita a provare, ad andare per tentativi, iniziando subito senza porsi d...


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