Lezione n. 5 - Riassunto Urbanistica ed Edilizia PDF

Title Lezione n. 5 - Riassunto Urbanistica ed Edilizia
Author Franky Donnarumma
Course Ordinamento Giudiziario
Institution Università degli Studi di Salerno
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riassunti...


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5° LEZIONE – URBANISTICA ED EDILIZIA I. Il diritto di proprietà, riconosciuto dall’art.42 Cost., è un diritto assoluto che consiste nel potere di usare, fruire e disporre di una cosa nei limiti fissati dalla legge. L’art.42 Cost., nel riconoscere la proprietà, specifica che essa può essere pubblica o privata e che la legge ordinaria ne disciplina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti, al fine di assicurarne la funzione sociale. La proprietà può essere sottoposta a limiti di interesse urbanistico. Essi sono vincoli finalizzati alla tutela del territorio; nonostante la denominazione, la loro efficacia è potenzialmente estesa all’intero territorio nazionale, e non solo a quello urbano. Hanno lo scopo di garantire l’ordinato assetto territoriale ed assumono un notevole rilievo giuridico-sociale. La branca del diritto che si studia prende il nome di urbanistica per gli aspetti pianificatori generali e di edilizia per gli aspetti esecutivi specifici. Dall’art. 117 della Cost., così come riformato dalla l. cost. 3/2001, si evince la distinzione che intercorre tra l’urbanistica e l’edilizia rispettivamente riferite al governo del territorio ed all’uso del territorio. Urbanistica ed edilizia sono materie che certamente si compenetrano ma restano distinte perché la prima è la risposta ad una domanda di uso del territorio, la seconda disciplina invece l’uso del territorio. I vincoli o limiti di interesse urbanistico finalizzati alla tutela del territorio si distinguono in: - vincoli conformativi, che appunto conformano il diritto di proprietà su un bene, iscrivendolo in uno statuto proprietario diverso da quello cui precedentemente apparteneva (es.: i vincoli archeologici); - vincoli ablatori, i quali invece – non modificando il tipo di proprietà – ne riducono l’ampiezza, elidendone una facoltà (es.: i vincoli di in edificabilità, l’espropriazione). Quest’ultima distinzione è di grande importanza, in quanto da essa dipende la indennizzabilità dei vincoli: sono indennizzabili quelli ablatori, non lo sono quelli conformativi, in quanto non fanno che iscrivere il diritto vincolato ad un tipo di proprietà speciale, priva di alcune facoltà ma, per altri versi, maggiormente tutelata (ad esempio la proprietà di beni di interesse storico, artistico o archeologico).

II. Funzione legislativa in materia urbanistica ed i piani urbanistici. La L. cost. 18.10.2001, n.3, che, tra gli altri, ha modificato l’art.117 della Costituzione, attribuisce in materia urbanistica alle Regioni a statuto ordinario una potestà legislativa concorrente, nel senso che rimane comunque riservata allo Stato la determinazione, per mezzo di leggi quadro o cornice, dei principi fondamentali cui la normativa regionale deve ispirarsi. Alle regioni ad autonomia speciale (e alle Province autonome di Trento e Bolzano) viene, invece, riconfermata un competenza legislativa esclusiva in materia urbanistica.

