La lingua bugiarda-converted PDF

Title La lingua bugiarda-converted
Author Mariachiara Giorgi
Course Lingua Tedesca 1 L-LIN/14
Institution Università degli Studi di Roma Tor Vergata
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Summary

Possono le parole nascondere i pensieri? È da questo interrogativo che Weinrich parte per indagare il rapporto di adeguatezza che sempre si pone fra il linguaggio e il pensiero. La sua risposta è un'arringa contro una diffusa tradizione pessimistica e in difesa della "verità della lingua", in difesa...


Description

La lingua bugiarda I. > “Omnis homo menzax”: l’uomo è un essere capace di mentire. La linguistica non può eliminare la bugia dal mondo, ma la lingua li aiuta a mentire? Agostino: il linguaggio è stato istituito perché ciascuno porti a conoscenza degli altri i propri pensier. Perciò usare il linguaggio per mentire contro il suo fine originale è peccato. Tommaso D’acquino e Bonaventura accolgono tale riflessione: le parole sono espressioni del pensiero, è contro la loro natura e contro il pensiero porle al servizio della bugia. La lingua dovrebbe rivelare i pensieri, non nasconderli. Ma gli uomini per come sono fatti usanoi segni della lingua sia per il bene che per il male. Voltaire nel “dialogo tra il cappone e la pollastra” metto nel becco dei due personaggi: “si servono del pensiero solo per autorizzare le proprie ingiustizie e ffanno uso della parola solo per mascherare i propri pensieri” Per i politici e i diplomatici mentire fa parte del mestiere, è un arte. Il francese è la lingua per eccellenza la lingua ingannatrice, per le reticenze, per i mezzi termini e per le menzogne. (Goethe, Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, Aurelie non vuole partecipare alla conversazione perché odia il francese). Kainz stabilisce che tutte le bugie sono espressioni linguistiche dunque fanno parte dell’mbito della lingua. Quali elementi hanno a che fare con la bugia? Seduzione linguistica: figure retoriche, eufemismi, iperboli, ellissi, forme di cortesia, ironia, enfasi, parole tabu, ecc. Per Agostino le allegorie non sono bugie, non basta affermare che la bugia consiste nel dire qualcosa di diverso da ciò che si sa o si pensa, bisogna distinguere menzogna grave e malvagia dalle forme giocose del parlare colto. II. Parola e testo Semantica. Ci sono due persone, una comunica il segno lessicale fuoco, parola priva di contesto e di altra descrizione, dunque priva di significato. ❖ Primo principio della semantica: ogni significato è ampio. L’ascoltatore coglie il senso della parola ma il significato è troppo ampio. ❖ Secondo: ogni significato è vago. L’atto del capire resta in sospeso in attesa di ulteriori informazioni. ❖ Terzo: ogni significato è sociale. Infatti fuoco ha lo stesso significato per tutti gli ascoltatori appartenenti alla stessa comunità linguistica. ❖ Quarto: ogni significato è astratto. L’insieme dei tratti di un oggetto, individuati rilevanti lo chiamiamo “significato”. Il processo con cui vengono esaminati i tratti semantici di un oggetto dal punto di vista della rilevanza è un processo di astrazione. Il fiore come parola, è superiore a ogni fiore reale in quanto contiene più mistero. Allora i significati come forme, ampie, astratte, vaghe e sociali possono essere considerate alle idee di Platone? (Mallarmé). Wittgenstein: il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio.

