La gaia Scienza - Nietzsche spiegazione PDF

Title La gaia Scienza - Nietzsche spiegazione
Course Storia della filosofia
Institution Università degli Studi di Bergamo
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La gaia Scienza - Nietzsche spiegazione...


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LA GAIA SCIENZA

FRIEDRICH NIETZSCHE

Nietzsche esprime nel suo scritto una visione matura del mondo umano, un distacco composto. Il tema dominante dell'opera: "la sfera della conoscenza deve essere unita a quella della gioia". [Nietzsche presenta alcune nozioni che elaborerà nei suoi scritti successivi: eterno ritorno dell’uguale, nichilismo, la morte di Dio, volontà di potenza].

Egli polemizza contro i filosofi che, da Platone in poi, hanno congiunto la conoscenza con la repressione degli istinti naturali, con l'astrazione dal mondo sensibile o addirittura con la condanna dell'esistenza. Vi é una radicale critica in generale del pensiero scientifico, cui viene rimproverato il tentativo di spiegare tutto col nesso di causa ed effetto. Questo tipo di spiegazione ci consente di descrivere meglio il divenire nella successione delle sue immagini, ma non ce lo fa comprendere nei suoi aspetti qualitativi e per di più frammenta il flusso dell'accadere in elementi isolati; ed ecco che possiamo spiegare il singolare titolo dell'opera: la scienza moderna, a parere di Nietzsche, come accennavamo é soltanto la forma più recente e nobile dell'ideale ascetico, essa ha ancora fiducia nelle verità come valore in sè, superiore ad ogni altro e, quindi, non é in grado di contrastare questo ideale. E' tuttavia possibile quella che Nietzsche definisce gaia scienza , che si rivolge ai senzapatria, figli dell'avvenire e a disagio nel proprio tempo, amanti del pericolo e dell'avventura, avversi a ogni ideale, i quali non hanno intenzione di regredire ad alcun passato nè lavorare per il progresso, ossia per l'affermarsi dell'uguaglianza e della concordia tra gli uomini. Per raggiungere questo stato di gaiezza bisogna abbandonare la morale corrente, porsi liberi al di là del bene e del male e quindi staccarsi da parecchie cose, ma per far questo occorre acquisire una condizione di leggerezza: e Nietzsche paragona questo stato a quello della "danza". La prima domanda che é bene porsi per costruire una gaia scienza é se i cosiddetti valori morali siano segno di impoverimento o di pienezza della vita. Ma é radicale anche la critica mossa alla religione. Ed ecco che nell'agosto del 1881, in Engadina, "6000 piedi al di là dell'uomo e del tempo", Nietzsche ebbe la folgorazione dell'eterno ritorno, il vero mistero filosofico della sua vita. Ed é di questo periodo l'elaborazione del testo che stiamo prendendo in esame, la "Gaia scienza", libro che "rivela da cento segni la prossimità di qualcosa di incomparabile". Qui lo stile di Nietzsche sembra raggiungere la sua perfezione. E insieme ora si afferma definitivamente in Nietzsche quella "riabilitazione dell'apparenza" che segnerà l'ultima fase del suo pensiero. Tutte le tensioni laceranti che sfoceranno nella follia sono già presenti in queste pagine, ma ancora sovranamente dominate: e con quanta saggezza e con che spirito profetico egli prevedeva l'affermarsi del nichilismo, la perdita definitiva di tutti i valori tradizionali, primo fra tutti il Cristianesimo, cancro dell'universo! Il libro si avvia con la constatazione da parte del filosofo che tutti gli uomini in ultima istanza fanno quel che giova alla conservazione della specie umana, agendo mossi non tanto da un sentimento sublime, quanto piuttosto da un puro e semplice istinto. Molti hanno cercato e molti in futuro cercheranno di trovare un senso razionale alla vita, chiedendosi il perchè e provando a trovare una spiegazione. Ma la cosa più importante é imparare ad apprezzare la vita, senza mai perdere il senso della terra, annebbiati da eventuali vite ultraterrene! Ed ecco che Nietzsche constata amaramente che ai più manca la coscienza intellettuale, e che esigendola si finisce per essere in città popolose come deserti! E qui Nietzsche ne approfitta per riprendere la distinzione a lui cara tra nobile e volgare, asserendo comunque che fino ad oggi a permettere la conservazione della razza umana sono sempre state le persone più vigorose e cattive. E l'errore della specie umana consiste proprio nell'aver voluto trovare un perchè ad ogni cosa, nel tentativo di razionalizzare tutto, facendo morire il senso del tragico presente fino ad Eschilo e a Sofocle, massimi esponenti della tragedia greca. E' a partire da Euripide che si é avviato questo esasperato processo di razionalizzazione che ha portato in trionfo il dio Apollo, il solare dio della razionalità, a discapito di Dionisio, il notturno Dio dei festini e della tragedia. Ma in fin dei conti che spiegazione razionale vi potrà mai essere nel vivere? Che cosa significa vivere? Nietzsche prova a dare una sua spiegazione: Che significa vivere? Vivere - ecco quel che significa: respingere da sè senza tregua qualcosa che vuole morire; vivere- vuol dire essere crudeli e spietati contro tutto ciò che sta diventando debole e vecchio in noi. Vivere-vuol dire: essere senza pietà per i moribondi, i miserabili e i vecchi? Essere sempre di nuovo assassini? Eppure il vecchio Mosè ha detto: "Non uccidere!" Ma la grande e aspra polemica che Nietzsche muove nell'opera é indirizzata alla scienza, che facilmente conduce

