LAB Biochimica 26 Novembre PDF

Title LAB Biochimica 26 Novembre
Course Informatica
Institution Università del Salento
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ciao...


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CENTRIFUGAZIONE Per centrifugare sono necessari degli apparecchi che prendono il nome di “centrifughe”. La centrifuga rappresentata nell’immagina è una centrifuga da pavimento. Le centrifughe sono costituite da: - Camera d’acciaio, che può essere refrigerata nel momento in cui si voglia lavorare a basse temperature. Molto spesso quando si lavora con molecole biologiche, come ad esempio le proteine, è necessario lavorare a basse temperature per evitare problemi di denaturazione. All’interno della camera d’acciaio vi è un asse sul quale è posizionato un blocco metallico che prende il nome di ROTORE. - Rotore, al cui interno si mettono le provette che contengono il materiale biologico che si vuole sottoporre a centrifugazione. Il rotore gira, e nel momento in cui gira si genera un campo centrifugo che consente la separazione delle particelle presenti nella sospensione sulla base delle caratteristiche delle particelle stesse. In virtù del campo centrifugo le particelle possono sedimentare.

FORZA CENTRIFUGA Se si parla di campo centrifugo si deve inevitabilmente parlare di forza centrifuga. La forza centrifuga è il prodotto tra m ω2 e r.

F C = m ω2 r Dove: - m è la massa della particella espressa in grammi. - ω2 è la velocità angolare. - r è il raggio, e con il raggio si indica la distanza della particella dall’asse di rotazione. Nell’immagina è rappresentato l’asse di rotazione e una provetta con all’interno la particella. La forza centrifuga ha un verso che è perpendicolare all’asse di rotazione e diretto verso l’esterno. La forza centrifuga, quindi, è una forza perpendicolare all’asse di rotazione e che va verso l’esterno.

CAMPO CENTRIFUGO Il campo centrifugo (G) è

G = ω2

r

Quello che manca, rispetto alla forza, è la massa. Nella maggior parte dei casi, però, si parla di campo centrifugo relativo, oppure di “multiplo di g” laddove g è l’accelerazione di gravità. Il campo centrifugo si genera quando il rotore ruota, e le rotazioni che può fare un rotore in un’unità di tempo dipendono da quanto è grande il rotore: se il rotore è più grande in un minuto farà meno rotazioni rispetto ad un rotore più piccolo. Se ogni volta si dovessero identificare le rotazioni bisognerebbe specificare quanto è grande il rotore, ossia quanto è il raggio del rotore. Per ovviare a questo si usa il concetto di campo centrifugo relativo, ossia relativo all’accelerazione di gravità. Per campo centrifugo relativo si intende il rapporto tra il peso della particella sottoposta al campo centrifugo e il peso della particella sottoposta al campo gravitazionale. Campo centrifugo relativo =

Peso della particella sottoposta al campocentrifugo Peso della particella sottoposta al campo gravitazionale

In pratica si sta dicendo quanto il campo centrifugo è più grande rispetto al campo gravitazionale. Il riferimento, quindi, diventa l’accelerazione di gravità e quindi non serve dare conto di quanto è grande il rotore in termini di dimensioni. Si parla, infatti, dell’accelerazione di gravità che è una COSTANTE, quindi un valore condivisibile. “Numero/multiplo di g” = RCF “Forza Centrifuga Relativa”. 1000g = un valore 1000 volte superiore all’accelerazione di gravità. Esiste una formula che consente di passare da RCF a RPM e viceversa, conoscendo il raggio del rotore. -5

RCF = 1,119 * 10 (rpm)2 * r Questo significa che se si conoscono due parametri si può risalire al terzo.

NOMOGRAMMI I nomogrammi sono delle tabelle formate da 3 colonne: - Una colonna riporta gli RPM “rotazioni per minuto”. - Una colonna riporta gli RCF. - Una colonna che indica il raggio. Se si conoscono due parametri si allineano e per interpolazione si arriva al parametro sconosciuto.

PRINCIPIO DELLA CENTRIFUGAZIONE Se nella provetta c’è una sospensione (insieme di particelle) si applica un campo centrifugo, che sarà un multiplo del campo gravitazionale. Alla fine di un certo periodo di tempo che viene importato nella provetta si troverà una separazione netta di due fasi. Nella parte bassa della provetta ci sarà un PRECIPITATO, che prende anche il nome di PELLET o SEDIMENTO, mentre tutto il resto prende il nome di SOPRANATANTE. Lo scopo della centrifugazione è quello di separare i componenti di una sospensione.

