riassunto lezione su Protagora PDF

Title riassunto lezione su Protagora
Course Storia della filosofia antica
Institution Università degli Studi di Torino
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lezione di storia della filosofia antica su Protagora...


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Delle opere di Protagora non abbiamo nulla se non un frammento; la sua filosofia ci viene per lo più trasmessa da Platone. Quello che sappiamo è che egli avesse prodotto più opere rispetto ai suoi predecessori. Tra i titoli a lui attribuiti compaiono opere sull’essere, sulle idee, sulla verità. Si tratta di opere differenziate, in cui erano trattati temi che stavano a cuore a Protagora da diversi punti di vista. La nostra fonte, ossia Platone, è una fonte ostile. Punto di partenza nel Teeteto (dialogo composto nella maturità di Platone). Si tratta di uno scritto in cui la discussione riguarda il problema della conoscenza. Vengono formulate diverse ipotesi, tutte analizzate e che in ultima analisi si dimostrano scorrette. È in questo contesto della formulazione di una teoria della conoscenza che viene inserito Protagora, attraverso una proposizione nota come il Frammento Uno di Protagora. È nel momento in cui si esamina se la conoscenza sia conoscenza sensibile, che egli interviene. “L'uomo è misura di tutte le cose. Di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono” Questa è la breve frase che Protagora asserisce, e sono diverse le interpretazioni di essa. Il primo quesito riguarda il significato da dare alla parola “uomo”. Si deve forse intendere la natura umana in generale oppure il singolo individuo? Platone abbraccia questa seconda possibilità. Inoltre, cosa significa che l'uomo sia “misura” di tutte le cose? Letteralmente designa un parametro fisso rispetto al quale misurare tutte le altre cose. “Cose” nel greco di Protagora sono “tá krémata”, e vengono meglio specificate nella seconda parte della frase. Il richiamo all’esperienza parmenidea è evidente, e si tratta di una chiara risposta al problema posto da Parmenide: solo l'uomo è misura di tutto ciò che è è che non è. La sua posizione si colloca come un relativismo gnoseologico. Quali sono gli strumenti che gli uomini hanno a disposizione per questa conoscenza? Si tratta dei sensi, e questo è espressione di un relativismo sensistico. I sensi danno però luogo a delle percezioni differenti, le quali non differiscono solo tra i diversi soggetti, ma perfino all’interno di uno stesso individuo. Questo significa che tutte le opinioni sono vere, poiché per ogni uomo risulta vero ciò che a tale uomo appare vero attraverso i sensi. La conseguenza gnoseologica è fortissima: non esiste una differenza tra le opinioni rispetto al vero/falso. Esiste tuttavia un criterio che consente di instaurare una differenza tra chi giudica in una certa condizione e chi giudica in un’altra. Tale criterio è l'utilità: è più conveniente giudicare in una condizione oppure nell’altra? La posizione di Protagora investe credenze profonde, ed anche lui venne accusato di empietà. “Riguardo agli dei non ho la possibilità di accertare né che sono né che non sono, opponendosi a ciò l’oscurità dell’argomento e la brevità della vita umana” Ecco che egli assume una posizione chiaramente agnostica, affermando che si tratti di un campo di conoscenza non del tutto chiaro, sul quale l'uomo non può essere metro di misura. Inoltre, Protagora valutava l'esperienza del singolo individuo per differenza rispetto a quella degli altri individui. Queste sue diverse opinioni sono ingredienti di un’unica, chiara, posizione politica. Basta sostituire alla parola “uomo” l’idea di “cittadino” per comprendere

la forza politica che il Frammento Uno assume. Come sul piano gnoseologico non esiste la distinzione vero/falso, analogamente sul piano dei valori non esiste un sistema che sia migliore o più vero degli altri. Dunque ogni Costituzione (intesa come insieme di regole che governano una comunità) ed ogni forma di governo è ugualmente vera. È ancora l’utilità a determinare la validità o meno di una Costituzione (questo quindi è riflesso di un relativismo culturale). Il compito del sofista all'interno di questa cornice consiste nel tentativo di guidare chi deve giudicare in direzione di ciò che è utile per la città. Il sofista è quindi colui che con determinati mezzi è in grado di rendere più forte il discorso più debole, se il discorso più debole si dimostra più utile. Ed è in questo senso che Protagora poteva dire di se stesso di essere maestro di virtù politica. Nel Protagora di Platone, egli è invitato a spiegare in quale modo, secondo lui, venga a formarsi una comunità politica. Protagora dunque racconta il famoso mito di Prometeo. [Egli ruba il fuoco sacro di Zeus originando la sola proprietà che può costituire per l'uomo un mezzo di difesa. (È chiaro che si intenda la scoperta del fuoco come scoperta della tecnica).] Per intervento diretto di Zeus essi apprendono quali sono le virtù che sorreggono la tecnica attraverso la quale gli uomini imparano a convivere tra di loro. E questi due capisaldi della comunità politica sono aidos e dike, rispetto e giustizia. Questa tecnica politica, per Protagora, non è un privilegio di pochi, ma è invece a disposizione di tutti gli uomini. Il sofista è dunque maestro di virtù politica, in quanto guida gli uomini verso la comprensione di cosa sia meglio e più utile per la città. Nel Teeteto egli presenta se stesso come un medico o un coltivatore, poiché entrambi sono in grado di trasformare una situazione negativa in una situazione positiva, al fine di ottenere qualcosa di utile. Qual è lo strumento con cui il sofista esercita questa sua opera? Si tratta del linguaggio, della parola, del λόγος. [Per Platone le parole però devono essere buone e vere, non al fine della pura e semplice utilità.] Per Protagora questo però significa anche un importante studio sulle parole, sull’ambiguità dei termini, sulla costruzione delle proposizioni, ecc. È questo è un altro tratto unificante del sofismo. Ma per Socrate e Platone questo studio è fine a se stesso. Ma su questo aspetto il vero maestro è Gorgia. Egli operò in Sicilia, nella provincia di Siracusa (in quella che oggi si chiama Lentini). Nasce intorno al 480 e anche lui è un sapiente itinerante. Egli esplorò tutte le possibilità e le potenzialità del linguaggio in opere rimaste famose già nell'antichità. Esperto di retorica, egli compone alcune famose declamazioni retoriche, di cui due sono noti: “Encomio di Elena” ed “Encomio di Palamede”. Si tratta della difesa di personaggi emblematici di traditori. Elena era ritenuta responsabile della guerra di Troia. Palamede invece è un eroe che abbandona per viltà le schiere dei greci e fugge. Gorgia si propone di difendere queste figure. Ricorda molto dei discorsi di difesa dal punto di vista giuridico. Egli persegue il suo intento ribaltando l’opinione comune. La sua è quindi anche una posizione di rottura nei confronti dell’opinione corrente, in quanto ne dimostra con grande padronanza del λόγος l’insostenibilità. Quello che è difficile da stabilire è il confine tra esercizio della propria capacità e intento filosofico: cosa si proponeva esattamente Gorgia attraverso questa, se si proponeva qualcosa, quando pronunciava

