La Seconda Lingua - Pallotti PDF

Title La Seconda Lingua - Pallotti
Author Alessia Melis
Course Linguistica Generale
Institution Università di Bologna
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Summary

Sintesi delle nozioni principali concepita come appunto di lettura...


Description

GABRIELE PALLOTTI – LA SECONDA LINGUA Capitolo 1 Fonologia. Si occupa della descrizione del sistema di unità minime del linguaggio, dette fonemi. A ogni fonema corrisponde una classe di suoni che possono essere scambiati tra loro senza che il significato della parola cambi: in italiano il fonema /t/ può essere realizzato con i suoni [t] e [ Ө] (i fonemi vengono indicati tra sbarre, i suoni tra parentesi quadre), dove [ Ө] rappresenta il suono che si trova all’inizio di della parola inglese thick, una t pronunciata con la lingua fra i denti. In italiano, dire [prato] e dire [pra Өo] non equivale a dire due parole diverse, mentre in inglese [tik] significa zecca e [ Өik] (scritto thick) significa spesso. Si dice quindi che i suoni [t] [Ө ] costituiscono due diversi fonemi dell’inglese, mentre sono solo varianti dello stesso fonema in italiano. Lessico. Le ‘parole’ di una lingua, in pratica il suo vocabolario. Morfologia. Le regole per la formazione delle parole che compongono le frasi. Ad esempio, la coniugazione di un verbo è un fenomeno morfologico. Le desinenze -o, -i, -amo ecc. sono dette morfemi grammaticali. Sintassi. Le regole per la combinazione delle parole. Le unità sintattiche sono dette sintagmi: il treno, prendiamo la macchina, dopo le undici, sono tutti sintagmi (rispettivamente, sintagma nominale, sintagma verbale, sintagma preposizionale). Grammatica. Con questo termine si intende generalmente, e si intenderà in questo libro, l’insieme delle regole morfologiche e sintattiche (viene perciò detta anche morfosintassi). Pragmatica. Le regole, le abitudini, i fatti che riguardano l’uso delle parole e delle frasi all’interno di determinati contesti comunicativi. Ad esempio, il modo in cui si inizia una telefonata o si chiede scusa a qualcuno per averlo interrotto sono fenomeni pragmatici. Lingua materna. La lingua che un individuo ha appreso per prima, da bambino. Lingua d’arrivo. La lingua che deve essere appresa dopo la lingua materna. Seconda lingua (o L2). Ci si riferisce in questo libro a ogni lingua appresa dopo la prima, cioè anche alle terze, quarte lingue ecc. Spesso l’espressione seconda lingua viene utilizzata in contrapposizione con “lingua straniera”: la seconda lingua sarebbe una lingua appresa nel paese dove essa viene parlata abitualmente (ad es. l’italiano appreso in Italia dagli immigrati), lingua straniera sarebbe invece una lingua appresa, tipicamente in contesti scolastici, in un paese dove non viene parlata abitualmente (ad es. l’inglese appreso a scuola da studenti italiani). In questo libro in certi casi si marcherà la distinzione lingua seconda/lingua straniera, in altri (dove la distinzione non sia rilevante) si userà “seconda lingua” come termine generico, indicante sia le lingue straniere che quelle “seconda in senso stretto”. Interlingua. La varietà di lingua d’arrivo parlata da un apprendente: si tratta di un vero e proprio sistema linguistico, caratterizzato da regole che in parte coincidono con quelle della L2, in parte sono riconducibili alla L1 e in parte sono indipendenti da entrambe. Acquisizione spontanea (o naturalistica, o non guidata) ≠ Acquisizione guidata (o mediante istruzione). Input. Il materiale linguistico al quale viene esposto l’apprendente. Questi però non sempre presta attenzione a tutto l’input che riceve. Intake. Quella parte di input a cui l’apprendente presta attenzione e che trattiene quindi almeno per un breve tempo nella memoria di servizio. Output. Tutto ciò che l’apprendente produce, sia oralmente che per iscritto.

