Riassunto Operette Morali PDF

Title Riassunto Operette Morali
Course Letteratura italiana (corso avanzato)
Institution Università degli Studi di Milano
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Breve riassunto degli elementi più importanti delle Operette leopardiane...


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LE OPERETTE MORALI: - Dialogo d’Ercole e di Atlante - Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo - Dialogo di Malambruno e di Farfarello - Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare - Dialogo della Natura e di un Islandese - Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie - Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez - Cantico del gallo silvestre - Dialogo di Plotino e di Porfirio - Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere - Dialogo di Tristano e di un amico 2. DIALOGO DI ERCOLE E DI ATLANTE: -

L’opera trae ispirazione da uno dei “Dialoghi dei morti” di Luciano; in particolare da “Caronte e Menippo” i cui protagonisti sono Ercole e Atlante.

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Il motivo del dialogo è la rivisitazione del contrasto antichi/moderni attraverso l’osservazione del decadimento del mondo, prodotto dall’inerzia che si è impossessata di quest’ultimo  infatti Atlante dice che da molto tempo non sente più alcun rumore provenire dal pianeta e per questo, dopo aver vagliato varie opzioni tra cui la morte dell’intero genere umano oppure la metamorfosi degli umani in piante, giunge -con il suggerimento di Ercole- alla conclusione che gli uomini stanno dormendo. In questo traspare il pessimismo storico-sociale nei termini di una dura accusa all’età moderna per la quale l’immobilità non è segno di giustizia, come Ercole ricorda alla fine del dialogo -citando Orazio-, ma è segno di ignavia. La terra si riduce ad un mero gioco (una palla sgonfia e nemmeno tonda che Ercole e Atlante si tirano a vicenda), diventando così oggetto di divertimento e discussione tra due personaggi.

Tono e tecnica: - il registro è satirico e si avvale di diminutivi e vezzeggiativi (es: Ercolino) - gli effetti comici sono perseguiti attraverso l’uso insistito di espressioni dal colorito popolaresco (es: in fe’ d’Ercole) - si punta molto sulla figura dell’opposizione (rumore/silenzio; vita/morte; antico/moderno) con capovolgimenti delle polarità convenzionali. Il senso della riflessione di Orazio è che l’uomo giusto non teme la rovina del mondo, dal momento che per lui il rispetto dei doveri morali ha la precedenza su qualunque altra preoccupazione. Ma dunque – si chiede Ercole –, siccome il mondo è caduto e nessuno ha battuto ciglio, bisogna inferire che tutti gli uomini siano giusti? Atlante, nella battuta finale dell’operetta, risponde con ironia: «Chi dubita della giustizia degli uomini?».