In Italia la prima normativa urbanistica (L. 2248/1865) ebbe ad oggetto l’emanazione dei regolamenti di igiene, edilità e polizia locale. Successivamente, vi furono interventi urbanistici attuati con il modello delle leggi-provvedimento recanti l’approvazione di progetti di risanamento pianificatorio ed architettonico di alcune città (es. i risanamenti della città di Napoli con l. 2892/1885). La prima legge generale sull’urbanistica fu la L. 1150/1942 nella quale la pianificazione veniva sviluppata attraverso un sistema di piani ordinati tra di loro secondo un criterio gerarchico. Solo con la c.d. legge-ponte, l. 765/1967, che peraltro stabilì l’obbligo per tutti i Comuni di dotarsi di un p.r.g., venne introdotto lo strumento della licenza edilizia che poi la c.d. legge Bucalossi, l. 10/1977, sostituì con la concessione edilizia e che attualmente è denominato come permesso di costruire. Mentre la licenza edilizia era un’autorizzazione con cui l’amministrazione rimuoveva un limite legale all’esercizio del diritto del privato di edificare, diritto a sua volta compreso nel più ampio diritto di proprietà, la concessione edilizia si fondava sul presupposto dello scorporo del diritto di edificare dal diritto di proprietà. Il diritto di edificare non era cioè ritenuto più insito nel diritto di proprietà del privato, ma era configurato come una facoltà che l’amministrazione stessa concedeva al privato in presenza di determinate condizioni e previo pagamento di un contributo di costruzione. La Corte Costituzionale dichiarò però illegittima la legge Bucalossi sulla considerazione che il diritto di edificare è un diritto del privato ed è insito nel più ampio diritto di proprietà. Come già detto, la L. 1150/1942 prevede un modello di pianificazione piramidale, in relazione all’estensione dell’ambito territoriale e gerarchizzato, in relazione alla portata vincolante esercitata dal piano sovraordinato su quello subordinato. Oggi peraltro la materia della pianificazione è stata messa in crisi dalle esigenze della contemporaneità e dai processi non più autoritativi del rapporto tra p.a. e privato che hanno portato in molte Regioni a superare il modello della pianificazione piramidalegerarchica, cercando momenti di compartecipazione e di compenetrazione tra i diversi interessi e dando particolare centralità al piano comunale (P.U.C.). I piani urbanistici si possono dividere in due categorie: - i piani normativi o programmatici, che dettano norme generali tendenti a definire l’assetto del territorio; - i piani attuativi o esecutivi, che attuano le prescrizioni generali contenute nei primo, disciplinando puntualmente singole frazioni territoriali. Entrambi i tipi di piano si compongono di una parte cartografica, con raffigurazioni grafiche dei territori interessati ed indicazione delle opere da realizzarsi e delle zone identificate, e di una parte normativa, con l’esplicazione delle regole costruttive e dei vincoli da osservare. Piani normativi o programmatici. Sono in vigore a tempo indeterminato. I principali sono:

a) Il Piano Territoriale Regionale detta le direttive, le linee guida e gli indirizzi della pianificazione che, pur non obbligando in via diretta i soggetti privati, sono rivolte agli organi titolari delle competenze pianificatorie subordinate. b) Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale ha principalmente una funzione di coordinamento tra la pianificazione territoriale per direttive di livello regionale e la pianificazione operativa di livello comunale. Tale strumento risponde in particolare all’esigenza di coordinare l’attività dei Comuni della Provincia sia con le scelte territoriali effettuate a livello regionale sia con le tendenze evolutive individuate a livello provinciale. Tale piano, inoltre, ha valore di Piano Territoriale Paesistico; c) Il Piano Regolatore Generale (P.R.G.) oggi denominato Piano Urbanistico Comunale (P.U.C.) è la fonte diretta dell’attività urbanistico-edilizia. Parti essenziali del suddetto piano sono : la zonizzazione ovvero la divisione del territorio comunale in zone omogenee individuate in base alla specifica destinazione urbanistica (es. zona A centro storico; zona C espansione urbana; zona E agricola ecc.). Alla zonizzazione si collega il concetto di standard ovvero la dotazione minima di infrastrutture che un determinato ambito comunale deve avere e che dunque il piano deve prevedere. La localizzazione riguarda invece le aree individuate per la realizzazione delle opere di urbanizzazione ed in generale per le opere ed impianti pubblici, sulle quali il P.U.C. apporrà dei vincoli che potranno essere espropriativi o conformativi. Sul punto si distinguono le infrastrutture o opere di urbanizzazione primaria (es. strade, piazze, fognature) ed infrastrutture o opere di urbanizzazione secondaria (scuole, ospedale, chiese, etc.), tutte comunque aventi uno scopo pubblico e destinate al benessere della collettività. Con l’apposizione del vincolo espropriativo l’area è assoggettabile-assoggettata alla procedura espropriativa. Avvenuta l’espropriazione al privato titolare dell’area sarà corrisposto un indennizzo ovvero sarà concessa la possibilità di realizzare il volume edificatorio, che avrebbe potuto realizzare sull’area espropriata, altrove, questa è la c.d. perequazione. I vincoli espropriativi hanno però una durata limitata di 5 o 10 anni, salvo che l’amministrazione decida per comprovate ragioni di pubblico interesse di reiterare il vincolo spettando però in tal caso al privato comunque l’indennizzo, l’area che risulta non più gravata dal vincolo è detta zona bianca essendo priva di destinazione urbanistica ed il proprietario può richiedere al Comune, che sarà obbligato, ad indicare la destinazione della predetta zona e ciò avviene apportando una variante al piano in esame. In sintesi, il piano regolatore generale può imporre i seguenti vincoli: 1. vincoli preordinati all’espropriazione, ovvero su aree da espropriare in futuro onde realizzarvi opere pubbliche o reti viarie; tali vincoli derivano dalle localizzazioni; 2. vincoli di inedificabilità assoluta o relativa, in aree destinate a verde oppure a bassa urbanizzazione; questi vincoli derivano dalle zonizzazioni. Per in edificabilità assoluta si intende il divieto di ogni possibile edificazione; per in edificabilità relativa si intende la possibilità di costruire soltanto entro ristretti limiti volumetrici.

Il criterio di predisposizione del P.U.C. è innanzitutto di tipo quantitativo perché esso deve rispondere alle esigenze di chi abita sul territorio comunale, nonché alle esigenze di interesse pubblico e di svipluppo economico dello stesso territorio, ed indicare quanto suolo comunale è possibile consumare in relazione a dette esigenze. Una volta che le dette quantità realizzabili di suolo sono state predefinite il piano si preoccupa di distribuire sul territorio le possibilità edificatorie e ciò viene espresso in termini di indici planovolumentrici, prima espressi in rapporto di metro quadro metro cubo, oggi per lo più in rapporto di metro quadro - metro quadro rendendo irrilevante l’altezzza (un edificio tanto più è alto meno suolo consuma). Il P.U.C., atto amministrativo ma a contenuto normativo, è composto da allegati e da tavole e le tavole esprimono la relazione tra la norma scritta in astratto ed il territorio regolamentato dal piano. La comprensione delle norme di piano avviene poi attraverso le norme tecniche di attuazione. Importante è semplificare non solo le procedure di adozione e di approvazione del P.U.C. ma anche e soprattutto semplificare la possibilità di apportare allo stesso piano delle varianti. Infatti, avendo il piano una durata indeterminata e considerando le esigenze della contemporaneità può rendersi necessario apportare con le varianti delle modifiche alle scelte urbanistiche precedentemente fatte (es. in Campania una variante al P.U.C. che non comporti modifiche essenziali può essere approvata direttamente dal Comune). Detto piano è peraltro approvato, incidendo sul diritto di proprietà, con la massima partecipazione dei cittadini che possono infatti presentare osservazioni rispetto alle quali l’amministrazione è obbligata a controdedurre. Ed infatti, il procedimento di formazione del piano si articola in: a) un primo sub procedimento comunale di adozione, in cui gli uffici tecnici comunali o i professionisti esterni elaborano un progetto che viene adottato con delibera dal Consiglio Comunale e depositato nella segreteria del Comune dove tutti possono prenderne visione e presentare osservazioni; b) un secondo sub procedimento in cui il piano così adottato viene approvato con decreto dall’organo regionale integralmente o anche solo per stralci, modificandolo. Il decreto viene pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione e depositato nella segreteria del Comune per consentirne la visione a tutti i cittadini. I piani attuativi Alla base della struttura piramidale della pianificazione urbanistica ci sono i piani attuativi che traducono in prescrizioni concrete le indicazioni del piano comunale. Tra di essi i più importanti sono: a) Il piano particolareggiato è il principale strumento di attuazione del piano regolatore generale. Naturalmente non possono contenere prescrizioni in contrasto con quelle del piano regolatore generale, che è atto amministrativo di livello superiore. La durata, a differenza del p.r.g., è limitata. Nel decreto di approvazione deve essere infatti fissato il termine, non superiore a dieci anni, nel quale il piano dev e essere

