La distruzione degli ebrei d’Europa di Raul Hilberg PDF

Title La distruzione degli ebrei d’Europa di Raul Hilberg
Author Roberta Saitta
Course Storia contemporanea
Institution Università degli Studi di Catania
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Il file contiene una breve sintesi dei due volumi dell’opera la distruzione degli ebrei d’Europa di Hilberg. Si occupa di comprendere le premesse storiche e i risvolti di quello che è da considerarsi il più grande crimine dell’umanità...


Description

Riassunto La distruzione degli ebrei d’Europa Capitolo 1: i precedenti Distruzione degli ebrei come risultato di pratiche molto antiche che non vanno imputate solamente al XX sec. La prima strategia politica contro gli ebrei risale infatti all’Impero romano, quando con Costantino il cristianesimo divenne religione dell’impero e per ben dodici secoli la chiesa dettò le misure da adottare contro gli ebrei. Per tanto tempo la Chiesa cercò di imporsi sui gruppi ebrei, ma questi non potevano assolutamente accettare la nuova religione e quindi tutti i tentativi furono vani. È proprio l’insuccesso della Chiesa nella conversione degli Ebrei che porta al fondamento di un pensiero negativo nei loro confronti: gli ebrei erano uno specifico gruppo, diverso dai Cristiani, pericoloso per il cristianesmo. E ancora all’epoca di Lutero l’odio cresceva. Vari paesi tra cui l’Italia, la Francia, la Germania, l’Inghilterra avevano posto un ultimatum agli ebrei: o si sarebbero convertiti oppure sarebbero stati espulsi. Fu proprio la politica di espulsione ed esclusione che continuò a ispirare tutte le iniziative antiebraiche fino al 1941. Ma proprio quell’anno segnò una svolta nella storia dell’antisemitismo tedesco; ci si trovava davanti ad una condizione di guerra totale. Diversi milioni di ebrei vivevano nei ghetti e i progetti di emigrazione erano impossibili. Era stato infatti presi in considerazione il cosiddetto “progetto Madagascar”, che consisteva appunto nell’imbarcare gli ebrei verso tale isola. La mobilitazione risultava però veramente complessa da organizzare e per questo si giunse alla migliore “soluzione finale”, molto semplicemente la morte di tutti gli Ebrei europei. Vediamo così come il processo di distruzione non era assolutamente nuovo. L’olocausto da un punto di vista storico è stato il punto di arrivo di scelte sempre più drastiche nella pratica antiebraica costituita quindi da: tentativo da parte della Chiesa di convertire gli Ebrei; vittime costrette all’esilio; infine, la conclusione si è raggiunta quando gli Ebrei furono spinti verso la morte. I nazisti non sono stati quindi all’inizio del processo, sono stati coloro che lo hanno portato a compimento. E nella “difficile” storia antiebraica gli strumenti amministrativi moderni sono stati i più grandi collaboratori. La distruzione degli Ebrei è infatti un processo amministrativo; il loro sterminio richiese l’applicazione di misure amministrative sistematiche. In tutto il processo i funzionari tedeschi seppero perfettamente ciò che facevano; quale sarebbe stato il modo più semplice e veloce per farlo, in direzione dello scopo finale, la linea più diretta. Ma affinché questo si potesse davvero compiere era necessario che si abbattessero i limiti di ordine psicologico.

Occorreva superare l’ostacolo morale, risolvere il conflitto interiore. Ed il modo migliore per fare ciò, consisteva nel rappresentare il bersagli come qualcosa che doveva necessariamente essere distrutta. I nazisti avevano bisogno di uno stereotipo per poter avere un’adeguata rappresentazione degli Ebrei. Questa, che incontriamo nella propaganda nazista, era stata forgiata già tempo prima. Le basi erano state poste da Lutero. Essi vogliono governare il mondo. Sono i grandi criminali, gli assassini di cristo e di tutta la cristianità. Lutero li presenta pure come “piaga pestilenziale e pura sventura”. Sarà successivamente Ahlwardt a definirlo, riprendendo la descrizione di Lutero, come un vero e proprio nemico interno, un criminale, una bestia. “Un ebreo ha un bel essere nato in Germani, ciò non ne fa un tedesco, sarà sempre un ebreo.” Queste prospettive saranno poi riprese da Hitler che vedeva nell’Ebreo una potenza avversa e minacciosa. Nel 1940 in un discorso per la sua “lotta al potere” dichiarava in tal senso della necessità di lottare contro una potenza satanica che si era impossessata di tutte le posizioni chiave della vita politica ed economica detenendo il potere nelle loro mani.