Il mondo moderno, in sostanza, per Leopardi si è come addormentato. Il suo sonno è sinonimo di ignavia, di quell’indolenza che rende fiacco e privo di volontà l’agire umano. Il torpore è così profondo che resiste persino a una potente scossa, tanto che nulla sembra in grado di contrastarlo efficacemente. Per il genere umano, in altre parole, non c’è futuro: esso è vivo solo nel senso che sopravvive, si trascina senza scopo; ma, di fatto, è come se fosse morto. Il Dialogo d’Ercole e di Atlante rappresenta pertanto un tipico esempio del pessimismo leopardiano, anche se è bene tenere presente che sotto accusa finiscono più che altro le storture dell’età moderna (e non quindi l’umanità in quanto tale), laddove invece per l’antichità è implicito un elogio da parte dell’autore. Nel momento in cui Ercole e Atlante ricordano, infatti, che un tempo la Terra era più pesante ed emetteva un ronzio (indice di vitalità), indirettamente ammettono che un mondo migliore sia possibile, se non altro perché è esistito in passato. Resta da chiedersi, pertanto, per quale ragione l’umanità sia sprofondata in un sonno atrofizzante. Cos’è che rende il presente così meschino e l’uomo così apatico? Leopardi non dà una risposta precisa nell’operetta, ma è lecito supporre che alla base della crisi della civiltà occidentale degli individui ci sia l’individualismo esasperato che contraddistingue l’uomo moderno, indifferente rispetto a tutto ciò che non lo coinvolge in prima persona. Gli antichi, infatti, avevano ben radicato il senso della collettività, tanto che il singolo poteva esercitare la propria libertà solo come parte di un tutto, come componente di un insieme. La società borghese dell’Ottocento sta invece progressivamente allontanandosi da questo modello: l’individuo viene prima di tutto, e la libertà non è più concepita come positiva (libertà di), ma essenzialmente come negativa (libertà da). All’uomo moderno, in sostanza, sta a cuore solo l’interesse personale (materiale ed economico), mentre manca completamente la disponibilità a sacrificarsi sul serio per qualcosa. È questo, in definitiva, il significato del sonno cui allude Ercole. L’uomo moderno è addormentato nel senso che non è più in grado di recepire i cambiamenti, tutto preso com’è dalle proprie faccende personali. Anche se il mondo andasse in rovina, a lui importerebbe solo trovare un modo per sopravvivere come individuo. Ciò che conta nell’età moderna è essenzialmente il profitto, la capacità cioè di arricchirsi, sempre come singolo – s’intende –, mai come popolo. Il mondo si è fatto leggero perché la volontà degli uomini di operare per la grandezza della specie è stata completamente sopraffatta dall’egoismo. 3. DIALOGO DELLA MODA E DELLA MORTE: protagoniste di questo dialogo sono la moda e la morte, entrambe chiamate ad esprimere il senso di precarietà e di caducità del tempo. Per la Morte Leopardi si rifà espressamente al vasto repertorio figurale dispiegato da Petrarca nei Trionf, mentre, per quanto riguarda la Moda, questa viene considerata da Leopardi il simbolo delle apparenze e della vanità, tipiche dei tempi moderni e del consumismo. Secondo Leopardi le mode si susseguono e muoiono in continuazione perché una moda per affermarsi ha bisogno che muoia quella prima di essa. È per

questo che La Moda è sorella della Morte: infatti sono entrambe figlie della caducità ed immortali. In questo componimento è importante anche la componente antropologica che si esprime nella descrizione dei tanti comportamenti irrazionali ai quali il potere seduttivo della moda induce gli uomini inciviliti portando acqua al mulino della morte. Toni e tecnica: La caratterizzazione dei personaggi passa attraverso i toni della mimesi dialogica: la moda, capricciosa dama rococò avvia e regge la conversazione con voce flebile mentre la morte, orrida nelle fattezze e schiva come da tradizione le risponde a stento con ruvide battute idiomatiche. Un dialogo fatto di botta e risposta fatta eccezione per le due lunghe battute nelle quali, sfruttando la figura dell’enumerazione, la moda elenca i suoi tanti successi ottenuti sia presso i popoli primitivi che nella società più progredita. Ne scaturisce un singolare micro-trionfo, analogo agli autentici trionfi petrarcheschi. Riassunto: La Moda chiama la Morte, la quale però le dice che sarebbe andata da lei solo quando sarebbe stato il momento; tuttavia, la Moda le confessa di essere immortale, proprio come lei, e le dice anche di essere sua sorella. La Moda, infatti, spiega alla Morte che sono entrambe figlie della caducità. La Moda spiega alla Morte che entrambe decidono del destino dell'umanità: la Morte uccidendo e la Moda imponendo determinate tendenze e porta alla Morte degli esempi su cosa impone agli uomini e sulle nuove tendenze che possono essere causa di malattia e decesso, come ad esempio il mandare in disuso gli esercizi che giovano al benessere corporale. La moda dice quindi alla sorella che la aiuta molto e che è merito suo se c'è ancora la moda di morire, altrimenti non morirebbe più nessuno. Alla fine, viene riconosciuta la parentela tra le due che si accordano per operare nel modo migliore. 4. PROPOSTA DI PREMI FATTA DALL’ACCADEMIA DEI SILLOGRAFI In questa operetta, molto attuale, si nota di nuovo il contrasto tra antico e moderno, già presente nel dialogo di Ercole ed Atlante. In questo testo, che si prefigura come una proposta, un bando di concorso di una fantomatica accademia “dei Sillografi”, Leopardi prefigura la possibilità di inventare macchine capaci di prestazioni di gran lunga superiori a quelle degli esseri umani, caduti in discredito, ed in grado di superarli non solo nelle capacità fisiche, ma anche nelle doti spirituali. In particolar modo devono essere creati tre automi che perseguono ognuno un obiettivo preciso: riprodurre meccanicamente ciò che nel mondo umano non esiste; per cui il concetto di progresso si lega irrimediabilmente all’aspra polemica leopardiana. Questa provocazione è rivolta al “fortunato secolo in cui siamo” ovvero “l’età delle macchine” che si annuncia come la quinta epoca della storia del genere umano.  si rileva anche qui un pessimismo sociale e non individuale  Toni e tecnica:

La natura del brano scopertamente polemica determina il ricorso all’imitazione di un linguaggio burocratico – accademico da cui l’autore trae i massimi effetti parodici: il risultato è l’imitazione di un vero e proprio bando di concorso. Sintatticamente complesso, gioca su costrutti latini e forme auliche del linguaggio. È questa una satira pungente contro il progresso della civiltà meccanica a danno del progresso spirituale e morale. L'operetta gioca molto sui fitti collegamenti intertestuali, infatti i “Sillografi” erano gli autori greci (di età ellenistica) dei Silloi, ovvero delle composizioni poetiche burlesche e satiriche.  dunque, questa ammicca ad una complicità con il lettore in quanto questa accademia non deve essere presa sul serio. Notevole è poi il numero di citazioni, classiche e moderne: si cita Cicerone (per quanto riguarda l’amicizia), il Cortegiano di Castiglione (per quanto riguarda come debba essere la donna automa), si cita il mito di Pigmalione, Pilade ed Oreste, Virgilio, Diogene etc… Riassunto: una fantomatica Accademia propone che, in questa era delle macchine, siano proprio gli automi ad accollarsi le miserie e le fatiche degli uomini vista l'impossibilità di porre rimedio agli errori umani. L’accademia propone pertanto tre premi per chi saprà costruire altrettante macchine automatiche utili all'umanità. La prima deve rappresentare l'amico perfetto (seguono delle avvertenze circa il comportamento esemplare da NON tenere tra amici – alludendo con evidenza alla distorsione dei rapporti umani – e una serie di citazioni classiche a rafforzamento del progetto); la seconda macchina deve essere un uomo a vapore virtuoso, (a vapore in quanto questo indirizza alla virtù e alla gloria: chiaro intento parodico) atto a fare cose grandiose e magnanime; mentre la terza macchina deve essere la donna ideale, fedele che, evidentemente, è la più preziosa tra le tre invenzioni dato che il premio per quest’ultima è il più cospicuo (forse è la più preziosa proprio perché Leopardi ammette che le donne fedeli in Europa non esistono). 5. DIALOGO DI UN FOLLETTO E DI UNO GNOMO Dialogo in cui si affronta il motivo del mondo senza uomini, già presente nelle pagine dello Zibaldone ma, in questa operetta, il tema dello snaturamento prende la piega di una satira anti-finalistica che è lo spunto polemico centrale del dialogo. L’ironia leopardiana si concentra sulla nullità dell’uomo nel cosmo e sulla superbia con la quale l’uomo concepisce il mondo, secondo lui creato a suo uso e consumo. In questa operetta Leopardi dà voce a due creature fiabesche e mette loro in bocca delle questioni che hanno raggiunto negli ultimi decenni del nostro secolo il loro punto di massima incandescenza. Lo scenario è un mondo dove l'uomo è scomparso a causa del suo cattivo brigare; il Folletto e lo Gnomo si scambiano delle opinioni sul perché e sul come delle cose e la domanda che si pongono è perché ci siano così tanti animali. All'inizio pensano, ad esempio, al maiale che secondo il filosofo Crisippo non era altro che un insieme di pezzi di carne appositi per la cucina e per la dispensa degli uomini. Si interrogano poi sull’utilità delle pulci e delle zanzare e la risposta è che gli animali che non

