Lingua DEI Segni, Societa, Diritti PDF

Title Lingua DEI Segni, Societa, Diritti
Author Giulia Mezzasalma
Course Lingua italiana dei segni (lis) i
Institution Università degli Studi di Catania
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LINGUA DEI SEGNI, SOCIETA, DIRITTI1 PASSATO PER AIUTARCI A CAPIRE MEGLIO IL PRESENTE l’educazione dei sordi e il ruolo della lingua dei segni Fin dall’antichità le persone sorde e soprattutto il loro modo di comunicare hanno suscitato interesse e curiosità. Il termine “sordomuto” determina forti lim...


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LINGUA DEI SEGNI, SOCIETA, DIRITTI 1.IL PASSATO PER AIUTARCI A CAPIRE MEGLIO IL PRESENTE 1.1. l’educazione dei sordi e il ruolo della lingua dei segni Fin dall’antichità le persone sorde e soprattutto il loro modo di comunicare hanno suscitato interesse e curiosità. Il termine “sordomuto” determina forti limitazioni alla loro capacità giuridica e contribuisce alla loro esclusione dalla vita civile. Ad esempio, nel diritto romano, le persone sorde erano considerate incapaci di provvedere a loro stesse autonomamente. Nel Corpus iuris civilis dell’imperatore Giustiniano, sono stabilite diverse restrizioni legali per i sordi, come l’impossibilità di ereditare, fare testamento, stipulare contratti, rendere testimonianza, tuttavia il codice di Giustiniano fu il primo a distinguere sordità e mutismo e a stabilire la capacità di scrivere come criterio minimo per accedere ai pieni diritti civili. Nel medioevo l’atteggiamento prevalente sembra quello di considerare i sordi individui ai margini della società. Alla cultura rinascimentale dobbiamo la convinzione che sia possibile educare i sordi alla parola. Un grande umanista, medico e filosofo, Rodolfo Agricola, nel suo libro De inventione dialectica, descrive un sordo che si esprime perfettamente attraverso la scrittura, dimostrando quindi l’intelligenza umana. Nel Cinquecento, si diffondono diversi metodi per l’educazione dei sordi che ricorrono al mezzo scritto per avviare la comunicazione. Si impegnano in questa direzione scienziati e religiosi, come il frate Pedro Ponce de León, che, sviluppando un sistema basato sull’uso di un alfabeto manuale, riesce ad educare alla parola e alla scrittura i figli di nobili. In molti conventi vigeva la regola del silenzio e quindi i monaci erano abituati ad utilizzare un codice gestuale. Per le famiglie aristocratiche con eredi sordi l’apprendimento linguistico e la scrittura costituisce l’unico sistema per conservare i propri privilegi e per aggirare quelle leggi che ancora privavano i sordi della piena capacità giuridica e dunque anche del diritto di ereditare e di fare testamento. A partire dal Quattrocento era naturale trovare giovani sordi nelle botteghe dei grandi maestri: erano rinomate le loro particolari abilità visive e manuali e capacità di concentrazione. Si discuteva della possibilità di educare i “sordomuti” e taluni erano educati da speciali maestri. Ad esempio, Johann Conrad Amman spinge i suoi allievi a trasferire le sensazioni legate alla dimensione tattile e visiva al dominio della percezione dei suoni per riattivare il rapporto tra udito e articolazione vocale, sfruttando il residuo uditivo presente in molti bambini sordi. Inoltre, era famosissimo il religioso spagnolo di origini portoghesi Jacob Rodriguez Pereira, che muovendosi per tutta l’Europa faceva delle dimostrazioni con degli alunni sordi che recitavano brevi testi difronte al pubblico. Tutti gli educatori erano, però molto gelosi dei loro metodi, cercavano di avere allievi di famiglie abbienti in grado di pagare rette sostanziose e puntano all’educazione al linguaggio parlato con tecniche di insegnamento spesso individuali. Una delle novità introdotte da Charles-Michel de l’Épée fu proprio il fatto che si prodigò nel diffondere il suo metodo e nel creare proseliti, e soprattutto arrivò a fondare la prima scuola per sordomuti in Francia aperta a tutti. Egli non si limitava ad educare i pochi sordi fortunati, ma voleva educare tutti. Non sono solo i sordi a dover diventare come gli udenti ma sono anche i loro maestri che devono “imparare” dai sordi. Nell’insegnamento de l’Épée era partito proprio dai gesti usati per comunicare dai propri alunni sordi e li aveva ordinati e sistematizzati chiamandoli “segni metodici”. In