La cappella degli Scrovegni riassunto PDF

Title La cappella degli Scrovegni riassunto
Course Storia dell'arte medievale
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Libro sugli affreschi della Cappella, eseguiti da Giotto.
incluse immagini + appunti del filmato ...


Description

La cappella degli Scrovegni Dvd + riassunto libro Ancora oggi i padovani chiamano il luogo dove è situata la Chiesa, “l’Arena, è un giardino nel cuore della città, ma in epoca romana sorgeva un anfiteatro e nei primi del ‘300 venne poi costruita una chiesa chiamata Santa Maria dell’Arena, era una cappella che ad oggi se ne salvata solo un’arcata, anche se era prossima al palazzo fatto costruire dal nobile Enrico Scrovegni, palazzo visibile ancora nel 1824 su varie stampe. Alla fine del ’800 anche la chiesa rischio di essere distrutta, perché gli eredi non ne avevano per niente cura, inconsci del patrimonio artistico che aveva, infatti riuscirono ad abbattere il palazzo nel 1827, e questo provocò negli anni, nella parete nord della cappella, deterioramenti causati dalle infiltrazioni di pioggia, ma a salvarla sono stati gli affreschi dipinti da Giotto al suo interno.



Rinaldo Scrovegni, il padre dannato:

era il capostipite della famiglia, che attraverso l’unione in matrimonio con Cappellina, figlia di Malcatelli di Vicenza, iniziò un’abile politica matrimoniale, fatta per stabilire poi legami con vari casati importanti padovani e vicentini. Grazie al suo lavoro di prestatore, e le sue ottime relazioni finanziare con il clero padovano, riesce ad accumulare grandi ricchezze – Dante lo manda all’inferno come usuraio – Non sappiamo quando morì Rinaldo, forse intorno al 1288-90, o forse secondo Kohl nel 1300, poiché ha ricostruito il suo albero genealogico.



Enrico Scrovegni, cavaliere nobile e potente :

ereditò un’immensa fortuna, ma anche una pessima fama, grazie al continuo dell’attività paterna si ingrandì economicamente, sia in denaro sia in terre, e soprattutto mantenne un ottimo rapporto con il clero, tanto che fece costruire una chiesa, Sant’Orsola nel 1294, e poi la Cappella dell’Arena, con il permesso del vescovo Razzi nel 1304. Oltre che con il clero padovano è anche amico del pontefice Benedetto XI, tanto che gli concedeva la possibilità dell’indulgenza a chi andava a visitare la Cappella durante le feste mariane, celebrazione tenuta per un anno. Anche i padovani gli davano gratitudine, poiché lui non era come suo padre, odioso usuraio, ma nobile cavaliere benefattore. Dalla bolla del Papa sappiamo che dal 1304 i fedeli erano liberi di visitare la chiesa, e un’epigrafe, ormai perduta, sulla tomba di Enrico affermava che la chiesa era stata dedicata alla madre di Dio, il 25 marzo 1303, anche se la data era un richiamo alle 2 feste, perché anche le Palme, nel 1303 cadeva di marzo. Enrico condusse una mirata strategia di avanzamento sociale attraverso il diventare cavaliere e ad un matrimonio ben pensato per sé, figli e nipoti, infatti lui ebbe due mogli nobili, la prima era la figlia di Bonifacio da Carrara e la seconda era la figlia di Orsina degli Orsini. L’ostentazione del palazzo e della cappella, per il quale chiamò Giotto e Pisano, doveva segnalare al cittadino la sua posizione di spicco raggiunta. Acquistato il terreno nel 1300 da una famiglia nobile di Padova, ma non più ricca, fece costruire il suo maestoso palazzo, anche se una serie di avvenimenti politici, avvenuti con l’arrivo della signoria Carraresi, che costrinse nel 1328 Enrico e famiglia a fuggire in esilio a Venezia, mentre Marsilio Carraresi gli confiscava le sue proprietà. Enrico morì a Venezia il 30 agosto del 1336, anche se il suo pensiero era sempre rivolto a Padova e alle sue terre, pensiero lasciato scritto anche nel suo testamento.