La ricerca sulla seconda lingua Dati naturalistici ed elicitati. Il ricercatore può intervenire in maniera maggiore o minore per far sì che vengano prodotti i dati che gli interessano: quando questo intervento sarà minimo o nullo, si parlerà di dati naturalistici; quando sarà più pronunciato, i dati verranno detti elicitati (dall’inglese to elicit – richiedere, sollecitare artificialmente). Metodi osservativi o, all’estremo opposto, metodi sperimentali, che pur avendo l’inconveniente di fornire dati prodotti in condizioni artificiale, hanno il vantaggio di controllare le molte variabili in gioco così da poter isolare relazioni causali. Dati longitudinali e trasversali. L’acquisizione è per definizione un processo longitudinale, ossia che ha luogo in un intervallo di tempo. La metodologia più adatta per studiarla sembrerebbe allora quella dello studio longitudinale, in cui si osserva un apprendente o un gruppo di apprendenti per un certo lasso di tempo documentando i graduali sviluppi dei loro sistemi linguistici. I processi di acquisizione possono però richiedere molto tempo, anche anni; dunque questo metodo è inconveniente perché i ricercatori desiderano ottenere dati in un lasso di tempo minore. Per questo motivo si ricorre spesso a dati trasversali. In essi si prendono gruppi di soggetti che sono stati esposti per tempi diversi alla lingua d’arrivo (ad es. un gruppo di studenti del primo anno, uno del secondo e uno del terzo) e si osservano le produzioni linguistiche di ciascun gruppo. Se si nota che la struttura X non è utilizzata dagli studenti del primo anno ma lo è dagli studenti del secondo e terzo, si potrà ipotizzare che la sua acquisizione avvenga in media dopo un anno di esposizione alla lingua. Si sarà ricostruita così artificialmente una sequenza di acquisizione che dovrebbe approssimare quella di ogni singolo apprendente se fosse osservato per un arco di tempo di tre anni. Pregiudizi e giudizi intuitivi. I dati possono essere sia enunciati effettivamente prodotti dagli apprendenti che giudizi forniti da questi su frasi sottoposte loro dallo sperimentatore: quest’ultimo tipo di dati serve per valutare la conoscenza che i soggetti hanno della L2, indipendentemente da variabili come la stanchezza, l’emozione, la distrazione, che possono invece influenzare la produzione di frasi. Analisi qualitative e quantitative. Nelle analisi quantitative i dati vengono descritti mediante variabili numeriche; ciò permette, tra le altre cose, di applicare dei test di significatività ai risultati ottenuti. Questi test ci dicono quali sono le probabilità che il risultato che abbiamo ottenuto si verifichi casualmente: un risultato statisticamente significativo è un risultato che molto difficilmente si potrebbe verificare per caso. Tuttavia, esistono molti fenomeni che non possono essere ridotti a pure cifre. Per descrivere e definire certi fenomeni bisogna necessariamente ricorrere a categorie interpretative, descrittive. I dati quantitativi e qualitativi dunque non si escludono a vicenda ma sono piuttosto complementari. Breve prospettiva storica degli studi intorno alla seconda lingua Anni ‘40-‘50  Apprendimento della prima lingua e di tutte le abilità: dominavano in psicologia e in linguistica le teorie comportamentistiche, che attribuivano un’importanza centrale, nel processo di apprendimento, alla formazione di “abitudini”: apprendere una lingua veniva concepito come un “abituarsi” a produrre certi comportamenti mediante l’imitazione di un modello e la ripetizione prolungata delle sequenze di azione che dovevano essere apprese.  Apprendimento della seconda lingua: le abitudini della lingua madre erano considerate un ostacolo all’apprendimento delle “abitudini” della nuova lingua, si pensava allora che si dovesse “confrontare la lingua e la cultura nativa con quella straniera per identificare le difficoltà che devono veramente essere sormontate nell’insegnamento” (Lado 1957). Si sviluppa così il filone di ricerche chiamato ANALISI CONTRASTIVA = i sistemi di arrivo e partenza degli apprendenti venivano messi a confronto e da questi confronti si facevano previsioni sulle aree in cui gli apprendenti avrebbero trovato maggiori difficoltà.

