LA Legge Casati PDF

Title LA Legge Casati
Author Sole Mare
Course Storia della pedagogia e delle istituzioni educative
Institution Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
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LA LEGGE CASATI La legge Casati fu emanata da Vittorio Emanuele II in virtù dei pieni poteri che il Parlamento gli aveva conferito nell’imminenza della seconda guerra d’indipendenza, si trattava di un provvedimento con lo scopo di consolidare le istituzioni scolastiche sabaude, negli anni 1847-1857, e della Lombardia che in quel periodo veniva annessa al Regno di Sardegna. Al tempo stesso la legge Casati rappresentava la Magna Charta della scuola italiana, infatti, dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, fu estesa ad altre regioni. I suoi effetti durarono fino al 1923 quando la riforma Gentile ridisegnò la struttura della scuola italiana. La legge del 25 aprile 1859 affidava al re i pieni poteri, per una serie di motivazioni economiche e sociali, il Piemonte era impegnato da più di un decennio in una politica scolastica che tendeva a limitare la tradizionale presenza della Chiesa. I pieni poteri rappresentavano un’utile occasione per affermare la volontà del sovrano e del governo senza affrontare le lungaggini di una discussione parlamentare per niente tranquilla. ART 1 La Pubblica Istruzione si divide in tre rami, al primo dei quali appartiene l’istruzione superiore, al secondo l’istruzione secondaria classica e al terzo la tecnica e la primaria. Quale fosse l’importanza che il legislatore attribuiva ai diversi rami si desume dal numero di articoli che la legge dedica a ciascuno di essi. La legge ha puntato sulla formazione della classe dirigente e ha messo in secondo piano il miglioramento della cultura popolare. ART 3 Il Ministro della Pubblica Istruzione governa l’insegnamento pubblico in tutti i rami e ne promuove l’incremento: sorveglia il privato a tutela della morale, dell’igiene, delle istituzioni dello Stato e dell’ordine pubblico. Dipendono da lui tutti gli istituti pubblici d’istruzione e d’educazione. I primi 46 articoli dettano le norme relative all’amministrazione della pubblica istruzione. Serviva un rettore per ciascuna università e, in ogni capoluogo di provincia, un Regio Provveditore per le scuole secondarie classiche e tecniche, un Regio Ispettore per gli studi primari. Completa il quadro il Consiglio provinciale che controlla che siano osservate le leggi ed i regolamenti nelle scuole e negli istituti posti entro il territorio della giurisdizione. Secondo Carlo Cattaneo, la legge Casati mortificava le energie popolari che avrebbe dovuto suscitare; Lamberto Borghi ha osservato che malgrado gli sforzi dei liberali per raggiungere un equilibrio fra i principi di libertà e di autorità nell’organizzazione scolastica, la loro carta della scuola poneva l’accento sui principi di autorità. Il modello ispiratore della legge Casati è quello della Germania, cioè della Prussia, la cui vicenda storica poteva offrire la suggestione di una qualche analogia con quella dell’antico ducato di Savoia. I modelli di importazione straniera vanno sempre adattati alla realtà del paese che li adotta; in questo caso era troppo forte l’autorità dello stato prussiano rispetto alla gracile struttura statuale piemontese prima e italiana poi, troppo diversa era l’influenza della Chiesa nell’uno e nell’altro regno. Inoltre, la stessa tradizione scolastica presentava grandi differenze: in Prussia c’era una più diffusa consapevolezza dell’importanza della pubblica istruzione, mentre vaste zone dell’Italia post-unitaria non avevano mai conosciuto una scuola pubblica degna di questo nome.