quell’epoca iniziava un’accesa polemica tra i sostenitori del metodo francese, detto anche mimico, e quelli del metodo tedesco, esclusivamente oralista: entrambi si pongono come obbiettivo prioritario insegnare a leggere e a scrivere, ma per gli uni sono indispensabili i segni, mentre per gli altri è indispensabile la parola. Per quanto riguarda l’istruzione dei sordi prime dell’unificazione dell’Italia (1960), vediamo che nei vari stati della penisola vengono fondati moltissimi istituti per l’educazione dei sordomuti. Gli educatori udenti si ispirano chiaramente al metodo francese. Allievi sordi particolarmente brillanti diventano a loro volta educatori, pubblicano articoli e volumi e in alcuni casi fondano istituzioni educative. Con la nascita del

nuovo stato italiano, all’inizio non cambia molto nell’educazione dei sordi, le istituzioni esistenti restano in vita nel nuovo ordinamento come istituti privati, altri sono assunti in gestione dallo Stato come “istituti regi”. Negli ultimi decenni dell’Ottocento si acuisce però il dibattito per la scelta dei metodi, e sul piano pedagogico diventa sempre più forte l’influenza della scuola tedesca, che culmina con il trionfo del metodo orale o tedesco al Congresso Internazionale per il miglioramento della sorte dei Sordomuti, tenuto a Milano, nel 1880. Nel corso del Congresso le opinioni e posizioni dei sordi italiani non erano state minimamente ascoltate, negli anni successivi sia gli educatori dei sordi sia i sordi stessi, si battono affinché venga esteso ai sordi il diritto all’istruzione da parte dello Stato. I sordi più istruiti, una volta usciti dagli istituti, cercano di darsi reciproco sostegno, dando vita a forme di associazionismo e di assistenza molto in auge, soprattutto alla fine del XIX secolo. Verso l’inizio del Novecento si costituiscono in Italia alcune associazioni di sordi che sottolineano la necessità di autonomia e indipendenza. Il I Congresso Internazionale dei Sordomuti si tiene a Roma nel 1911, e subito dopo la Prima Guerra Mondiale si riprendono i legami tra le varie associazioni che rivendicano miglioramenti nell’istruzione, nel lavoro e in generale nella società. Il II Convegno Nazionale dei Sordomuti, svoltosi a Roma nel 1922, ha tra i suoi scopi principali il riconoscimento legale dell’obbligo scolastico per tutti i sordomuti. Solo con la riforma Gentile nel 1923 l’obbligo scolastico è esteso per i sordomuti dai 6 ai 16 anni di età. Nel frattempo, le varie associazioni dei sordi italiani si unificano con il Patto di Padova nel 1932, mentre nel 1942 vengono riconosciuti come enti morali, con il passare degli anni l’Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza dei Sordomuti adulti (ENS) estende le sue attività nel settore educativo con la richiesta di esenzione degli studi oltre il ciclo elementare. Tra il 1949 e il 1953 nascono le prime scuole speciali e le classi cosiddette “differenziali” che aumentano negli anni successivi, anche se la loro storia è ancora tutta da scrivere. Solo nel 1962 l’obbligo scolastico viene esteso alla scuola media, e questo costringe gli istituti per sordi ad aprire sezioni oppure a istituire classi “speciali” di scuola media. Dopo ampie discussioni e il lavoro di diverse commissioni, si arriva alla legge del 4 agosto 1977, che introduce di fatto la possibile opzione per i genitori tra scuola ordinaria e scuola speciale. Prima i bambini sordi, con handicap o con altre disabilità restavano invisibili agli altri coetanei, studiavano a casa o in istituti. Questa era la conseguenza di una mentalità e di una cultura che segregavano la diversità. Con la legge dell’integrazione si va affermando nella società italiana una tendenza opposta. Nello stesso periodo aumenta sempre di più l’influenza del mondo medico in campo riabilitativo, già iniziata nel secolo precedente. La cosiddetta “demutizzazione” viene adesso affidata a logopedisti e ortofonisti guidati da équipe mediche. La legge del 23 dicembre 1978, che istituisce il Servizio sanitario nazionale (SNN), sancisce la separazione tra compiti della scuola e compiti della SSN e comporta la rinuncia da parte degli insegnanti agli interventi di natura logopedica e ortofonica. Da questo momento è prevalentemente il mondo medico ad occuparsi dell’acquisizione del linguaggio orale e della lettura labiale da parte dei bambini sordi.