L’espropriazione Proprio per questo nel periodo antecedente ai campi di sterminio, fu proprio alla ricchezza degli ebrei che si puntò tanto che le ricche famiglie ebraiche si ritrovarono pian piano nella miseria. Partito, esercito, economia e burocrazia si ritrovarono a collaborare nel processo di espropriazione. Le prime misure furono puntate ai licenziamenti. Le 5000 persone che lavoravano nel settore pubblico, furono cacciate dai loro posti in virtù della legge sul risanamento della virtù pubblica. Si sa ad esempio di una violenta campagna contro i giudici ebrei agli inizi del marzo 1933. Parallelo al processo di espropriazione fu quello di arianizzazione. Se prima del 1933 gli ebrei contavano il 46% dei lavoratori indipendenti, contro il 16% dei tedeschi- in particolare modo per ciò che riguarda i commerci al dettagli, le professioni mediche e giuridiche- tali numeri iniziarono progressivamente ad abbassarsi e le sportò che le attendevano erano o di liquidazione, cioè l’attività scompariva completamente; oppure di arianizzazione, cioè passava nelle mani della gestione tedesca: risultava essere una vendita “volontaria” tra il venditore ebreo e l’acquirente tedesco. In questo processo gli ebrei erano sottoposti ad una forte pressione, poiché più tardavano nella vendita, più il compenso diminuiva. Sebbene sotto stretto controllo e imposizione da parte del regime, sicuramente la vendita delle proprietà è stata l’unico caso in cui gli

ebrei hanno potuto avere un proprio limitato margine d’azione. Intorno alla vendita dei beni degli ebrei si creò un vero e proprio “mercato” di compra-vendita. Le banche tedesche in questi processi, soprattutto più avanti si arricchirono parecchio. L’espulsione Alla fase dell’espropriazione successe quella dell’ESCLUSIONE. Il piano era quello di ripulire i territori dalla presenza ebrea; questi dovevano essere “judenfrei”. A Cracovia ad esempio l’evacuazione si realizzò in due fasi: una volontaria e la seconda involontaria. Se prima infatti questi avevano la possibilità di andarsi a stabilire in qualunque città all’interno del confini del Governatorato, a partire dal 15 Agosto 1940 invece sarebbero stati costretti a espulsione “organizzata” verso una città designata dall’amministrazione. Una volta raggiunto il mite prefissato, tutto i, resto degli ebrei furono ammassati in un ghetto chiuso, il Judenwohnbezirk. I numeri di ebrei deportati erano tanto alti che i territori in cui rinchiuderli non bastavano più per l’amministrazione. Il mese di ottobre 1941 segno l’inizio delle deportazioni di massa dal territorio del Reich ed esse non si sarebbero più concluse se non al termine del processo di distruzione. Questa volta l’espulsione non aveva più il solo obiettivo finale dell’emigrazione degli Ebrei dalle città, ma il loro sterminio. Poiché però i campi di sterminio con camere a gas non erano ancora stati costruiti, vennero in un primo momento fatti transitare nei ghetti. Le espulsioni, dunque, costituivano misure temporanee miranti solo a raggiungere obiettivi intermedi. La seconda fase del progetto, cioè quella di ghettizzazione, era invece propedeutica come preparazione alla fase finale. Il ghetto rappresentava una fase transitoria, non un’istituzione permanente; anche questi saranno finalmente ripuliti dagli ebrei. In particolare Hilberg parla di quello di Lodz, in Polonia, uno dei più grandi in Europa e di Varsavia, il più grande. All’interno di questi, la sorveglianza era massima. I tedeschi infatti circondavano i territori con recenti ben sorvegliati dalla polizia d’ordine. Le operazioni segrete venivano invece gestite da due diversi settori: la Polizia segreta di stato (Gestapo) e la Polizia criminale (Kripo). La prima si occupava dei nemici per eccellenza; la seconda di questioni di diritto ordinario. Anche all’interno del ghetto di instaurò una forma burocratica dittatoriale e da un ghetto all’altro si notavano differenze nei poteri del Consiglio e nel suo modo di funzionare. Il ghetto più totalitario fu probabilmente quello di Lodz per la gerarchia di funzionari instaurata. La tritura dell’amministrazione rivelava la duplice natura del ghetto, da una

parte la funzione di sopravvivenza attraverso: approvvigionamento, assistenza, sanità. Dall’altra la distruzione.