ROTORI AD ANGOLO FISSO I rotori ad angolo fisso hanno una forma a tronco di cono, e quello che cambia sono le dimensioni e il tipo di alleggiamento. Le provette all’interno del rotore ad angolo fisso sono inclinate di un certo angolo “fisso” rispetto all’asse di rotazione. In questo tipo di rotore si può presentare un problema. Precedentemente abbiamo definito r come distanza della particella dall’asse di rotazione. Se il rotore ha la forma di un tronco di cono, però, le distanze dall’asse di rotazione cambiano, a seconda che le particelle si trovino in alto o in basso. Più le particelle si trovano verso il basso più aumenta la loro distanza dall’asse di rotazione. Se si vuole applicare la formula o se si vogliono interpolare i dati sui nomogrammi quale r bisogna considerare?

I raggi che si trovano sono: - Raggio minimo, quello più piccolo che si trova in alto. - Raggio medio. - Raggio massimo, quello che si trova in basso.

Generalmente si usa il raggio medio, tenendo conto che la provetta con la quale si lavora è piena, e quindi il raggio medio rappresenta un buon compromesso tra le particelle che si trovano sopra e le particelle che si trovano sotto. Se una provetta è riempita solo poco, invece, non ha senso usare il raggio medio, in quanto le particelle si troveranno tutte in basso; in questo caso, quindi, si considera il raggio massimo, ossia quello che si trova più in basso. Quindi, per riassumere, un rotore a raggio fisso è costituito da tre raggi, raggio minimo, raggio medio e raggio massimo.

ROTORI A BRACCI OSCILLANTI Un rotore a bracci oscillanti ha la forma rotonda in alto con dei bracci appesi al rotore stesso. E’ in questi bracci che si mettono le provette che si vogliono sottoporre a centrifugazione. Quando il rotore è fermo i bracci si trovano in una posizione parallelo al raggio di rotazione. Mentre il rotore gira i bracci si sollevano e si portano in posizione perpendicolare al raggio di rotazione.

CENTRIFUGAZIONE DIFFERENZIALE I rotori ad angolo fisso vengono normalmente utilizzati per effettuare un particolare tipo d centrifugazione che prende il nome di centrifugazione differenziale. Facendo delle centrifugazioni successive, a valori crescenti di RCF, si è in grado di separare differenti classi di particelle presenti in sospensione eterogenea. Si fa una prima centrifugazione, e alla fine si avrà un pellet e un sopranatante. Le particelle che precipitano per prima sono le particelle più pesanti. Se si versa il sopranatante in un’altra provetta e si fa una nuova centrifugazione a valori maggiori di RCF, nel pellet si posizionano le particelle che avevamo un peso intermedio. Se si fa la stessa cosa un’altra volta nel pellet si ottengono le particelle più leggere. Tuttavia insieme alle particelle grandi saranno intrappolate anche alcune particelle più piccole. Per separare il tutto e ottenere SOLO le particelle grandi, ad esempio, bisogna fare dei lavaggi. Per fare i lavaggi bisogna prendere il pellet, nel quale ci saranno le particelle pesanti più qualche residuo delle altre, e si aggiunge dell’altra soluzione, quindi si risospende e si ricentrifuga. Nel pellet, in questo modo, si avrà meno probabilità di trovare quei contaminanti che contaminavano il pellet precedente. Lo stesso discorso si può fare anche per la provetta successiva. Se si lavora con un omogenato di tessuto epatico, si lavora con un omogenato che ha tutto il contenuto cellulare in termini di membrane, nucleo, mitocondri, reticolo endoplasmico. Quando si lavora con del materiale biologico, generalmente si utilizza il fegato in quanto le vie metaboliche sono tutte abbastanza attive. In particolare si fa riferimento a degli epatociti che sono rotti, ciò significa che nella sospensione saranno presenti i