L’università Il cuore della legge è rappresentato dall’istruzione superiore che aveva lo scopo di indirizzare gli studenti già forniti delle cognizioni generali, nelle carriere pubbliche e private che richiedevano studi specifici e di mantenere e accrescere la cultura scientifica e letteraria. Erano previste 5 facoltà: teologia, giurisprudenza, medicina, scienze fisiche, matematiche e naturali e lettere e filosofia in sei università (Torino, Pavia, Genova, Cagliari, l’Accademia scientifico-letteraria di Milano e l’Istituto universitario di Gamberi, antica capitale della Savoia). La legge concedeva ai professori universitari alcune garanzie quali la nomina a vita e la possibilità di non essere né sospeso né rimosso a meno che non trasgrediva le leggi e i regolamenti riguardanti l’università. Dopo l’unità, la situazione universitaria del regno era caratterizzata dalla presenza di un gran numero di atenei molto diversi tra loro per grandezza e prestigio. Agli inizi degli anni Novanta dell’800 si contavano 17 università con poco meno di 17000 iscritti. Gli studiosi erano divisi tra coloro che volevano mantenere in vita le università esistenti e coloro che sostenevano che l’esistenza di un numero eccessivo di università producesse un numero infinito di spostati, cioè coloro che mediante la laurea e la

conseguente collocazione professionale aspiravano a spostarsi e salire dal gruppo sociale di appartenenza a uno più alto e in una visione classicista questo rappresenta una minaccia all’ordine costituito.

L’istruzione classica secondaria L’istruzione classica secondaria è articolata in due gradi per una durata complessiva di 8 anni: il ginnasio, di cinque anni, e il liceo, di tre. Per accedere a ciascuno dei gradi bisognava sostenere l’esame di ammissione mentre l’esame di licenza conclude gli studi. Il ginnasio della legge Casati corrisponde grosso modo alla nostra scuola media con la differenza sostanziale che questa ha durata triennale, è parte dell’istruzione obbligatoria e dà accesso a tutti i canali formativi secondari, mentre il ginnasio sabaudo durava cinque anni, non era obbligatorio e immetteva solo alla frequenza del liceo. I ginnasi potevano essere istituiti nei capoluoghi di provincia o di circondario e venivano distinti in tre categorie, a seconda del numero di abitanti della città che li ospitavano. Le spese per il loro mantenimento erano a carico dei comuni, fatti salvi i “Ginnasi regii”, cioè quelli che erano a carico dello Stato. Dei licei, la legge dice che ce ne sarà uno per ciascuna provincia. I comuni potevano istituire i ginnasi solo dopo essersi conformati alla legge per ciò che concerne le scuole primarie che sono in debito di istituire e di mantenere in piena attività, mentre l’istituzione del liceo era subordinata all’attivazione delle scuole tecniche. In sostanza si voleva contrastare l’espansione incontrollata di ginnasi e licei, considerati più prestigiosi, senza aver prima provveduto a garantire le scuole necessarie. L’istruzione secondaria classica si rivolgeva ormai a uno strato sociale che non era più esclusivamente aristocratico e alto-borghese, guardava anzi con crescente attenzione a quella che oggi si definisce la classe media.

L’istruzione tecnica L’istruzione tecnica ha per fine di dare ai giovani che intendono dedicarsi a determinate carriere del pubblico servizio, alle industrie, ai commerci ed alla condotta delle cose agrarie, la conveniente cultura generale e speciale. Le finalità e le stesse materie d’insegnamento avevano caratteristiche spiccatamente pratiche, per un canale d’istruzione destinato alla formazione di una figura di tecnico da impiegare sia nella pubblica amministrazione che nelle attività produttive private. L’istruzione tecnica prevedeva due gradi di durata triennale: le scuole tecniche e gli istituti tecnici. Le scuole tecniche dovevano essere localizzate nei capoluoghi di provincia che ne assicuravano il mantenimento; lo Stato poteva mantenere metà delle spese per il personale docente a patto che il comune provvedesse all’istruzione elementare. Le spese per gli istituti tecnici erano a carico delle province, mentre i comuni dovevano fornire gli edifici e i materiali didattici. Anche in questo caso lo Stato poteva coprire fino alla metà delle spese per i docenti, solo laddove il comune mantenesse una scuola tecnica. Gli istituti tecnici potranno essere aperti quando il bisogno se ne farà sentire, nelle città che sono centro di un notevole movimento industriale e commerciale e saranno divise in sezioni in ciascuna delle quali si daranno gli insegnamenti che indirizzano particolarmente ad un determinato ordine di professioni. Inizialmente le sezioni erano 4: commerciale-industriale, agronomica, chimica, fisico-matematica, delle quali l’ultima era l’unica che desse accesso alla Facoltà di Scienze. Nel corso del tempo le sezioni conobbero un gran numero di modificazioni: alcune furono soppresse, altre costruite ex novo. La diffusione delle scuole e degli istituti tecnici era limitata ai soli comuni capoluogo, mentre agli studi classici si assicurava una più ampia presenza territoriale; la preparazione richiesta per accedere a questo canale d’istruzione faceva riferimento a quella fornita dalla scuola elementare che era largamente carente.