Operazioni mobili di massacro in Russia Le operazioni di massacro furono anch’esse

totalmente sistematiche e ben organizzate in tutti i territori che la Germania riusciva a conquistare: vennero costituiti dei gruppi di Polizia come gli Einsatzgruppen divisi per lettera e che avevano il compito di uccidere. Nel corso della prima ondata di azioni, il problema che si poneva per le unità mobili era quello degli spostamenti. In questo fu molto utile la collaborazione con i militari che superarono di gran lunga le aspettative degli accordi iniziali in quanto a collaborazione. Una collaborazione che andava ben oltre il semplice aiuto. I generali vedevano negli ebrei dei bolscevichi irriducibili, coloro che sostenevano la guerra dei partigiani. L’esercito si doveva dunque difendere attaccando il male. La prima usanza che si consolidò fu qui di quella di consegnare gli ebrei agli Einsatzgruppen, che in seguito li uccidevano. In seguito, alimentata la teoria della cospirazione giudaico-bolscevica, iniziarono a trattare gli ebrei con sospetto e come ostaggi, tanto da ordinare in caso di sabotaggi o attentati contro le truppe, fucilazioni di gruppo. Le deportazioni L’idea di sterminare gli ebrei avrebbe preso corpo già in un lontano passato, quando Lutero accostò gli Ebrei al Faraone ostinato dell’Antico testamento e disse: “Mosè-diceva- non poté e andare il Faraone né con i flagelli né con i miracoli, nemmeno con le minacce e le preghiere; fu costretto a lasciarlo inghiottire dal mare”. Nel XIX sec. Fu Ahlwardt a dichiarare che gli ebrei erano una setta malefica da sterminare. Ed infine, fu Hitler ad affermare la possibilità di uno sterminio totale. Nel suo discorso del 1939 disse: E dalle parole per Hitler era necessario passare all’azione. Il famoso progetto di emigrazione di massa, cioè il piano Madagascar, venne abbandonato solo un anno prima rispetto alla decisione dello sterminio totale. Ai numeri di ebrei presenti nei territori tedeschi si aggiungevano infatti quelli dei territori che la Germania conquistava progressivamente. In particolare modo vediamo il caso dell’Austria che- se fino ad allora contento le emigrazioni e le uccisione gli ebrei rimasti erano 350.000- portò ad un incremento di 190.000 giudei. Si imponevano quindi ulteriori misure, più efficaci, più veloci. La politica di emigrazione continuò ad esistere fino a quando non scoppiò la guerra. Ma l’amministrazione interna era satura per quanto riguarda la gestione degli spostamenti e quando il progetto Madagascar decadde, poiché non si era riusciti a stringere un trattato di pace con cui la Francia avrebbe dovuto cedere tale isola

