Lett. Francese I - dal Medioevo al XVII secolo PDF

Title Lett. Francese I - dal Medioevo al XVII secolo
Author Giovanna Falcicchio
Course Letteratura francese i
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Riassunti del Brunel dal Medioevo al XVII secolo...


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IL MEDIOEVO Con il termine Medioevo si designa tradizionalmente un periodo intermedio che separa l’Antichità dai Tempi moderni. Per consuetudine si fa cominciare questa età nel 476, con la caduta dell’ultimo imperatore romano d’Occidente, e finire nel 1453, con la caduta di Costantinopoli. Schematicamente, si può chiamare “Alto Medioevo” il periodo di gestazione che va dal V al X secolo: si delineano strutture politiche; nelle ex province romane, si sviluppano nuove lingue da quella latina che ha resistito agli sconvolgimenti. A seguito delle invasioni delle tribù germaniche una prima riunificazione del territorio gallico viene compiuta da Clodoveo, re franco della dinastia merovingia che si convertì al cattolicesimo nel 496. Dopo la sua morte, la potenza dei re merovingi diminuisce: a poco a poco cedono il vero potere ai maestri di palazzo, alti funzionari preposti alla sorveglianza dei nobili. L’energia e l’abilità degli ultimi maestri, Carlo Martello e Pipino il Breve, determinano un cambiamento di dinastia: Pipino viene incoronato nel 754. Suo figlio Carlomagno, imperatore d’Occidente nell’800, sembra restaurare la grandezza passata; malgrado qualche progresso nell’amministrazione e un inizio di rinascita intellettuale, la sua opera è fragile. Dopo la sua morte l’impero si frantuma. Il Medioevo propriamente detto si estende dall’XI al XIII secolo: è l’ “epoca feudale”. Le strutture feudali della società, si sono incominciate a delineare fin dalla caduta dell’Impero romano. I detentori del potere militare e della ricchezza, cedevano parzialmente il beneficio delle loro terre a coloro che s’impegnavano personalmente a servirli in cambio della loro protezione. Il “vassallo” attraverso l’ “omaggio” e la “fede”, s’impegna con un “signore”, suo “sovrano”; riceve un “feudo”, una terra da cui trae il suo sostentamento. Questi feudi divengono rapidamente ereditari e, invece di essere la conseguenza dell’impegno, ne diventano la causa. Malgrado i suoi vantaggi, questo sistema non assicura il buon funzionamento del potere centrale. I re, teoricamente posti al vertice della gerarchia, vengono privati della sovranità sull’insieme del territorio dai loro grandi vassalli. Queste difficoltà politiche non intralciano però, nel XI e XII secolo, un rifiorimento economico che assicura la prosperità delle città e favorisce la vita lussuosa della nobiltà. Anche la Chiesa sa approfittare delle circostanze per moltiplicare e abbellire gli edifici destinati al culto e per dispensare il suo insegnamento nelle città. Il XIV e il XV secolo vengono spesso considerati come l’epoca del declino della civiltà medievale. Incomincia a manifestarsi un sentimento nazionale che la più alta figura della rinascita militare, Giovanna d’Arco, incarna mirabilmente. Luigi XI porta a compimento la restaurazione dell’unità nazionale. Il “terribile re” sconfigge definitivamente la feudalità. I primi testi Numerosi fattori contribuiscono a fare della letteratura medievale un settore particolare. La lingua dei primi testi non è semplice, poiché suddivisa in dialetti, in costante evoluzione per cinque secoli. La letteratura del Medioevo però non è da considerare l’infanzia della letteratura, al contrario essa è la manifestazione di un’autentica volontà estetica, quella cioè di realizzare e approfondire nell’universo del linguaggio l’incontro tra l’uomo e il mondo. La romanizzazione conseguente alla conquista romana determinò sul territorio della Gallia l’espansione della lingua latina; anzi, più correttamente, delle lingue latine, distinguendo la lingua corretta degli scrittori insegnata nelle scuole dal “sermo quotidianus”, la lingua correntemente parlata dai militari e dai mercanti. Il latino resistette allo smembramento dell’Impero nel V secolo e alle invasioni barbariche. Dopo un periodo di bilinguismo, le parlate germaniche introdotte dai Franchi