1.2. le ricerche sulla lingua dei segni in Italia: contesto e storia dell’acronimo LIS Alla fine degli anni Settanta, a Bologna un gruppo di professionisti cominciano ad indagare la possibilità di ripensare in maniera critica all’educazione dei bambini sordi, infatti, anche se il Congresso del 1880 aveva bandito ufficialmente dai contesti educativi i segni, questi non erano scomparsi. I bambini continuavano a segnare nei corridoi, nei dormitori e soprattutto fuori nelle loro associazioni che nascono in Italia proprio agli inizi del Novecento. Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta l’interesse per la lingua dei segni si manifesta sul piano scientifico non solo a Bologna e a Roma, ma anche in altre città italiane. Vengono effettuati degli studi sull’ASL che hanno una forte influenza anche in altri paesi europei, dove

iniziano le ricerche su questo tema e nel 1979 vengono organizzati il I International Symposium on Sign Language Research a Stoccolma e una conferenza sponsorizzata dalla NATO a Copenhagen. Nel 1981 diversi eventi importanti si susseguono in Italia, in gennaio la Federazione Mondiale dei Sordi organizza una conferenza internazionale a Roma, in aprile si organizza un Convegno su “Recenti tendenze di ricerca sulla comunicazione non verbale in Italia. Sempre nel 1981 è pubblicato il volume I Segni come parole che raccoglie una rassegna degli studi condotti negli altri paesi e riflessioni sullo status linguistico da attribuire a queste lingue. Nello stesso anno viene organizzato a Roma il Simposio di Ricerca sulle Lingue dei Segni, quest’ultimo è un successo sul piano internazionale, ma rivela il nostro isolamento rispetto al mondo dei sordi: le persone sorde sono pochissime a causa della mancanza di consapevolezza, in Italia, dell’importanza della ricerca sulle lingue dei segni. In quel periodo la forma di comunicazione usata informalmente per scambiare idee ed emozioni, non aveva un vero nome: per indicarla i sordi italiani usavano il segno MIMICA/GESTO; gli udenti usavano il verbo “gesticolare” o il termine “linguaggio dei gesti”. Era considerato una sorta di codice privato, non adatto a contesti pubblici, anche da parte dei sordi stessi. I ricercatori cominciarono ad utilizzare due nuovi segni: COMUNICARE IN SEGNI e il segno LIS, scelto per sottolineare la differenza tra i gesti degli udenti e i segni dei sordi e anche per uniformarsi alla convenzione terminologica adottata negli stessi anni per indicare le altre lingue dei segni via via indagate (ASL LSF BSL). All’inizio le persone sorde che utilizzavano questa forma di comunicazione, si mostravano restie ad accettare l’acronimo LIS e per molti anni continuarono ad utilizzare la denominazione MIMICA/GESTO. Per alcuni anni lo stesso ENS utilizzò in alcune sue pubblicazioni il termine Linguaggio Mimico Gestuale. Probabilmente questa scelta terminologica era dovuta ad una sorta di diffidenza verso la ricerca condotta principalmente da persone udenti. Il nome LIS è diventato progressivamente un segno della lingua che nel corso del tempo ha subito una trasformazione tipica dell’evoluzione anche di altri segni. Quando è stata introdotta questa nuova denominazione, la società udente ignorava completamente l’esistenza di questa forma di comunicazione o i pochi udenti che la utilizzavano erano inconsapevoli che si trattasse di una vera e propria lingua. I segni erano usati esclusivamente in famiglia, nei circoli per sordi, in occasione di raduni e manifestazioni sportive o di altra natura tra persone sorde. La maggioranza udenti inoltre, considerava le persone sorde come disabili bisognosi di aiuto e d’altra parte il termine “sordomuto” ancora in uso, continuava a perpetuare l’equivoco che i sordi fossero anche muti. Negli istituti e nelle scuole speciali per sordi, i segni venivano utilizzati, ma non riconosciuti, ufficialmente erano banditi. Restava ancora forte l’influenza del Congresso di Milano del 1880 che aveva imposto un tipo di pedagogia che escludeva il ricorso ai segni. Alcune insegnanti capivano però che l’utilizzo dei segni conosciuti dai propri alunni poteva invece