Le operette morali PDF

Title Le operette morali
Course Letteratura italiana
Institution Università della Calabria
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riassunto delle Operette morali di Leopardi...


Description

STORIA DEL GENERE UMANO Leopardi inizia le sue Operette con una favola sulla storia dell'umanità e ci narra come tutti gli uomini in origine, fossero creati ovunque nello stesso momento e tutti della medesima età e tutti bambini erano nutriti con costanza e pazienza da api, capre e colombe. La Terra era più piccola, il cielo era senza stelle e c’erano meno meraviglie di oggi, ma nonostante tutto iniziò a cresce negli uomini un'idea d'infinità e di bellezza, giudicando quel posto il migliore dei mondi possibili. Quando dalla fanciullezza gli uomini passarono alla prima adolescenza, ebbero origine i primi dissapori. L'abitudine alla vita quotidiana, spinse alcuni a conoscere meglio il mondo, esplorandolo in lungo e in largo. Con sorpresa, i confini non apparirono più così vasti, il mondo era privo di varietà, salvo poche differenze, tutti gli esseri umani erano simili d'aspetto e di età. Così cominciano a privarsi della vita. Gli Dei, al centro dell’azione di tutta l’operetta, incapaci di leggere il cuore degli uomini e di comprendere le azioni di quel genere umani che doveva rappresentare la perfezione della creazione si accorsero di questo fatto. Lo sgomento per l’infelicità delle creature li induce ad una perenne oscillazione tra la compassione per le sofferenze e la punizione delle empità. Iniziarono a credere che l'infelicità umana sia il segno della loro imperfezione. Il rifiuto della vita, distingue gli esseri umani dagli altri esseri viventi, contravvenendo alle leggi naturali. Per migliorare le condizioni del mondo, i celesti allargarono i confini, riempiono il cielo di stelle, creano più varietà di forme; diversificano le età e rendono più difficili i contatti con altri esseri umani: montagne, colline, fiumi e laghi divideranno le popolazioni. Per aumentare l'idea d'infinito che tanto piace agli uomini, favoriscono l'immaginazione. La seconda era dura di più della prima. La tristezza della vecchiaia consolata dalle speranze della gioventù, ma quando sopraggiunge di nuovo la stanchezza e il tedio della vita, tornano anche le vecchie situazioni. Nasce in questa era il culto dei morti, con feste che celebrano e ricordano l'estinto. Quando gli uomini si abbandonano ad ogni sorta di crimine, Giove decide di annegarli tutti, con la condanna del Diluvio universale, salvando solo i due più meritevoli, Deucalione e Pirra, col compito di ripopolare la Terra, rinnovare la specie umana. Giove crea nuovi desideri negli uomini e li mette nelle condizioni di lavorare per ottenerli. In ogni luogo stabilisce delle particolarità, comanda Mercurio di creare le città e li distingue in popoli e nazioni. Fatto questo dà all'esistenza degli uomini dei problemi veri e dei mali veri. Chi prima non aveva patito alcuna malattia ora è tormentato da ogni sorta di morbo, dal clima avverso, dalle tempeste e dai terremoti ecc. sapendo che i timori e i presenti pericoli riconcilierebbero con la vita. Inoltre pur di vedere gli uomini un po felici Giove manda tra di loro dei bellissimi fantasmi, che rappresentano i valori di riferimento dello stato antico (Gloria, Virtù, Amore, Coraggio ecc.) col compito di tirar fuori il meglio dall'uomo nelle situazioni difficili. I poeti cominceranno a narrare di vite sacrificate in nome di imprese belle e gloriose. L'umanità è portata a credere che l'esistenza, sebbene mediocre, sia almeno tollerabile. Il mondo così concepito dura più lungo di tutti gli altri ma l'eterna abitudine alla vita riporta anche l'abbandono e la noia. Per la prima volta fa la sua comparsa un fantasma chiamato Sapienza, dalle qualità neutre. Ha facoltà di creare una certa aspettativa negli uomini e cioè il conseguimento della verità, condizione che li avrebbe resi simili agli Dei. Tuttavia, mentre nei signori dell'Olimpo la sapienza celebra e sancisce la loro grandezza, negli uomini realizza la consapevolezza della loro miseria. È l'inizio della quarta era: gli uomini arrivano a bestemmiare gli Dei, custodi gelosi di un sommo bene e rei di considerare l'umanità non degna di tale dono. Pressato dalle insistenze del genere umano, Giove delibera di far scendere, non occasionalmente, la verità nel mondo. La verità renderà ancora più amara la vita degli uomini, che vedranno vana qualsiasi speranza consolatoria. Infatti la verità renderà manifesta la condanna a cui il genere umano è destinato per sua costituzione. L’infelicità è dunque una condizione naturale degli uomini. L'arido vero non risparmierà nulla, neanche quei positivi fantasmi. Venendo meno tutti i valori, l'uomo avrà rispetto solo per sé stesso, rinunciando in modo vile a privarsi della vita. Verificata questa terribile condizione, Giove, mosso da pietà e in accordo con gli altri Dei, invia sulla Terra Cupido, un Amore diverso per natura e opere dal precedente, in grado di accendere la passione tra due individui, unico rimedio passeggero all'infelicità, capace di far tornare l'uomo al tempo