scomparvero. Ma, mentre il latino classico soffriva per i disordini di un’epoca poco propizia alla conservazione della cultura, il latino parlato, sottoposto alle influenze germaniche e celtiche, conobbe una rapida evoluzione. Si trasformò a tal punto che al Concilio di Tours (813) i vescovi, desiderosi di mantenere il contatto con i fedeli laici, raccomandarono di utilizzare nei sermoni la lingua volgare, il romanzo. Dalla stessa epoca (842) data il primo documento che possediamo sulla lingua francese. Una serie di cause etniche e politiche, fece evolvere questa lingua romanza volgare fino ad assumere forme diverse da regione a regione. Se ci si limita al territorio francese, si distingue la lingua d’oc (“oc” dal latino “hoc” significa “sì”), parlata nel sud, dalla lingua d’oïl, parlata nel nord. Ma se l’uso letterario delle parlate d’oc ha costituito prestissimo una lingua provenzale abbastanza omogenea, i primi testi francesi appaiono invece in dialetti differenti, come il piccardo, il vallone, il lorenese, il borgognone, l’anglo-normanno, il franciano. Si chiama antico francese la lingua dell’epoca feudale che si può leggere, nelle sue varianti dialettali, nella letteratura poetica, romanzesca e teatrale dall’XI al XIII secolo. Arricchita e ammorbidita dall’uso letterario, alla fine del XII secolo diventa uno strumento perfettamente idoneo alle varie espressioni di una brillante cultura. I Serments de Strasbourg, pronunciati il 14 febbraio 842 sono soltanto un documento linguistico. I primi testi scritti in lingua volgare sono rari e dispersi. La Séquence de Sainte Eulalie, scritta nell’881, la Vie de saint Léger nell’X secolo e la Vie de saint Alexis nell’XI, mostrano che le prime opere conservate sono d’ispirazione religiosa, probabilmente destinate alla pubblica recitazione davanti alla messa dei fedeli. Accanto a chierici formati dalla Chiesa, esistevano altri autori che s’indirizzavano a pubblici molto diversi. All’inizio menestrelli sono degli scrittori al servizio di un signore che compongono per il piacere del loro padrone delle opere generalmente divertenti. Sembra che siano abbastanza rapidamente passati dal ruolo di creatore a quello di esecutore. I giullari si rivolgevano a un pubblico molto più vasto e composito: aristocratico nei castelli, popolare sulle piazze delle fiere o sulle strade di pellegrinaggio; interpretavano anche delle composizioni letterarie, canzoni o ampie narrazioni epiche. Quelli che tra loro avevano potuto iniziarsi al sapere potevano arricchire il loro repertorio con poemi scritti in base ai gusti del loro pubblico; questi meritano il nome di trovieri (cioè inventori, creatori), ma non tutti i nobili sono trovieri e non tutti i trovieri sono giullari. Le canzoni di gesta Una delle manifestazioni più copiose della letteratura francese è data dalla produzione epica. Alla fine dell’XI secolo appaiono le canzoni di gesta, lunghi poemi narrativi destinati alla pubblica recitazione. La loro diffusione, inizialmente solo orale, era assicurata dai giullari che ne erano gli autori, gli adattatori o semplicemente gli interpreti. Queste opere cantano le imprese di eroi carolingi nobilitate dalla leggenda. Molte canzoni sono anonime, “bene pubblico” si potrebbe dire, e l’arte immediata che le caratterizza, i molteplici rimaneggiamenti che le hanno adattate ai gusti di un pubblico vario ma fedele nel corso dei tre secoli, confermano che questa letteratura rispondeva ai desideri di una collettività e non al bisogno d’espressione di un individuo. La forma delle canzoni di gesta non obbedisce a regole molto rigide. La lunghezza dei poemi che sono stati conservati varia considerevolmente, da 2000 a 20000 versi. Il più delle volte questi versi sono dei decasillabi con censura dopo la quarta sillaba, ma si trovano anche delle canzoni in alessandrini e in ottosillabi. La caratteristica essenziale dei poemi epici è il raggruppamento dei versi in unità musicali di lunghezza variabile, le lasse. Queste sono costruite sulla stessa assonanza o sulla stessa rima e molto spesso corrispondono a unità narrative.