venire sfruttato sia per ampliare le conoscenze, sia per migliorare e facilitare l’insegnamento dell’italiano scritto e parlato. Anche se per la maggioranza degli insegnanti, l’uso dei gesti era considerato una forma di sconfitta: significava che i loro sforzi per insegnare la lingua parlata erano falliti e che era impossibile una reale integrazione con la maggioranza udente. Quando si cominciò a diffondere la LIS anche tra gli interpreti e gli insegnanti, i sordi non si aspettavano che udenti non coinvolti personalmente con il loro mondo potessero essere interessate ad imparare i segni. Inoltre, i pochi sordi che accettavano di collaborare con i ricercatori, mostravano chiare difficoltà: come se a parlanti italiani chiedessero improvvisamente informazioni sull’origine delle parole o spiegazioni grammaticali. Le persone che svolgevano talvolta il ruolo di “interpreti o traduttori” non avevano avuto alcuna formazione in tal senso, ma erano semplicemente udenti che avevano imparato a segnare in famiglia o negli istituti. Se dovevano accompagnare una persona sorda a visite mediche o a colloqui di lavoro, tendevano spesso a svolgere piuttosto un ruolo di tutori, si sentivano in dovere di fornire informazioni e spiegazioni e talvolta tendevano anche a sostituirsi nelle decisioni alle persone per le quali dovevano interpretare. Nelle rarissime situazioni “pubbliche” in cui veniva richiesto loro di tradurre per permettere ai sordi presenti di capire quanto veniva detto, usavano spesso una forma di italiano segnato.

Negli stessi anni si cercò di precisare una serie di distinzioni terminologiche tra cui quella fra “linguaggio” e “lingua”, precisando che con “linguaggio” si intende la facoltà che distingue l’uomo da tutte le altre specie animali, con “lingua” in qualche modo il prodotto in cui questa capacità si realizza. Ma bisognava innanzitutto dimostrare che questa forma di comunicazione possiede tutte le caratteristiche linguistiche già rintracciate in altre lingue dei segni: parametri distintici, un lessico, una grammatica e una sintassi; e soprattutto che questa lingua può essere utilizzata sia nella didattica che nella logopedia. Nel 1985 esce Educazione bimodale e bilingue del bambino sordo, dove sono raccolti tutti i contributi delle ricerche recenti, su questo tema con l’obbiettivo di costruire un modello di intervento precoce in un’ottica linguistica e psicolinguistica. Nel 1987 appare La lingua italiana dei segni. La comunicazione visivo-gestuale dei sordi che è la prima descrizione completa delle ricerche recenti. Sono presenti tentativi di definire meglio le diverse varietà che sembrano rappresentare una sorta di continuum tra la vera lingua dei segni, usata dalle persone sorde tra loro e l’italiano: Lingua dei Segni Italiana, Italiano Segnato (IS). 1.3. la LIS negli ultimi decenni Dal 1990 l’interesse nei confronti della LIS cresce in maniera esponenziale, sia nel mondo della ricerca, sia in ambito educativo e sociale, soprattutto si fa strada una nuova consapevolezza; nascono così i primi gruppi di sordi e udenti. Negli ultimi anni si è registrato uno straordinario incremento dei corsi di insegnamento della LIS come seconda lingua, questi corsi, tenuti da docenti sordi qualificati, sono frequentati soprattutto da udenti, ma anche da persone sorde che sentono la necessità di apprendere la LIS anche per il suo valore culturale e identitario. La LIS si fa strada anche in ambito logopedico nel momento in cui alcune terapiste adottano il cosiddetto metodo bimodale, ovvero l’utilizzo dei segni nell’insegnamento italiano. Anche l’Ente Nazionale Sordi nel 1995 organizza a Trieste il I Convegno Nazionale sulla Lingua dei Segni, e inizia a promuovere una serie di attività per insegnare e diffondere la LIS e si batte attualmente insieme ad altri enti e associazioni per un suo riconoscimento istituzionale. Numerosi incontri e convegni vengono organizzati sul tema della LIS, dell’interpretariato e della possibilità di utilizzo in ambito scolastico. Si moltiplicano corsi di sensibilizzazioni relativi alla LIS all’interno di scuole medie e superiori