LA Divina Commedia - riassunto dei primi 15 canti dell\'inferno PDF

Title LA Divina Commedia - riassunto dei primi 15 canti dell\'inferno
Author alessia alaia
Course Letteratura italiana e letteratura dei luoghi
Institution Università degli Studi di Genova
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riassunto dei primi 15 canti dell'inferno...


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LA DIVINA COMMEDIA Introduzione Dante iniziò la composizione della Commedia durante l’esilio, probabilmente intorno al 1307. La cronologia dell’opera è incerta, ma si ritiene che l’Inferno sia stato concluso intorno al 1308, il Purgatorio intorno al 1313, mentre il Paradiso sarebbe stato portato a termine pochi mesi prima della morte, nel 1321. Il titolo originale è Commedia, o meglio Comedìa, secondo la definizione dello stesso Dante; l’aggettivo Divina fu aggiunto dal Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante (metà del XIV sec.) e comparve per la prima volta in un’edizione del 1555 curata da Ludovico Dolce. È un poema didattico - allegorico, scritto in endecasillabi e in terza rima. Racconta il viaggio di Dante nei tre regni dell’Oltretomba, guidato dapprima dal poeta Virgilio (che lo conduce attraverso Inferno e Purgatorio) e poi da Beatrice (che lo guida nel Paradiso). L’opera si propone anzitutto di descrivere la condizione delle anime dopo la morte, ma è anche allegoria del percorso di purificazione che ogni uomo deve compiere in questa vita per ottenere la salvezza eterna e scampare alla dannazione. È anche un atto di denuncia coraggioso e sentito contro i mali del tempo di Dante, soprattutto contro la corruzione ecclesiastica e gli abusi del potere politico, in nome della giustizia. La struttura È il primo dei tre regni dell'Oltretomba cristiano visitato da Dante nel corso del viaggio, con la guida di Virgilio. Dante lo descrive come un'immensa voragine a forma di cono rovesciato, che si spalanca nelle viscere della terra sotto la città di Gerusalemme, nell'emisfero settentrionale della Terra. Questa cavità sotterranea si è aperta quando Lucifero, cacciato dal Cielo dopo la sua ribellione a Dio, fu scaraventato al centro della Terra dove è tuttora confitto; la terra si ritrasse per il contatto col demonio e avrebbe formato il monte del Purgatorio, che sorge agli antipodi di Gerusalemme, nell'emisfero meridionale. Sulla porta dell'Inferno c'è una scritta minacciosa di colore oscuro, che preannuncia a chi la attraversa le pene infernali e l'impossibilità di tornare indietro; la porta è scardinata e permette un facile accesso, ciò in quanto Cristo trionfante dopo la resurrezione la sfondò per andare nel Limbo e trarre fuori i patriarchi biblici. Non sappiamo dove si collochi con precisione questo ingresso, ma Dante e Virgilio impiegano quasi un giorno per raggiungerlo dopo l'episodio della selva oscura.

L'Inferno è diviso in nove Cerchi, simili a delle cornici rocciose che circondano la parte interna della voragine e che ospitano i vari dannati. C'è un Vestibolo, detto anche Antinferno, dove si trovano gli ignavi. Questo luogo è diviso dall'Inferno vero e proprio dal fiume Acheronte, dove i dannati vengono traghettati da Caronte sulla sua barca. Il I Cerchio, detto anche Limbo (da «lembo», ovvero orlo estremo dell'abisso infernale), ospita i pagani virtuosi e i bambini morti prima del battesimo; queste anime non sono né dannate né salve e non subiscono alcuna pena, tranne il desiderio inappagabile di vedere Dio (Virgilio è una di esse). Dopo il passaggio dell'Acheronte, i dannati giungono davanti a Minosse, custode del II Cerchio e giudice infernale. Le anime confessano tutti i loro peccati e Minosse indica qual è il Cerchio dove saranno destinati, attorcigliando la lunga coda intorno al corpo. Schema riassuntivo Vestibolo (Antinferno) Ignavi, uomini che non si sono schierati dalla parte del bene né del male. Corrono dietro un'insegna senza significato, punti da vespe e mosconi (ci sono anche gli angeli «neutrali», non schieratisi con Dio né con Lucifero). I Cerchio (Limbo) Pagani virtuosi, bambini non battezzati e «spiriti magni». Non subiscono alcuna pena, tranne il desiderio inappagabile di veder Dio. II Cerchio (lussuriosi) Sono trascinati da una violenta bufera infernale. Minosse giudica i dannati ed è custode del Cerchio. III Cerchio (golosi) Giacciono in un fango maleodorante, colpiti da una incessante pioggia. Cerbero li rintrona coi suoi latrati e li graffia con gli artigli. IV Cerchio (avari e prodighi) Divisi in due opposte schiere, fanno rotolare enormi macigni in direzioni opposte, finché cozzano gli uni contro gli altri. A questo punto si rinfacciano rispettivamente la loro colpa, poi tornano indietro fino al punto opposto del Cerchio. Il demone Pluto (Plutone) custodisce il Cerchio, ma non partecipa alla loro pena. V Cerchio (iracondi) Sono immersi nella palude formata dal fiume Stige, che circonda la città infernale di Dite, e si colpiscono continuamente con schiaffi, pugni, morsi (tranne gli «accidiosi», ovvero gli iracondi amari e difficili che covarono il risentimento e sono totalmente immersi nella palude).

