Lettere persiane - .... PDF

Title Lettere persiane - ....
Course Letteratura Francese 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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LETTERE PERSIANE Colonia Pierre Marteau [ma: Amsterdam, Jacques Desbordes]

1721 A cura di Domenico Felice, con la collaborazione di Riccardo Campi (Edizione A)

LETTERE PERSIANE [PREFAZIONE1] Non inserisco, qui, nessuna epistola dedicatoria e non chiedo protezione per questo libro2: verrà letto, se è buono; e se non lo è, non mi curo che venga letto. Ho scelto queste prime lettere per saggiare il gusto del pubblico; tra le mie carte, ne ho molte altre, che potrò offrirgli in séguito3. A condizione, però, di restare sconosciuto, perché, se si viene a sapere il mio nome, da quel momento tacerò. Conosco una donna che cammina benissimo, ma che si mette a zoppicare appena viene osservata. I difetti dell’opera sono sufficienti senza che io presenti alla critica anche quelli della mia persona. Se si sapesse chi sono, si direbbe: «Il libro stona con il suo carattere, e lui dovrebbe dedicare il proprio tempo a qualcosa di meglio; non è degno di una persona seria»4. I critici non mancano mai di fare questo genere di osservazioni, perché le si possono fare senza dover sforzare molto la propria intelligenza. I Persiani che qui scrivono abitavano con me; trascorrevamo insieme il nostro tempo. Siccome 5 mi consideravano un uomo di un altro mondo, non mi nascondevano nulla. Persone giunte da tanto lontano non potevano infatti più avere segreti. Mi mostravano la maggior parte delle loro lettere: io le copiai. Ne intercettai perfino alcune che si sarebbero ben guardati dal rivelarmi, tanto erano mortificanti per la vanità e la gelosia persiane. Il mio ruolo è dunque solo quello del traduttore6: tutto il mio lavoro è stato di adattare l’opera ai nostri costumi. Per quanto possibile, ho risparmiato al lettore il linguaggio asiatico7, e gli ho evitato un’infinità di espressioni pompose, che l’avrebbero annoiato a morte. Ma questo non è tutto quello che ho fatto per lui. Ho tagliato le lunghe formule di cortesia, di cui gli Orientali non sono meno prodighi di noi, e ho omesso un numero infinito di inezie, che tanto difficilmente tollerano la pubblicità e che devono sempre esaurirsi tra due amici. Se la maggior parte di quanti hanno pubblicato raccolte di lettere avesse fatto altrettanto, avrebbe visto svanire la propria opera8. C’è una cosa che spesso mi ha stupito, ossia vedere questi Persiani informàti talvolta quanto me sui costumi e sulle usanze della nazione9, al punto da conoscerne i dettagli più minuti e da notare cose che, ne sono certo, sono sfuggite a molti Tedeschi che hanno viaggiato attraverso la Francia. Attribuisco ciò al lungo soggiorno che vi hanno fatto, senza contare che è più facile per un Asiatico conoscere in un anno i costumi dei Francesi di quanto non sia per un Francese conoscere i costumi asiatici in quattro, perché gli uni sono espansivi tanto quanto gli altri sono riservati. L’uso ha concesso a ogni traduttore, e anche al più barbaro commentatore, di adornare la propria versione, o il proprio commento, con una premessa in cui fa il panegirico dell’originale, e di evidenziarne l’utilità, il merito e l’eccellenza. Io non l’ho fatto: se ne comprenderanno facilmente i motivi. Uno dei migliori è che sarebbe una cosa noiosissima, collocata in un luogo già di per sé molto noioso, intendo dire in una Prefazione.

LETTERA I [I]10 USBEK11 al suo amico RUSTAN12, a Ispahan13 Ci siamo fermati un giorno solo a Qom14. Una volta compiute le nostre devozioni sulla tomba della Vergine che ha messo al mondo dodici profeti15, ci rimettemmo in cammino, e ieri, venticinquesimo giorno dalla nostra partenza da Ispahan, arrivammo a Tauris16. Rica17 e io siamo forse i primi Persiani che il desiderio di conoscenza abbia spinto a uscire dal proprio paese, e che abbiano rinunciato alle piacevolezze di una vita tranquilla per andare faticosamente in cerca della saggezza18. Siamo nati in un regno florido; non abbiamo ritenuto, tuttavia, che i suoi confini coincidessero con quelli delle nostre conoscenze e che solo la luce d’Oriente19 dovesse illuminarci. Fammi sapere ciò che si dice del nostro viaggio; non mi illudere: non credo siano in molti ad approvarmi. Fa’ recapitare la tua lettera a Erzerum20, dove mi fermerò per un po’. Addio, mio caro Rustan. Sii certo che, in qualunque posto al mondo io mi trovi, tu hai un amico fedele. Da Tauris, il 15 della luna di Safar, 1711.

