Le Nuove Forme di Pregiudizio PDF

Title Le Nuove Forme di Pregiudizio
Author Stella Critelli
Course Psicologia Sociale
Institution Università telematica Universitas Mercatorum di Roma
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Appunti Psicologia Sociale...


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38 - LE NUOVE FORME DI PREGIUDIZIO L’obiettivo di questa lezione consiste nel chiarire le caratteristiche delle nuove forme di pregiudizio.Inoltre, per esplorare ulteriormente questo ambito sarà necessario chiarire anche le differenze tra razzismo simbolico e razzismo moderno.Successivamente vengono chiariti e spiegati i due concetti di pregiudizio manifesto e latente, strettamente connessi con le tematiche trattate in questa lezione.Infine, viene trattato e delineato il tema dell’orientamento alla dominanza sociale. 1. Il modello della dissociazione Prima di affrontare il tema delle nuove forme di pregiudizio, ribadiamo la definizione di stereotipo, che consiste nell’attribuzione ad un individuo di caratteristiche basate su aspettative e associazioni riguardanti il gruppo di appartenenza. Pertanto, da un punto di vista funzionale, gli stereotipi giustificano (o razionalizzano) le nostre reazioni emotive e comportamentali nei confronti di una categoria; da un punto di vista culturale sono fondati sul consenso sociale e includono un sistema di credenze condivise collettivamente. Il pregiudizio consiste in una reazione emotiva nei confronti di un individuo basata su un’opinione nei confronti del gruppo come totalità. L’effetto ultimo del pregiudizio è quello di porre l’oggetto in una posizione in svantaggio non giustificata dalla sua condotta (Allport, 1954). In linea di massima include reazioni negative e positive, maggiore attenzione della ricerca sulle prime. La discriminazione si crea grazie all’unione amplificata di Stereotipo + Pregiudizio. Allport (1954) definisce le fasi del rifiuto dell’outgroup come segue: • rifiuto verbale, • evitamento, • segregazione, • aggressione fisica e • sterminio. La discriminazione verbale, apparentemente priva di gravi conseguenze, crea un clima ostile che apre la strada a conflitti ben più gravi (più oltraggio alle vittime). L’evitamento: preclude il contatto tra i gruppi sociali e isola gli individui nel loro ambito. All’inizio degli anni Settanta, gli psicologi sociali americani dichiararono che la natura del pregiudizio verso gli Afroamericani era cambiato: esso appariva meno aperto e ostile, apparentemente privo di ogni idea di supremazia, insomma «politicamente corretto». Ma non è bastata l’elezione di Barack Obama per cancellare il profondo divario che ancora oggi esiste negli Stati Uniti. L’Ufficio statistiche giudiziarie del Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti nel 2007 ha dichiarato che, a parità di controlli da parte della polizia, le auto di afroamericani e latinos hanno molta più probabilità di essere ispezionate e i guidatori di essere arrestati. Vediamo ora le varie specificità delle odierne manifestazioni di pregiudizio. Molto spesso le persone tendono a dare un’immagine di sé libere da pregiudizi o «socialmente corrette». Diversi sono i processi cognitivi sottostanti che le persone usano per apparire senza pregiudizi e che mettono in luce due gruppi: coloro con un alto livello di pregiudizio e quelli con un basso livello. Il modello di Patricia Devine (1989) distingue fra processi automatici e processi controllati che operano nel pregiudizio. L’autrice sostiene che mentre le risposte pregiudiziali vengono automaticamente attivate in presenza di un gruppo stereotipato, quelle non pregiudiziali richiedono l’inibizione delle risposte negative attivate automaticamente e, contemporaneamente, l’attivazione intenzionale e conscia delle credenze non pregiudiziali. In questo modo, Devine spiega come, nello stesso individuo, possano coesistere atteggiamenti positivi e negativi nei confronti di oggetti/soggetti sociali, soprattutto se il soggetto non è consapevole dell’attivazione. Tale modello ritiene inoltre che gli stereotipi e i pregiudizi relativi ai gruppi sociali siano noti a tutti gli individui di una società, ovvero che siano consensualmente conosciuti. Durante il processo di acquisizione delle conoscenze, le persone sono sufficientemente esposte a questo tipo di stereotipi che vengono non solo interiorizzati come strutture mnemoniche e cognitive, ma si attivano automaticamente di fronte al gruppo target. Ma conoscere pregiudizi e stereotipi non vuol dire per forza attivarli: questi soggetti vengono chiamati dalla Devine «con basso livello di