Il demone Flegiàs è il custode del Cerchio, funge da traghettatore delle anime alla città di Dite. VI Cerchio (eresiarchi) Giacciono in tombe di pietra infuocate, dentro la città di Dite che è custodita da centinaia di diavoli. Tra di essi vi sono soprattutto i seguaci dell'epicureismo, che affermavano la mortalità dell'anima. VII Cerchio (violenti) I Girone (violenti contro il prossimo): sono immersi nel Flegetonte, fiume di sangue bollente, e sono tenuti a bada dai Centauri armati di arco e frecce. II Girone (suicidi e scialacquatori): i primi sono imprigionati dentro gli alberi della selva e tormentati dalle Arpie; i secondi sono inseguiti da cagne nere che li azzannano e sbranano. III Girone (bestemmiatori, sodomiti, usurai): sono in un sabbione infuocato, sotto una pioggia di fiammelle; i bestemmiatori sono sdraiati e immobili, i sodomiti camminano, gli usurai restano seduti. VIII Cerchio (Malebolge, peccatori di frode) I Bolgia (ruffiani e seduttori): sono frustati dai diavoli II Bolgia (adulatori): sono immersi nello sterco III Bolgia (simoniaci): sono conficcati dentro delle buche a testa in giù, con le piante dei piedi accese da fiammelle IV Bolgia (indovini): camminano con la testa rivoltata all'indietro V Bolgia (barattieri): sono immersi nella pece bollente, sorvegliati da demoni alati armati di bastoni uncinati (Malebranche) VI Bolgia (ipocriti): camminano con indosso una cappa di piombo dorata all'esterno VII Bolgia (ladri): hanno le mani legate dietro la schiena da serpenti e subiscono orribili metamorfosi VIII Bolgia (consiglieri fraudolenti): sono avvolti da una fiamma IX Bolgia (seminatori di discordie): sono tagliati e mutilati da un diavolo armato di spada X Bolgia (falsari): i falsari di metalli sono colpiti dalla scabbia; quelli di persone si addentano tra loro; quelli di monete sono tormentati dalla sete; quelli di parole sono colpiti da febbre altissima IX Cerchio (Cocito, traditori) Sono imprigionati nel ghiaccio: i traditori dei parenti a capo chino, quelli della patria fino a mezza faccia col capo eretto, quelli degli ospiti col capo all'indietro (così che le lacrime si ghiaccino e chiudano loro gli occhi), quelli dei benefattori sono totalmente immersi nel ghiaccio.

Al centro di Cocito si trova Lucifero, che nelle tre bocche maciulla Bruto e Cassio (traditori di Cesare) e Giuda (traditore di Cristo) . La scrittura Nell’inferno è evidente la consapevolezza della necessità di un forte impegno linguistico per descrivere le realtà escatologiche. Alla complessità strutturale della commedia corrisponde una tessitura linguistica variegata, dove non si allude solo al latino e al volgare (plurilinguismo), ma alla poliglottia degli stili e dei generi letterari. Il poeta si serve di fonti sacre,profane,cronaca e di leggende oscillando cosi tra linguaggio comico e tragico. Attraversare l’inferno significa inoltrarsi in un tessuto linguistico vario e complesso, discendere negli abissi del realismo fino al grottesco e al trivale, per risalire poi e recuperare la dignità e il decoro linguistico.