Svolta negli anni ’60  Linguistica chomskyana Chomsky proponeva una teoria dell’apprendimento completamente diversa da quella comportamentistica: secondo lui il bambino che apprende la prima lingua non sta interiorizzando abitudini, non sta rendendo automatici certi comportamenti dopo averli osservati, ma sta scoprendo delle regole. I fatti linguistici a cui il bambino è esposto sono però troppo limitati per supporre che la maniera in cui una lingua viene appresa sia puramente induttiva: Chomsky postula allora l’esistenza di una facoltà di linguaggio innata, che chiama organo mentale, il cui compito è fornire al bambino solo un insieme molto ridotto di ipotesi possibili sulle regole grammaticali della lingua che deve acquisire. le critiche di Chomsky e altri al comportamentismo portano al nascere della 

Psicologia cognitiva si reintroducono nozioni riguardanti la vita mentale degli individui, quali mente, memoria, attenzione, concetto, strategia; non è più obbligatorio attenersi alla semplice osservazione dei comportamenti. Comportamentismo apprendente = tabula rasa, completamente alla mercé degli stimoli esterni. Cognitivismo apprendente = agente attivo, alla ricerca di dati per confermare ipotesi che formula autonomamente.

Dalla seconda metà degli anni ’60 / inizio anni ’70  insieme di studi chiamati analisi degli errori, che hanno dimostrato l’incorrettezza dell’analisi contrastiva. 

1967 The significance of learner’s errors di S. Pit Corder (“La significatività degli errori dell’apprendente”)  articolo considerato l’avvio di questa prospettiva (analisi degli errori); in esso si afferma che commettere errori è “un modo per l’apprendente di mettere alla prova le sue ipotesi sulla natura della lingua che sta imparando”. L’accento è ora tutto posto sull’apprendente, gli errori devono essere spiegati e previsti a partire dalle sue strategie di ricostruzione del nuovo codice e non mettendo semplicemente a confronto i due sistemi linguistici di partenza e arrivo. L’influenza della madrelingua venne ridimensionata pur mantenendo certe nozioni, ma soprattutto venne riconcettualizzata come una strategia tra le tante che l’apprendente impiega nel ricostruire la L2.

 1972 Selinker elabora la nozione di INTERLINGUA, ovvero “un sistema linguistico separato [..] che risulta dai tentativi, da parte di un apprendente, di produrre una norma nella lingua d’arrivo”. Così pienamente riconosciuta la creatività dell’apprendente che, nei suoi tentativi di avvicinarsi alla L2, costruisce un sistema linguistico proprio. Con gli articoli di Corder e Selinker finisce la storia e inizia la ricerca contemporanea. Cap. 2 - L’INTERLINGUA Da metà degli anni ’60, nascendo l’interesse verso l’apprendente, emergono concetti quali “competenza transitoria” (Corder 1967), “dialetto idiosincratico” (Corder 1971), “sistema approssimativo” (Nemser 1971), “interlingua” (Selinker 1969 e 1972). Nozioni che esprimono la volontà di riconoscere l’autonomia e l’indipendenza delle produzioni dell’apprendente. La primissima fase iniziale dell’apprendimento sembra guidata da principi universali che sono meno evidenti nel resto dell’opera, per questo è una delle fasi osservate con più attenzione dai ricercatori. Ciò significa che