alla Germania, allora ai capi organizzativi si rese evidente che la soluzione non poteva più essere l’emigrazione. Heydrich incaricò quindi Eichmann, l’esperto sulla questione ebraica, di redigere un’autorizzazione che gli avrebbe permesso di agire contro gli Ebrei su scala europea. Questa direttiva venne firmata da Göring il 31 luglio 1941: si chiedeva che tutti gli organismi governativi cooperassero allo scopo, cioè l’attuazione, l’organizzazione e l’impiego di tutti i mezzi materiali disponibili per realizzare la desiderata soluzione alla questione ebraica. Poi, un giorno di fine estate, Heydrich informò Eichmann del fatto che il Führer aveva ordinato lo sterminio fisico degli Ebrei. Il 20 gennaio 1942 si tenne una riunione a cui parteciparono i massimi esponenti dell’amministrazione tedesca. Heydrich aprì la riunione dicendo di avere pieni poteri poiché il Führer stesso aveva dato il suo consenso. Gli evacuati ebrei sarebbero stati destinati a colonie di lavoro; qui gran parte di loro si sarebbe eliminata con la manodopera, al resto avrebbe pensato la selezione naturale. Proseguì dando le direttive sulle modalità, sulle zone, ecc. Da questo momento la notizia si diffuse tra gli apparati burocratici, sebbene molti individui coinvolti nei lavori non seppero fin da subito dell’operazione di distruzione. Gli ebrei venivano “evacuati”, “spostati con destinazione sconosciuta” e “scomparivano”. I termini ingenui sono stati probabilmente frutto di una rimozione psicologica riguardo ciò che davvero stava accadendo. Mentre ai piani alti Hitler, Göring, Himmler e Goebbels vedevano il fenomeno nel suo complesso. La macchina che condusse in lavori era costituita da un dispiegamento di uffici, tedeschi e non, militari e civili, centrali e municipali. Due istituzioni centrali giocavano un ruolo fondamentale: l’ufficio dell’RSHA e il Ministero dei Trasporti. Il primo con la direzione di Eichmann, copriva la totalità delle zone di deportazione della Polonia. Il secondo aveva la responsabilità nell’Europa dell’Asse. I trasporti erano quindi il primo step da organizzare efficacemente per i la deportazione e vennero assicurati dalle Ferrovie del Reich: un apparato di dimensioni enormi che contava quasi mezzo milione di funzionari e novecentomila impiegati. Riflessioni I burocrati che presero parte all’olocausto furono parte integrante dell’Erlebnis- inteso come realtà vissuta passo dopo passo. Il progetto intero risultava infatti essere un mosaico che prevedeva forma passo dopo passo. In materia di regolamentazione emerge ad esempio che molte delle cose che sono state fatte, non sono frutto

di leggi scritte, come d’altronde non lo è l’evento in sé in generale (non esiste un documento ufficiale in cui Hitler ordinasse lo sterminio sistematico degli ebrei). L’atteggiamento era piuttosto di lassismo nel prendere posizioni rispetto all’intero governo ed è proprio per questo che la rete per comprendere il complesso delle decisioni è davvero difficile da comprendere. Ciò che si riconosce è che il processo di distruzione possiede una sua struttura intrinseca distinta in tre fasi: definizione, concentrazione, annientamento. A queste si aggiunge un elemento proprio dell’età moderna che è il preservare l’economia. Alle tre fasi si aggiunge infatti la confisca dei beni personali. Parliamo di personale perché l’intero processo non era diretto alle istituzioni: colpiva le persone. Gli ebrei non erano che le prime vittime a trovarsi sul cammino dei tedeschi; a loro ne seguirono altri: Hilberg porta l’esempio di zingari, polacchi nei territori del Reich e persone “brutte”, deformi. Il limite più grande dell’intera organizzazione, al di là di vari intoppi amministrativi, era di origine psicologica. Questi limiti venivano tenuti sotto controllo ed affrontati, ma non vi era soluzione definitiva. Per questo vennero introdotti dei meccanismi di disciplina complessa. La prima regola era che tutti i beni confiscati non dovevano essere destinati ai singoli, ma al Reich. La seconda, attraverso cui i tedeschi cercavano di conservare le proprie anime, era quella di evitare massacri non autorizzati. La valenza di un massacro ordinato e di uno sotto proprio impulso, era ben diversa. Il porto sicuro di quegli uomini che hanno preso parte al processo era il rifugiarsi da un punto di vista psicologico consisteva nell’accettare le sue azioni mediante un doppio processo di Unione di un meccanismo di repressione a un sistema di razionalizzazioni. Il meccanismo di repressione era dato da fattori che stavamo alla base del sistema in sé e può essere distinto in cinque fasi: la burocrazia intendeva dissimulare il processo di distruzione e censurare la coscienza che avrebbe potuto esercitare. Venivano quindi bloccate tutte le forme di informazioni a tutti coloro che non dovevano essere al corrente. Il secondo stadio prevedeva che coloro che ne erano al corrente, partecipassero. Il terzo era il divieto di qualsiasi critica; queste dovevano rimanere in silenzio, qualsiasi genere di insubordinazione doveva essere severamente punita. Il quarto era non parlare di ciò che accadeva in pubblico, come raccomanda Himmler: “tra noi è possibile parlare con franchezza, ma non tratteremo mai di questo argomento in pubblico.” La quinta ed ultima tappa era omettere alcune parole per agevolare il processo di rimozione, utilizzandone alcune mascherate.