CANTO 1 Il canto I dell’Inferno è di introduzione all’intero poema, presenta quindi la situazione iniziale e spiega le ragioni del viaggio allegorico: Dante vi compare nella duplice veste di personaggio reale, che in un determinato momento storico si smarrisce in una selva (a metà della sua vita, quindi nell'anno 1300 quando stava per compiere 35 anni), e in quella di ogni uomo che in questa vita è chiamato a compiere un percorso di redenzione e purificazione morale per liberarsi dal peccato e guadagnare la beatitudine. Sul piano allegorico, dunque, la selva rappresenta proprio il peccato (essa è infatti descritta come selvaggia e aspra e forte, spaventosa al solo ricordo e poco meno amara della morte stessa), mentre su quello letterale è un luogo in cui chi compie un viaggio rischia realisticamente di smarrirsi per essere uscito dalla diritta via, per cui i lettori del tempo di Dante potevano trovare familiare un paesaggio simile (all'epoca le zone boscose erano assai estese e selvatiche). Altrettanto realistici gli altri elementi del paesaggio simbolico, a cominciare dal colle che allegoricamente raffigura la via alla felicità terrena, cioè al possesso delle virtù cardinali (fortezza, temperanza, prudenza e giustizia) per le quali la ragione umana è sufficiente, e che Dante tenta inutilmente di scalare vedendo sorgere il sole dietro la sua vetta (esso rappresenta la via verso la salvezza, oltre all'ovvia considerazione che il nuovo giorno dissipa le paure della notte e ridona al poeta nuova speranza). Le tre fiere che sbarrano il passo al poeta e lo ricacciano verso la selva sono invece le tre principali disposizioni peccaminose: la lonza è la lussuria, il leone è la superbia, la lupa è l’avarizia-cupidigia. Più pericolosa è la lupa-avarizia, radice di tutti i mali e per Dante causa prima del disordine politico e morale che regnava in Italia all’inizio del Trecento, di cui è simbolo del resto anche la selva, mentre va ricordato che in molti passi del poema egli si scaglia con forza contro la corruzione del mondo politico ed ecclesiastico del suo tempo, causata principalmente proprio dall'avidità di denaro. La lupa si rivela un ostacolo insuperabile e Dante lentamente scivola nuovamente verso la selva, cioè il peccato. La seconda parte del Canto vede come protagonista Virgilio, che sarà la prima guida di Dante nel viaggio ultraterreno e che è allegoria della ragione umana dei filosofi antichi, guida sufficiente a condurre l’uomo al pieno possesso delle virtù cardinali: egli giunge in soccorso del poeta in modo inaspettato, come un'apparizione spettrale, tanto che Dante gli chiede timoroso se sia ombra od omo certo. La risposta del poeta latino è una vera e propria prosopopea, un'elegante auto-presentazione in cui Virgilio non fa direttamente il proprio nome (sarà Dante a citarlo al termine delle sue parole) e si manifesta come l'autore dell'Eneide, il poema che era considerato il capolavoro della letteratura latina e il cui protagonista, Enea, è centrale nella tradizione classico-cristiana, in quanto fondatore della stirpe romana e, indirettamente, di quella Roma che sarà centro dell'Impero e della Chiesa. Virgilio rimprovera Dante del fatto che non sale il dilettoso monte che è principio di ogni