Delle numerose canzoni di gesta che dovevano esistere nel XII e nel XIII secolo, solo un centinaio di poemi ci è stato trasmesso attraverso copie manoscritte che spesso propongono varie versioni di una stessa canzone. La parola “copia” è inadatta, si tratta piuttosto di rimaneggiamenti, e perfino di “rimaneggiamenti di poemi già rimaneggiati”. Aggiungevano dei dettagli all’azione, non esitavano a snaturare lo spirito di un vecchio testo sviluppando temi alla moda, come ad esempio quello della cortesia. L’atto epico per eccellenza è l’atto guerriero: è “l’estur champel”, quella che permette alle virtù del cavaliere di manifestarsi. Le battaglie riferite dalle canzoni si svolgono tutte secondo un processo quasi immutabile: l’incontro dei due eserciti; la descrizione più o meno rapida di terrificanti equipaggiamenti; infine gli assalti, prima alla lancia e poi alla spada. Nella confusione, alcuni primi piani isolano i personaggi più importanti in duelli che riassumono l’incontro. Anche l’eroe epico sembra dotato di virtù tradizionali: forza sovrumana, coraggio senza pari… Ma eroi che incarnano lo stesso ideale assoluto devono differenziarsi; così gli autori insistono su caratteristiche individuali capaci di impressionare un pubblico popolare: la barba fiorita di Charlemagne, il naso piccolo di Guillaume, etc. I poeti hanno saputo variare il dosaggio delle qualità e delle debolezze, evitando così che i loro personaggi principali risultassero uno stesso artificioso concentrato delle più sublimi virtù. Le diverse ipotesi formulate da oltre un secolo propongono, con delle varianti, due tipi di spiegazione riguardo l’origine dell’epopea francese. La corrente “tradizionalista” vuole collegare le epopee agli avvenimenti che esse celebrano. Delle “cantilene”, poemi epico-lirici, secondo Gaston Paris, o dei racconti in versi di carattere informativo, secondo Menéndez Pidal trasmessi oralmente, si sarebbero sviluppati, modificati col tempo, fino a diventare le canzoni che conosciamo. A questa tendenza, si sovrappone la tesi “individualista” che per primo sostenne Bédier. Egli constata che lo spirito dei testi è quello dell’XI secolo e pensa che la qualità dei migliori poemi presupponga dei creatori coscienti e geniali che i tardivi rimaneggiatori non hanno potuto tradire. Questi artisti hanno avuto bisogno di fonti: Bédier pensa di trovarle nelle leggende locali tenute in vita nei santuari. La “Chanson de Roland” La più antica e più bella chanson de geste che si è stata trasmessa da un celebre manoscritto conservato a Oxford. I suoi 4002 decasillabi sono suddivisi in 291 lasse assonanzate. Il dialetto anglo-normanno del manoscritto non ci permette di congetturare il dialetto originale del poema, poiché il testo di Oxford non è altro che una copia, a volte scorretta. Possiamo soltanto dire che questo manoscritto, ripreso dalle edizioni più accessibili al pubblico, presenta la versione meno deformata di quella che fu la canzone originale. Si fa risalire il manoscritto di Oxford al secondo quarto del XII secolo. È altrettanto difficile attribuire alla Chanson de Roland un autore, c’è una firma alla fine con il nome di Turold ma non si sa se sia lui l’autore, anche se ne è probabilmente l’estensore. Trama: Dopo 7 anni di vittorie in Spagna, l’imperatore Carlomagno deve soltanto vincere un’unica città, Saragozza, in mano al re saraceno Marsilio. Questi, contando sulla spossatezza dei Franchi, offrirà all’imperatore dei ricchi doni e dei nobili ostaggi a testimonianza della sua volontà di arrendersi e di convertirsi sei i cristiani rientrano in Francia. In realtà, il pagano ha solo l’intenzione di allontanare l’esercito franco che lo minaccia. Un’ambasciata riferisce queste proposte a Carlomagno che si consiglia con i suoi baroni. Orlando ricorda che Marsilio ha già ingannato i Franchi e rifiuta di negoziare, ma il suo patrigno Gano e altri baroni, allettati dalla pace, ottengono il consenso dell’imperatore. Si manderà dunque un’ambasciata al re Marsilio. L’impresa è pericolosa: Gano, che Orlando fa designare per questa missione, lascia esplodere la sua collera e giura di vendicarsi di ciò che considera come una minaccia.