LETTERA II [II] USBEK al primo eunuco nero21, al suo serraglio22 di Ispahan Sei il fedele guardiano delle più belle donne di Persia; ti ho affidato ciò che avevo di più caro al mondo; nelle tue mani tieni le chiavi di quelle porte fatali che si aprono solo per me. Mentre vegli su questo prezioso pegno del mio cuore, esso riposa in piena sicurezza. Monti la guardia nel silenzio della notte così come nel tumulto del giorno; le tue infaticabili premure sostengono la virtù quando questa vacilla. Se le donne che custodisci volessero mancare al proprio dovere, tu toglieresti loro tale speranza. Sei il flagello del vizio e la colonna della fedeltà. Comandi e obbedisci loro: esegui ciecamente tutte le loro volontà e, allo stesso modo, fai loro rispettare le leggi del serraglio. È per te una gloria rendere loro i più umili servigi; con rispetto e timore ti sottometti ai loro ordini legittimi; le servi come lo schiavo dei loro schiavi. Ma, per un riflesso di potere23, tu comandi come me da padrone quando temi l’allentarsi delle leggi del pudore e della modestia24. Ricòrdati sempre il nulla da cui t’ho fatto uscire, quando eri l’ultimo dei miei schiavi, per darti questo posto e affidarti le delizie del mio cuore: nei confronti di quelle che condividono il mio amore, conserva una profonda sottomissione, ma, nello stesso tempo, fa’ che sentano la loro estrema dipendenza. Procura loro tutti quei piaceri che possono essere innocenti; distraile dalle loro inquietudini; divertile con la musica, le danze e le bevande deliziose; convincile a riunirsi spesso. Se vogliono andare in campagna, puoi portarcele; ma fai togliere di mezzo tutti gli uomini che si presentino davanti a loro25. Esortale alla pulizia, che è l’immagine del candore dell’anima e parla loro di me ogni tanto. Vorrei rivederle in quel luogo incantevole che esse rendono ancora più bello. Addio.

Da Tabriz, il 18 della luna di Safar, 171126.

LETTERA III [III] ZACHI27 a USBEK, a Tauris28 Abbiamo ordinato al capo degli eunuchi di condurci in campagna 29; egli ti dirà che non è capitato nessun incidente. Quando si dovette attraversare il fiume e lasciare le nostre lettighe, entrammo, come d’abitudine, dentro a delle portantine: due schiavi ci presero in spalla, e sfuggimmo a ogni sguardo. Come avrei potuto vivere, caro Usbek, nel tuo serraglio a Ispahan, in quei luoghi che, ricordandomi continuamente i miei piaceri passati, suscitavano quotidianamente i miei desider i con rinnovata violenza? Vagavo di appartamento in appartamento, cercandoti sempre, non trovandoti mai e incontrando invece dappertutto un crudele ricordo della mia felicità passata. Talora mi vedevo in quel luogo in cui, per la prima volta, ti accolsi tra le mie braccia; talaltra, in quello in cui risolvesti quella memorabile contesa tra le tue mogli. Ognuna di noi si riteneva superiore alle altre per bellezza. Ci presentammo davanti a te dopo aver dato fondo a tutti gli abiti e gli ornamenti che l’immaginazione può suggerire. Osservasti compiaciuto i miracoli della nostra arte e ammirasti fino a che punto ci avesse spinto il desiderio di piacerti. Ben presto, però, imponesti che questi vezzi artificiosi lasciassero il passo a grazie più naturali: distruggesti tutto il nostro lavoro. Ci dovemmo spogliare di quegli ornamenti che cominciavano a infastidirti e dovemmo mostrarci al tuo sguardo nella semplicità della natura. Non mi curai del pudore; pensai solo alla mia gloria. Beato Usbek, quante grazie vennero esibite ai tuoi occhi! Ti vedemmo errare a lungo d’incanto in incanto: la tua anima incerta rimase a lungo esitante; ogni nuova grazia esigeva da te un tributo; in un attimo venimmo tutte ricoperte dei tuoi baci; posavi i tuoi sguardi curiosi sui luoghi più segreti 30; in un istante, ci facesti assumere mille posizioni diverse: sempre nuovi ordini e un’ubbidienza sempre rinnovata. Ti confesso, Usbek, che una passione ancora più forte dell’ambizione mi fece sperare di piacerti. Mi accorsi che stavo diventando lentamente la padrona del tuo cuore: mi prendesti e mi lasciasti; ritornasti da me e io seppi trattenerti: il trionfo fu tutto per me e la disperazione tutta per le mie rivali. Ci sembrò di essere soli al mondo: tutto ciò che ci circondava non fu più degno del nostro interesse. Fosse piaciuto al cielo che le mie rivali avessero avuto il coraggio di restare come testimoni di tutte le prove d’amore che ricevetti da te! Se avessero assistito ai miei slanci, avrebbero capìto la differenza che passa tra il mio amore e il loro; avrebbero visto che, se potevano competere con me in attrattive, non potevano competere in sensibilità 31… Ma dove vado a parare? Dove mi conduce questo sciocco racconto? Non essere amata è una sventura, ma è un affronto non esserlo più. Ci abbandoni, Usbek, per vagabondare in paesi barbari. Che cosa? Per te non conta nulla essere il privilegio di essere amato? Ahimè, non sai che cosa ti perdi! Emetto sospiri che non vengono uditi; le mie lacrime scorrono e tu non ne godi: si direbbe che l’amore aliti nel tuo serraglio, e che la tua insensibilità te ne allontani continuamente! Ah, mio caro Usbek, se tu sapessi essere felice! Dal serraglio di Fatima, il 21 della luna di Maharram, 1711.