felicità e il poeta fiorentino risponde indicando Virgilio come il suo maestro, colui da cui ha tratto l'alto stile tragico che gli ha dato la fama, invocando poi il suo aiuto contro la lupa-avarizia che lo riempie di terrore e costituisce uno sbarramento insuperabile: la successiva risposta di Virgilio si divide in due parti, la prima delle quali dedicata alla profezia del «veltro» che ricaccerà la lupa nell'Inferno da dove è uscita, la seconda al viaggio nell'Oltretomba che Dante dovrà affrontare se vuole scampare da questo loco selvaggio, e in cui sotto la sua guida visiterà Inferno e Purgatorio, mentre se vorrà visitare anche il Paradiso dovrà attendere la guida di Beatrice, in quanto Virgilio è pagano e non è quindi ammesso nel regno di quel Dio che non ha conosciuto. Allegoricamente Beatrice raffigura la grazia santificante e la teologia rivelata, che sola può portare l'uomo alla salvezza, mentre è affermata fin dall'inizio l'insufficienza della ragione naturale, che è in grado di condurre l'uomo al possesso delle virtù cardinali e a una condotta onesta, ma non di arrivare alla beatitudine eterna: è questa l'ossatura allegorica dell'intero poema e la cosa diverrà chiara già dal Canto II, in cui Virgilio rievocherà l'incontro con Beatrice nel Limbo e spiegherà che il viaggio di Dante è voluto da Dio, dunque non è folle in quanto non affrontato col solo ausilio della ragione dei filosofi che Virgilio rappresenta. La scelta di questo personaggio come guida nella prima parte del viaggio è stata molto discussa, in quanto Dante avrebbe potuto scegliere un filosofo come Aristotele o un personaggio storico come Catone Uticense, ma Virgilio nel Medioevo era ritenuto un pensatore al pari degli altri grandi filosofi antichi, inoltre si riteneva che avesse intravisto alcune verità del Cristianesimo e le avesse preannunciate nelle sue opere ; egli era anche il principale scrittore dell'età di Augusto, sotto il cui Impero il mondo aveva conosciuto pace e giustizia, indispensabili secondo il pensiero medievale affinché potesse diffondersi il Cristianesimo, per cui l'autore dell'Eneide era in realtà una scelta quasi obbligata come maestro e guida di Dante nel viaggio attraverso i primi due regni ultraterreni. È interessante inoltre osservare che dopo questo primo incontro fra discepolo e maestro si creerà un rapporto di reciproco intenso affetto, per cui Virgilio accudirà Dante come un figlio e questi ricambierà le cure con profondo rispetto e deferenza, fino al momento della separazione in cui Dante si abbandonerà a un pianto disperato. Il Canto si chiude con Dante che, pieno di speranza e di buoni propositi, si accinge a seguire la sua guida per giungere nei luoghi che gli ha preannunciato, salvo poi (all'inizio del Canto seguente) venire assalito da dubbi e timori, che Virgilio fugherà raccontando del suo incontro con Beatrice

II CANTO Il Canto II è in realtà il primo della Cantica ed è per questo che si apre con il proemio, ovvero l'enunciazione del tema e l'invocazione alle Muse che dovranno assistere Dante nel racconto del viaggio compiuto nell'Oltretomba: rispetto al proemio delle altre due Cantiche, qui Dante si limita ad invocare in modo generico l'assistenza delle Muse, da intendersi come personificazione di Dio al pari di Apollo, e a manifestare l'intenzione di descrivere in modo veritiero la sostanza delle cose viste durante il viaggio. Il tramonto e il calare delle tenebre fanno nascere nel poeta nuovi dubbi, che non esita a manifestare alla sua guida Virgilio. Dante non si sente all'altezza della missione di cui è investito e cita gli esempi di Enea e san Paolo, entrambi protagonisti di un viaggio nell'Aldilà (Enea era sceso agli Inferi per parlare col padre Anchise, come spiegato da Virgilio stesso nel libro VI dell'Eneide, mentre Paolo era stato rapito nel III Cielo, come narrato in II Cor., XII, 24). Sono due figure centrali nella tradizione classico-cristiana, in quanto Enea è legato alla successiva fondazione di Roma, futuro centro dell'Impero romano e destinata a diventatare sede del Papato, mentre san Paolo è l'Apostolo che più di ogni altro contribuì a diffondere il Cristianesimo nel mondo e a fissarne i primi fondamenti teologici. Dante è stato in realtà scelto dalla grazia divina per l'altissimo compito di andare nell'Oltretomba da vivo e riferire, una volta tornato sulla Terra, tutto quello che ha visto, in virtù di un privilegio che deriva dai suoi meriti intellettuali e poetici, ma in questo momento il confronto coi due modelli precedenti lo riempie di timore e lo induce a recedere dal proposito che alla fine del Canto precedente aveva assunto con eccessiva sicurezza. La paura di Dante è che il viaggio nell'Aldilà sia folle, non autorizzato dal volere divino e foriero quindi di pericoli sul piano della salvezza. Virgilio lo accusa subito di viltà e lo paragona a una bestia che si adombra per dei pericoli inconsistenti, in quanto il suo viaggio è voluto da Dio e quindi il poeta non ha nulla da temere: per convincerlo di questo il poeta latino inizia un lungo flashback, in cui rievoca il suo incontro nel Limbo con Beatrice che è chiaramente da interpretare come allegoria della grazia e della teologia rivelata, senza il cui ausilio è impossibile per l'uomo raggiungere la salvezza eterna (infatti Virgilio, allegoria della ragione naturale dei filosofi antichi, condurrà Dante solo fino alla vetta del Paradiso Terrestre, per scomparire al momento dell'arrivo di Beatrice, come già anticipato nel Canto I). La donna è descritta coi tipici attributi della donna-angelo dello Stilnovo e Virgilio riferisce il discorso con cui lei gli chiede di soccorrere Dante, una sorta di suasoria classica con tanto di captatio benevolentiae: ella lo elogia per i suoi meriti di poeta e la fama destinata a durare fino alla fine dei tempi, quindi gli descrive i pericoli corsi da Dante nella selva dove è impedito nel suo cammino dalle tre fiere, che come sappiamo simboleggiano le tre disposizioni peccaminose che ostacolano l'uomo nel suo percorso di redenzione. Si presenta come Beatrice, venuta espressamente dal Cielo per invocare l'aiuto in favore del suo amico Dante, e

