Parafrasi Divina Commedia PDF

Title Parafrasi Divina Commedia
Course Letteratura Italiana
Institution Università degli Studi di Parma
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Parafrasi dei canti I-II-XXIII-XXIV-XXV-XXVI-XXVII-XXXIII dell'Inferno della Divina Commedia....


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Parafrasi Divina Commedia – Inferno Canto I 1-3 A metà del percorso (cammin) della vita umana mi ritrovai per un bosco (selva) oscuro, poiché (ché) la via giusta (diritta) del bene era smarrita. 4-9 Ahi quanto è difficile (è cosa dura) descrivere (dir) com’era questa (esta) selva orrida (selvaggia) e impraticabile (aspra) e difficile da attraversare (forte) che solo a ripensarvi (nel pensier) rinnova la paura! È tanto piena di angoscia (amara) che poco più angosciosa è la morte del corpo e dell’anima. Ma per parlare compiutamente (trattar) del bene che io vi trovai, racconterò (dirò) altre cose che io vi ho viste (scorte). 10-12 Io non so spiegare (ridir) bene come io vi entrai, tanto ero addormentato (pien di sonno), cioè spiritualmente offuscato, nel momento (a quel punto) in cui (che) abbandonai la via del bene (verace). 13-18 Ma dopo che io (poi ch’i’) fui giunto ai piedi di un colle, là dove terminava quella valle, in cui si trovava la selva che mi aveva trafitto (compunto) il cuore di paura, guardai in alto e vidi i suoi pendii verso la cima (le sue spalle) già illuminati (vestite) dai raggi del sole (pianeta) che conduce (mena) sulla retta via (dritto) ogni uomo (altrui), su qualunque strada egli s’indirizzi (per ogne calle). 19-21 Allora l’angoscia (la paura), che mi aveva tormentato (m’era durata) nel profondo del cuore (nel lago del cor) quella (la) notte che io avevo trascorso (ch’i’ passai) con tanto affanno (pieta), si acquietò un poco. 22-27 E come colui (quei) che col respiro (lena) affannato, uscito fuori dal mare (pelago) sulla riva (a la riva), si volge verso l’acqua in cui aveva corso pericolo di vita (perigliosa) e (la) osserva fissamente, così il mio animo, ancora desideroso di fuggire (ch’ancor fuggiva), si voltò indietro (si volse a retro) a contemplare di nuovo (rimirar) il passaggio (lo passo), cioè la selva, che non lasciò mai vivo alcuno. 28-30 Dopo che ebbi (poi ch’èi) riposato (posato) un poco il corpo stanco (lasso), ripresi il cammino (via) per il pendio (piaggia) solitario (diserta), cosicché il piede su cui mi appoggiavo (fermo) stava sempre più in basso, cioè cominciai a salire. 31-36 Ed ecco, quasi all’inizio (al cominciar) della salita (erta) mi apparve una lonza snella (leggiera) e molto veloce (presta), che era ricoperta (coverta) di pelo a macchie (macolato); e non si allontanava (si partia) da me (dinanzi al volto), anzi ostacolava (‘mpediva) tanto il mio cammino che io fui indotto (vòlto) più volte a tornare indietro. 37-45 Era l’alba (Temp’era dal principio del mattino), e il sole sorgeva (montava ‘n sù) (in congiunzione) con la costellazione (quelle stelle) dell’Ariete, la quale era in congiunzione medesima col sole (con lui) quando Dio (l’amor divino) mise in moto (mosse) per la prima volta (di prima) il firmamento (quelle cose belle); cosicché (sì ch’) l’ora (l’ora del tempo) favorevole e la dolce stagione (la primavera) erano motivo (cagione) di buona speranza riguardo a (di) quella fiera dalla pelle screziata (gaetta); ma non a tal punto che non mi facesse paura l’aspetto (la vista) di un leone che mi apparve all’improvviso. 46-48 Sembrava (parea) che il leone (questi) venisse contro di me (contra me) con la testa alta e con fame rabbiosa, cosicché (sì che) sembrava (parea) che facesse tremare l’aria (l’aere ne tremesse). 49-54 E una lupa, che per (ne) la sua magrezza pareva (sembiava) carica (carca) di ogni voglia (di tutte brame), e che in passato (già) fece (fé) vivere miseramente (grame) molte persone, questa mi procurò (porse) tanta angoscia (tanto di gravezza) per (con) la paura che suscitava (uscia) con il suo aspetto (vista), che io perdetti (perdei) la speranza di raggiungere la cima del colle (altezza).