Le ultime volontà di Enrico:

il testamento lasciato ci fa capire quanto era il suo volere di essere seppellito nella Cappella, infatti lui continuava a immaginarsi all’Arena, con il sogno che la sua famiglia prima o poi riuscisse a riabitarci. Detta ordini dallo scegliere i sacerdoti, alla continua organizzazione delle messe, e alla conferma delle varie donazioni, in più sceglie anche il nome della chiesa, chiamata Santa Maria della Carità dell’Arena di Padova. In più stabilisce che la chiesa non dovrà mai essere venduta, ma dovrà essere preservata, poiché Enrico ha sempre presente il suo essere cittadino padovano. Successivamente per Enrico venne fatta una tomba scolpita, proprio perché deve essere sempre presente, per questo motivo si era fatto dipingere anche nell’affresco della controfacciata, cosa che in quel periodo permessa solo ai papi o ai regnanti. Il suo vanto di aver contribuito alla costruzione della cappella era un modo per rispondere alle calunnie subite dallo storico Giovanni da Novo, che aveva raccolto nel momento di esilio, ma che in realtà forse circolavano da tempo, infatti anche nel 1317 alla dotazione della cappella, vediamo una difesa energica del suo contributo, a differenza di Giovanni che diceva che aveva solo contribuito per un anno e di aver anche ingannato il Papa di aver costruito la Chiesa, e di usare il denaro datogli per proprio uso.



Il vangelo secondo Giotto:

sono 700 M2 di affreschi, la cappella è lunga 30 metri, larga 8,5 e altra quasi 13. Quando Giotto arriva a Padova nel 1303 ha circa 35 anni, è ormai un capocantiere e pittore affermato, ma non dipinge solo lui, poiché si faceva aiutare da una decina di pittori almeno, circa 850 furono le giornate di lavoro, dal 1303 quando la cappella risulta costruita e il 1304 quando ottenne l’indulgenza per poterla visitare, segno che i fedeli la poteva visitare senza alcun ponteggio, ma si è saputo che la cappella è stata consacrata nel 1305 il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione. Alla base delle scene sacre in cui si snoda il racconto ci sono:

 I libri del nuovo testamento  La leggenda Aurea del domenicano Iacopo da Varazze scritta alla fine del ‘200  I vangeli apografi, in particolare il vangelo secondo Matteo (storia di Anna e di Gioacchino), vangeli che la chiesa ha accolto, anche se non provengono dalla parola di Dio  Altre fonti di anonimi, anche se forse una è del francescano Giovanni de Cailibus nella seconda metà del XIII secolo Il committente è Enrico Scrovegni un banchiere ricchissimo e nobile, di cui Giotto ce lo mostra nel dipinto mentre sta consegnando il modellino della chiesa alla Madonna, gesto per poter andare in paradiso. Accanto a lui compare un religioso, Altigrado dei Cattanei, è l’arciprete della Cattedrale, fu lui a scegliere Giotto e insieme a lui a scegliere le scene da raffigurare. Il modellino della Chiesa è un po’ diverso da quello che vediamo noi oggi, ciò ha fatto pensare che il transetto a doppio petto piovente – rappresentato nell’affresco – non viene costruito. I frati protestavano per la chiesa che voleva costruire Enrico, rivolgendosi addirittura al vescovo, la loro protesta era basata sulla costruzione di un campanile, con campane annesse, questo comportava

un disturbo per i frati, e soprattutto perché nei patti fatti essa doveva essere solo una piccola Chiesa privata e non pubblica. Il problema maggiore è che nel dipinto il campanile non compare, a differenza di quello che dicono i frati nel 1305, quindi non era possibile che Giotto dipinse una parete, quando essa non era ancora stata costruita, anche se questo fatto da valore all’ipotesi che la conclusione degli affreschi fosse il 1304. Forse anche il ripensamento della figura dell’Eterno messo su una tavola mobile, dietro alla quale si apre un solaio che poggia sopra alla volta del coro, questo cambiamento forse è proprio dovuto al ripensamento del campanile. Gli affreschi creati servono non per far vedere Enrico peccatore pentito, al contrario, essi svolgono un programma leggibile su due livelli: I. II.

Esaltazione della figura della Madonna – dedicataria della chiesa, e si dà anche largo spazio ai suoi genitori Gioacchino e Anna Sottolinea in maniera precisa l’operato del committente, perché lui sa di essere associato al padre, infatti vediamo Giuda tradire Cristo e tenere in mano una borsetta piena di soldi – 30 denari – e poi lo vediamo all’inferno con le viscere penzolanti; questa condanna è esplicita ma viene data a colui che ha peccato più di tutti.