della fanciullezza: rinverdisce l'infinita speranza, le belle e care immagini degli anni teneri. dal punto di vista linguistico la sintassi è regolare, con l’aggiunta di costrutti latini. Parole di uso comune e parole auliche con arcaismi e latinismi. Inizio solenne dell’operetta “narrasi”.

DIALOGO D’ERCOLE E DI ATLANTE L'operetta trae ispirazione da uno dei dialoghi dei morti di Luciano, Caronte e Menippo, dove Ermete racconta che una volta suo fratello Ercole venne mandato dal padre Giove ad aiutare Atlante a sostenere il peso del cielo, e per qualche tempo lo sostituì in quella sua perenne fatica. Il motivo centrale del dialogo non è tanto l’episodio mitologico, quanto la rivisitazione del contrasto antichi/moderni in accezione comico/satirico, attraverso l’osservazione del decadimento del mondo. Ercole scopre che, a differenza dell'altra volta, la Terra si è fatta così leggera e silenziosa, di un sonno simile alla morte, che il Titano se la potrebbe attaccare come ciondolo e andare per le sue faccende, se Giove non l'obbligasse a rispettare i suoi voleri. Il vuoto che sembra aver risucchiato l’energia della sferuzza e con esso l’eroismo e la vitalità degli abitanti l’ha trasformata in un aereo gingillo per la loro momentanea distrazione. Infatti Ercole non sentendo più alcun rumore o movimento dubita che sia ancora viva. Propone ad Atlante di colpirla con la sua clava per vedere cosa succede, ma temono che la crosta terrestre, possa rompersi come un uovo o che il colpo possa schiacciare e uccidere tutti gli uomini all'istante. Per svegliarla, si decide di giocare a palla e tra una battuta e l'altra i contendenti confrontano le rispettive abilità. Nemmeno la caduta della sfera riesce a portare gli uomini in vita. La caduta della sfera pone termine al gioco e al dialogo con Atlante che si raccomanda ad Ercole per non far scoprire a Giove il breve momento ludico a cui si sono abbandonati, trascurando le proprie responsabilità. Dietro la parodia del gioco con la palla, traspare una feroce accusa all’età moderna, per la quale l’immobilità non è segno di giustizia, ma piuttosto di ignavia, mancanza di volontà e forza morale. Inoltre i due non sono protagonisti casuali, nel secondo capitolo della storia dell’astronomia, dove leopardi discute su chi abbia per primo intuito la figura geometrica della sfera, i due personaggi compaiono fra i possibili inventori. Primo esempio di dialogo dallo stile medio, ricco di espressioni vernacolari, rapido e tagliente come i lavori lucianei. Molto curate le citazioni classiche che alludono a miti strettamente connessi con la salute della Terra: dal mito di Fetonte (cielo e terra in fiamme) a quello di Apollo e Dafne (con la Terra trasformata in essere esclusivamente vegetale), mentre si muovono, tra favola e storia, i riferimenti antropomorfi alla calma mortale che la segna: il lunghissimo sonno di Epimenide di Creta e la trasmigrazione dell'anima di Ermotino. Dal punto di vista linguistico, per riuscire nel suo intento satirico, utilizza vezzeggiativi e diminuitivi (sferuzza).