pregiudizio» e si distinguono da un’altra categoria di soggetti «con alto livello di pregiudizio», ovvero quelle persone che non sperimentano un conflitto interno fra pregiudizi e valori personali, e che quindi non sono motivate a inibire l’attivazione e la loro manifestazione diretta verso gli altri. In altre parole, le persone con alto o basso livello di pregiudizio sono ugualmente a conoscenza degli stereotipi sociali e dei pregiudizi, che attivano automaticamente in presenza di membri appartenenti ad altri gruppi, ma ciò che le differenzia sono le motivazioni a controllare o meno gli effetti dell’attivazione automatica degli stereotipi culturali. Le associazioni inconsce, che sono acquisite e condivise culturalmente e attivate automaticamente, possono essere quindi dissociate dalle espressioni e dalle credenze personali nei confronti di una minoranza o di un membro di un altro gruppo. 2. Razzismo simbolico e razzismo moderno Da circa una trentina d’anni la letteratura si è focalizzata sullo studio di forme più indirette di pregiudizio e razzismo. Le varie definizioni che sono state date – simbolico (Sears, 1988), moderno (McConahay, 1986), riluttante (Gaertner e Dovidio, 1986), o latente (Pettigrew e Meertens, 1995), contengono un elemento comune di fondo: tutte queste etichette denotano espressioni latenti e nascoste di pregiudizio che, apparentemente, sostengono l’egualitarismo e sembrano contrastare le forme più dirette di pregiudizio. Secondo Crandall e Eshleman (2003) le due motivazioni di fondo alla base delle teorie del pregiudizio moderno sarebbero l’affermazione di una distintività positiva dell’ingroup e la necessità di apparire liberi da pregiudizi in conformità alle norme sociali e ai valori personali. Le caratteristiche distintive del razzismo simbolico e moderno sono: • rifiuto dei principi tradizionali del «vecchio» razzismo, quali il segregazionismo e la supremazia, e la condivisione dell’egualitarismo; • paradossalmente, rifiuto degli altri gruppi. Gli effetti di tale rifiuto si possono vedere negli attacchi rivolti ai gruppi e una forte aderenza ai valori tradizionali dell’individualismo, in particolare all’etica del lavoro, dell’obbedienza e della disciplina. Ciò porta il razzista moderno a opporsi all’introduzione di rimedi contro l’ineguaglianza sociale. Possiamo tradurre in una frase questo atteggiamento del razzista moderno: discriminare senza essere (apparentemente) razzista. L’elemento particolare di queste nuove forme è il fatto che le persone rinnegano le vecchie espressioni di razzismo e si dichiarano assolutamente egualitarie. Inoltre le minoranze vengono considerate «non americane o non europee» perché non rispecchiano il «carattere tipico» della maggioranza, basato fondamentalmente sui suoi valori. Si verifica quello che alcuni autori hanno chiamato «risentimento razziale» (Kinder e Sanders, 1996), ovvero la convinzione che gli altri non si impegnino abbastanza per superare le difficoltà presenti nella società e per questo prendano più di quanto si meritino.

3. Pregiudizio manifesto e latente Sulla scia di quest’ultima espressione, anche Pettigrew e Meertens (1995) distinguono fra pregiudizio manifesto e sottile, i quali, sebbene fortemente correlati, rappresentano due «volti» del pregiudizio, caratterizzati da elementi ed espressioni diverse. Secondo gli autori, le caratteristiche del pregiudizio sottile sono freddezza e distanza. Esso presenta le sue espressioni in modo così indiretto da essere ritenute socialmente accettabili, in piena regola con le norme delle società occidentali e tali da permettere di mantenere un’immagine di sé non discriminante e libera da pregiudizi. Le caratteristiche principali sono le seguenti. • Difesa dei valori tradizionali. Già riscontrato negli studi di Adorno sulla personalità