servono agli uomini e che li tormentano sono stati messi al mondo per edifcare gli umani e per esercitarli alle virtù della sopportazione e della pazienza. Il Folletto tuttavia ribatte che se è vero che tutti gli animali sono stati creati per favorire in senso materiale e morale l'uomo che cosa si può dire allora di tutti quegli animali che l'uomo non ha mai conosciuto? Per esempio, i fossili, oppure le foreste sommerse del carbonifero: queste sono forse sono state create per diventare carbone? Oppure i dinosauri: sono forse stati creati solo per finire nelle vetrine dei musei degli uomini? La risposta sta nell’evoluzione: i rettili sono stati i nostri progenitori e noi, se ci siamo, è perché loro c'erano. In parole povere l'uomo fa parte di un processo; è una parte di questo processo. Dunque, per bocca del Folletto, Leopardi confuta il nostro vizio antropocentrico suggerendoci che la natura è un per sé, e non un per noi. Da tutto questo si può certamente ricavare una lezione di umiltà ma, tuttavia, quell’antropocentrismo che Leopardi mette alla berlina alla fine si rivela un male necessario, fisiologico, (poiché l' immaginarsi di essere il primo ente della natura e che il mondo sia fatto per noi è una conseguenza naturale dell' amor proprio, necessariamente coesistente con noi e necessariamente illimitato, e poiché l'istinto di autoconservazione accomuna tutte le specie è naturale che ciascuna di esse pensi di trovarsi al centro del mondo). Fisiologico al punto che i suoi due “avvocati del diavolo”, il Folletto e lo Gnomo, ne cadono in balia, concludendo che se il mondo a cui gli umani sono stati scacciati non era stato fatto per loro, era allora destinato al folletto o allo gnomo, secondo i rispettivi punti di vista. Per cui le due creature danno prova l‘una di follettocentrismo, l'altra di gnomocentrismo, non meno virulenti delle pretese degli umani e sicuramente di uguale cecità. 6. DIALOGO DI MALAMBRUNO E DI FARFARELLO Il protagonista di questo dialogo è per la prima volta un personaggio uomo, che si presenta sulla scena non per continuare la satira contro l'umanità, ma per riflettere sul nucleo della teoria del piacere. Un ragionamento che era già presente all'interno dello Zibaldone e che ritorna nelle operette morali con una riflessione di ordine generale sul desiderio di felicità che accomuna tutti gli esseri viventi. Malambruno, in qualità di mago, invoca i diavoli dell’inferno per ottenere i loro servigi e soddisfare una sua volontà: a rispondere all’appello è Farfarello che, prontamente, si presenta dinanzi al mago. Cominciano le supposizioni del diavolo su quelle che possono essere le ragioni della convocazione, supposizioni che pongono immediatamente in risalto gli aspetti che ben raccontano la superficialità dell’essere umano: - Farfarello gli chiede se per caso volesse ottenere una nobiltà maggiore di quella degli Atridi  secondo il mito, discendenti di Zeus. Era la dinastia più celebre nel mondo antico - Gli chiede poi se desiderasse maggiori ricchezze di quelle che si troverebbero nella città di Manoa  il riferimento è alla città di El Dorado: questa è in realtà un’astuzia del diavolo dato che la città di Manoa non verrà mai scoperta. - Gli chiede se per caso non desiderasse un impero grande come quello che dicono che Carlo V si sognasse una notte  sui possedimenti di Carlo V si raccontava che non tramontasse mai il sole. Inoltre, di lui si racconta

-

che la sconfinata ambizione del sovrano facesse credere che, ai suoi tempi, Carlo sognasse la monarchia universale. Infine, gli domanda se desiderasse una donna più ritrosa di Penelope  si può leggere qui una degradazione del mito, dal momento che Penelope non viene presentata come fedele ma come scorbutica.