In pratica Enrico voleva autocelebrarsi. Maria Annunciata, Maria Della carità: vediamo un problema di apprendimento su quale reale nome avesse la chiesa, infatti Giovanni da Noto afferma che Enrico avesse consacrato la chiesa alla Vergine Annunciata, ma nome già presente di una chiesa vicina – proprietà dei frati eremitani – invece nella bolla papale la chiesa era denominata Santa Maria della Carità dell’Arena, anche se ci sono delle similitudini riguardo al nome voluto in precedenza, perché sappiamo che il 25 marzo si svolgeva una festa religiosa all’aperto dedicata proprio all’Annunciazione, forse volontà di Enrico di appropriarsi di una parte della festa cittadina, aumentando così il suo prestigio di pio mecenate.



Il ciclo affrescato:

lo Scrovegni entrava da una porta laterale, vicino al presbiterio, di cui di fronte a lui, in alto poteva vedere la Cacciata dal Tempio, prima scena della storia di Maria e di Cristo. Nessun documento attesta che sia stato proprio Giotto a dipingere la Cappella, anche se abbiamo delle attestazioni di autori molto vicini al tempo di esecuzione degli affreschi. La narrazione ha un andamento elicoidale, in senso orario e inizia con la scena di una Cacciata dal Tempio, in cui vediamo un Tempio, nel quale Giotto ci mostra sia l’interno sia l’esterno. Nell’interno vediamo un prete che benedice un fedele e fuori un altro sacerdote che tiene in mano un agnello, esso è Gioacchino il futuro padre di Maria, si era recato al Tempio per poter svolgere un sacrificio, ma lui è vecchio, senza figli e sterile – antico testamento considerato un peccato -- quindi non benedetto da Dio, per questo cacciato, entrambi sono ancora sulla pedana di marmo, che segna il confine con l’edificio sacro. Nel tempio vediamo il ciborio a colonnine tortili e l’altare si cui è posata l’arca dell’alleanza, essa rappresenta il luogo più riposto del culto, e poi vediamo una scala al pulpito per la rappresentazione della legge. Vediamo una netta separazione tra il colore blu inteso del cielo e la tinta verde-scura del suolo, sopra a cui c’è il tempio posato come se fosse un modellino; questa separazione indica l’incertezza dell’ignoto che si annuncia.

Possiamo vedere soprattutto un intenso gioco di sguardi tra i vari personaggi con Gioacchino di fronte per poter osservare al meglio il suo stato d’animo di sofferenza e di umiliazione. Gioacchino fra i pastori  Gioacchino si rifugia in montagna, nel quel i pastori gli vanno incontro e il cane gli fa festa, c’è anche un gregge, simbolo che per la prima volta gli occhi di un pittore raffigura solo agli uomini, ma anche alla natura; Giocano rimarrà 5 mesi tra le montagne e i pastori. Notiamo una descrizione degli animali attenta, sia negli atteggiamenti sia nelle diverse taglie e razze. Gioacchino con il capo chino avvolto nel suo mantello, mentre i pastori lo guardano e si guardano a vicenda nel silenzio. Vediamo le teste dei tre personaggi che raggiungono tutte lo stesso livello, sottolineato anche dalla linea diritta della montagna che taglia il cielo sullo sfondo, modo per unificare la composizione e accostare i diversi e contrastati sentimenti, anche se la roccia a destra si innalza e incornicia il tetto piramidale dello stabbio sottostante e gli alberi servono per sottolineare la profondità del paesaggio. Giotto per rappresentare Gioacchino si è ispirato a Dioniso, visto nel vaso neoattico conservato nel Camposanto di Pisa. L’Annuncio ad Anna  intanto a casa Anna, la vecchia moglie, lo aspetta mentre prega, intanto un angelo compare dalla finestra, nel quale la consola dicendogli che avrà un figlio. Qui Giotto ci mostra una casa del primo ‘300, l’arredo, i tessuti, e fuori dalla porta vediamo un’ancella che fila, figura famosissima nella sua tetragona saldezza di volumi. Qui tutto sembra come se fosse in un luogo teatrale, a partire dalla casa, in netto contrasto con il colore del suolo, formata da una stanza, alla fissità dei colori degli abiti, come se fossero costumi di scena (Anna una tunica e una sopratunica rosso/arancio con bordi oro, Gioacchino tunica blu e mantello rosa con bordi in oro) e anche l’annuncio dell’angelo da una piccola finestra. Inoltre, Giotto ha voluto dare un tocco di classicità mettendo nel piccolo frontoncino nella facciata, un’immagine di dio entro una conchiglia sostenuta da due putti alati – immagine tratta dai sarcofagi nel quale al posto del dio appare il defunto -L’annuncio dell’angelo a Gioacchino  anche Giochino viene raggiunto da un angelo che lo invita a fare un sacrificio, qui Giotto ha dipinto, quasi sommersa dal blu, una piccola figura che si solleva, essa è il profumo della preghiera, e il sacrificio che sa salendo verso Dio, nel quale verrà accolto, perché la sua mano compare dall’alto. Nell’affresco vediamo il picco della roccia a sinistra, invece che a destra, come se ci fossimo spostati, esso incornicia un pastore che congiunge le mani di fronte all’angelo. L’angelo è in piedi immobile con indosso una tunica bianca e una toga rosa che lascia intravedere le ali ripiegate. I colori sono cangianti e luminosi, che rendono un’immaterialità dell’apparizione che è in contrasto con il colore rosa del mantello di Gioacchino che sembra caduto a terra per la sorpresa, e ascolta l’angelo. Intanto le fiamme hanno ridotto uno scheletro realistico l’intero capretto, che si contorce nell’ara, accanto però appare quasi trasparente nel cielo blu un angelo rivolto verso la mano di Dio, rappresenta il profumo dell’olocausto che si innalza nell’aria verso l’approvazione di Dio.

