La fides degli amanti PDF

Title La fides degli amanti
Author Mariagrazia Casale
Course letteratura latina 1
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Fides e foedus dalla giurisdizione all'amore...


Description

La fides degli amanti: da Catullo ai trovatori Sappiamo da uno studio di Pierre Boyancé che i Romani sono considerati per eccellenza il popolo della fides, popolo promotore e promulgatore della fides, coloro che sapevano anche rispettarla e metterla in pratica.1 Ma precisamente, che cos’è la fides? «L’etimologia mostra che la comune radice fid- delle lingue neolatine è collegata al greco peith- (alla base sia del verbo peithoˉ, «convinco», sia del termine pistis, «fede»), che fa capo al sanscrito bandh- che significa legame, corda. In latino il termine fides, -ei indica fede/fiducia, mentre fides, -is indica la corda di uno strumento musicale». Si può quindi dire che «[…] la fiducia evoca la possibilità di creare legami orizzontali tra le persone coinvolte nella relazione tra presente e futuro storico […]».2 Si potrebbe e dovrebbe considerare la fides come una vera e propria virtù che fa capo alle promesse e ai giuramenti proferiti dagli uomini. È il sigillo astratto che vincola, che garantisce, che unisce. Questa definizione ci riporta molto facilmente al foedus, ovvero ad un patto che vedeva due contraenti concordi stringere una relazione, una serie di regole, enunciate e non scritte proprio perché garantite dalla fides, garante che alla parola data corrispondessero degli atti. Era un valore centrale nella società romana perché probabilmente proprio dalla fides che garantiva la parola data, emergeva tutta la credibilità, l’affidabilità del cittadino considerato honestum, e morale, e giuridico. Qualcosa di vitale importanza per la reputazione di un cittadino romano a trecentosessanta gradi, perché la violazione della fides, comportava in un certo senso l’esclusione dal tessuto sociale della societas, non più valido, non più affidabile per contrarre un giuramento, mantenere la parola data, detta, pronunciata. Ma non solo. Successivamente questo termine ha subito una ‘transcodificazione’ generica. Non la si ritrova più soltanto in campo giuridico, ma anche nel linguaggio amoroso, specie dei poeti elegiaci a metà tra età repubblicana e di Augusto. Il più noto tra questi è senz’altro Catullo. In effetti è proprio con lui che si registra il passaggio dal linguaggio giuridico al linguaggio amoroso. Il concetto di fides, si era gradualmente esteso anche a convalidare altri tipi di patti, di accordi, di legami all’interno della società, come rapporti di tipo contrattuali, commerciali, ma anche amichevoli e amorosi. Ma sappiamo bene che la relazione amorosa che Catullo intratteneva con Lesbia, era considerata adultera. E sicuramente un valore come la fides, che faceva capo a tutta una serie di valori che avevano a che fare con il mos maiorum , 1 http://www.qro.unisi.it/frontend/sites/default/files/Scolari_La_fides_e_la_promessa.pdf 2file:///C:/Users/utente/AppData/Local/Packages/Microsoft.MicrosoftEdge_8wekyb3d8bbwe/TempState/Downloads/Fiducia %20(1).pdf, Stefano Bittasi S.I. di «Aggiornamenti Sociali».