attuato; scaduto tale termine, il piano diviene inefficace per la parte che non ha avuto attuazione, ed il Comune ne deve disporre uno nuovo. b) Il piano di lottizzazione è uno strumento urbanistico del piano regolatore generale, alternativo al piano particolareggiato. Infatti, qualora il Comune non sia dotato di piano particolareggiato, i privati che intendono procedere alla lottizzazione di un terreno a scopo edificatorio, possono “inserirsi” nella disciplina urbanistica presentando appositi piani di lottizzazione. Questi due piani sono anche definiti piani attuativi ordinari e si caratterizzano per la strumentalità rispetto alla generale attuazione dei p.r.g.. Accanto ad essi vi sono anche i cd. piani attuativi speciali che, invece, sono caratterizzati da uno specifico interesse pubblico, come il piano dell’edilizia economica e popolare (P.e.e.p.) è lo strumento specificamente previsto per la costituzione di alloggi economici e popolare. Ciò viene attuato mediante l’acquisizione al patrimonio comunale di terreni da destinare all’edificazione degli stessi e delle opere e servizi complementari. Altri documenti che formano la pianificazione urbanistica comunale sono : il regolamento edilizio, che nasce dai regolamenti di igiene e sanità dell’800 ed indica un metodo qualitativo per effettuare le opere di trasformazione del territorio cui si riferisce; ed il programma pluriennale di attuazione che determina le priorità di attuazuione del P.U.C. in relazione agli interventi previsti. III. L’edilizia. Mentre prima la disciplina urbanistica ed edilizia erano sovrapposte, con l’introduzione del nuovo T.U. in materia edilizia (D.P.R. 6.6.2001 n.380), la materia edilizia trova per la prima volta organica ed autonoma disciplina. L’attività edilizia per essere legittima deve essere esercitata previo rilascio dei titoli abilitativi prescritti dalla legge. Gli interventi edilizi sono : - la nuova costruzione; - la ristrutturazione edilizia, che ove porti ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso da quello preesistente, può qualificarsi come ristrutturazione e non come nuova costruzione solo se non comporta incremento dei volumi o modifica delle sagome e delle superfici o incremento del carico urbanistico; - manutenzione straordinaria es. rifacimento impianti o sostituzione di parti dell’edificio ammalorate; - manutenzione ordinaria es. ridipingere pareti ecc. Titoli abilitativi sono: 1) Il permesso di costruire – Procedimento di rilascio In tema di procedimento per il rilascio del permesso di costruire (artt.20 e 21 del Testo Unico) l’esame delle richieste va svolto entro sessanta giorni dalla relativa presentazione, secondo l’ordine cronologico di presentazione; la decisione finale (che sarà notificata all’interessato da parte dello sportello unico dell’edilizia) è adottata dal