solo nell’elaborazione successiva a questa varietà di base le influenze della lingua materna e le peculiarità della lingua di arrivo diventano evidenti. In situazioni di apprendimento naturali, le prime strutture linguistiche a essere apprese sono parole isolate, formule non analizzate, la grammatica come insieme di regole viene appresa in un secondo momento. Per questo si può definire la varietà di base una lingua senza grammatica. Gli studi sulle prime fasi di apprendimento naturale della lingua L2 sono fatti prevalentemente su bambini in istituzioni scolastiche perché seguire un adulto che impara una seconda lingua è molto più complicato (come contattarlo? Come osservarlo?). Pallotti segue una bambina, Fatma; questo il suo vocabolario nel primo mese: -Sollecitare l’attenzione: guarda, maestra, bimbi, ecco, io, nomi propri. -Regolare l’interazione: aspetta, andiamo, va’ via, aiuto, piano, ciao, scusa, grazie, sì, no. -Riferirsi ad oggetti/eventi: questo, quello, così. -Descrivere, valutare: bella, grande, brava, brutto, mio, buono, pipì. -Varie: com chiami?, puttana, uno-due-tre-quattro. Prima esigenza: INTERAZIONE. Assenza di sostantivi, uso di questo/quello/così (deittici). Tutte le parole sono usate per definire i termini di un’interazione. McLaughlin sostiene questa osservazione: “un dato comune è che le prime parole acquisite dai bambini che si trovano in un ambiente nel quale devono imparare una nuova lingua riguardano i saluti e i termini che hanno a che fare con le interazioni” (1984 p.116) // [p. 24]. Definire invece quali sono le prime parole e strutture linguistiche apprese dagli adulti è molto più difficile, Pallotti fa solo delle ipotesi: figurano sempre parole e formule per la gestione della conversazione ( hai capito? Non capisco, come? no, sì) + parole ad alta generalità + alcuni pronomi personali + formule di cortesia e di saluto + ogni apprendente inoltre assume per prime le parole che hanno a che fare più direttamente con la sua esperienza: parole legate al tipo di lavoro, allo studio se è studente, alle istituzioni se vi ha rapporti. Giacalone Ramat (1993, p.395) : “in tutte le interlingue iniziali compaiono forme della negazione, forme di saluto e commiato, di ringraziamento, e altre espressioni frequenti e comunicativamente rilevanti, di solito apprese come formule non analizzate o routine, naturalmente nomi di persone e di luogo”. FORMULE / ROUTINE  frasi o parti di esse non analizzate, corretti e complessi, sulla grammatica dei quali non ci si interessa. L’apprendente finisce per memorizzarle come “azioni linguistiche “ complesse ma indifferenziate e come tali le usa. In questa fase di apprendimento si è soliti distinguere formule e frames: formule come collocazioni di parole immutabili, frames come segmenti di linguaggio formulaico che presentano spazi in cui possono essere inserite espressioni variabili (would you like some….? vorresti del…? o can I have a…? Posso avere un…?). Un enunciato è formulaico, secondo i ricercatori, quando: 1. Si tratta di produzioni di una complessità strutturale molto maggiore rispetto a quella delle produzioni “medie” dell’apprendente; 2. Sono delle sequenze di espressioni relativamente fisse, usate con una funzione costante e in genere pronunciate in un unico profilo intonazionale, senza esitazioni (Weinert 1995). In realtà  nelle frasi più avanzate è difficile tracciare una separazione netta tra linguaggio formulaico e linguaggio creativo, ovvero tra frame e costruzione creativa; secondo alcuni linguisti (Bolinger 1961), poi, ciò vale anche per i parlanti nativi: chi può dire che frasi come non c’è problema o allora va bene siano il prodotto di regole creative o piuttosto segmenti memorizzati? Wong-Fillmore (1976), uno degli studi più approfonditi sulle formule. Cinque bambini ispanofoni che apprendevano l’inglese in una scuola americana. Secondo l’autrice, questi bambini hanno fatto ampio ricorso alle formule nelle fasi iniziali del loro apprendimento. Bambini usavano anche parole isolate o combinazioni di parole conosciute  formule ≠ stereotipi (espressioni fisse, ricorrenti, usate sempre nelle stesse circostanze, non strutturalmente opache per l’apprendente) (Bohn 1986). Discussione sul confine tra creativo e memorizzato è tuttora in atto, ipotesi più accreditata: essi sono poli opposti di un continuum di strategie di produzione linguistica, per cui le frasi sono una commistione tra i

due poli (Weinert 1995). La formula rappresenterebbe un punto di partenza per l’elaborazione di frasi originali più complesse, costituendo un “isola di affidabilità” (Dechert 1983) su cui appoggiarsi mentre si è ancora insicuri nella costruzione di enunciati  ipotesi accreditata dagli studiosi Rescorla e Okuda (1987). Molti autori sostengono che l’apprendente si baserebbe su un esiguo numero di “moduli prefabbricati” a partire dai quali sarebbe poi in grado di formulare frasi sempre più complesse; questo spiegherebbe anche il meccanismo a U per cui dopo un po’ di tempo che si studia la lingua, si peggiorerebbe nel suo uso corretto. Per quanto riguarda l’apprendimento guidato, l’uso delle formule è altrettanto ampiamente documentato. Prendiamo ad esempio la formula “Yes, it is”/ “No, it isn’t”, o “Yes, I do” / “No, I don’t” ecc. : formula acquisita scolasticamente in modo ripetitivo, questo fa sì che esistano sbagli come “No, I can”, perché l’apprendente impara la struttura, la formula, ma non conoscendone le regole grammaticali in modo approfondito la rielabora con regole proprie dell’interlingua. L’uso delle formule è un fenomeno attestato in tutti gli apprendenti, anche se alcuni vi fanno ricorso più frequentemente di altri. Ognuno ha un suo stile di apprendimento; inoltre, è possibile che l’inglese abbia una struttura che si presta particolarmente a fornire moduli prefabbricati. Esempio:

 

“What do you..” molti apprendenti lo imparano in modo formulaico; “Cosa” corrisponde all’inglese di cui sopra; solo che in italiano il suo uso in costruzioni come Cosa fai? Cosa vuoi? Cosa dici? non si può considerare formulaico.

Le formule infine non entrano nell’interlingua solo nella fase iniziale per la necessità di comunicare, ma hanno un ruolo importante anche nelle fasi successive di acquisizione. Infatti una delle difficoltà maggiori nell’apprendimento di una lingua è l’acquisire la capacità di produrre in modo autonomo, rapido, quasi automatico, formule corrette e appropriate a varie situazioni conversazionali. A questi livelli si parla di idiomaticità più che di formule. Baby talk / Foreigner talk: “codici semplici” – baby talk: varietà usata in certe culture dagli adulti nei confronti dei bambini piccoli, per esprimersi in maniera più efficace: cattivo Marco fai bua a mamma, No così, Guarda bimbo grande // foreigner talk: varietà che alcune persone usano con gli stranieri che non conoscono bene la lingua, stesso scopo interazionale. Pidgin: lingue che si sviluppano n comunità di persone che cercano di apprendere una seconda lingua avendo però un accesso molto limitato ai suoi parlanti nativi; esempio dei lavoratori affluiti nelle Hawaii a inizio ‘900, che cercavano di imparare l’inglese per parlare con i datori di lavoro e con gli altri lavoratori provenienti da zone diverse, ne risultava un inglese estremamente semplificato e impoverito. Una volta padroneggiata questa varietà minima, la maggior parte degli apprendenti si fossilizzò: non fece più progressi nell’apprendimento. Pidgin hawaiiano quindi fenomeno di massa di apprendimento di una seconda lingua arrestatosi alla varietà di base. Riferendosi a questi tre fenomeni Corder preferisce parlare di “codici semplici” piuttosto che di “lingue semplificate”, in quanto la prima nozione le racchiude tutte e tre, mentre la seconda solo le prime due. Inoltre, alcuni autori (ad es. Bernini 1995, Klein 1994, Klein & Perdue 1992, Perdue 1996) distinguono tra una “varietà pre-basica” e una “varietà basica”. La varietà basica è più avanzata, con organizzazioni più complesse e vocabolario più ampio. “GRAMMATICA” DELLE LINGUE SENZA GRAMMATICA:  Morfologia assente o molto semplice [anche se l’italiano risulta essere appreso più rapidamente rispetto ad altre lingue, possibili spiegazioni: morfologia flessiva ricca le cui regole si applicano quais ad ogni item lessicale; i morfemi grammaticali ben riconoscibili alla fine delle parole; solitamente hanno un chiaro rapporto forma-funzione, non capita spesso che lo stesso morfema grammaticale esprima molte diverse nozioni].  Uso scarso o nullo della copula.

 Mancanza

o

uso

limitato

degli

articoli

e

preposizioni.

 Uso di funtori grammaticali in contesti e con funzioni non standard, ovvero uso di certe particelle abbondante ma a sproposito. All’inizio la loro funzione sembra essere solo quella di imitare il suono della morfologia grammaticale, per dare un’idea di lingua grammaticalmente articolata. Questo uso/abuso è in realtà una delle strategie basilari per la loro acquisizione.  Negazione espressa mediante una particella invariabile. NO usato invariabilmente per esprimere negazione, nelle prime fasi posto prima del verbo. In certi casi si possono incontrare nelle varietà iniziali anche negazioni posp...


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