DIALOGO DELLA MODA E DELLA MORTE Abbandonate le favole antiche che popolavano le prime due operette, Leopardi si concentra sulla realizzazione di una creatura letteraria moderna, la Moda, e sul recupero di allegorie della tradizione medievale, la Morte, la Caducità, insieme ad esprimere il senso di precarietà del tempo. Riprende i Trionfi di Petrarca. La Moda dopo essersi presentata come sua sorella, in quanto figlie della Caducità (tutto ciò che è effimero), spiega ad una frettolosa ed impegnatissima Morte in cosa è del tutto simile a lei. La Moda fornisce un elenco di usanze che in suo nome gli esseri umani di ogni epoca compiono, realizzando nello stesso tempo le aspettative della Morte. Si parte dalle indicibili sofferenze per rispettare consuetudini sociali, fino agli esercizi per mantenere in salute il corpo e l'anima perché ormai decaduti quei valori antichi di sobrietà ed equilibrio (tutte cose che in definitiva accorciano la vita ecc.); tanto che ormai l'immortalità cercata dagli uomini, in memoria dell'eroe defunto, è tenuta in bassissima considerazione e per amor suo è spento ogni desiderio di gloria. A trionfare quindi, poiché tutto è passeggero e incostante sulla terra, sarà sempre lei, sua sorella maggiore, la triste Mietitrice. morte e moda hanno gli stessi compiti sulla terra: la morte rinnova il mondo uccidendo e la moda lo fa invece stravolgendo le tendenze. Il tono dell’operetta è gioco, scherzoso e quasi leggero (possiamo fare riferimento alla parte iniziale quando la Moda chiede alla Morte se l’abbia riconosciuta e qui risponde di non avere buona vista non potendo usare gli occhiali, visto che non saprebbe dove poggiarli. Dietro questa espressione traspare l’immagine macabra della morte come scheletro privo di vista). All’inizio la morte è come un personaggio schivo, che parla solo perché è la moda a voler dialogare, la moda al suo contrario vuole parlare e cerca di incoraggiare la morte a parlare con lei. Leopardi fa riferimento ad una moda frivola che passa con gli anni, l’esatto contrario della naturale spontaneità degli antichi di cui i contemporanei di Leopardi avrebbero dovuto ricordarsi di essere eredi. Ma la moda convince l’uomo a comportarsi in modo diverso rispetto alla sua natura, nonostante ciò a volte determini sofferenza. In un certo senso la moda si mette in competizione con la morte. Sebbene la Morte sia rappresentata nei modi dell'iconografia classica, evinta dalla battuta sull'impossibilità di portare gli occhiali (è l'immagine del teschio classico), il personaggio più originale è la Moda, figura non molto diversa nell'agire dalla sorella, ma sicuramente più elegante nel sostenere l'ipocrisia umana.

PROPOSTA DI PREMI FATTA DALL’ACCADEMIA DEI SILLOGRAFI Satira pungente contro il progresso della civiltà meccanica a danno del progresso spirituale e morale. Prima di analizzare l’operetta è necessario premettere che all’età di 13 anni Leopardi aveva scritto una dissertazione sull’anima delle bestie, nella quale si propose di definire la natura dei “bruti”, categoria che comprendeva sia gli animali che gli automi. Parla così della possibilità di creare macchine con prestazioni superiori a quelle degli esseri viventi. Una fantomatica Accademia propone che, in questa era delle macchine, siano proprio gli automi (sorta di imitatori meccanici del comportamento umano) ad accollarsi le miserie e le fatiche degli uomini, vista l'impossibilità di porvi altro rimedio. Propone pertanto tre premi (medaglia d’oro con il nome del premiato ed il titolo di primo verificatore delle favole antiche) per chi saprà costruire altrettante macchine automatiche utili all'umanità. La prima deve essere un robot che rappresenti l'amico perfetto: seguono delle avvertenze circa il comportamento esemplare da tenere nei confronti dell'amico; la seconda è un uomo virtuoso atto a fare cose grandiose e magnanime; la terza è la donna