Il sogno di Gioacchino  l’angelo scende dal cielo e compare in sogni a lui, nel quale gli comunica che presto incontrerà Anna, e che gli nascerà una figlia, Maria. I pastori partecipano a questa avventura celeste, e anche gli animali si svegliano per via della luce dell’angelo. È notte, anche se non ne percepiamo il cambiamento, infatti quando Giotto ha dipinto la Cappella non si usava mostrare le variazioni atmosferiche. Il paesaggio è identico a quello di Gioacchino tra i pastori, lui lo vediamo rannicchiato coperto dal mantello, chiuso a piramide e coperto dal tetto, intanto l’angelo sta giungendo ad ali spiegate, ma soprattutto qui notiamo la presenza di fiori. L’incontro alla Porta Aurea  siamo a Gerusalemme, alla porta Aurea, dove vediamo l’incontro e il bacio di Gioacchino e Anna, ed è attraverso questo bacio che si allude il concepimento di Maria. Per la Porta, che si pensava fosse fatta d’oro, Giotto si è ispirato all’arco di Trionfo romano di Rimini, ed è collocata leggermente di sbieco, nel quale un ponticello si abbassa in contrasto con il suo, e il modo di disposizione dei personaggi fa porre lo sguardo al bacio. Il ritorno di Gioacchino viene indicato da un servo che appare per metà a sinistra con un cesto delle provviste, nel quale la cornice non ci permette di vedere il fagotto. Vediamo che l’ambiente urbano ha incivilito l’abbigliamento del servo, che ha i capelli lunghi arricciati in un boccolo dietro il collo, mantenuti fermi da una cuffia di stoffa leggera. Dietro ad Anna ci sono 4 amiche vestite a festa, di cui quelle maritate hanno i cappelli raccolti a treccia e in piccolo cercine in testa, e l’amica dietro ad Anna tiene in mano un mantello foderato di pelliccia di Vaio, questo è tipico abbigliamento Medievale che faceva parte dell’abbigliamento nuziale. Tra le ancelle festanti c’è una donna vestita di nero, in netto contrasto con le altre donne, ella è una vedova che si copre il volto, questo è il simbolo della vedovanza costretto a farsi da parte, perché Anna non è più vedova. La nascita di Maria  il filo della narrazione passa sull’altra parete, dove vediamo la nascita di Maria, Giotto qui costruisce una breve sequenza:

 La bambina a terra fra le braccia della nutrice che le sta stringendo il naso, gesto augurante di bellezza, o forse gli sta lavando gli occhi  Maria offerta alla madre Ci sono solo donne nella stanza di Anna, anche perché allora il momento del parto era vissuto da solo le donne, quindi non c’erano maschi durante i vari travagli e né medici. La casa di Anna sembra quasi identica a quella dell’Annunciazione, solo che oltre che essere affollata di donne, c’è anche un altro piccolo e significativo particolare, cioè il Dio nella conchiglia sostenuta dai due putti, che prima era immobile, ora ha alzato la mano e benedice la piccola Maria a cui svolge anche lo sguardo.