all'adorazione della verità oggettiva, rende l'uomo schiavo dell'oggettività esterna, e contrapposta alla vita. Ma in realtà non ci sono dati, fatti oggettivi (antipositivisticamente), ma solo interpretazioni:"Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che non esiste affatto una scienza "scevra di presupposti". La domanda se sia necessaria la verità, non soltanto deve avere avuto già in precedenza risposta affermativa, ma deve averla avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il principio, la fede, la convinzione che "niente è più necessario della verità e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano". Questa incondizionata volontà di verità, che cos'è dunque? [...] Anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall'incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina... Ma come è possibile, se proprio questo diventa sempre piu incredibile, se niente più si rivela divino salvo I'errore, la cecità, la menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna?"(La gaia scienza, 344). E Nietzsche, ancora, denuncia lo schematismo degli scientisti, che non si accorgono della polimorfia del reale, pretendendo di ricondurlo a pochi princìpi meccanici. Che senso ha parlare di realtà? Questa é la domanda che sta sullo sfondo di tutta la sua filosofia. Ma destinataria delle sue critiche non é solo la scienza, che Nietzsche definisce beffardamente gaia, ma la fede in Dio, più precisamente nel Dio cristiano, a suo avviso morto ucciso dagli uomini. Nietzsche é indubbiamente il più radicale ateo della storia della filosofia. Per lui infatti Dio in quanto tale si oppone all'uomo: deve morire, affinchè l'uomo viva: non c'é spazio per tutti e due! Nietzsche d'altronde si schiera contro gli atei volgari che non si rendono conto della posta in gioco, e credono che sia facile "sbarazzarsi" di Dio. Mentre si tratta di un'opera titanica, da far tremare le vene ai polsi: "Come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare, bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Con che acqua potremo lavarci? La Gaia scienza, n.125). La vera grande battaglia che Nietzsche porta avanti é contro Dio: credere in un Dio che punisce e in un mondo ultraterreno non fa altro che rimpicciolire l'uomo e fargli perdere il senso della terra! Bisogna in primo luogo evitare di attribuire vita all'universo, come avevano fatto Platone e Giordano Bruno, ad esempio: esso non si nutre, non vegeta, non ha leggi, non ha neppure istinto di autoconservazione, che é caratteristica degli esseri viventi! Solo senza pregiudizi, solo senza timore verso un Dio che non c'é, l'uomo può trovare la sua serenità. Ma che cosa é che ha portato l'uomo in passato all'errore di credere in un'entità superiore, in cui credere e di cui aver paura? Secondo Nietzsche a portare l'uomo alla fede é stata la mancanza di volontà, l'incapacità di comandare, il preferire essere comandati al comandare, dando così vita ad una vera e propria morale degli schiavi : "La fede é sempre tanto più ardentemente desiderata, tanto più urgentemente necessaria, laddove manca la volontà: la volontà infatti, come passione del comando, é il più decisivo segno di riconoscimento del dominio esercitato su se stessi e della forza." Interessante risulta poi nel testo una sorta di "auto-intervista" di Nietzsche: 1.Ma che cosa sono alla fin fine le verità dell'uomo? Sono gli errori inconfutabili dell'uomo. Chi ha grandezza é crudele verso le sue virtù e le sue riflessioni di second'ordine. Con una grande meta si é superiori perfino alla giustizia, non solo alle proprie azioni e ai propri giudici. 2.Che cosa rende eroici? Muovere incontro al proprio supremo dolore e insieme alla propria suprema speranza. 3.In che cosa credi? In questo: che i pesi di tutte le cose devono essere nuovamente determinati. 4.Che cosa dice la tua coscienza? Devi diventare quello che sei. 5.Dove stanno i tuoi più grandi pericoli? Nella compassione. 6.Che cosa ami negli altri? Le mie speranze. 7.Chi chiami cattivo? Chi mita solamente a incutere vergogna. 8.Che cosa é per te la cosa più umana? Risparmiare vergogna a qualcuno.