sollecita l'intervento di Virgilio con la sua parola ornata, con l'aiuto quindi della sua poesia e delle sue capacità retoriche, promettendo infine di lodare il poeta antico presso Dio quando sarà tornata al Suo cospetto. L'episodio ha un importante significato allegorico, in quanto chiarisce che il viaggio di Dante ha, sì, come guida la ragione naturale, ma essa è subordinata alla grazia santificante che è raffigurata da Beatrice e senza la quale ogni percorso di purificazione morale è destinato a fallire; non a caso Virgilio saluta Beatrice come la donna grazie alla quale solamente la specie umana può sollevarsi al di sopra del mondo terreno e sublunare, quindi come la virtù in grado si condurre l'uomo alla salvezza eterna (in quanto teologia rivelata, infatti, Beatrice condurrà Dante al possesso delle tre virtù teologali, ignote a Virgilio in quanto pagano e relegato nel Limbo). La stessa Beatrice opera un flashback narrando il fatto che santa Lucia, a sua volta inviata dalla Vergine Maria, l'aveva sollecitata a salvare Dante (alcuni commentatori hanno visto un senso allegorico anche in queste due figure, che indicherebbero rispettivamente la grazia illuminante e la grazia preveniente). In ogni caso nel racconto di Beatrice appare chiaro che il viaggio di Dante è voluto da Dio e la «trafila» delle tre donne benedette rimarca il fatto che il suo percorso è tutt'altro che folle, dal momento che il suo destino è oggetto della più ansiosa sollecitudine da parte nientemeno che della Vergine. L'amore di Beatrice per il poeta l'ha spinta a lasciare subito il suo beato scanno e a scendere addirittura nell'Inferno, benché ella spieghi a Virgilio che questo luogo non può farle paura in quanto incapace di arrecarle danno (è un riferimento alla paura inconsistente di Dante, i cui timori non hanno ragion d'essere), e la donna pone fine al suo accorato discorso rivolgendo al poeta latino gli occhi velati di lacrime, il che l'ha indotto a giungere quanto prima in aiuto a Dante. Il richiamo di Virgilio e, soprattutto, il ricordo di Beatrice hanno su Dante un effetto immediato, così che il poeta prega il suo maestro di proseguire immediatamente il viaggio, simile a un fiore che il freddo notturno ha chiuso e che si riapre alle prime luci del mattino (la similitudine è rovesciata rispetto all'ora del giorno, visto che sulla Terra sta calando il buio): questo avverrà anche in altre occasioni, allorché Dante sarà preso da dubbi o verrà scoraggiato dalle difficoltà del cammino, specialmente durante la discesa all'Inferno ma anche (come vedremo) in occasione della faticosa ascesa del Purgatorio, quando Virgilio in più circostanze rimanderà il discepolo alle spiegazioni più precise e puntuali di Beatrice che lo attende sulla vetta del monte.

III CANTO Il canto si apre con la famosa descrizione della porta infernale: non viene detto dove essa precisamente si collochi, qui viene citata soltanto la scritta che campeggia su di essa, di colore oscuro (forse anche quanto al senso, visto che Dante deve chiedere spiegazioni a Virgilio). L'ingresso nell'Inferno ha un effetto traumatico per Dante, colpito da sensazioni visi...


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