La vecchia semantica si occupava della parola, tutto ciò che sconfinava nella frase rimandava alla sintassi, che però dovrebbe entrare in gioco solo dopo la semantica testuale. Chi parla vuole informare l’ascoltatore di un incendio ma ha a disposizioni solo parole fornite da significati ampi. Quel che può nascondersi nella parola fuoco non gli interessa. Mentre si serve del significato lessicale, egli dispone dunque di un significato testuale diverso dal primo. -- Ogni significato testuale è, dunque, circoscritto, preciso, individuale e concreto. Dilemma del parlante, Voltaire: nel nostro dizionario abbiamo amore e odio, ma non parole per tutte le sfumature di questi sentimenti, dunque le lingue sono incomplete. Nathalie Sarraute: sì è vero ma esistono mille frasi sull’amore, il significato lessicale di amore è invariato ma il significato testuale cambia. Il procedimento che opera il contesto, ovvero ritagliare dal vasto significato quelle parti non conciliabili, è chiamata determinazione. Le lingue sono intraducibili, errato! Dobbiamo tradurre frasi e testi non parole. Non importa se i significati lessicali delle parole di solito non coincidono nelle diverse lingue. Ma allora le traduzioni mentono? Le parole tradotte mentono sempre, i testi tradotti mentono sempre solo se tradotti male. III. Parola e concetto La lingua si trova sempre e necessariamente indietro rispetto al pensiero. Infatti il pensiero mira a una verità, invece le parole appartengono alle lingue, nel migliore dei casi si avrà una verità italiana, tedesca, francese, ecc. Catone: badare più alle cose che alle parole. Il dialettologo era più sicuro dell’aratro come cosa che non delle diverse parole con le quali la stessa cosa è definita nei singoli dialetti. Da qui si sviluppo un settore a sé della linguistica, la cosiddetta scienza delle denominazioni: indagare sulle parole partendo dalle cose. Tenere ferme le cose, perché poi le parole si sistemano da sé: questa massima vale anche quando la cosa è un concetto. Cosa sono i concetti? Chi è malato incontra il concetto di febbre, chi è in tribunale di giuramento. Che poi ci siano diverse denominazioni (in lingue diverse) per quell’unico concetto sarebbe un male che origina possibili equivoci. I concetti della scienza vengono formati attraverso definizioni, e solo attraverso definizioni, lo studioso della semantica ne deduce in primo luogo che i concetti nascono dalle frasi e solo attraverso i loro contesti. I concetti dunque, sono di competenza della semantica del testo e non della semantica della parola. Quello che accomuna tutte le definizioni è che hanno un testo relativamente breve. Tra il polo del significato lessicale e quello del significato testuale esiste una scala semantica che spazia dal valore ampio a quello circoscritto, dal vago al preciso, dal sociale all’individuale, dall’astratto al concreto. Il contesto e la situazione sono i regolatori con i quali possiamo definire su questa scala qualsiasi valore semantico. Le conversazioni quotidiane si collocano presso il polo del significato testuale, così come i nomi propri, hanno quindi una grande forza determinante. Le parole nei titoli dei libri, sono prive di determinanti situazionali, si collocano nei pressi del significato lessicale; solo la lettura del libro fornisce la determinazione contestuale mancante risolvendo l’enigma del titolo. IV. Le parole possono mentire? La maggior parte delle bugie sono frasi, ma si può mentire anche con le parole? Una bugia può rimanere addosso al significato lessicale come tale? Bertol Brecht: chi al giorno d’oggi invece di popolo dice popolazione e invece di suolo dice proprietà fondiaria già evita di dar credito a parecchie menzogne. Stefan Andres: anche la parola verità, libertà, giustizia e altre viaggia sulla bandiera della quarantena; sono concetti completamenti infettati dall’ideologia. Non c’è dubbio che le parole con cui si è mentito molto

divengano esse stesse false. La cosa migliore non è tentare di ripulirle, bensì espellerle dall’uso. Ma non tutte le parole sono in grado di mentire. Pensiamo a due parole Blut (sangue) e Boden (suolo), possono essere usate tranquillamente, ma nessun tedesco potrò più abbinarle, Blut und Boden. Queste due parole affiancate si contestualizzano a vicenda. Le parole pensate senza alcuna determinazione contestuale o memorizzata non possono mentire. V. Pensare Nel “Cerchio di gesso del Caucaso” di Brecht la moglie del governatore dice: “Io amo il popolo, la sua mentalità semplice e sincera”. Si tratta di una bugia, si comprende quando indietreggia a causa dell’odore della povera gente in tribunale o come si rivolge a loro: “È questa la femmina?”. Dunque la sua è un’affermazione falsa, come dobbiamo regolarci con l’intenzione di ingannare? Potrebbe anche essere che la donna inganni anche se stessa e creda davvero di amare il popolo. Non possiamo leggere il suo cuore e l’autoinganno non può essere escluso con piena certezza. La donna sta mentendo e ciò che avrebbe voluto dire era “Non amo il popolo”, da questa bugia, quindi, sono interessate due frasi, la prima è quella che sentiamo, non vera, la seconda non la sentiamo, resta chiusa nel petto ma è vera. ◼ Agostino dà una bugia per acquisita quando dietro la frase che la contiene c’è l’intenzione di ingannare. La linguistica invece quando dietro la frase falsa pronunciata, c’è una frase vera non espressa. VI. Contro gli iconoclasti Anche il discorso metaforico in tutte le sue forme potrebbe forse rientrare nella sfera della bugia. Soprattutto nella scienza è radicata una profonda diffidenza, e ci sono gli iconoclasti che vorrebbero ripulire la lingua di tutte le metafore; ma senza metafore non solo non si può scrivere, ma non si può nemmeno pensare. Una parola da sola non può essere mai metafora, solo grazie ad un contesto si può trasformare in essa. Fuoco → fuoco della passione. La parola fuoco però non ha cambiato il sui significato, ci troviamo davanti, infatti, ad una determinazione al di fuori del significato lessicale. La parola fuoco è spesso collegata a incendi, fiamme, luce e simili. Nella maggior parte dei casi tali aspettative vengono rispettate e tale parola assume proprio questo significato ma come nel caso di “fuoco della passione” le nostre aspettative vengono deluse. Alla metafora non è collegato necessariamente un inganno, nel caso ne fossimo vittima non avrebbe niente a che fare con il mentire, si tratterebbe infatti di un inganno solo rispetto a quel che ci aspettavamo. VII. Sì e no Cos’è una frase? Si possono accumulare parole e parole anche in costrutti forniti di senso, ssenza con questo aver formato una frase. Nell’incipit dell’opera Der Freishutz di Weber “bella verde corona verginale”, non è una frase, lo sarebbe se fosse “Noi intrecciamo la tua corona verginale”. Ciò che cambia è il verbo e i morfemi che lo circondano e lo determinano in modo particolare. Morfema personale: noi, morfema temporale: nel nostro esempio è un presente che prescinde dal tempo del verbale, infine abbiamo il morfema assertivo: sì o no. Solo nel momento in cui ci sono tutti e tre i tipi di determinazione l’enunciato diventa una frase.