poco era adatta a suggellare un legame di tipo adulterino; seppure probabilmente per Catullo, questo legame, aveva tutte le carte in regola per essere considerato vero, cioè vero di sentimenti, un po’ meno, forse, per la corrispondenza di questi ultimi, soprattutto da parte di Lesbia. È proprio qui che la fides cade e non riesce ad ergersi paladina di quel rapporto che tanto tormentò Catullo, proprio per la sua contraddittorietà, non solo a livello giuridico, versus il matrimonio, ma soprattutto perché per Lesbia sarebbe stato opportuno mantenere il loro rapporto, nell’ambito di un foedus, dove la fides garantiva semplicemente ibi illa multa cum iocosa fiebant.3 Nonostante questo, il poeta, nei carmina che hanno come tema dominante l’amore, adoperò e fece della fides un valore centrale di tutti i legami amorosi di cui ha narrato le peripezie e i tormenti. Dopo Catullo, nel filone della poesia amorosa, troviamo Tibullo e Properzio, che si rientrano pienamente nel genere elegiaco, dove è particolarmente simbolico l’atto de chantar, che successivamente caratterizzerà i trovatori dell’età medievale, con le rispettive differenze. Tuttavia la poesia di Tibullo e Properzio, proprio come quella dei trovatori, ruota intorno alla figura di una donna, che assume quasi il ruolo di musa ispiratrice della loro poetica, del loro canto, senza che tra i soggetti in questione vi sia corrispondenza di sentimenti. La non corrispondenza, chiama in causa un altro fattore importante nelle poesie di questo genere, ovvero il cantore e l’oggetto decantato non si trovano sullo stesso piano. Ci troviamo di fronte a situazioni di tipo impari, dove i contraenti del foedus sono sempre due, ma non sullo stesso piano e pertanto anche la fides, assume un ruolo diverso o addirittura non si ritrova. In effetti ciò che si ritrova è il foedus, configurato come servitium amoris, ovvero schiavitù d’amore, che rappresenta per il poeta una vera e propria sofferenza, vero tormento; causa, il rifiuto, la non corrispondenza della donna amata, che assume il ruolo di domina (termine che in Catullo è assente). Nell’ottica tibulliana «Il sentimento amoroso è connotato in modo ambiguo: […] è una sorta di schiavitù a cui il poeta non può sottrarsi. Se nella realtà (non quella autobiografica di Tibullo, ma quella fittizia creata dalla sua poesia) l’amata è una domina che trattiene avvinto a sé l’amante con simboliche catene, nel sogno bucolico e nella fantasticheria di morte essa si trasfigura in una donna affettuosa e affranta, quale il poeta vorrebbe che fosse (vv.59-64, I)»4. L’ambiguità è intrinseca alla natura dell’elegia latina stessa, che si caratterizza come sfogo del dolore dell’io lirico del poeta, ma al tempo stesso come strumento di seduzione, come se il dolore potesse sedurre, trovando pertanto la sua ragion d’essere nell’infelicità perenne della soggettività amorosa del poeta di un amore

3 http://www.formeletterarie.unina.it/materiali/riservati/lezioni/borgo/borgo-05/index.htm 4 P. Fedeli, Introduzione a Properzio, Elegie, Sansoni, Firenze 1988, pp. 286-297

inappagato. Senza la sofferenza non c’è canto; sofferenza e desiderio di felicità, come due facce della stessa medaglia, l’elegia.5 Anche nelle elegie amorose del libro II, ricorre il tema del servitium amoris, dedicate a una donna Nèmesi, che ancor più di Delia si caratterizza come domina crudele e volitiva, indifferente alle terribili sofferenze che infligge all’amante. In un rapporto amoroso fondato molto più sulla corrispondenza platonica che non fisica, la fides assume probabilmente un ruolo ancora più importante. Il foedus come abbiamo già detto precedentemente, è presente e presenta una situazione di disparità tra i due amanti. Di conseguenza la fides, garante del foedus, è presente a sua volta, ma molto più da parte del poeta che non della donna amata. La sofferenza del poeta, sta proprio nella mancanza di fides da parte della donna nei suoi confronti, di una donna che si sente libera, su un altro piano, ‘domina’. Libera di muoversi come vuole in plurime direzioni. Al tempo stesso, nuovamente una contraddizione, con una diversità in più rispetto a quella catulliana; in questo caso oltre all’adulterio, dove la fides c’entra poco, il foedus, in questo caso deve essere garantito da un altro elemento, la sofferenza del poeta provocata dalla mancanza della fides stessa. La poesia di Properzio si configura interamente come poesia amorosa, ovvero la vita amorosa del poeta è in toto trasposta nei suoi versi, ancora più di Tibullo, che oltre all’amore prediligeva anche altre tematiche di tipo bucolico e civile.6 Qui, l’amore è centralissimo e il tipo di rapporto amoroso, inteso come foedus, tra il poeta e la sua Cinzia, mira ad essere garantito ancora prima di essere vissuto. La categoricità di Properzio su questo aspetto, rispecchia anche la netta differenza del suo amore e del modo di viverlo rispetto a Tibullo. L’amore di Properzio è molto più passionale, come anche la sua donna, spregiudicata e bellissima con una forte personalità, allo stesso tempo altamente infedele, motivo di sofferenza nell’animo del poeta. Mentre nella poesia tibulliana si può osservare una tendenza a idealizzare il rapporto affettivo, nell’elegia di Properzio vi è un’accentuazione della sofferenza amorosa, dell’amore inteso come malattia, come pulsione irrazionale paragonabile alla follia e come soggezione umiliante dell’amante non corrisposto da una domina. Sin dall’elegia incipitaria il poeta che soffre per l’amore non corrisposto, si vede pronto a servire umilmente la sua donna, la sua è una militia Amoris e i suoi accampamenti sono quelli di Venere: tutta una serie di vocaboli del linguaggio anche militare che penetra nel linguaggio erotico e scandisce le varie fasi del rapporto. 5 Cfr. Idem 6 G. Garbarino, L. Pasquariello, Latina 2 L’età di Augusto, Paravia, Bruno Mondadori, Varese, 2009, p.236