LETTERA IV [IV] ZEFIS32 a USBEK, a Erzerum

Questo mostro nero ha dunque deciso di ridurmi alla disperazione: vuole privarmi a ogni costo della mia schiava Zelide, proprio Zelide che mi serve con tanto affetto e le cui abili mani portano ornamenti e grazie in ogni dove. Non gli basta che questa separazione sia dolorosa, pretende anche che sia disonorevole. Il traditore vuole considerare colpevoli i motivi della mia confidenza e, siccome si annoia dietro la porta dove lo spedisco sempre, osa figurarsi di aver udito o visto cose che non saprei nemmeno immaginare33. Sono davvero sventurata! Né il mio riserbo né la mia virtù potrebbero mettermi al riparo dai suoi folli sospetti: un vile schiavo arriva al punto di aggredirmi fin dentro il tuo cuore e occorre che io mi difenda. No, ho troppo rispetto per me stessa per abbassarmi a fornire delle giustificazioni: non voglio altro garante della mia condotta che te stesso, il tuo amore, il mio e, a dirla propria tutta, caro Usbek, le mie lacrime. Dal serraglio di Fatima, il 29 della luna di Maharram, 1711.

LETTERA V [V]34 RUSTAN a USBEK, a Erzerum A Ispahan sei l’argomento di tutte le conversazioni35: non si parla che della tua partenza. Taluni l’attribuiscono a una leggerezza di spirito; altri, a qualche dispiacere. Soltanto i tuoi amici prendono le tue difese, ma non convincono nessuno. Non si riesce a capire come tu possa abbandonare le tue mogli, i tuoi parenti, i tuoi amici e la tua patria per andare verso paesi ignoti ai Persiani. La madre di Rica è inconsolabile; ti richiede il figlio, che, a suo dire, le hai rapito. Quanto a me, mio caro Usbek, sono naturalmente propenso ad approvare tutto ciò che fai, ma non so perdonarti la tua assenza e, per quante ragioni tu possa addurmi, il mio cuore non le troverà mai buone. Addio; voglimi sempre bene. Da Ispahan, il 28 della luna di Rebiab 1, 1711.

LETTERA VI [VI]36 USBEK al suo amico NESSIR, a Ispahan A una giornata da Erevan37, lasciammo la Persia per entrare nelle terre sottomesse ai Turchi. Dodici giorni dopo, giungemmo a Erzerum38, dove soggiornammo per tre o quattro mesi. Devo confessarti, Nessir, che ho provato un dolore segreto39 quando ho perduto di vista la Persia e mi sono trovato tra i perfidi Osmanli. Via via che mi spingevo all’interno del paese di questi infedeli, mi sembrava di diventare io stesso un infedele40. Mi sono tornati alla mente la mia patria, la famiglia e gli amici: la mia commozione si è risvegliata, una certa inquietudine ha finito col turbarmi e mi ha indotto a riconoscere di avere spinto troppo oltre la mia impresa per poter continuare a conservare la mia tranquillità. Ma ciò che maggiormente affligge il mio cuore sono le mie mogli: non posso pensare a loro senza essere divorato dal dispiacere. Non che io le ami, Nessir: sotto questo aspetto, provo un’insensibilità che non mi lascia alcun desiderio. Nell’affollato serraglio dove ho vissuto, ho prevenuto l’amore e l’ho distrutto con le sue