Gano è un barone nobile e fiero, ma, abilmente interrogato da Blancandrino, l’ambasciatore pagano, si lascia trascinare dal suo rancore; poiché l’ostacolo alla pace desiderata dai due partiti è Orlando, egli deve morire. La cosa viene decisa alla fine di un drammatico incontro col re Marsilio. Gano farà designare Orlando alla retroguardia delle truppe Franche che abbandonano la Spagna, e i Saraceni lo attaccheranno al passaggio dai colli. Il piano riesce. Orlando non si cura di rifiutare il posto pericoloso. Accompagnato da 12 pari e da 20.000 guerrieri, incontra l’immenso esercito saraceno a Roncisvalle. Invitato dal suo compagno Oliviero a suonare il corno per avvertire l’imperatore, Orlando, preoccupato per la sua gloria, preferisce accettare il combattimento con le sue modeste truppe. I Franchi, vincitori del primo assalto, muoiono uno dopo l’altro e presto sono ridotti a poche decine. Orlando allora, purificatosi da ogni orgoglio attraverso l’eroismo e la sofferenza, suona l’olifante affinchè Carlomagno possa vendicare lo sterminio della sua retroguardia e il sacrificio dei dodici pari non diventi un disastro per la cristianità. Muoiono poi i tre maggiori eroi della battaglia: Oliviero il saggio, il compagno fraterno, riconciliato con Orlando; l’arcivescovo Turpino, caritatevole prete e tremendo massacratore di pagani; infine Orlando, dopo aver radunato i cadaveri dei suoi compagni, spira, non sotto i colpi del nemico in fuga, ma con le tempie rotte per lo sforzo fatto a suonare il corno. Dà un commovente addio a Durlindana, la spada che non può spezzare, all’imperatore, alla Francia e muore col viso rivolto verso la Spagna tenendo il suo guanto verso Dio… San Gabriele e San Michele portano l’anima del martire in paradiso. Il poema si sarebbe potuto concludere lì. Il teso di Oxford intercala tra la morte del prode e questa conclusione obbligata un episodio che può sembrare imprevisto. Dopo che Carlomagno ha fatto a pezzi e annegato nell’Ebro le truppe pagane in fuga, dopo che Marsilio, ferito da Orlando a Roncisvalle, si dispera in Saragozza e la sua gente distrugge gli idoli, appare l’emiro Baligante, capo di tutta la “paganeria”, che Marsilio aveva chiamato in aiuto 7 anni prima… Indubbiamente questo arrivo è molto improvviso; la deplorevole disfatta dei Pirenei viene riscattata da uno scontro “al vertice” tra le forze della Cristianità e quelle dell’Islam, che sarà fatale ai pagani. Il senso e la conclusione della battaglia appaiono nel duello che oppone Baligante a Carlomagno. Questi, confortato dall’arcangelo Gabriele, uccide il suo avversario. Il soldato di Dio è vincitore, Saragozza viene conquistata dai Franchi e la regina Braminonda, moglie di Marsilio, condotta prigioniera ad Aix. Qui si conclude il poema, con la morte della bella Alda, sorella di Oliviero e fidanzata di Orlando alla notizia della scomparsa dell’eroe, e con il processo del castigo di Gano. Un fatto storico ha ispirato il poeta. Dietro invito di un capo saraceno ribellatosi all’emiro di Cordova, Carlomagno aveva organizzato una spedizione in Spagna. Dopo aver superato i Pirenei, l’esercito dei Franchi fu bloccato davanti a Saragozza. Una rivolta dei Sassoni costrinse Carlo a rientrare rapidamente. Mentre riattraversava i Pirenei, il 15 agosto 778, la sua retroguardia fu sorpresa dai Baschi e sterminata. Se si crede ad un testo posteriore all’avvenimento, la Vita Karoli di Eginardo (830), Orlando, duca della marca di Bretagna, sarebbe perito nel combattimento; l’arcivescovo Turpino è storicamente riconosciuto, mentre Olivero e Gano sono personaggi inventati per le necessità della trama. Non è dunque il richiamo ad un evento storico che costituisce l’interesse della Chanson de Roland, ma il significato che ha saputo dargli un poeta facendolo servire per l’illustrazione di eroi esemplari. Per merito suo, l’imboscata della retroguardia è divenuta un’azione decisiva per le sorti della cristianità e il suo racconto è prima di tutto il poema del sacrificio eroico che magnifica lo spirito di crociata, l’esaltazione dei valori feudali al servizio dei valori cristiani. Per quanto riguarda i personaggi, proprio