Nel rapporto uomo-donna, è la donna a godere di un’estrema libertà, è lei ad imporre la sua legge in caso di violazione del patto d’amore. Ma è anche la donna ad essere incostante e iraconda, capricciosa e volubile, sempre pronta a tradire e capace di trovare nel poeta, nonostante la continua condizione di infedeltà, un partner supplice e lacrimoso, che tutto accetta pur di poter carpire le gioie d’una notte d’amore.7 Può essere vista proprio in questo tipo di rapporto: «La fides, significa l’abbandonarsi, fiducioso e completo, di una persona a un’altra»8, in questo caso l’abbandono totale del poeta nei piaceri regalati dalla donna (e forse più una fides nei confronti del piacere derivato che nella persona della donna amata). La gioia corrisposta solo sul piano fisico, ma non spirituale. Non c’è dunque reciprocità, Properzio è il solo a praticare la fides, che si presenta, allora, come un destino che può essere tragico se l’essere amato non lo condivide e che sfocia nel servitium amoris, trascinandosi dietro uno stato in cui l’uomo che ama si annienta per essere la “cosa” dell’amante. Ma la rottura di questa da parte di uno degli amanti non affranca l’altro dal suo legame. Né la morte, né il piacere con un altro liberano da un’unione la cui importanza non è diminuita dall’assenza di sanzione legale. Questo è il senso dei rimproveri del fantasma di Cinzia al suo amante d’un tempo e della sua affermazione di fedeltà. Sembra proprio che Properzio e con lui i poeti d’amore latini, abbiano chiara coscienza di un principio fondamentale che dà avvio al loro canto «[…] che non esiste possibilità di sviluppo per una storia se non esiste contrasto […]»9 come dirà egli stesso in 3,8, 27-28 «[…] detesto i sonni mai tormentati dai sospiri. Vorrei essere sempre pallido perché la mia donna è adirata».10 Per tutti gli esponenti della generazione elegiaca, un amore da narrare non può che essere un amore infelice, contrastato, fonte continua di sofferenze; perché al contrario un amore felice, tranquillo, corrisposto, al riparo da ogni sorpresa, sarebbe pura contemplazione, non si tradurrebbe mai in una storia e non rappresenterebbe mai materia di canto. Un tratto distintivo del genere elegiaco, così come si delinea in Tibullo e Properzio, è la tendenza di Ovidio, che in alcuni distici del primo libro dell’Ars amatoria, mostra la spregiudicatezza del praeceptor amoris che sconfina in un puro cinismo (seppure alleggerito da un tono scherzoso e brillante): la fides, una delle virtù più sacre per il Romano, deve valere in ogni campo, eccetto che nell’amore. In questo caso è lo stesso Giove a dare l’esempio, attraverso i suoi numerosi adulteri; e bisogna credere, aggiunge il poeta, nelle divinità della religione tradizionale, perché la fede negli dei 7 Cfr. Ivi, p.265 8 http://www.edu.lascuola.it/edizioni-digitali/Cappelli/HortusApertus/vol_2/prope_labor_7.pdf 9 GARBARINO, PASQUARIELLO, Latina 2 L’età di Augusto, p.265. 10 Idem