dirigente o dal responsabile dell’ufficio entro quindici giorni dalla proposta di provvedimento formulata dal responsabile del procedimento che ne ha curato l’istruttoria (acquisiti anche i prescritti eventuali pareri comunali, delle AUSL, o dei VV.FF.), o dall’esito dell’eventuale conferenza di servizi. Decorso vanamente il termine per l’adozione del provvedimento finale, sulla domanda di permesso si forma il silenzio-rifiuto (di cui certa dottrina ipotizza piuttosto la natura di atto tacito di rigetto), impugnabile in sede giurisdizionale. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l’inizio i lavori non può essere superiore di un anno dal rilascio del titolo, mentre quello entro il quale l’opera deve essere realizzata, non potrà superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Il permesso di costruire è comunque rilasciato sempre con la clausola di salvezza dei diritti dei terzi che potranno agire sia tra privati in sede civile per la tutela del diritto di proprietà che in sede amministrativa impugnando il provvedimento abilitativo illegittimo. 2) La D.I.A. La D.I.A. invece, non è un provvedimento amministrativo bensì un atto del privato con il quale si comunica all’amministrazione che decorsi i termini di legge (30 gg.) si eseguiranno determinati interventi, il tutto asseverato da un tecnico competente. L’amministrazione o nei 30 gg. anteriori all’inizio dei lavori comunica al privato il preavviso di rigetto indicandone i motivi o anche dopo che i lavori siano iniziati o ultimati può, in forza dei poteri di vigilanza, intervenire con i provvedimenti più opportuni (ordine di sospensione; ordine di demolizione; sanzione pecuniaria). Nella Regione Campania (L.R. 19/2001) solo per la nuova costruzione occorre il permesso di costruire, mentre per le altre opere di ristrurazione edilizia e di manutenzione, ordinaria e straordinaria, è sufficiente la presentazione della D.I.A.; per il cambio di destinazione d’uso per settori omogenei non occorre alcun titolo abilitativo, mentre per settori non omogenei basta la D.I.A. (es. trasformazione di deposito in unità abitativa). L’attività edilizia è rimessa al dirigente del settore competente ed occorre il parere della Commissione Edilizia Integrata (CEI) nelle ipotesi di zone gravate dal vincolo paesistico. E’ da segnalare che la recente formulazione dell’art. 19 della L. 241/90, avvenuta ad opera della L. 122/2010, ha introdotto la Scia (segnalazione certificata di inizio attività), la quale sostituisce “ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto

generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi”. La caratteristica della Scia è che l’attività può essere iniziata subito. L’amministrazione ha 60 giorni per contestare la regolarità della Segnalazione e fermare i lavori. Decorsi i 60 giorni, può intervenire solo in presenza di gravi danni per il pubblico interesse. L’introduzione di questa norma ha determinato la nascita della problematica relativa all’applicabilità o meno della Scia alla materia edilizia e dunque la sostituibilità della disciplina degli artt. 22 e 23 del DPR 380/01 con l’art. 19 L. 241/90. Sulla questione, si stanno formando i primi orientamenti in dottrina. In particolare, una prima tesi, ritiene che la Scia sostituisca la Dia.

IV.

L’abusivismo edilizio.

L’abusivismo edilizio è un fenomeno illegale consistente nella costruzione di edifici e manufatti edilizi o in difformità degli atti abilitativi richiesti dalla legge. La legislazione oggi vigente prevede tre diversi tipi di sanzioni rivolte alla repressione degli abusi edilizi: sanzioni penali, poiché l’abusivismo costituisce reato; sanzioni civili, poiché gli immobili abusivi sono parzialmente incommerciabili; sanzioni amministrative, poiché devono essere distrutti o confiscati. V. Il condono edilizio. Lo Stato e gli enti territoriali non sempre riescono a prevenire e reprimere il dilagante fenomeno dell’abusivismo edilizio. Inoltre, considerazioni di politica economica e fiscali inducono talvolta il Governo a disporre provvedimenti generali di sanatoria degli illeciti in parola, sia pure in limiti prefissati a tutela di alcune categorie di territori e comunque di immobili, sottoposte a particolare tutela. Nella storia della Repubblica, varie sono state le sanatorie, disposte per i motivi sopra citati; con la pubblicazione della L. 24.11.2003, n.326, è stato definito il quadro normativo dell’ultimo condono edilizio....


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