questi discorsi? Nella sua opera “Sul non essere” (evidente il richiamo alla questione eleatica). Sottotitolo, probabilmente aggiunto dopo e non da Gorgia: “Sulla natura”. Sono state trasmesse tre proposizioni emblematiche di quest’opera: 1) L’essere non è. 2) Se anche fosse, non sarebbe conoscibile. 3) Se anche fosse, e fosse conoscibile, non sarebbe esprimibile/comunicabile. Per il modo in cui sono trasmesse, queste proposizioni sono periodi ipotetici dell’impossibilità, dunque si tratta di dimostrazioni per assurdo. E queste dimostrazioni sappiamo essere quelle più usate in contesto eleatico (Zenone in particolare). Possiamo dunque definire quest’opera come uno scritto dialettico, anche se non è ancora chiaro se si trattasse di un’esibizione della padronanza di mezzi linguistico-interpretativo oppure no. Si tratta di un discorso meramente destruens, oppure c'è uno scopo costruttivo e propositivo? Ovviamente le tre proposizioni sono un totale ribaltamento dell’aporia eleatica. Fissate queste tesi è il momento dunque di dimostrarle, e anche qui è evidente la padronanza degli strumenti argomentativi da parte di Gorgia. Per dimostrare che l’essere non è, egli crea una disgiunzione, sulla base delle concezioni che si hanno dell’essere. Assumendo dunque che l’essere sia (per assurdo), l’essere può essere o generato o ingenerato, e ciascuna di queste posizioni ha avuto dei sostenitori nel passato. Ma si può dimostrare che l'essere non sia nessuna delle due. Se ne deve dunque concludere che esso non sia. Non c'è un rapporto certo tra la cosa e la parola che la esprime, così come non esiste rapporto tra cosa e pensiero. È una posizione che in termini moderni si può considerare un nichilismo radicale. Quella che delle tre proposizioni risulta più incomprensibile è decisamente la terza. Come può un sofista, il quale gioca sul linguaggio, dire che non si possa comunicare l’essere qualora lo si possa conoscere? La sua affermazione si basa sul fatto che le parole non dicano la verità riguardo alle cose, poiché le parole non colpiscono il pensiero. Dunque qual è l’obiettivo delle parole, del linguaggio? Nell’Encomio di Elena egli dimostra come Elena sia stata convinta a tradire il marito da una forza trascinante che ha la stessa forza del destino, alla quale non ha potuto resistere, lei come tutti quelli che hanno compiuto azioni sotto l’influenza di tale forza. E questa forza irresistibile è il λόγος, il quale agisce sulla sfera emotiva degli individui. Elena è una vittima della passione d’amore perché trascinata dalle parole. Il λόγος trascina dunque l’animo dove esso voglia. Tanto Protagora quanto Gorgia danno una chiara idea di cosa sia stata la sofistica. Emerge un contrasto tra φύσις e νόμος (ma questo viene meglio esplicitato nel manuale). L’abilità di questi sofisti traspare in un ragionamento trasmesso da Aristotele e risalente ad Antifonte. Per mostrare come si debba interpretare questo rapporto φύσις/νόμος intese rispettivamente come “stabilità, certezza” e “mutevolezza, variabilità”, egli afferma: “Se si seppellisse un letto e dalla materie putrefatta nascesse qualcosa, rinascerebbe non un letto, ma legno.”

Il letto, prodotto tecnico che appartiene alla dimensione del νόμος, allorché il legno è parte della φύσις. Ancora una volta è evidente la grande capacità retorica e razionalistica. Essi intervengono sul piano dei valori umani in relazione a diversi temi....


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