stesse armi; dalla mia freddezza stessa, però, nasce una gelosia segreta, che mi divora41. Vedo un gruppo di donne abbandonate quasi a loro stesse; a rispondermene ci sono solo anime vili. Farei fatica a sentirmi sicuro se i miei schiavi fossero fedeli: che succederà, se non lo sono? Quali tristi notizie potranno giungermi nei paesi lontani che sto per attraversare! È un male cui i miei amici non possono recare alcun rimedio: è un luogo del quale devono ignorare i tristi segreti. E che cosa mai potrebbero fare? Non preferirei forse mille volte un’oscura impunità a una punizione clamorosa? Affido al tuo cuore tutti i miei dispiaceri, mio caro Nessir: è l’unica consolazione che mi resta nello stato in cui mi trovo. Da Erzerum, il 10 della luna di Rebiab II, 1711.

LETTERA VII [VII] FATIMA42 a USBEK, a Erzerum Sono due mesi che sei partito, mio caro Usbek e, abbattuta come sono, non riesco ancora a convincermene. Percorro tutto il serraglio, come se tu ci fossi, e niente mi disinganna. Che vuoi che ne sia di una donna che ti ama, che era abituata a stringerti tra le braccia, la cui sola preoccupazione era di darti prova della sua tenerezza, libera per privilegio di nascita, ma resa schiava dalla violenza del suo amore? Quando ti sposai i miei occhi non avevano ancora visto il volto di un uomo e tu sei ancora il solo che mi sia permessoa vedere, dato che non considero uomini questi orribili eunuchi il cui difetto minore è di non essere affatto uomini. Quando paragono la bellezza del tuo volto con la deformità del loro, non posso fare a meno di ritenermi fortunata: la mia immaginazione non mi offre alcuna idea più seducente del fascino incantevole della tua persona. Ti giuro, Usbek, che quand’anche mi fosse permesso di uscire dal questo luogo in cui sono rinchiusa a causa dei vincoli della mia condizione e sottrarmi alla sorveglianza che mi circonda, e mi fosse consentito di scegliere tra tutti gli uomini che vivono in questa capitale delle nazioni, ebbene, Usbek, ti giuro che sceglierei solo te. Non ci sei che tu al mondo che meriti di essere amato. Non pensare che la tua assenza mi abbia fatto trascurare una bellezza che ti è cara. Benché nessuno mi debba vedere, e anche se gli ornamenti con cui mi agghindo non servono alla tua felicità, cerco nondimeno di conservare l’abitudine di piacere e non mi corico senza essermi profumata con le essenze più deliziose. Rammento i tempi felici in cui in cui venivi tra mie braccia: un sogno attraente mi seduce, mostrandomi il caro oggetto del mio amore, la mia immaginazione si perde nei suoi desideri e si lascia lusingare dalle sue speranze. A volte penso che, stressato da un viaggio faticoso, tu stia per tornare da noi: la notte trascorre in sogni che non appartengono né alla veglia né al sonno; ti cerco al mio fianco, e mi sembra che tu mi sfugga; alla fine, il fuoco stesso che mi divora dissipa questi incanti e mi fa tornare in me. E allora mi ritrovo così eccitata… Non lo crederai, Usbek, ma è impossibile vivere in questo stato: il fuoco scorre nelle mie vene. Perché non riesco a comunicarti ciò che sento così intensamente? E come mai sento così intensamente ciò che non riesco a comunicarti? In quei momenti, Usbek, darei il mondo intero per un solo dei tuoi baci 43. Com’è infelice una donna che prova desideri così violenti, quando è privata di colui che, solo, può soddisfarli44! Abbandonata a se stessa, senza nulla che possa distrarla, ella deve vivere abituandosi ai sospiri e al furore di una passione infiammata45; lungi dall’essere felice, non ha nemmeno il a

Le donne persiane sono sorvegliate molto più rigidamente delle donne turche e indiane. [Cfr. Chardin, Voyages en Perse, t. VI, cap. 12, «Du Palais des Femmes du Roi», p. 219: «In Persia le donne sono sorvegliate più rigidamente che in qualunque altro luogo della Terra».]

