La fabbrica integrata - Appunti mancanti nella dispensa di storia economica di Rinaldi PDF

Title La fabbrica integrata - Appunti mancanti nella dispensa di storia economica di Rinaldi
Author Matilda Costantini
Course Storia economica
Institution Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
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Appunti mancanti nella dispensa di storia economica di Rinaldi...


Description

LA FABBRICA INTEGRATA (FI) ALLA FIAT Negli anni 70 (crisi petrolifere) si verifica un cambiamento nelle preferenze dei consumatori: ricercano prodotti più accessoriati e meno standardizzati => aumentano le vendite delle automobili giapponesi negli Stati Uniti, perché avevano una qualità migliore e consumavano meno. I 3 più grandi produttori americani di automobili (Ford, Chrysler, General motors) perdono quote di mercato. Scoprono la produzione snella anche in USA; si chiese se la produzione snella potesse funzionare anche fuori dal Giappone. Una prima risposta si ebbe negli anni 80, quando nascono negli USA fabbriche automobilistiche possedute da imprese giapponesi, organizzate secondo i principi della produzione snella. I risultati sono migliori di quelli delle imprese taylor-fordiste. Si impone alle imprese occidentali di modificare l’organizzazione del lavoro, adottando la produzione snella. Nel 1989 l’amministratore delegato della Fiat, Cesare Romiti, lancia la parola d’ordine della “Qualità totale”. La qualità delle automobili Fiat era molto più bassa delle altre. Per realizzare l’obiettivo della “qualità totale” viene lanciato il progetto della Fabbrica Integrata (FI). Ci sono due novità rispetto all’organizzazione taylor-fordista: - Organizzazione basata sui processi e non più sulle funzioni: prima era basata su strutture organizzative ricavate dalla funzione aziendale (un dipartimento per la qualità, uno per il magazzino, …), ma in questo modo se si dovevano prendere decisioni interfunzionali per problemi che riguardavano più dipartimenti, queste potevano essere prese solo dalla direzione dello stabilimento: venivano prese lontano dal luogo del problema e spesso in ritardo. Ora le decisioni interfunzionali devono essere prese dal basso, vicino a dove si verifica il problema e più velocemente - Creazione delle Unità Tecnologiche Elementari (UTE) che prendono il posto delle vecchie squadre operaie: queste ultime erano delle strutture con compiti di carattere esecutivo, non avevano potere di intervento. Alle UTE:  viene affidato il compito di gestire la produzione di un componente complesso del prodotto finale  vengono affidate tutte le risorse umane e tecniche affinché il responsabile possa prendere decisioni rapire per ripristinare il flusso produttivo in caso di problemi Accanto al capo-UTE, ci sono i tecnologi, cioè tecnici specializzati che aiutano il capo (tecnologo di linea e tecnologo specialista). Insieme compongono il “team tecnologico”. La UTE deve anche perseguire il miglioramento continuo e certificare la qualità prima di trasferire la produzione alla UTE successiva e lavorare con intelligenza e coinvolgimento. All’operaio si chiede di dare dei suggerimenti per il miglioramento, ma non fa parte del team tecnologico. Questa è una differenza con l’organizzazione alla Toyota: qui c’erano circoli di qualità, riunioni in cui venivano chiesti agli operai dei suggerimenti su come migliorare la produzione. Il progetto della Fabbrica Integrata venne inizialmente messo in atto nei vecchi stabilimenti della Fiat, dove vi erano rapporti conflittuali tra azienda e lavoratori: era difficile installarvi questo progetto che prevedeva rapporti collaborativi. Quindi nel 1993 la Fiat annuncia la costruzione di un nuovo stabilimento nel “Prato verde” di Melfi, già da subito basato sul modello della FI, che doveva poi fare da modello per tutto il gruppo Fiat. Si scelse Melfi perché era un’area priva di tradizioni industriali e delle incrostazioni della cultura conflittuale fordista tradizionale. Lo stabilimento di Melfi era composto da una parte dalla fabbrica vera e propria (reparti di stampaggio, lastratura, verniciatura e montaggio) e dall’altra da una ventina di fornitori di primo livello, così i fornitori riforniscono immediatamente la fabbrica nel momento del bisogno per evitare sprechi. I primi tre reparti hanno impianti molto moderni e automatizzati e sono presenti pochissimi operai molto qualificati; nel reparto montaggio le tecniche di produzione sono “a maggiore intensità di lavoro”, quindi ci lavorano la maggior parte degli operai. Per la realizzazione dello stabilimento fu stipulato un accordo tra la Fiat e le tre organizzazioni sindacali, che stabiliva le condizioni di lavoro.

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Avrebbe funzionato per 6 giorni su 3 turni anziché per 5 giorni su 2 turni come avveniva nelle altre fabbriche della Fiat - I salari sarebbero stati più bassi del 20% delle altre fabbriche - L’orario di lavoro sarebbe stato di 7 ore e 15 minuti per 6 giorni per 2 settimane, la terza settimana si lavora 7 ore e 15 minuti per 3 giorni con un weekend di 4 giorni - Il turno di notte si sarebbe ripetuto per 2 settimane di seguito (la “doppia battuta”). Questo per far sì che lo stabilimento lavorasse a ciclo continuo, fermandosi solo la domenica per consentire la manutenzione degli impianti. A Melfi quindi gli operai lavoravano di più ma guadagnavano di meno. C’erano due motivi per questa intensificazione: - l’accordo sindacale stabiliva che il recupero della produzione che veniva persa venisse recuperata con un aumento della velocità della linea perché, dato che la fabbrica lavorava 6 giorni su 7 e il 7° era di manutenzione, non c’era tempo materiale per fare degli straordinari - introduzione di una nuova metrica del lavoro (metrica del lavoro: serie di criteri standardizzati che l’analisi del lavoro ha definito per stabilire come e in quanto tempo un lavoro deve essere svolto): la metrica del lavoro più diffusa era la americana MTM (Method Time Measurement) che fu semplificata dai produttori europei nella TMC (Tempi dei Movimenti Collegati), adottata negli stabilimenti Fiat. Nello stabilimento di Melfi adottarono la TMC-2: intensificazione dei tempi di lavoro fino all’8% Nel 2004 ci fu una vertenza sindacale: gli operai dello stabilimento di Melfi fermarono la produzione per 24 giorni, per andare contro il modello della Fabbrica integrata. Perché? All’inizio la Fiat era ben disposta all’esperimento: tra il 1943 e 1945, un migliaio di futuri dipendenti dello stabilimento furono sottoposti ad un percorso di formazione sul modello della fabbrica integrata. All’avvio della fabbrica il problema fu che gli operai assunti nel reparto montaggio furono molti di più di quelli previsti; questi operai in più erano sottoposti a una formazione limitata e divenne poco importante il coinvolgimento attivo di questi operai poco qualificati. Quindi furono reintrodotte molte pratiche taylor-fordiste. La fabbrica integrata è un ibrido di fordismo e produzione snella (toyotismo). Da un lato introduce tratti della produzione snella: il principio della qualità e il principio dell’eliminazione delle scorte e dei magazzini. C’è un decentramento del potere verso il basso che porta vantaggi ai tecnologi e ai capi-UTE (cambiamento rispetto all’organizzazione taylor-fordista), ma non c’è un coinvolgimento attivo degli operai di linea (tratto mantenuto dell’organizzazione taylor-fordista)....


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