9.Che cosa é il sigillo della raggiunta libertà? Non provare più vergogna davanti a se stessi.

La morte di Dio e la profezia del nichilismo Nel libro quinto de La Gaia scienza, afferma che proprio perché siamo ancora devoti e precisamente perché crediamo ancora nel valore della verità, anche noi immoralisti continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall’incendio che una fede millenaria ha acceso, per cui Dio è verità e la verità è divina…Ma come è possibile se niente più si rivela divino salvo l’errore, la menzogna…( af. 344). Con ciò si raggiunge proprio il punto dell’autosoppressione della morale, che è poi lo stesso processo della morte di Dio annunciata per la prima volta in quest’opera negli aforismi Nuove battaglie (af.108) L’evento che Dio è morto è annunciato chiaramente nell’aforisma Quel che significa per la nostra serenità (af. 343). Dio, sottolinea Nietzsche, è stato ucciso dagli uomini religiosi, per devozione si vede che cosa fu propriamente a vincere sul Dio cristiano: la stessa moralità cristiana (af. 357). Autosoppressione della morale e morte di Dio e’ un processo che Nietzsche considera legato al discorso morale metafisico, ma anche alla trasformazione delle condizioni di esistenza, che proprio a causa dell’autorità della morale, si modificano in modo da rendere alla fine inutile la morale ( una “favola” che è stata utile, decisiva, necessaria in altre epoche) e da svelarne la sua superfluità. Ecco perché quando Nietzsche annuncia la morte di Dio non ne nega fisicamente l’esistenza, non c’è una “struttura vera” del reale in cui Dio non esiste mentre si credeva che esistesse. L’affermazione di N. Dio è morto non intende affatto essere un’affermazione dogmatica su una realtà sovrannaturale, ma è un’affermazione di quello che egli ritiene un fatto storico- culturale. L’uomo folle (af.125) che dice: “Dio è morto[…] noi l’abbiamo ucciso…questo terribile evento non è ancora giunto all’orecchio dell’uomo[…]” tutto ciò è un tentativo di diagnosi della civiltà contemporanea, non una speculazione metafisica sulla realtà ultima. N. non passa a postulare la non esistenza di Dio o di qualunque finalità divina e si impegna a stabilire valori non basati su alcuna sanzione sovrannaturale. Si preoccupa profondamente se valori universalmente validi ed una vita significativa sono possibili in un mondo senza Dio. Disprezza coloro che danno per scontato la validità di tutti i valori che vengono sanciti dalla religione, dalla società, dallo stato e questa sua opposizione è il punto di distacco fondamentale dalla morale tradizionale. Dio è morto è l’annuncio di un evento che, accompagnato dalla “autosoppressione della morale” provoca un altro evento: il pensiero dell’eterno ritorno. Sotto questo profilo, il pensiero di N. è sperimentale e si regge sulla scoperta o forse solo sul sospetto che la credenza nella verità sia solo una credenza fino a che non accada qualcosa che valga come argomento in contrario. Dal momento che ogni “tu devi” degli imperativi morali si commisura in ultima istanza al Dio cristiano, a Dio, che ordinò all’uomo ciò che doveva, la morte di Dio rappresenta il principio della volontà che vuole affermare se stessa nell’uomo. Nel deserto della sua libertà l’uomo preferisce volere il nulla piuttosto che non volere; egli è infatti solo “uomo” senza Dio nella misura in cui anche “vuole”.