(brama di potere, di successo, di lussuria), ma, in realtà, la richiesta di Malambruno è in apparenza molto semplice: essere felice anche solo per un momento. Richiesta alla quale Farfarello risponde seccamente di no. Non gli è possibile soddisfare neanche per un solo momento questo desiderio di felicità e non è nemmeno in grado di liberare l’animo dall’infelicità. Infatti, l’unico momento in cui l’infelicità sembra interrompersi è o quando si dorme senza sognare, oppure quando si viene improvvisamente colti da uno sfinimento; tanto è vero che, parlando poi in termini assoluti, il dialogo si conclude con la sintesi che sia meglio il non vivere piuttosto che il vivere. Il punto è che, secondo Leopardi, ciò che muove le azioni degli uomini è il desiderio di piacere: l’uomo ha un desiderio infinito di un piacere infinito, per durata ed estensione, ma ha esperienze solo di piaceri finiti che non lo rendono pago, per cui da qui nasce l’infelicità, il dolore, il senso di nullità ed il vuoto. La consapevolezza leopardiana procede poi oltre, arrivando a stabilire che lo stato di desiderio perenne che caratterizza gli uomini equivale ad uno stato di pena continua, tanto maggiore quanto più acuta è la sensibilità individuale. Dunque, non esiste piacere più grande nella vita che il non sentire la vita stessa come dimostra Farfarello con la sua logica stringente. Gli unici momenti in cui una persona può assaporare una felicità illusoria è quando siamo in attesa di un piacere oppure nel momento immediatamente successivo alla cessazione di un dolore.

7. IL DIALOGO DELLA NATURA E DI UN’ANIMA Il dibattito vita felicità avviato nel dialogo precedenti di Malambruno e di Farfarello prosegue con l'osservazione del caso particolare dell’infelicità provata dalle anime grandi. Dal rapporto impari che viene a stabilirsi tra un amore proprio senza limiti e la limitatezza del bene che si può effettivamente conseguire, deriva la condizione di irraggiungibilità di un piacere adeguato alla soddisfazione del desiderio. In particolar modo, in questo dialogo si dimostra che essere un'anima eccezionale, alla fine, non è che una penosa condanna, per diversi motivi, quali: la diretta proporzionalità tra l'eccellenza e l'infelicità, la finezza e la vivacità dell'immaginazione che limitano la libertà di azione e il controllo su sé stessi, l'incapacità di apprendere o di mettere in pratica cose di per sé minime e l'invidia che perseguiterà l’anima. L'unica consolazione viene offerta dalla fama, dalle Lodi, dagli onori e dalla loro durabilità che questa grandezza potrebbe fruttare. Con il condizionale in quanto la natura non può fornire la certezza assoluta della fama all’anima che, alla fine del dialogo, dopo aver appreso tutte le difficolta alle quali andrà incontro, chiede alla natura di essere collocata nell’essere più imperfetto o, se questo non fosse possibile, di farla conforme al più insensato e stupido essere umano.

In questa operetta è evidente l’immedesimazione leopardiana in uno di quei “cuori sensibili”, in un’identificazione talmente trasparente da indurre a considerare questo dialogo un confronto aperto tra la Natura e Giacomo stesso. 8. DIALOGO DELLA TERRA E DELLA LUNA Lo spunto per questo dialogo proviene da un’opera di Luciano e, in particolar modo, dal brano in cui Menippo raccoglie lo sfogo della Luna contro le assurdità pensate dai filosofi sul suo conto. La scena qui è quasi uguale, nel senso che la Terra pone diverse domande alla Luna in merito a tutte le credenze che si hanno su di lei che però l’astro smentisce prontamente. Infatti, l’operetta assomiglia un po’ ad un catalogo di errori, intervallato dal lor puntuale smascheramento. Nel dialogo viene affrontata sia la questione della presunzione degli uomini, che credono di poter conoscere tutto e invece errano, sia la questione della pluralità dei mondi, che trova nella Luna il suo oggetto d’attenzione privilegiato, ma, a costituire il nucleo di questo dialogo è il finale – di carattere metafisico – che rivela la condizione di infelicità comune all’intero universo. Protagoniste sono la Terra e la Luna, entrambe personificate, in particolare, della Luna si dice che ha occhi, naso e bocca, così come la vedono i fanciulli e i poeti. Il discorso della Terra è “alla buona”, quello della Luna è più meditato: alla Terra è sempre mancato il tempo di chiacchierare, ma ora che i suoi abitanti sono diventati oziosi, senza intelligenza e senza volontà, la Terra vive nell’inerzia e nella noia, motivo per cui può permettersi di scambiare due parole con il vicino pianeta. Tra le due, però, emerge subito l’incomunicabilità e l’incomprensione: la Terra immagina e ragiona solo da una angolazione terrestre e l...


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