privilegio di servire alla felicità di un altro: inutile ornamento di un serraglio, custodita per l’onore e non per la felicità del suo sposo! Quanto siete crudeli, voi uomini! Siete deliziati di sapere che proviamo desideri46 che non possiamo soddisfare; ci trattate come se fossimo insensibili, e rimarreste molto contrariati se lo fossimo: credete che i nostri desideri, così a lungo repressi, si accenderanno vedendovi. È faticoso farsi amare: si fa prima a ottenere dal nostro temperamento47 ciò che non osate sperare48 dal vostro merito. Addio, mio caro Usbek, addio. Sappi che vivo solo per adorarti: la mia anima è piena di te e la tua assenza, invece di farti dimenticare, ravviverebbe il mio amore, se mai potesse diventare più violento. Dal serraglio di Ispahan, il 12 della luna di Rebiab I, 1711.

LETTERA VIII [VIII] USBEK al suo amico RUSTAN, a Ispahan La tua lettera mi è stata recapitata a Erzerum, dove mi trovo49. Immaginavo che la mia partenza avrebbe fatto scalpore, ma non me ne sono preoccupato. Cosa vuoi che io segua? Il giudizio dei miei nemici o il mio? Fin da giovanissimo fui introdotto a corte. E posso dire che il mio cuore non ne fu corrotto; concepii anzi un grande progetto: osai essere virtuoso. Non appena conobbi il vizio, me ne allontanai; ma in séguito mi ci avvicinai per smascherarlo. Portai la verità fino ai piedi del trono, e lì usai un linguaggio fino ad allora sconosciuto: sconcertai l’adulazione50 e meravigliai al tempo stesso gli adoratori e l’idolo. Quando vidi, però, che la mia sincerità mi aveva procurato dei nemici, che mi ero attirato la gelosia dei ministri, senza godere del favore del principe, e che, in una corte corrotta, potevo resistere ormai solo grazie a una debole virtù, decisi di abbandonarla. Finsi un grande interesse per le scienze e, a forza di fingerlo, esso divenne reale. Non mi immischiai più in nessun affare, e mi ritirai in una casa di campagna. Ma anche questa soluzione aveva i suoi inconvenienti: restavo sempre esposto alla malignità dei miei nemici e mi ero quasi privato dei mezzi per difendermene. Alcuni avvertimenti segreti mi indussero a pensare seriamente a me stesso. Decisi di esiliarmi dalla mia patria, e il mio stesso allontanamento dalla corte me ne fornì un pretesto plausibile. Mi recai dal re; gli espressi il desiderio che avevo d’istruirmi nelle scienze dell’Occidente; insinuai che i miei viaggi avrebbero potuto tornargli utili. Trovai grazia ai suoi occhi; partii e sottrassi una vittima ai miei nemici. Ecco, Rustan, il vero motivo del mio viaggio. Lascia che a Ispahan si chiacchieri; difendimi soltanto davanti a coloro che mi amano; lascia ai miei nemici le loro maligne interpretazioni: sono fin troppo contento che sia questo il solo male che mi possono fare. Ora si parla di me; forse mi si dimenticherà anche troppo, e i miei amici… No, Rustan, non voglio abbandonarmi a questo triste pensiero: a loro sarò sempre caro; conto sulla loro fedeltà come sulla tua. Da Erzerum, il 2051 della luna di Gemmadi 2, 1711.

LETTERA IX [IX] IL PRIMO EUNUCO52 a IBBI53, a Erzerum Tu accompagni il tuo vecchio padrone nei suoi viaggi; attraversi province e regni; i crucci non possono impressionarti: ogni istante ti mostra cose nuove, tutto ciò che vedi ti distrae e ti fa passare il tempo senza accorgertene. Per me è diverso: rinchiuso in un’orrenda prigione, sono sempre attorniato dagli stessi oggetti e divorato dagli stessi dispiaceri. Gemo, oppresso dal peso di cinquant’anni di assilli e preoccupazioni; e non posso dire di aver avuto, nel corso di una lunga vita, un solo giorno sereno e un momento tranquillo54. Quando al mio primo padrone venne l’idea crudele di affidarmi le sue mogli e, con lusinghe accompagnate da mille minacce, mi costrinse a separarmi per sempre da me stesso55, stanco di compiere i servizi più gravosi, ritenni di sacrificare le mie passioni alla mia quiete e alla mia fortuna56. Sciagurato che...


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