55-60 E com’è colui (E qual è quei), cioè l’avaro o il giocatore, che volentieri accumula (acquista) e, arrivato il momento (giugne ‘l tempo) che lo fa (face) perdere, piange e si rattrista nel chiuso di tutti i suoi pensieri; tale mi rese (fece) la bestia irrequieta (sanza pace) (la lupa), la quale, venendomi incontro, mi respingeva (ripigneva) a poco a poco là nella selva (dove ‘l sol tace). 61-66 Mentre io precipitavo (rovinava) verso il basso, dinanzi agli occhi mi apparve (mi si fu offerto) uno i cuoi contorni apparivano incerti a causa del silenzio del sole, cioè del buio (chi per lungo silenzio parea fioco). Quando vidi costui in quel grande deserto, «Abbi pietà di me», gli gridai, «chiunque tu sia (qual che tu sii), od ombra o uomo in carne e ossa (certo)!». 67-78 Mi rispose (Rispuosemi): «Non sono un uomo vivente (omo), lo fui in passato (già) e i miei genitori (parenti) furono dell’Italia settentrionale, ambedue mantovani per luogo di nascita (per patrïa). Nacqui al tempo di Giulio Cesare (sub Iulio), sebbene troppo tardi perché potesse apprezzarmi (ancor che fosse tardi), e vissi a Roma al tempo (sotto) del valente (buono) Augusto, all’epoca degli dei falsi e ingannevoli (bugiardi), cioè prima della nascita di Cristo. Fui poeta, e cantai di quel giusto figliolo di Anchise (Enea) che venne in Italia da (di) Troia, dopo che la superba Ilio, cioè Troia, fu bruciata (combusto). Ma tu perché ritorni verso un luogo di così grande angoscia (a tanta noia), cioè la selva? Perché non Sali il monte, fonte di felicità (dilettoso), che è principio e causa di perfetta beatitudine (tutta gioia)? 79-90 «Sei proprio tu quel famoso Virgilio e quella fonte che spandi un così largo fiume di eloquenza (parlar)?», gli (lui) risposi abbassando la fronte in segno di riverenza (con vergognosa fronte). «O onore e guida (lume) degli (de li) altri poeti, mi valga (vagliami) presso di te l’assiduo (lungo) studio e il grande amore che mi ha fatto leggere e rileggere (cercar) la tua opera (lo tuo volume). Tu sei il mio maestro e il mio autore per eccellenza; tu sei l’unico da cui appresi (tolsi) lo stile tragico (lo bello stilo) che mi ha procurato (fatto) onore. Guarda la bestia per la quale io mi rivolsi verso la selva; salvami (aiutami) da lei, famoso saggio, poiché ella mi fa tremare le vene e le arterie (i polsi) per la paura». 91-96 «È necessario (convien) che tu prenda (tenere) un’altra via (vïaggio)», rispose (Virgilio), dopo che mi vide lacrimare, «se vuoi scampare (campar) da questa selva (d’esto loco selvaggio); poiché (ché) questa bestia, a causa della quale tu invochi aiuto (gride), non lascia passare nessuno (altrui) sulla sua strada, ma tanto l’ostacola (‘mpedisce) che lo uccide. 