L’istruzione normale Per essere maestro in una scuola pubblica elementare, il candidato deve essere munito di una patente di idoneità e di un attestato di moralità rilasciato dal sindaco; questa patente si conseguiva nelle suole normali. In Europa la necessita di formazione per gli insegnanti era già stata avvertita nella seconda metà del XVIII secolo e scuole normali erano sorte tanto negli stati tedeschi quanto in Francia. Le scuole normali, o scuole di metodo, conobbero un certo sviluppo in Europa e, in misura minore, negli stati italiani preunitari, a partire dalla metà del XIX secolo. I governi che le istituivano pensavano alla formazione degli insegnanti elementari, mentre la Chiesa le utilizzava per la preparazione del proprio personale destinato

all’insegnamento. Nel Regno d’Italia il problema della formazione dei maestri si presentò, subito dopo l’Unità, come uno dei più urgenti per la scuola elementare; infatti, negli stati preunitari non esisteva una tradizione in questo campo. Per quanto la scuola elementare fosse poco diffusa la mancanza dei maestri preparati rappresentava una grave remora all’incremento di questo grado di istruzione. Nella maggior parte dei casi si continuò a ricorrere ai vecchi insegnamenti con un livello culturale molto modesto. La legge Casati rappresentò il primo tentativo di regolare su tutto il territorio nazionale l’istruzione normale che veniva così ad assumere l’aspetto di un terzo corso di studi, mentre per l’istruzione tecnica e per quella classica la legge indicava con qualche solennità le finalità da perseguire, per la scuola normale si limitava a poche norme di funzionamento, come si addice a un canale formativo di minore rilievo. Il provvedimento instituiva nove scuole normali maschili e nove femminili, di durata triennale, al termine dei primi due anni si conseguiva la patente per l’insegnamento nel primo biennio della scuola elementare, mentre il triennio completo dava la possibilità di insegnare anche nel successivo. Tuttavia, le scuole elementari potevano essere affidate a persone che, pur non avendo la patente, venivano reputate sufficientemente abili dal Regio Ispettore provinciale. Inoltre, la patente poteva essere conseguita anche dai canditati che, pur non avendo frequentato la scuola normale, ne avessero superato l’esame finale e avessero fatto un anno di tirocinio in una scuola elementare. Gli stipendi degli insegnanti erano a carico dello Stato, mentre i comuni dovevano provvedere ai locali e alle spese di gestione; comuni e province inoltre potevano istituire delle proprie scuole normali che abilitavano all’insegnamento del grado inferiore. Per accedere alle scuole normali occorreva superare un esame di ammissione ed erano necessari un attestato di moralità rilasciato dal comune e uno di sanità fisica. Nella scuola per i maestri poteva essere aggiunto un corso elementare di agricoltura e di nozioni generali sui diritti e doveri del cittadino, mentre in quelle per le maestre era aggiunto l’insegnamento dei lavori proprio al sesso femminile. Conoscere le nozioni generali sui diritti e doveri del cittadino era dunque facoltativo per i ragazzi e addirittura non previsto per le