perché sono anche uomini, i migliori di loro diventano dei modelli di eroismo o addirittura di santità. Personaggi Orlando. Il suo eccesso lo perde e perde con lui i più bei rappresentanti della cavalleria franca, mettendo in pericolo la forza della Cristianità. Ma questa debolezza è riscattata dal sacrificio dell’eroe, dalla sua commozione di fronte ai compagni massacrati, dalla sua umiltà davanti alla vera dimensione del combattimento quando decide di chiamare Carlomagno. Oliviero. Voleva che Orlando chiamasse aiuto prima del combattimento; a battaglia iniziata, il prode non pensa più ad altro che a colpire bene e a morire bene. Inventando questo personaggio per illustrare il tema tradizionale del cameratismo guerriero, il poeta ha creato una delle più belle figure di cavaliere del Medioevo. Turpino. Altra figura mirabile e oltremodo simbolica è quella dell’arcivescovocavaliere. Egli incarna lo spirito della crociata, la “fede attiva” che animerà più tardi tanti monaci-soldati. Carlomagno. È forse il più sorprendente; vecchio capace di tenerezza e di spossatezza, è contemporaneamente l’eletto di Dio, il capo dalla vita che raggruppa attorno a sé tutte le forze dell’Occidente cristiano. Gano. Non è una caricatura del traditore: il personaggio è stimato dai Franchi, è coraggioso; ma, stanco di combattere e irritato dall’atteggiamento di Orlando, non sa misurare le sue reazioni, si lascia accecare dall’odio e non s’accorge che la sua vendetta non raggiunge solo un uomo, ma anche il suo signore e tutta la Cristianità. L’errore del suo crimine sta nel fatto che esso lede Dio intralciandone i disegni. La classificazione delle canzoni di gesta: i cicli Per classificare le canzoni sono possibili due sistemi. Uno, cronologico, mostra che i poemi più antichi sono generalmente i più belli e permette di seguire le alterazioni dello spirito epico sotto l’influsso del romanzo cortese. L’altro tiene conto degli argomenti e ordina la quasi totalità dei testi in 3 cicli. In realtà, all’inizio, gli autori scrivevano liberamente i loro poemi, senza preoccuparsi di inserirli in un nucleo. Ma il successo del genere ha indotto i trovieri a moltiplicare le imprese dei personaggi più affascinanti. Il ciclo di Carlomagno. La personalità di Carlomagno, le sue prodezze, i grandi avvenimenti che segnarono la sua vita dall’infanzia alla vecchiaia, costituiscono l’unità della prima gesta, la più nobile. Le canzoni descrivono le principali battaglie, in Italia, in Sassonia, in Spagna, che condussero l’imperatore e i suoi pari. Berthe aux grand pieds (la madre di Carlomagno) e Mainet (il piccolo Carlomagno) raccontano le disavventure di Berta e del giovane Carlo che dovette lottare contro Rainfroi e Heldri per conquistare il trono. Le pèlerinage de Charlemagne è una delle canzoni più antiche; questo breve poema vale soprattutto per la sua comicità e probabilmente non è privo di intenzioni parodistiche. La Chanson de Roland, Aspremont, Otinel, Friérabras, ricordano le lotte dei Franchi contro i Saraceni, Les Saisnes, le lotte contro i Sassoni, Aiquin, la conquista della Bretagna da parte di Carlomagno. Il ciclo di Doon de Mayence. Non è un personaggio, ma un tema generale che costituisce l’unità di questo ciclo: quello della guerra feudale; le imprese dei baroni in rivolta contro il loro signore, i princípi della gerarchia feudale vengono difesi contro l’orgoglio e gli eccessi degli eroi. Per fortuna Dio interviene per ricondurli nella retta via e il loro esemplare pentimento cancella i loro eccessi criminali. Gormont et Isembart è la più antica canzone del ciclo. Raoul de Cambrai, Girard de Roussillon, La

chevalerie Ogier, Renaud de Mantauban, mettono dei valorosi cavalieri alle prese coi loro vicini o il loro re. Lesi nel loro diritto, gli eroi pensano solo a vendicarsi e troppo spesso si lasciano trascinare dall’eccesso. Dopo lunghe lotte che non riescono altro che a portare il lutto nei due campi e ad indebolire la Cristianità, i baroni abbandonano la loro vita di violenza. Il ciclo di Garin de Monglane. In questo ciclo ritroviamo una figura cent...


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