97-99 E ha una natura così malvagia e crudele (ria) che mai non soddisfa (empie) la voglia insaziabile (bramosa), e dopo il pasto ha più fame di prima (che pria). 100-105 Molti sono gli uomini ( li animali) a cui si unisce (s’ammoglia) e saranno ancora di più in seguito, fino a quando verrà il veltro (un cane da caccia) che la far morire con dolore ( doglia). Il veltro (Questi) non si nutrirà (ciberà) di possedimenti (terra) né di ricchezze (peltro) ma di sapienza, amore e virtù ( virtute) e sarà di umili origini (sua nazion sarà tra feltro e feltro). 106-108 Sarà (fia) salvezza (salute) di quell’Italia decaduta (umile) per la quale morì la vergine Camilla, Eurialo e Turno e Niso per le ferite (di ferute). 109-111 Il veltro (Questi) caccerà la lupa (la) per ogni luogo (villa), finché l’avrà ricacciata (rimessa) nell’inferno, là da dove (onde) Lucifero (‘nvidia prima) la fece uscire (dipartilla) per corrompere gli uomini. 112-114 Per cui (Ond’) io per il tuo meglio (lo tuo me’) penso e giudico (discerno) che tu mi segue, e io sarà tua guida, e ti porterò via ( trarrotti = ti trarrò) da questo luogo ( di qui) attraverso l’inferno che durerà in eterno (perché non c’è redenzione) (per loco etterno); 115-120 nel quale (ove) udirai le grida (strida) disperate (dei dannati), vedrai gli spiriti dolenti che sono là da molto tempo (antichi), in modo che (ch’) ciascuno invoca (grida) la morte dell’anima, la dannazione

(seconda morte); e vedrai coloro che sono contenti tra le pene ( nel foco) del purgatorio, perché sperano di raggiungere, quando sarà il momento (quando che sia), le anime dei beati. 121-126 Alle quali (A le quai) se tu poi vorrai salire, ci sarà ( fia) un’anima (Beatrice) più degna di me per fare ciò: ti lascerò in sua compagnia quando me ne andrò ( nel mio partire); poiché (ché) quell’imperatore (Dio) che regna lassù (in Paradiso), per il fatto che io fui estraneo ( ribellante) alla sua legge (cioè non fui cristiano in quanto vissuto prima di Cristo) non vuole che entri (si vegna = si venga) nella sua città (in paradiso). 127-129 Dio impera su tutto l’universo e là ( quivi) governa direttamente (regge); lassù (quivi) è la sua città e l’alto trono: oh felice colui che Dio vi destina (cu’ ivi elegge)!». 130-136 E io a lui: «Poeta, io ti richiedo ( richeggio) per quel Dio che tu non conoscesti, affinché ( a ciò ch’) io scampi (fugga) da questo male (il peccato) e dal peggio che ne seguirebbe (la dannazione) che tu mi conduca (meni) là dove hai detto ora (cioè nell’inferno e nel purgatorio) cosicché ( sì ch’) io possa vedere (veggia) la porta di san Pietro (cioè il paradiso) e coloro (i dannati) che ( cui) tu descrivi (fai) tanto tristi». Allora si mosse e io lo (li) seguii (tenni dietro).