L a morte di Dio significa la resurrezione dell’uomo responsabile di sé e che comanda se stesso, che ha da ultimo la propria suprema libertà. Al culmine di questa libertà, la volontà di nulla si converte però nel volere l’eterno ritorno dell’identico. Dio morto, l’uomo davanti al nulla e la volontà dell’eterno ritorno caratterizzano il sistema nietzscheano nel suo complesso come un movimento dapprima dal “tu devi” alla nascita “dell’io voglio” e quindi alla rinascita “dell’io sono”. Quel che resta ancora in giro di Dio è ormai solo la sua ombra. E’ significativo che sia proprio una “gaia” scienza quella che all’inizio del terzo libro annuncia per la prima volta la morte di Dio, ma anche il nichilismo e l’eterno ritorno. Ma la morte di Dio e il declino della morale cristiana, sono anche un motivo di serenità; ci si può infatti sentire sollevati, nonostante l’offuscamento che essa in un primo momento produce alla notizia che nessun “tu devi” grava più sulla volontà umana. [Aforisma 125. L'uomo folle. Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. "È forse perduto?" disse uno. "Si è perduto come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?" gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n'è andato Dio?" gridò "ve lo voglio dire! L'abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!"]. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. "Vengo troppo presto" proseguì "non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni – eppure son loro che l'hanno compiuta!"– . Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: "Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?"

L’uomo ora ha di fronte la possibilità di un’ascesa o di una caduta, in basso verso “l’ultimo uomo” oppure in alto verso il “ sovra-uomo”. Ma l’uomo è qualcosa che deve essere superato e questo superamento avviene da ultimo nel volere l’eterno ritorno. Nella totalità che sempre ritorna, dell’essere che è già sempre esistito è eliminata anche la più grossa obiezione contro l’esistenza in quanto tale, contro la casualità del nudo esserci. Ciò per cui la morte di Dio libera l’esistenza dell’uomo è però in un primo momento non già il “si” nei confronti dell’eterno ritorno dell’identico, bensì il nichilismo. “Perché è ormai necessario l’avvento del nichilismo?... perché dobbiamo sperimentare il nichilismo per scoprire che cos’era propriamente il valore di questi “valori”.

Eterno ritorno dell’identico l’annuncio della morte di Dio e della nascita del superuomo si connette indissolubilmente al tema dell’eterno ritorno dell’identico. Nella Gaia scienza la dottrina dell’eterno ritorno è presentata nel suo significato morale (enunciata e non dimostrata, con una finalità ed un significato esistenziali e non ontologici), come esigenza di dare un senso eterno a ogni momento della vita. Ma questo non è possibile in una concezione lineare del tempo; solo nella circolarità del tempo ogni azione si iscrive nell’eternità e dunque ad essa dobbiamo dare un senso tale da risultare accettabile nel suo ripresentarsi all’infinito. L’eterno ritorno è l’estrema manifestazione di quella forza sovversiva che è il dire si alla vita. Qualsiasi cosa io voglia, il mio vizio come la mia virtù, io devo volerla in modo tale da volerne anche l’eterno ritorno. Viene così eliminato il mondo dei “mezzo-volere”, tutto ciò che vogliamo per una sola volta. La decisione per l’eterno ritorno dell’identico si traduce, quindi, in un’affermazione perentoria e totale della vita. La ripetizione ciclica del tempo assume in Nietzsche la forma di una soluzione definitiva al problema della morale. Il concepire l’esistenza in un eterno ritorno dell’attimo vitale (gioioso o doloroso che sia) rappresenta per l’umanità la via d’uscita al nichilismo: solo nella totale accettazione di ogni istante ci si sottrae all’assenza di significati propria del nichilismo passivo per diventare autentici portatori di senso, capaci di costruire la vita in ogni suo aspetto. L’uomo deve creare azioni e farsene carico in eterno. Tale compito non può essere assunto dall’uomo comune attuale: è necessaria una nuova umanità che vada oltre l’uomo. L’eterno ritorno è ciò che funge da spartiacque tra l’uomo e l’oltre-uomo, il quale compie un supremo atto di accettazione: riesce a contemplare il pensiero dell’eterno ritorno senza sgomento e ad amare se stesso al punto di volere l’eterno ritorno di tutte le cose. La gaia scienza si chiude con la promessa di questo annuncio e presenta, nell’ultimo aforisma del libro quarto, la figura di Zarathustra, il profeta della nuova umanità. Zarathustra è il profeta dell’oltre-uomo (non come “uomo superiore”, ma come stadio ulteriore dello sviluppo umano, come superamento dell’uomo che riceve dall’esterno il proprio destino e il senso del mondo, e si fa creatore di valori). Con la figura dell’oltre-uomo Nietzsche vuole esemplificare la difficoltà e l’enorme compito che si ha davanti se si vuole compiere il definitivo cammino di li...


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