Maria è presentata al Tempio di Gerusalemme  a 3 anni Maria viene offerta dai genitori al Tempio, stesso tempio nel quel era stato cacciato Giacchino, solo che qui Giotto ce lo mostra dall’altra parte. Qui ora il tempio accoglie trionfalmente Maria, questa è un po’ la rivincita di Gioacchino che era stato cacciato e che vede la figlia accolta dal grande sacerdote. Anna è salita di qualche gradino verso il tempio, porgendo Maria sacerdote circondato da giovani vergini e vediamo Gioacchino all’estremità che parla con un uomo anziano.

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Vediamo in primo piano un personaggio di spalle, un servo con un cesto, che sono offerte per il tempio, e all’estrema destra vediamo due sacerdoti ebrei – dalla barba folta e dallo scialle che ricopre il capo – fra loro due possiamo dire che attraggono l’attenzione dello spettatore. Maria e Giuseppe  si susseguono 3 scene legate l’una all’altra che si svolgono nello stesso luogo, siamo all’interno di un tempio, in cui Giotto ce lo mostra in sezione e privato dell’avancorpo. Qui verrà scelto il giusto sposo di Maria, in cui ciascuno dei pretendenti porta un ramoscello al grande sacerdote, come dio ha ordinato, nel quale fiorirò quello dello sposo prescelto. Notiamo che i pretendenti sono tutti giovani, tranne un personaggio vecchio con la barba, quello è Giuseppe, che rimane in disparte in fondo alla fila. Notiamo poi che il tempio è rappresentato da una basilica a tre navate, di cui è visibile solo la sezione dell’abside. Nella seconda scena vediamo che sono tutti in ginocchio che pregano, la verga è fiorita e Giuseppe è lo sposo prescelto, e vediamo anche una mano che taglia il soffitto in due. La verga è diventata un candido giglio, su cui si è posata una colomba, vediamo Giuseppe in primo piano con in mano un fiore. È il momento del fidanzamento e dello scambio delle fedi, uno dei pretendenti manifesta la sua rabbia spaccando con il ginocchio il ramoscello rimasto secco, un altro dietro a Giuseppe sta per dargli un pugno, questa era una pratica diffusa nel Medioevo per vedere la virilità dello sposo. Maria non incontra lo sguardo dello sposo, ma china gli occhi a terra, simboleggia il timore e l’umiltà.

Il ritorno a casa  qui vediamo il corte nuziale, in cui Maria – al centro della processione -bellissima con un abito bianco dal lungo strascico e con tutta la dignità e il pudore di una novella sposa; qui torna a casa dai suoi genitori in cui rimarrà 1 anno intero. Maria viene accompagnata da 7 ancelle, e scortata da due uomini maturi e si starebbe avviando a casa dei sui genitori a Nazareth, anche se secondo Marx Seidel ha dipinto un corteo nuziale avviato verso casa di Giuseppe a Betlemme come si deduce dai suonatori che non si muovono in processione, ma sono fermi accanto alla casa.

La tavola dell’Eterno  al sommo dell’arco trionfale troviamo l’Eterno circondato dagli angeli, esattamente 4 vestiti di un abito bianco/rosato, nel quale gli si rivolgono, due vicine ai gradini e due poco lontane, esse rappresentano le 4 virtù – Misericordia, Pace, Verità e Giustizia, presenti nel salmo 84 -- lui non è in affresco, ma su tavola che nel tempo ha subito molte abrasioni perché era mobile. Il 25 marzo, infatti giorno dell’annunciazione, la finestrella veniva aperta e nella chiesa planava una colomba. L’Annunciazione  si trova ai due lati dell’arco trionfale, nel quale vediamo a sinistra l’angelo e a destra Maria. Su di essi vediamo campeggiare due edifici identici, visti contemporaneamente interno ed esterno, anche se si tratta di un’unica stanza. Lo spettatore può assistere al fatto grazie alle tende tirate come un sipario e annodate su una colonna di porfido, che si ergono isolate, senza giungere il soffitto, esse...


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