Canto III 1-6 “Attraverso me (per me) si va nella città del dolore (l’inferno), attraverso me si va nel luogo dove il dolore è eterno, attraverso me si va tra i dannati (perduta gente). Giustizia mosse il mio divino (alto) creatore (fattore); mi creò (fecemi) il divino potere (la divina podestate) del Padre, la somma sapienza del Figlio e l’amore dello Spirito Santo. 7-9 Prima di me (Dinanzi a me) non furono (fuor) create cose se non eterne, e io duro eternamente (etterno). Lasciate ogni speranza, voi che entrate”. 10-12 Io vidi queste parole, di colore scuro, scritte sulla sommità di una porta; per cui dissi: «Maestro, il loro significato è per me spaventoso (duro)». 13-18 Ed egli (elli) rispose a me come persona dotata d’intuito (accorta): «A questo punto (Qui) è necessario (si convien) abbandonare ogni timore (sospetto); bisogna (convien) che ogni viltà sia cancellata (morta). Noi siamo giunti al luogo di cui ti avevo parlato, in cui vedrai le anime dolenti dei dannati che hanno perduto il bene dell’intelletto (cioè Dio)». 19-21 E dopo che mi ebbe preso per mano con volto lieto, per cui io mi rassicurai (mi confortai), mi introdusse (mi mise dentro) nel mondo inaccessibile (a le segrete cose) dell’inferno. 22-24 Qui (Quivi) sospiri, pianti e forti lamenti (alti guai) risuonavano nell’aria (aere) buia (sanza stelle), per cui (per ch’) io in un primo momento (al cominciar) ne piansi (lagrimai). 25-30 Lingue strane (Diverse), pronunce (favelle) orribili, parole generate dal dolore, esclamazioni (accenti) d’ira, suoni inarticolati (voci) forti (alte) e deboli (fioche), e battito (suon) di mani con esse (elle) provocavano un clamore (facevano un tumulto) che si aggira sempre in quell’aria (aura ) eternamente (sanza tempo) buia (tinta), come turbina la sabbia quando il vento (turbo) soffia vorticosamente (spira). 31-33 E io che avevo (ancora) la testa avvolta (cinta) nel dubbio (d’error), dissi: «Maestro, che cos’è quello che io odo? E chi è quella gente (che gent’è) che appare (par) così sopraffatta (vinta) nel dolore (duol)?». 34-36 Ed egli (elli) a me: «In questa misera condizione (modo) si trovano (tegnon = tengono) le anime spregevoli (triste) di colore che vissero senza infamia e senza lode (lodo). 37-39 Sono mescolate (Mischiate) a quella malvagia schiera (cattivo coro) di angeli che non si ribellarono né furono fedeli a Dio, ma furono (fuoro) per sé stessi.

40-44 I cieli li cacciano per non essere meno belli, né il profondo inferno li accoglie, in quanto i malvagi (rei) avrebbero della loro presenza (d’elli) qualche motivo di gloria (alcuna gloria).» E io: «Maestro, che cos’è per loro (a lor) tanto doloroso (greve) che li fa lamentare così fortemente?». 45-51 Rispose: «Te lo dirò (Dicerolti) molto brevemente. Questi non hanno speranza di annientarsi (di morte), e la loro oscura (cieca) vita è tanto miserabile (bassa), che sono invidiosi di qualunque altro destino (ogne altra sorte). Il mondo (dei viventi) non consente (non lassa) che sussista (esser) ricordo (Fama) di loro; la misericordia e la giustizia (divine) li rifiutano (sdegna): non parliamo (ragioniam) più di loro, ma guarda e passa oltre». 52-57 E io, che guardai con attenzione (riguardai), vidi un’insegna che girando su sé stessa correva tanto velocemente (ratta), che mi sembrava (mi parea) incapace (indegna) di ogni sosta (ogne posa); e la seguiva (dietro le venìa) una così lunga fila (tratta) di anime (gente), che io non avrei creduto che la morte ne avesse distrutte (disfatta) tante. 58-60 Dopo (Poscia) che vi ebbi riconosciuto qualcuno, vidi e riconobbi l’ombra di colui che per viltà (viltade) fece il grande rifiuto (si riferisce a Celestino V o a Ponzio Pilato). 61-63 Subito (Incontanente) compresi (intesi) e ne fui certo che questa era la schiera (setta) dei vili (cattivi) spiacenti a Dio e ai suoi nemici (i diavoli). 64-69 Questi essere spregevoli (sciaurati), che mai non furono (veramente) vivi, erano nudi e punzecchiati (stimolati) continuamente (molto) da mosconi e vespe che erano lì (ivi). Gli insetti (Elle = esse) rigavano loro il volto di sangue che, mescolato alle (mischiato di) lacrime, era raccolto (ricolto) ai loro piedi da vermi schifosi (fastidiosi). 