ragazze. Inoltre, per sostenere l’esame di ammissione alla scuola normale si richiedeva un’età di 16 anni compiuti per i maschi e di 15 per le femmine. Una prima modifica intervenne già nel 1861 con il regolamento emanato dal ministro De Sanctis: tra le materie d’insegnamento furono introdotte la religione e, per i maschi, gli esercizi ginnici e militari; inoltre, ogni comune sede di una scuola normale doveva istituire un convitto mantenuto dal comune o dalla provincia, per ospitare gli studenti che abitavano nei centri più lontani. La scuola elementare aveva durata quadriennale e se ne usciva generalmente a 10/12 anni; chi avesse voluto dedicarsi all’insegnamento avrebbe dovuto attendere un tempo non breve prima di tentare l’esame di ammissione alla scuola normale. Anche questa condizione finirà, di fatto, per favorire l’accesso all’insegnamento elementare da parte delle ragazze, che potevano trascorrere alcuni anni più agevolmente di quanto fosse consentito ai ragazzi. Quest’ultimi, infatti, se avessero voluto proseguire gli studi dopo l’istruzione elementare, avrebbero trovato più proficuo iscriversi alla scuola tecnica o al ginnasio piuttosto che sprecare tanto tempo nell’attesa. La componente maschile manifestava uno scarso interesse per la scuola normale e per l’insegnamento elementare: stipendi magri, stato giuridico molto precario, disagevoli gli incarichi nei comuni più piccoli; in questa situazione era fin troppo facile scegliere altri canali come il ramo tecnico che consentiva un accesso più sicuro a lavori meglio retribuiti. Le ragazze, al contrario, affollarono abbastanza rapidamente le scuole normali. La carenza di insegnanti era tale che nel 1865 si istituirono 16 scuole preparatorie per allieve maestre, duravano sei mesi, avevano programmi molto ridotti e, al termine del corso, le allieve, superando un esame, venivano ammesse alla scuola normale o ottenevano una patente provvisoria per insegnare in una classe femminile del ciclo elementare inferiore. Sempre a causa dell’esigenza di maestri si escogitarono diverse soluzioni di emergenza: sostenendo gli esami solo sulle materie principali si poteva conseguire la patente elementare oppure si organizzarono le conferenze magistrali o pedagogiche, una specie di corsi accelerati ai quali potevano partecipare anche gli insegnanti elementari per un aggiornamento. Frequentarle però non era semplice perché occorreva pagarsi le spese di soggiorno e i comuni erano molto restii a concedere i permessi necessari. Il maestro era assunto dal comune con un contratto da uno a tre anni, rinnovabile, e retribuito secondo parametri stabiliti dalla legge; chi insegnava nel secondo biennio guadagnava di più di chi insegnava nel primo; le maestre avevano stipendi inferiori a quelli dei maestri. Negli anni Ottanta suscitò grande scalpore il caso della maestra Italia Donati che finì con il suicidarsi per la persecuzione cui la sottoponeva il sindaco; meno drammatica la condizione della maestra di Carbonara che

doveva, oltre il suo lavoro a scuola, fare quello di sagrestano, suonare le campane, pulire la chiesa… per il semplice fatto che la parrocchia contribuiva per 20 lire mensili al suo stipendio.