Bloomfield : un atto linguistico non si compie in una “terra di nessuno” ma in una situazione reale, nella quale si agisce prima durante e dopo aver parlato. Se si prende come riferimento lo schema di un gioco tra stimolo e reazione, in cui ogni reazione funge da nuovo stimolo e si ottengono così catene di stimolo – reazione. Gadamer fa lo stesso discorso ma chiama stimolo e reazione → domanda e risposta. La domanda ha il primato rispetto alla proposizione (frase, risposta), essa stessa diventa di nuovo domanda richiamando un’altra affermazione. Cos’è una domanda? Frase interrogativa totale → ricordi?, frase interrogativa parziale: “Cosa ricordi?”. L’interrogativa totale è riferita al morfema assertivo. Una domanda, rispetto alla risposta che segue, dà meno informazione su una situazione ma non nessuna. È espressione di una pre-conoscenza, solo chi sa già qualcosa può porre una domanda. La sintassi è l’analisi della persona, del tempo e dell’asserzione intesi come modi in cui i significati lessicali sono collegati alla situazione comunicativa, e chiamiamo frase tutti gli enunciati in cui viene pienamente stabilito questo nesso. VIII. Ironia Kierkegaard sostiene nella sua dissertazione che l’ironia proviene da Socrate. Kaiser: con l’ironia si intende il contrario di quel che si dice con le parole. Paulhan: l’ironia è una forma del mentire. Gohete: kleintun = minimizzare, anche chi sottostimava il valore delle sue proprietà veniva considerato un ironico. All’ironia appartiene il segnale dell’ironia, si minimizza e al tempo stesso si fa capire che si sta minimizzando ( per tale ragione non può essere considerato mentire ). Esistono diversi tipi di segnali d’ironia: la voce, una particolare intonazione, strizzare l’occhio ecc. Tali segnali possono o non possono essere percepiti in quanto appartenenti a un codice che non è identico a quello generale della grammatica e viene condiviso solo da coloro che sono dotati d’ingegno; ma la colpa non è di chi parla ma di chi ascolta. IX. I poeti mentono? In Omero la bugia non costituisci ancora un problema, possedere l’arte del mentire è un ingegno nei suoi poemi, persine gli dèi mentono. I filosofi ne sono scandalizzati, Platone accusa i poeti di mentire quando affermano che gli dèi mentono. I poeti hanno addirittura scoperto la bugia e il bugiardo come temi letterari, e ci sono delle strutture basilari che caratterizzano tale letteratura. È, prima di tutto, costellata di segnali di bugia, così come l’ironia è costellata di segnali d’ironia. Il discorso bugiardo e il segnale di ironia si annullano a vicenda, la bugia letteraria non corrisponde più alla bugia in senso extraletterario. Solitamente il bugiardo assicura di non mentire, giura su Dio, potrebbe morire per far credere di essere sincero, ricorre a testimoni che possono concordare con lui, se tutto questo non basta passa all’attacco e accusa altri di aver mentito. Le cifre non sono per lui né troppo alte, né i nomi troppo lunghi, il guaio è quando ci si ingarbuglia, ci vuole buona memoria. Persino l’ammissione parziale di aver mentito può essere il trampolino di lancio per nuove trovate....


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