70-75 E dopo che mi misi (mi diedi) a guardare oltre, vidi gente sulla riva di un grande fiume; per cui io dissi: «Maestro ora concedimi di sapere chi (quali) sono, e quale abitudine (costume) le fa apparire (parer) così ansiose (sì pronte) di oltrepassare (trapassar) il fiume, come io distinguo (discerno) attraverso la scarsa luce (fioco lume)». 76-79 Ed egli, Virgilio, a me: «Le cose ti saranno (fier) note (conte) quando fermeremo i nostri passi sul doloroso fiume (la triste riviera) Acheronte». 79-81 Allora, con gli occhi bassi per la vergogna (vergognosi e bassi), temendo che le mie parole (‘l mio dir) gli fossero sgradite (li fosse grave), mi astenni (trassi) dal parlare fino al fiume. 82-87 Ed ecco venire verso di noi su di una barca (per nave) un vecchio, bianco per una barba di lunga data (per antico pelo), che gridava: «Guai a voi, anime malvagie (prave)! Non sperate mai di vedere il cielo: io vengo per condurvi (menarvi) sull’altra riva nelle tenebre eterne, al caldo e al gelo. 88-93 E tu che sei là (cost), anima viva, allontanati (pàrtiti) da costoro (cotesti) che sono morti». Ma dopo aver visto che io non mi allontanavo, disse: «Per un’altra strada, per altri porti giungerai alla riva ( a piaggia), non qui, per passare (nell’aldilà): è necessario che ti porti una barca ( legno) più leggera (lieve).» 94-96 E la mia guida (duca) a lui: «Caronte, non ti arrabbiare (crucciare): si vuole (vuolsi) così nel luogo (colà; nel paradiso) dove si può ottenere ciò che si vuole, e non domandare altro». 97-99 Da quel momento in poi (Quinci) furono quiete (fuor quete) le guance (gote) coperte di barba (lanose) del traghettatore (al nocchier) della palude scura e limacciosa (livida), il quale intorno agli occhi aveva cerchi (rote) di fiamma. 100-105 Ma quelle anime, che erano disperate (lasse) e nude, cambiarono (cangiar) colore e batterono (dibattero) i denti, non appena (ratto che) udirono (‘nteser) le parole crudeli (crude). Bestemmiavano Dio e i

loro genitori (parenti), il genere umano (l’umana spezie) e il luogo e il tempo (della loro nascita) e il seme dei loro avi (di lor semenza) e quello da cui erano stati generati (di lor nascimenti). 106-108 Poi si radunarono (si ritrasser) tutte quante insieme, piangendo fortemente, sulla riva dei malvagi (malvagia) che attende ciascun uomo che non teme Dio. 109-111 Il demonio Caronte, facendo loro cenno con occhi di brace (bragia ), raduna tutte le anime; percuote col remo chiunque indugi (s’adagia). 112-117 Come d’autunno cadono (si levan) le foglie, l’una dopo l’altra, fino a che il ramo vede a terra tutte le sue spoglie, allo stesso modo (similemente) i malvagi discendenti (il mal seme) di Adamo si gettano (gittansi) da quella riva (di quel lito) a uno a uno, ai (per) cenni (di Caronte), come un uccello (augel) al proprio richiamo. 118-120 Così se ne vanno sull’onda scura (bruna), e prima che (avanti che) siano approdate (discese) sull’altra riva (di là), una nuova schiera di anime si raduna (s’auna) nuovamente (anche) di qua. 121-126 Il mio cortese maestro mi disse: «Figliolo mio, tutti quelli che muoiono in peccato mortale (ne l’ira di Dio) si radunano (convegnon) qui da ogni parte del mondo (d’ogni paese); e sono pronti a passare il fiume (trapassar lo rio), perché la giustizia divina li spinge (sprona), tanto che il timore (la tema) si trasforma in desiderio (disio). 127-129 Di qui (Quinci) non passa mai un’anima buona; e perciò (però) se Caronte si lamenta (si lagna) di te, ormai puoi capire bene che cosa significano le sue parole (che ‘l suo dir suona). 130-136 Dopo che Virgilio ebbe terminato il suo discorso (Finito questo), la buia terra (campagna) tremò così fortemente, che il ricordo (la mente) dello spavento mi bagna ancora di sudore. La terra bagnata di lacrime (lagrimosa) sprigionò (diede) un vento, in modo che una luce rosso acceso balenò, la quale mi fece perdere del tutto i sensi (mi vinse ciascun sentimento); e caddi come uno (l’uom) preso dal sonno (cui sonno piglia).