frammenti di membrane ma anche tutto quello che era presente all’interno degli epatociti, quindi nucleo, mitocondri, reticolo endoplasmico. Lo scopo è quello di ottenere queste diverse frazioni. Se si sottopone l’omogenato ad una prima centrifugazione (per esempio a 1000 g per un tempo di 8 minuti), quello che si ottiene nel pellet sono i nuclei, mentre nel sopranatante si sarà tutto il resto. Il pellet, in questo caso, prende il nome di FRAZIONE NUCLEARE. Tuttavia nella frazione nucleare c’è anche tutto quello che è più grande dei nuclei, come ad esempio cellule che non si sono rotte, ma possono anche esserci dei frammenti di membrane. Se si vuole lavorare con gli acidi nucleici, però, bisogna fermarsi alla frazione nucleare. Una volta arrivati a questo punto, infatti, il sopranatante viene buttato, e si aggiunge dell’altra soluzione ai nuclei, in modo da risospendere e ricentrifugare. In questo modo si avrà una frazione nucleare più pulita. Questo rappresenta il lavaggio per i nuclei. Se, invece, si vuole continuare nella centrifugazione differenziale, per ottenere i mitocondri, si prende il sopranatante (che contiene tutto ciò che non è nucleo) della prima provetta e lo si mette in un’altra provetta. Una volta ottenuta la seconda provetta si può centrifugare a valori più alti di RFC (per esempio 8000g per 10 minuti). Anche alla fine di questa centrifugazione si otterrà un pellet e un sopranatante. Il pellet, questa volta, prende il nome di FRAZIONE MITOCONDRIALE perché contiene i mitocondri. Tutto ciò che è più piccolo dei mitocondri si troverà nella sopranatante. Se si vuole lavorare con i mitocondri si butta il sopranatante, e si prosegue con il lavaggio del pellet; il pellet va risospeso e ricentrifugato. Se invece si vuole continuare con la centrifugazione differenziale per frazionare qualche organello cellulare, si prende il sopranatante che viene versato in un’altra provetta e si ultracentrifuga con dei valori elevatissimi, ad esempio 50.000/100.000 g per tempi anche di 60 minuti. Per applicare questi valori di g non è sufficiente una centrifuga, ma bisogna ricorrere alle cosiddette ultra-centrifughe.

PREPARARE L’OMOGENATO Per preparare l’omogenato si parte dal fegato di un animale da laboratorio che viene tagliuzzato con delle forbici. Si utilizza, poi, una particolare soluzione chiamata STE (Saccarosio tris EDTA). EDTA sta per acido etilen-di-ammino tetra-acetico. ● Il saccarosio è presente alla concentrazione di 250 mM e a questa concentrazione serve per creare un ambiente iso-osmotico rispetto agli organelli che devono essere isolati, per esempio rispetto ai mitocondri. ISO = UGUALE. Se si lavorasse con concentrazione più basse di saccarosio, ad esempio 100 mM, questa soluzione sarebbe definita ipotonica, e in questo caso richiama dell’acqua all’interno degli organuli. Gli organuli che ricevono quest’acqua si gonfiano e si parla, in questo caso, di SWELLING. Questi organelli, in seguito allo swelling, non sono funzionanti in quanto tenderebbero a rigonfiare e a scoppiare. Se la concentrazione di saccarosio, invece, è superiore a 250 mM si parla di soluzione iper-tonica. In questo caso gli organelli rilascerebbero acqua, e quindi si raggrinzirebbero. Anche in questo caso, quindi, i mitocondri saranno NON funzionanti. Per ottenere dei mitocondri funzionanti bisogna utilizzare delle soluzioni iso-osmotiche di saccarosio rispetto ai mitocondri, e l’iso-osmolarità si raggiunge con una concentrazione di saccarosio pari a 250 mM. ● Il TRIS (presente ad una concentrazione di 10 mM) è un sistema tampone che serve ad impedire eventuali sbalzi di ph. Se un lisosoma si rompe, ad esempio, rilascia tutto il suo contenuto acido, ma se interviene il TRIS il ph viene mantenuto costante. ● EDTA è un agente chelante (che va a legare) dei cationi bivalenti (ioni carici positivamente con doppia carica). La funzione dell’EDTA è quella di chelare/legare le cariche positive, proprio perché ha i gruppi tetra-acetici che sono dei gruppi carichi negativamente. I cationi bivalenti sono degli attivatori di enzimi che prendono il nome di proteasi. Le proteasi sono enzimi che tagliano/rompono le proteine. Utilizzando gli EDTA si sottrae dalla soluzione tutto ciò che può attivare fenomeni proteolitici. Lo scopo dell’EDTA nella soluzione è quella di impedire fenomeni proteolitici/di degradazione. Il ph di questa soluzione è un ph fisiologico, quindi intorno a 7-7.2. Il fegato viene poi sottoposto ad un processo che viene detto OMOGENIZZAZIONE, tramite uno strumento che prende il nome di omogenizzatore o potter. Il potter è fatto da un pestello di teflon e da un tubo di vetro. Nel tubo di vetro si versa tutto quello che era presente nel