ed esperienze di bilinguismo italianoLIS all’interno delle scuole materne, elementari e medie. Anche nelle università cresce l’interesse nei confronti della lingua dei segni, oggi alcuni atenei italiani hanno riconosciuto la LIS nell’ambito di specifici curricula formatici e di ricerca. Negli ultimi anni la LIS diventa visibile nelle università italiane anche sotto un’altra forma: gli studenti sordi possono chiedere l’ausilio di un interprete. La LIS appare anche in televisione: dal 1993 sono trasmessi i primi telegiornali con l’interprete che traduce in LIS e la RAI cura un documentario molto importante su Il cervello dell’uomo. La Lingua dei segni. Con il progredire delle ricerche le persone sorde segnanti divengono sempre più protagoniste: pronti a usare creativamente la LIS in composizioni poetiche, testi teatrali e forme artistiche di diversa natura. Dal 1997 si organizzano periodicamente festival dedicati al teatro e alla poesia e dal 2012 un Festival del cinema sordo: Cinedeaf. Queste produzioni sono poi l’occasione per i ricercatori per analizzare le particolari forme linguistiche scelte dagli autori. Non c’è dubbio che questa nuova presenza della LIS in contesti “nazionali” e “pubblici” contribuisca a determinare l’inizio di un processo di standardizzazione della lingua, come è avvenuto per la lingua italiana con l’avvento della televisione. 2. LINGUE DEI SEGNI, SORDITÀ E PLASTICITÀ CELEBRALE L’interpretazione dei fenomeni psicologici e dei processi cognitivi si è arricchita negli ultimi decenni di risultati che provengono dallo studio del cervello. Il funzionamento delle cellule nervose genera segnali elettrici che possono essere misurati sullo scalpo con tecniche quali l’elettroencelografia o la magnetoencelografia. L’attività dei neuroni comporta un dispendio di risorse metaboliche che può essere

misurato con tecniche di neuroimmagine come la risonanza magnetica funzionale o la tomografia a emissione di positroni. Queste tecniche di misurazione dell’attività del cervello stanno progressivamente cambiando il modo in cui possiamo studiare i correlati neurali della cognizione e arricchiscono i modelli di mente attraverso i quali leggiamo il comportamento. Questa rivoluzione neuroscientifica ha preso il nome di neuroscienze cognitive e ha riguardato in questi anni anche lo studio delle lingue dei segni e della sordità. 2.1. Lingue dei segni, sordità e plasticità cerebrale Parlare di plasticità cerebrale significa innanzitutto parlare di cambiamento, il cervello cambia durante tutto l’arco di vita per effetto di spinte fisiologiche e di sollecitazioni legate all’esperienza. Le spinte fisiologiche hanno a che fare con i processi di maturazione e di invecchiamento ai quali va incontro il tessuto biologico che esprime la nostra mente, le spinte legate all’esperienza hanno invece a che fare con tutto ciò che accade durante la vita: adattarsi ad una nuova situazione comporta modifiche nel cervello. Le due spinte che guidano i cambiamenti nel cervello interagiscono fra loro. La forza e l’efficacia delle spinte legate all’esperienza dipendono dalla fase di vita che l’individuo sta attraversando. L’acquisizione di una lingua comporta modifiche diverse nel cervello quando avviene durante i primi anni di vita rispetto a quando avviene a un’età adulta. Il variare della plasticità cerebrale in funzione dell’età dell’individuo è alla base dell’idea di periodo critico. Oggi sappiamo che non esiste un solo periodo critico per tutte le capacità che la mente è in grado di esprimere. I periodi critici per le capacità sensoriali sembrano chiudersi nel corso dei primi tre anni di vita, mentre i periodi critici per lo sviluppo delle capacità mentali alla base del controllo e della pianificazione del nostro comportamento si chiudono verso la fine della seconda decade di vita. I periodi critici dimostrano che da un certo punto della vita in poi alcuni cambiamenti cerebrali non sono più ugualmente possibili o altrettanto efficaci. Un esempio di plasticità cerebrale particolarmente rilevante nel contesto d...


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