autoritaria, questo atteggiamento determina una chiusura nel proprio gruppo o nazione. Ciò che è visto dalla società come giusto e accettabile di solito è costruito sulla base dei valori tradizionali dell’ingroup e mai delle minoranze, anche se pubblicamente sembra che tutti i gruppi abbiano le stesse opportunità. • Esagerazione delle differenze culturali. Si attribuisce lo svantaggio delle minoranze alle differenze culturali. Differenze che, inevitabilmente presenti, vengono esagerate attraverso grossolane rappresentazioni stereotipiche, trasmesse molto spesso attraverso il linguaggio. • Rifiuto di emozioni positive nei confronti dell’outgroup. L’ingroup in genere non prova sentimenti negativi nei confronti dell’outgroup, ma nello stesso tempo rifiuta di sperimentare emozioni positive. Il pregiudizio manifesto si contraddistingue essenzialmente per il rifiuto esplicito degli altri gruppi, considerati una minaccia. Alla base di ciò vi è la credenza che l’outgroup sia geneticamente inferiore, il che giustifica il suo rifiuto e lo svantaggio sociale. Paradossalmente, la credenza dell’inferiorità genetica degli outgroups porta le persone con pregiudizio manifesto a rifiutare l’esistenza di ogni discriminazione, perché lo svantaggio degli altri è un fenomeno considerato «naturale», biologicamente determinato. Il secondo elemento che caratterizza il pregiudizio manifesto è il rifiuto ad avere un contatto intimo con i membri dell’outgroup. Questa resistenza si rivela un forte elemento di potere, perché viene rifiutato non solo il contatto intimo, ma anche qualsiasi rapporto che implichi una superiorità dell’outgroup discriminato (ad esempio, posizioni di dirigenza occupati dalle minoranze ecc.). 4. L’orientamento alla dominanza sociale Infine, un approccio interessante è quello dell’orientamento alla dominanza sociale (SDO, Social Dominance Orientation), definito come quella tendenza a considerare l’esistenza caratterizzata dalla competizione tra gruppi e dal desiderio di sostenere il dominio dei gruppi superiori su quelli inferiori (Sidanius e Pratto, 1999). Tale orientamento è il costrutto centrale della teoria della dominanza sociale (Sidanius, 1993), secondo la quale le società postindustriali sarebbero concepite come sistemi di gerarchie fondate sui gruppi e gli atteggiamenti sociali determinati dalle credenze degli individui su come i gruppi si devono relazionare l’uno con l’altro. La SDO rifletterebbe una tendenza individuale nel classificare i gruppi sociali lungo la dimensione inferiore/superiore e a favorire le politiche che contribuiscono a mantenere la disuguaglianza sociale. I gruppi dominanti condividerebbero valori sociali positivi, come potere, autorità, qualità di vita superiore – in altre parole migliori accessi e benefici sociali – mentre i gruppi subordinati sarebbero caratterizzati da valori sociali negativi, in genere opposti ai primi. Il legame fra SDO (Social Dominance Orientation) e pregiudizio risulta quindi evidente: ritenere che alcuni gruppi siano «naturalmente» e «necessariamente» inferiori, oltre che pensare che solo i gruppi dominanti abbiano benefici, è una buona base per sviluppare atteggiamenti pregiudiziali. Ad esempio, l’omofobia che consiste nella paura e nell'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità, della bisessualità e della transessualità e quindi delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali basata sul pregiudizio, può essere ricollegata al concetto di “omonegatività”, “costrutto che fa riferimento al tema del pregiudizio e della discriminazione sociale e, in quanto tale, si manifesta non solo attraverso gli atteggiamenti e i componenti delle singole persone, ma su più livelli” (Chiari, L. Borghi, 2009, p. 64): • piano personale: pregiudizi individuali nei confronti di gay e lesbiche; • piano interpersonale: quando i pregiudizi vengono tradotti in comportamenti; • piano istituzionale: l’insieme di politiche discriminatorie da parte di governi, aziende, organizzazioni religiose e professionali;