Becker, ossia i frammenti di fegato con la soluzione STE. Il principio di funzionamento del potter è quello che i pezzetti di f io che esiste tra il pestello e le pareti del tubo. Questo spazio prende il nome di SPAZIO ANULARE. Lo scopo dell’operazione, appunto, è quello di far passare le cellule del fegato a passare attraverso lo spazio, che è tale da rompere solo la membrana degli epatociti. Come funziona il potter? Il pestello del potter è montato ad un braccio meccanico e può ruotare ad una velocità che si può selezionare. Contemporaneamente l’operatore deve fare in modo che il pestello raggiunga sul fondo della provetta. Alla rotazione del pestello, quindi, si accompagnano delle operazioni di scorrimento da parte dell’operatore. Nelle operazioni di scorrimento e rotazioni gli epatociti passano attraverso lo spazio anulare, si rompe la loro membrana. In questo modo, dunque, si è ottenuto l’omogenato. Alla fine si ottiene l’omogenato che può essere messo all’interno degli alloggiamenti dei rotori ad angolo fisso, e si può procedere con la centrifugazione differenziale.

CENTRIFUGAZIONE IN GRADIENTE DI DENSITA’ Per la centrifugazione su gradiente di densità si usa il rotore a bracci oscillanti. Mentre nel caso precedente l’omogenato si mette direttamente nella provetta, in questo caso nella provetta si deve creare un gradiente di densità, utilizzando cloruro di cesio, saccarosio o altre soluzioni. L’operazione preliminare è proprio quello di creare in una provetta un gradiente di densità. Sul fondo della provetta ci sarà la concentrazione maggiore di questo gradiente. Quello che si vuol centrifugare deve essere stratificato al di sopra del gradiente. Alla fine non si ha un pellet e un sopranatante, ma il risultato è che le particelle si posizioneranno sulla regione di gradiente che corrisponde alla loro densità.

REALIZZAZIONE DEI GRADIENTI Esistono due tipi di gradienti: - Gradienti continui, un gradiente che include tutte le diverse concentrazioni che rientrano in un intervallo, ad esempio che vanno dal 5 al 20 % (20.19.18…). - Gradienti discontinui, in cui ci sono dei salti per quanto riguarda le concentrazioni (quindi si passa da una concentrazione a 5 a 10 a 15 a 20…). Come si prepara un gradiente discontinuo? Se vi sono diverse soluzioni di saccarosio (al 20%, al 10% al 5%), esse possono essere prelevate tramite delle pipette e si stratificano tutte all’interno di una provetta. Le varie soluzioni non si mescolano in quanto hanno diverse densità. Nel caso di un gradiente continuo, invece ci vuole uno strumento, ossia un FORMATORE DI GRADIENTI. Il formatore di gradiente è costituito da due camere indicate con A e con B. Se si vuole preparare un gradiente di saccarosio dal 5 al 20%, in B ci sarà la soluzione di saccarosio più concentrata (20%), mentre in A ci sarà quella più diluita (5%). Le due camere che contengono al loro interno delle ancorette magnetiche in quanto le soluzioni devono stare sotto agitazione. Queste due camerette sono chiuse da un rubinetto. Se il rubinetto è chiuso le due camere non comunicano. Al tubo è collegata una pompa che aspira la soluzione, e la soluzione aspirata va a finire nel tubo da centrifuga dove si vuole creare il gradiente. Quando si accende lo strumento parte la pompa, la cui funzione è quella di aspirare la soluzione. Quando parte lo strumento contemporaneamente bisogna aprire il rubinetto.

Le prime gocce che vengono fuori sono quelle della soluzione al 20% che ricadranno sul fondo della provetta. Contemporaneamente, però, avendo messo in comunicazione le due camere, la soluzione passa da una parte all’altra e quindi si diluisce. Le altre gocce che passano, quindi, sono via via sempre più diluite, finché alla fine, quando la camera B si svuota, le ultime gocce che passeranno saranno quelle al 5%.

ULTRACENTRIFUGA ANALITICA L’ultracentrifuga è una centrifuga che permette di applicare delle forze centrifughe particolarmente elevate. L’ultracentrifuga analitica ha la caratteristica di essere dotata di un sistema ottico grazie al quale riesce a visualizzare/monitorare il processo di centrifugazione, man mano che questo si verifica, e quindi consente di ottenere alcuni parametri fisici diversi, come ad esempio il coefficiente di sedimentazione, il coefficiente di diffusione, il peso molecolare, la densità, la forma e l’idratazione delle particelle che stanno sedimentando....


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