è utile alla società. La vera e sincera passione amorosa, fonte di ansia e di sofferenze, che era stata al centro dell’universo elegiaco da Cornelio Gallo a Properzio, è completamente assente in questo gioco erotico fatto di abili schermaglie, di calcoli, di scaltri raggiri, dove la donna e l’uomo si fanno di volta in volta cacciatori e prede, seducendo e lasciandosi sedurre, alla ricerca di emozioni fisiche e di piaceri superficiali. La tradizione poetica lirica ed elegiaca che va Catullo a Properzio, aveva rivendicato il valore tradizionale della fides e lo aveva posto alla base del legame extraconiugale. Ovidio si diverte a rovesciare questo luogo comune della poesia erotica, facendo dell’inganno reciproco, della violazione della fides, la ‘regola d’oro’ dell’amore. È forse giusto far presente che in quest’ottica è come se questo tipo di fides, promuovesse nuovamente una situazione di parità tra gli amanti, nel caso ovidiano, che li vede entrambi violatori, ingannatori e alla ricerca di superficialità, escludendo qualsiasi tipo di accezione spirituale del termine e del legame amoroso. Nel II libro dell’Ars amatoria, Ovidio contrappone il matrimonio, caratterizzato da continui litigi tra marito e moglie, alla relazione amorosa extraconiugale, in cui regnano la concordia, la tenerezza, la dolcezza; gli amanti infatti s’incontrano e si uniscono non per ordine della legge, come i coniugi, ma perché spinti dall’amore, quindi ancora la fides che nel legame coniugale assume una valenza negativa, che provoca sofferenza. La scissione tra matrimonio e amore e il giudizio negativo sul primo, si ritrova anche in Properzio, che nell’elegia proemiale egli dice che la folle passione per Cinzia gli ha insegnato a odiare le donne caste e a vivere a nullo consilio. Nell’elegia II, rallegrandosi per il ritiro di una legge matrimoniale che avrebbe messo in pericolo la sua relazione con Cinzia, Properzio afferma che preferirebbe morire piuttosto di dover subire un legame matrimoniale e respinge provocatoriamente l’idea della paternità, dichiarando che l’amore per la sua donna varrà per lui più del nome di padre. I figli, complemento essenziale della coppia legittima, sono dunque esclusi dalle prospettive del rapporto tra il poeta elegiaco e la puella.11 Occorre ricordare a questo punto che le figure femminili amate e cantate dagli elegiaci, corrispondono tutte, senza eccezioni, a cortigiane o a donne a esse assimilate nel costume e nella mentalità romana; quanto all’Ars amatoria, il poeta non precisa che sono escluse dal suo discorso le fanciulle non sposate e le matrone, e che esso riguarda specificamente ed esclusivamente le liberte. Le relazioni con donne di tale tipo sono dunque necessariamente ‘irregolari’, prive di riconoscimenti legali e di garanzie sociali. Proprio per questo, per la loro precarietà e instabilità, provocano ansie, tensioni e sofferenze, sono minate dalla gelosia e appaiono sempre sull’orlo della crisi o della 11 Cfr. Ivi, p. 306

rottura. Di qui nasce, nei poeti più sensibili e capaci di sentimenti profondi, l’esigenza di recuperare in qualche modo la fides coniugale e di fondare un nuovo foedus, un patto non giuridico, ma morale, garantito non dalle leggi, ma dal rispetto reciproco delle parti, dalla coerenza, da un sentimento vero, autentico. La concezione dell’amore che emerge dai testi degli elegiaci latini può suggerire un confronto con la poesia amorosa di età medievale. Si riscontrano notevoli analogie e differenze tra l’amore elegiaco e l’amore cortese, espressione di una civiltà fiorita nelle corti di Provenza tra l’XI e il XII secolo. Anche nei poeti provenzali, che conosciamo con il nome di trovatori, ritroviamo l’idea dell’amore come servizio, dedizione, sottomissione alla donna amata, con la differenza che il servitium amoris degli autori antichi ha come riferimento la condizione dello schiavo, mentre i provenzali intendono il servizio prestato alla donna come rapporto di vassallaggio, secondo il modello del costume feudale. Nel contesto feudale, il valore del foedus e della rispettiva fides, assumono ancora più centralità, in una società gerarchica, che si basa interamente sul valore dei giuramenti, a partire da quelli che il re teneva al momento dell’incoronazione. Nuovamente una ‘transcodificazione’, un passaggio, dall’ambito giuridico a quello amoroso, la fides acquista significato in termini di tener fede all’accordo, non senza mancanza di corrispondenza, sofferenze e mancanze da parte della donna amata, per cui ancora il protrarsi nel tempo del mancato rispetto della fides, provoca sofferenze, che provocano a loro volta canto d’amore.

BIBLIOGRAFIA G. Garbarino, L. Pasquariello, Latina 2 L’età di Augusto, Paravia, Bruno Mondadori, Varese, 2009 P. Fedeli, Introduzione a Properzio, Elegie, Sansoni, Firenze 1988

SITOGRAFIA http://www.qro.unisi.it/frontend/sites/default/files/Scolari_La_fides_e_la_promessa.pdf file:///C:/Users/utente/AppData/Local/Packages/Microsoft.MicrosoftEdge_8wekyb3d8bbwe/TempS tate/Downloads/Fiducia%20(1).pdf, Stefano Bittasi S.I. di «Aggiornamenti Sociali» http://www.formeletterarie.unina.it/materiali/riservati/lezioni/borgo/borgo-05/index.htm http://www.edu.lascuola.it/edizioni-digitali/Cappelli/HortusApertus/vol_2/prope_labor_7.pdf...


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