Canto XXIII 1-9 In silenzio, soli, senza scorta (compagnia), procedevano l’uno dinanzi all’altro, nel modo in cui camminano per strada i frati minori. Il mio pensiero era rivolto, per la recente (presente) rissa, alla favola di Esopo, in cui egli narrò la storia del topo e della rana; poiché non c0p maggiore equivalenza ( pareggia) di significato tra “mo” e “issa”, come tra la favola e la rissa (l’un con l’altro), se ben si confrontano (s’accoppia) attentamente (con la mente fissa) l’inizio e la conclusione. 10-18 E come da un pensiero ne scaturisce (scoppia) un altro, così dopo quello ne nacque poi un altro che raddoppiò in me la paura nata per prima. Io così pensavo: «Questi diavoli per causa nostra (per noi) sono scherniti con danno e con una tale beffa, che penso che a loro dispiaccia (nòi) molto. Se l’ira si aggiunge (s’aggueffa) alla loro volontà di fare il male, essi ci rincorreranno con più ferocia di quanto non faccia il cane con quella lepre (lievre) che poi azzanna (acceffa)». 19-24 Già mi sentivo arricciare tutti i peli per la paura e stavo attento a ciò che accadeva dietro di me, quando dissi: «Maestro, se non cerchi di nascondere in fretta (tostamente) me e te, io ho paura dei Malebranche. Noi ormai li abbiamo già alle spalle; io li immagino a tal punto, che mi pare di sentirne già la presenza (li sento)». 25-33 E quegli: «Se io fossi uno specchio (piombato vetro), non rifletterei (trarrei … a me) la tua immagine esterna più presto (tosto), di quanto non imprima in me (‘mpetro) quella interiore (quella dentro = il tuo pensiero). Proprio ora (Pur mo) i tuoi pensieri giungevano (venieno) in mezzo ai miei, con uno stesso atteggiamento e un medesimo aspetto (faccia), così che dagli uni agli altri ho tratto (fei) un’unica decisione

(consiglio). Se è vero (S’elli è) che la sponda alla nostra destra è poco ripida (giaccia), in modo che noi possiamo scendere nell’altra bolgia, noi sfuggiremo all’inseguimento (caccia) che ci immaginiamo». 34-45 Non aveva neppure finito (compié) di manifestarmi (rendere) questa decisione, che io li (i Malebranche) vidi sopraggiungere con le ali spiegate, non molto distanti, con l’intenzione di ghermirci. La mia guida mi afferrò immediatamente, come fa la madre che è destata dal rumore e vede ardere le fiamme vicino a sé, che prende il figlio e fuggi e non si ferma, preoccupandosi ( cura) più per lui che per sé, tanto da indossare anche solo una camicia; e giù dalla sommità (collo) dell’argine di pietra (ripa dura) si lasciò scivolare (supin si diede) lungo la parete scoscesa, che chiude (tura) uno dei lati dell’altra bolgia. 46-51 Mai così veloce scorse l’acqua attraverso un canale (per doccia) per far girare la ruota di un mulino di terraferma (terragno), quando essa più si avvicina (approccia) alle pale, come il mio maestro per quella parete dell’argine (vivagno), portandosi me sopra il petto, come fossi stato suo figlio, non il suo compagno (di viaggio). 52-57 I suoi piedi toccarono...


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