• piano sociale: gli stereotipi su gay e lesbiche e l’esclusione di essi dalle rappresentazioni culturali collettive. Infatti, nonostante il percorso di depatoligizzazione dell’omosessaulità, nel rapporto annuale del 2013 di Amnesty International vengono denunciate violazioni dei diritti umani, aggressioni, intimidazioni e discriminazioni nei confronti di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate in più di 40 paesi, tra i quali anche l’Italia. Il termine omofobia fu coniato da George Weinberg (1972), il quale definì l’omofobia come un’avversione che ha un individuo– sul piano piùQ emotivo che cognitivo – nei confronti dell’omosessualitàQ , una forma di ostilità che incute paura irrazionale, ansia e terrore di trovarsi in prossimo contatto con omosessuali in luoghi chiusi. In altre parole, l’omofobia era ritenuta dall’Autore una vera e propria fobia specifica. Di seguito ulteriori definizioni di omofobia. ❖ Mark Friedman (2000): reazione di rabbia e paura verso gli omosessuali, mentre. ❖ Lorde (2009): paura di un sentimento di amore per persone del proprio sesso e conseguente odio per questo sentimento negli altri. Questi autori, nelle loro definizioni, includono per la prima volta aspetti socioculturali. L’omofobia viene inquadrato come un sistema di credenze e stereotipi che svaluta ogni stile di vita omosessuale e arriva persino a giustificare l’uso di un linguaggio offensivo nei confronti delle identità non eterosessuali (Morin e Garfinkle, 1992). La forza di questo pregiudizio culturale – secondo cui l’omosessualità , da considerarsi un disvalore – talvolta può essere cos.forte da includere anche la persona gay e lesbica. Dunque, la persona appartenente a minoranze sessuali, sottoposta – sin dal momento in cui inizia a strutturare la propria identità sessuale – all’idea secondo la quale l’omosessualità , negativa, introietta dentro di s1 un’avversione nei confronti dei proprie desideri, della propria identità e verso la stessa cultura gay e lesbica in cui non si sente di riconoscersi. Si , cos. di fronte a quella che viene definita omofobia interiorizzata o stigma sessuale interiorizzato (Lingiardi, 2012; Lingiardi, Baiocco e Nardelli, 2012). Lo stigma sessuale interiorizzato consiste nell’accettazione, per lo più inconsapevole, da parte di gay e lesbiche di pregiudizi, atteggiamenti discriminatori ed etichette negative verso l'omosessualità e le relazioni tra persone dello stesso sesso (Lingiardi, 2012; Moss, 2003). Da molti studi , emerso che sono gli uomini e le persone più anziane ad esprimere atteggiamenti più negativi verso l’omosessualità (Lingiardi, Falanga e D’Augelli, 2005; Herek, 1988; Herek e Gonzalez, 2006). Studi effettuati nel contesto nord americano (Solomon, Rothblum e Balsam, 2004), infatti, hanno evidenziato, comparando coppie gay e lesbiche che hanno ottenuto riconoscimento legale e coppie che invece non lo hanno ottenuto, che le prime coppie si sentono maggiormente accettate rispetto a coloro che non hanno un riconoscimento legale ed inoltre le coppie lesbiche sposate civilmente risultano essere più “aperte” in merito al loro orientamento sessuale. In letteratura, inoltre, si , costatato come il contatto diretto e positivo tra membri di gruppi diversi (che sposano cio, modi di vivere e ideali differenti) può ridurre la stereotipizzazione, il pregiudizio e la discriminazione (Allport, 1954). Dai dati della letteratura (Wright, Aron, McLaughlin-Volpe e Ropp, 1997; Dovidio, Gaerter e Valitzic, 1998), infatti, si evince come anche il contatto indiretto, con persone appartenenti a gruppi che condividono ideali differenti dai propri può avere degli effetti positivi sulla riduzione del pregiudizio. In altre

parole, se un membro di un gruppo si trova in “contatto” o in relazione con un membro dell’out-group si riduce il pregiudizio e si migliora l’idea che si ha sull’altro gruppo. Pettigrew e Tropp (2005) sostengono empiricamente l’idea secondo la quale il “contatto intergruppo” riduce il pregiudizio. In un esperimento di Turner, Crisp e Lambert (2007) si , visto come alcuni partecipanti, solo immaginando un’interazione sociale con una persona gay, miglioravano la loro idea su di essa....


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