ideale, conosciuta da Baldassarre Castiglione ne Il libro del cortigiano. Notevole il numero di citazioni, classiche e moderne, l'intento satirico sopra ogni riga, quasi a voler muovere forzatamente il riso. La provocazione è rivolta all’ottimistica età delle macchine che si annuncia come quinta epoca della storia del genere umano. È dunque una satira sulla fiducia del progresso e i benefici della tecnologia. L’ironia è abbastanza semplice e deriva dalla serietà del testo, l’eccesso di serietà infatti porta al comico. Attraverso questo meccanismo cerca di prendersi gioco della società e della condizione umana. L’uomo stesso se continua a svolgere delle attività meccanicamente, cioè senza emozioni, diventerà una macchina. Mette così in discussione il comportamento della specie umana.

DIALOGO DI UN FOLLETTO E DI UNO GNOMO Nell’operetta sono da considerare gli abbozzi del dialogo fra due bestie, in cui la natura non è ancora quell’entità indifferente come possiamo osservare nel dialogo con l’islandese. In un mondo ormai deserto, uno Gnomo, abitante nelle profondità della Terra, è inviato alla ricerca di indizi sulla cause della scomparsa del genere umano. Arrivato in superficie incontra un Folletto, spirito dell'aria, col quale intrattiene un breve discorso su cosa è accaduto e come continuerà l'esistenza. Lo Gnomo è preoccupato per la sorte degli uomini, da molto tempo non scavano più per cercare tesori nascosti nelle profondità della terra, la loro scomparsa fa temere radicali cambiamenti di vita, come per esempio l'impossibilità di misurare il tempo. Il Folletto, dopo aver ricordato che la vita segue dei ritmi indipendenti da ogni misurazione, racconta come si sono estinti: « Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l'un l'altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell'ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male. » Entrambi concordano sul fatto che l'uomo non sia il centro dell'universo e che «la terra non sente che le manchi nulla», così la natura perpetua il suo ciclo inesorabilmente: «i fiumi non sono stanchi di correre», dice il Folletto e «i pianeti non mancano di nascere e di tramontare», prosegue lo Gnomo. L’ironia leopardiana si rivolge alla nullità dell’uomo nel cosmo, e alla superbia e presunzione con la quale egli concepisce il mondo creato a suo uso e consumo, e come l’uomo ogni specie è accomunata dall’istinto di autoconservazione e sente, con maggiore o minore consapevolezza, di trovarsi al centro del mondo. L’antropocentrismo quindi permette all’uomo di identificarsi come il primo ente della natura e che il mondo sia fatto per lui. Ne consegue una profonda concezione di amor proprio. L'operetta sembra riprendere dove si era interrotto il Dialogo d'Ercole e di Atlante, fornendo una spiegazione razionale all'immagine di una terra tristemente silenziosa. Il favoloso dialogo nel finale vedrà le posizioni dei due interlocutori sullo stesso piano, tanto da potersi leggere come un unico discorso. Dal punto di vista linguistico all’interno del testo troviamo termini di origine bassa e alta, imitazioni di conversazioni quotidiane, scambi di battute colloquiali. La comicità si esprime proprio nell’abbassamento di tono allo stile familiare. Il diverbio tra i due personaggi sulla superiorità della rispettiva specie è un mimo, una vera e propria scena da commedia.