L’istruzione elementare La scuola elementare della legge Casati ha durata quadriennale ed è suddivisa in due gradi biennali, l’inferiore e il superiore, è gratuita e vi si accede dopo aver compiuto i sei anni d’età. Le scuole elementari maschili sono separate da quelle femminili, ciascuna con insegnanti dello stesso sesso. Se i genitori rifiutavano di inviare i figli alla scuola elementare di grado inferiore venivano puniti a norma delle leggi penali dello stato, per cui il primo biennio della scuola elementare era obbligatorio. I genitori potevano scegliere di impartire l’istruzione elementare in prima persona o attraverso insegnanti privati, ma quando avevano deciso di iscrivere i figli alla scuola elementare pubblica era necessario superare un esame di ammissione. Le famiglie nobili e benestanti potevano permettersi un istruttore privato, quindi l’obbligo scolastico era tale solo per le famiglie meno agiate. L’istituzione della scuola elementare compete ai comuni che hanno l’obbligo di assicurare almeno una scuola nella quale verrà data l’istruzione elementare del grado inferiore ai maschi e un’altra per le femmine. Il biennio superiore sarà attivato solo nei comuni con popolazione superiore a 4000 abitanti o dove esistano scuole che richiedono come titolo di ammissione il possesso dell’istruzione elementare. I comuni più grandi e più ricchi riuscirono a far fronte all’impegno che lo Stato affidava loro, mentre in quelli più piccoli e poveri come quelli del Mezzogiorno la scuola elementare si diffuse in tempi lentissimi e in condizioni di miseria. Le famiglie più povere non sempre erano in condizione di comprendere il valore dell’istruzione afflitte dalla necessità di rendere produttive anche le braccia dei più giovani, consideravano quindi l’istruzione dei figli inutile, poiché per lavorare la terra non avevano bisogno di conoscenze diverse da quelle dei padri. È così che una parte della popolazione meridionale visse l’obbligo scolastico come le altre imposizioni dello Stato che troppo spesso si mostrava con il volto dell’esattore comunale, del carabiniere. La parte più avanzata della cultura italiana insisteva sulla diffusione dell’educazione anche per una ragione pubblica, aumentare il numero dei cittadini in grado di leggere e scrivere significava allargare la ristretta base elettorale del regno ed è per questo che le forze conservatrici vi si opponevano.

L’infanzia e la scuola che non c’è Nella legge Casati non è previsto nulla per la scuola materna o per l’infanzia perché non veniva riconosciuta l’infanzia come una fase di vita. In Italia, e soprattutto in Europa, prima della metà del XIX secolo, vi erano numerosi asili d’infanzia, sale di custodia e altri luoghi che accoglievano quasi solo i bambini poveri ed erano le diverse confessioni religiose che se ne facevano carico. Non è un caso se tra coloro che con maggiore impegno si erano dedicati alla fondazione e allo sviluppo delle prime scuole d’infanzia, provvedendo a teorizzarne anche i fondamenti pedagogici, troviamo eminenti sacerdoti come Lambruschini e Aporti in Italia, Pestalozzi in Svizzera, Owen in Inghilterra, Oberlin in Francia e Froebel in Prussia. Non è un caso se le figure ricordate e le scuole per l’infanzia sorte per loro iniziativa si collocano tra il 18° e il 19° secolo, secondo molti studiosi la scoperta dell’infanzia da parte della cultura europea è un fenomeno di lungo periodo che accompagna lo sviluppo della moderna borghesia dei commerci, delle professioni e dell’incipiente industrializzazione. Philippe Ariès ha dedicato all’argomento pagine di grande suggestione, utilizzando fonti storiografiche normalmente poco considerate, quali ad esempio l’iconografia, i diari e i memoriali, e ha raccontato come la famiglia del banchiere fiammingo o del ricco mercante anseatico iniziasse, agli albori dell’età moderna, a considerare non più il bambino come una sorta di uomo in miniatura ma un essere dotato di specificità propria. Nasceva così il sentimento dell’infanzia la cui scoperta si rinnoverà continuamente a opera di altri studiosi. I mutamenti sociali favorivano tra l’altro anche lo sviluppo di un modo nuovo di intendere la funzione genitoriale: la famiglia si impegnava con maggiore consapevolezza nell’educazione dei bambini e delle bambine. La legge Casati con il suo silenzio sulla scuola d’infanzia, non fa altro che sancire una situazione ormai consolidata, cioè la prima educazione del bambino spetta alle famiglie e, quando queste non

sono in grado di assicurarla, vi concorrono i comuni, i benefattori privati o più spesso le istituzioni religiose. Le funzioni di vigilanza sugli asili infantili sono affidate al Ministero degli affari interni, decine di bambini custoditi da un personale impreparato, il cui impegno si limita all’insegnamento di preghiere e filastrocche. Il Regolamento organico della scuola elementare, emanato nel 1860 in applicazione della legge Casati, stabilisce che le persone che insegnano gratuitamente nelle scuole ai bambini poveri o privatamente ai bambini con età inferiore a 6 anni, sono dispensate dal documentare di aver titolo a quelle forme di insegnamento. Nel 1880 un Regio Decreto prescrive il possesso della patente di idoneit...


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