Il processo di rimozione era continuo, ma mai totale. Capitava spesso di dover fare i conti con la propria coscienza. Ed è per questo che entra in gioco il processo di razionalizzazione nei singoli. Da una parte si tentava di giustificare il processo di distruzione nel suo insieme, cioè perché gli ebrei dovevano essere distrutti. In questo la propaganda ebbe un ruolo fondamentale: l’affermazione “l’ebreo è nocivo” si trasformava nella mente dell’esecutore come “io uccido l’ebreo perché è nocivo”. Mediante questo strumento la teoria della dominazione ebraica sul mondo e di un complotto degli Ebreo contro il mondo penetrò in tutti gli uffici. Questo portò nelle menti dei persecutori l’idea che tutto ciò stesse avvenendo come guerra preventiva a quello che tale gruppo avrebbe potuto fare. Un altro genere di razionalizzazione era l’idea che il giudaismo costituisse una forma di vita inferiore. Frank ad esempio utilizzava spesso l’accostamento di ebrei ai pidocchi. Tutto il processo aveva quindi L’obiettivo di autopulizia o come diceva Himmler di “estirpazione, sradicamento”. A livello strettamente personale ogni burocrate si auto giustificava aggrappandosi al mero svolgimento di ordini, perché temeva per la sua coscienza. Si aggrappavano piuttosto alle poche “buone azioni” che avevano svolto per conoscenti o amici Ebrei. Il ricorso a questi piccoli dettagli fu molto comune tra i processi tenuti in seguito alla guerra. Questi giocavano un ruolo fondamentale. Loro dichiaravano di non avere niente contro gli ebrei, “anzi” avevano aiutato qualcuno di loro. E quelle piccole azioni avevano una risonanza molto maggiore rispetto a tutta la questione in sé nelle singole menti. Un’altra giustificazione era quella di sostenere che nelle loro singole azioni non avevano fatto nulla di concreto, tutto avveniva negli anelli successivi. È collegato argomento un’ulteriore giustificazione: nessuno può costruire da solo un ponte, nessuno può distruggere da solo gli ebrei. Tutti i singoli erano impotenti. Tutti aspettavano un “cambiamento di regime”. L’ultima più elaborata difesa di psicologica era la teoria della legge della giungla. Spengler espose questa teoria nel modo seguente : “la guerra è il modo di agire di tutte le creature viventi, e questo nella misura in cui, nel loro significato più profondo, il combattimento e l’avita sono una cosa sola, poiché quando la volontà di battersi è annientata, lo è anche la vita.” E a questa teoria che Himmler fece riferimento in alcune occasioni tanto da arrivare a dire che non è il caso avere pietà per delle persone che sono destinate a morire. Le vittime

Davanti ad un processo di distruzione gli esecutori non gli unici protagonisti; anche le vittime contribuiscono allo svolgersi del processo. È l’interazione tra i due che determina la possibilità dello svolgimento. Davanti ad un’azione di forza un gruppo può reagire in 5 modi differenti: opponendo resistenza, cercando di attenuare o neutralizzare il pericolo, scappando, paralizzandosi, sottomettendosi. Sul piano europeo gli ebrei non avevano alcuna organizzazione di resistenza; per questo l’opposizione ebraica su riduce ad essere quasi inesistente. La seconda reazione consisteva nell’allontanamento il più possibile l’impatto dei provvedimenti tedeschi e per raggiungere questo obiettivo gli ebrei ricorsero a richieste scritte o verbali. Cercarono di far passare la lotta dal piano fisico a quello mentale, morale. Varie furono le petizioni lanciate. In molti altri casi ricorsero invece alla corruzione. Il denaro è sempre stato un alleato potente, ma in pochi casi ha avuto i suoi frutti. Oppure si tentava di anticipare i desideri dei tedeschi in modo tale da neutralizzarli. Un fenomeno assai diffuso fu quello di dedicarsi attentamente allo sforzo bellico, tentando di salvarsi attraverso il lavoro. Ma nemmeno lo sforzo produttivo salvò i ghetti. Nel terzo tipo di reazione assistiamo ad un fenomeno di fuga, che fu sicuramente il mezzo più diffuso ed efficace prima della deportazione, ma una volta dentro i campi di concentramento, ...


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