DIALOGO DI MALAMBRUNO E DI FARFARELLO Operetta breve che interrompe la modalità giocosa ed entra in maniera diretta nella tematica portante dell’opera; il problema della felicità. Dialogo tra due personaggi di fantasia: Malambruno e Farfarello. È un dialogo di battute molto brevi ed essenziali. Il mago Malambruno per esaudire un suo desiderio, invoca alcuni demoni dell'Inferno. Al suo servizio si presenta Farfarello pronto a manifestare tutta la forza del suo padrone Beelzebub. Ponendosi al servizio del mago, il diavolo può farlo ricco, potente e pieno di donne se solo lo desidera, ma l'uomo chiede di poter essere felice per un momento. La risposta del servitore è categorica: non si può fare! Ma il mago insiste e pretende di essere almeno liberato dall'infelicità. Anche in questo caso la risposta del diavolo è negativa: i due desideri sono impossibili da realizzare perché strettamente connessi con la realtà della natura umana. La natura stessa dell'esistenza nega all'uomo la felicità. Il suo conseguimento resterà sempre frustrato, nessun diletto lo appagherà, perché non potrà mai colmare il suo infinito desiderio. Il desiderio di piacere accomuna tutti gli esseri umani, questo desiderio equivale a uno stato di pena continua. Il sentire è soprattutto patire perché l'essere umano, attraverso i propri sentimenti, sperimenta il divario esistente tra ciò che si desidera e ciò che la realtà concede. L'unico rimedio, oltre al sonno senza sogni - perché anche sognare è comunque un minimo sentire e quindi patire è la morte: «Il non vivere è sempre meglio del vivere», afferma Malambruno, dal momento che, continua Farfarello, “la privazione dell'infelicità è sempre meglio dell'infelicità”. È impossibile essere felici, ma l’uomo può liberarsi dell’infelicità eliminando l’amore per se stesso. Infatti poiché l’amore del piacere deriva dall’amore di sé come essere umano, l’aspirazione alla felicità è destinata a non trovare soddisfazione in un piacere che per quanto intenso ed esteso sia è comunque limitato. Alla fine Malambruno sostiene la stessa tesi di Farfarello sulla posizione della felicità. L’effetto comico nell’operetta è reso dall’esagerazione, dall’ingrandimento nelle domande di Malambruno, grazie alla tecnica dell’iperbole. Per la loro esagerazione queste espressioni fanno scaturire il riso. L’ultima parte dell’operetta perde l’andatura comica per assumere il registro classico. Il dialogo appartiene alla schiera dei brevi ed è fortemente legato col successivo, che approfondirà questioni inerenti proprio i magnanimi, coloro in grado di sentire fortemente la vita. Come già accaduto in precedenza, nella sua parte conclusiva, il dialogo si configura come un monologo che svolge un concetto caro all'autore. Nelle battute finali, compare il primo accenno di giustificazione del suicidio secondo ragione.

DIALOGO DELLA NATURA E DI UN’ANIMA Nell’operetta continua il dibattito vita-felicità già affrontato nell’operetta Dialogo di Malambruno e Farfarello. In un luogo impossibile da definire, assistiamo all'incontro tra un'anima e una Madre Natura. Prima della nascita, la Natura predice all'anima l'infelicità, che sarà direttamente proporzionale alla sua grandezza. Lo scopo di ogni anima è la felicità, la beatitudine. L'essere umano eccellente più cerca questa condizione più s'accorge di quanto sia impossibile raggiungerla e le avversità che costellano il suo cammino, portano ineluttabilmente al dolore e alla sofferenza. L'infelicità, quindi è propria di tutti gli uomini, ma è maggiore in quelli grandi, nei magnanimi, coloro che sentono fortemente la vita in ogni sua manifestazione, nelle anime più sensibili. È proposto inoltre il concetto di fama, infatti la natura deve vedersela con la fama (questo potrebbe far pensare ai Trionfi di Petrarca, dove la fama vince ogni cosa) alla fine dell’opera viene fatto un riferimento al destino, che va di pari passo con la fama. Il testo rivela una disposizione autobiografica talmente trasparente da indurre a considerarlo uno scambio di pareri, un vero e proprio confronto tra la natura e Giacomo. Rispetto al modello lucianeo in questo componimento prende il

sopravvento l’andamento socratico-platonico. Di conseguenza il registro comico lascia spazio a quello tragico e quello colloquiale diventa riflessivo, dal punto di vista lessicale vengono utilizzate forme più letterarie.

DIALOGO DELLA TERRA E DELLA LUNA Lo spunto per questo dialogo proviene sicuramente dall’icaromenippo di Luciano, in particolare dal brano in cui Menippo, richiamato da una voce femminile, raccoglie lo sfogo della luna contro le assurdità pensate dai filosofi sul suo conto: che dimensioni essa abbia, se sia piena o vuota, se risplenda di luce propria o la rubi al sole, e soprattutto se sia abitata o deserta. La questione della pluralità dei mondi, centrale nella riflessione filosofica settecentesca, è presente a Leopardi in termini di osservazione scien...


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