L\'opera d\'arte nell\'epoca della sua riproducibilità tecnica - Walter Benjamin PDF

Title L\'opera d\'arte nell\'epoca della sua riproducibilità tecnica - Walter Benjamin
Author Maria Luisa Glorioso
Course Critica letteraria e letterature comparate
Institution Università degli Studi di Palermo
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Riassunto completo libro...


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L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCA DELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ TECNICA Walter Benjamin IL PRODUTTORE MALINCONICO Di Massimo Cacciari 1. L’esposizione universale L’importanza che Benjamin attribuiva a Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit la rivelò egli stesso nella lettera a Kraft del ’35 in cui afferma di aver fissato la cifra dell’ora del destino che è scoccata per l’arte. Non si tratta di una semplice fenomenologia delle tendenze, né l’apprezzamento del loro carattere rivoluzionario rispetto alla tradizione: si tratta di comprendere la crisi del fatto artistico destinata ad assumere i toni di una vera e propria filosofia della storia. Spiegare questa crisi attraverso l’avvento della fotografia e del cinema (meccanismi materialistici) banalizzerebbe le tesi benjamiane sebbene queste rientrino nella “teoria della conoscenza e del progresso” che stava alla base dell’incompiuta opera filosofica Passegen-Werk in cui si sottolinea come non vi sia alcuna connessione casuale tra economia e cultura; piuttosto si tratta di una relazione di tipo espressivo. La base produttiva non determina la “sovrastruttura” ma si esprime in essa; allo stesso tempo, la cultura esprime, non rispecchia, la “struttura” economico-sociale. Per espressione si intende sì connessione necessaria, ma anche comprensione interpretante, dove rappresentante e rappresentato si condizionano reciprocamente, scambiandosi spesso anche le parti. Così le due arti (economia e cultura) rappresentano la cifra di una fase dello sviluppo capitalistico, ma non sono affatto “al servizio” del suo rispecchiamento perché vi sono delle potenzialità politiche rivoluzionarie rispetto al loro sfruttamento capitalistico. L’idea è che sia la storia, o meglio il suo destino, che perviene a tali forme di rappresentazione per cui fotografia e cinema sono l’esito di un processo che si articola sull’idea di artisticità, pur restando sempre connesso al sistema produttivo. Queste nuove arti, per Benjamin, rispecchiano il passato che cessa di essere tale, e lo riaccende alla fiamma dell’interesse presente così da far rientrare la tradizione nella costellazione di cinema e fotografia. Le tesi di Benjamin intorno alla perdita di aura, al valore espositivo dell’opera versus quello culturale, sul rapporto tra atteggiamento valutativo, distrazione e attenzione, presuppongono un ripensamento complessivo delle ore critiche dell’arte occidentale che potrebbe iniziare dall’estetica di Hegel. Nessuna tecnica avrebbe inventato le nuove forme di espressione artistica se già non fosse stata indirizzata dalla tradizione precedente in quanto non è la tecnica che produce la rivoluzione, ma la rivoluzione tecnica matura perché lo “spirituale dell’arte” lo esige. La perdita di aura non è il prodotto dell’invenzione della

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fotografia in quanto questa non avrebbe raggiunto la funzione che ha oggi se prima non fosse giunta l’ora del tramonto per le espressioni artistiche, creative e geniali, che hanno contrassegnato la storia. Il valore culturale dell’opera d’arte, il nesso tra arte e cu lto, stava al centro della riflessione sulla religione nella Fenomenologia dello Spirito (Hegel). Nell’allegoria barocca il nesso non risuona in modo decisivo per cui: l’arte non “serve” il culto, rendendolo “attrattivo”, ma, in quanto rappresentazione, in quanto opera, che si eleva al di sopra di ogni lavoro volto alla soddisfazione di bisogni naturali, manifesta la discesa dell’essenza divina dal suo al di là al Sé dell’uomo. Per cui, per Hegel, i momenti del culto (che sia festa o sacrificio) edificano la dimora del Dio-in-noi per cui (seppur si tratti di costruire un tempio, o di dipingere un quadro) il popolo-artista si collega al Dio attraverso l’arte in quanto è concreta rappresentazione. Il problema è che, come Hegel comprese, questo valore culturale è in crisi fin dal suo stesso apparire perché costantemente prova a risorgere e costantemente si disgrega perché l’”oggetto” del culto che si impone attraverso l’opera d’arte, non può apparire come autocoscienza stessa del produttore-artista; il fine del culto consiste nel far entrare il Dio in noi come nella sua ultima dimora che abbraccia tutte le sue possibili manifestazioni ma non appena appare il carattere artistico di questa religione, il valore culturale dell’arte stessa viene dissolto perché l’arte non può conciliare in sé umano e divino, piuttosto ne rappresenta l’infinita distanza. Il culto è tale se soddisfa la nostalgia del mortali e cessa di assumere qualsiasi valore culturale quando una rappresentazione esalta proprio questa loro natura: il loro essere potere-in-potenza. Quando il valore culturale si rifugia nell’aura è già, in quanto tale, tramontato. I due piani, culto ed aura, non possono essere confusi. La tradizione si strutturava attraverso l’hic et nunc irripetibile dell’opera, la sua singolarità eccelsa, quelle opere assolutamente irripetibili la cui aureola appariva irriproducibile. Ciò rientrava nella categoria di Romantico la cui dialettica intrinseca dissolve l’aura connessa all’idea di genialità e creatività. Questa dialettica è chiarita da Hegel attraverso il concetto di ironia: Genio non è vuota intuizione, ma l’affermarsi dell’autocoscienza, del Sé, del fondamento di ogni rappresentazione. Il Sé è incondizionato artista, che porta a fondo ogni sostanzialità esteriore. La conseguenza di questa affermazione è duplice: da un lato, rispetto alla potenza del Genio, ogni “contenuto” risulta indifferente (essa può liberamente esprimersi in ogni genere); dall’altro, non può che manifestare la propria stessa crisi: l’ironia che investe ogni idea di fondamento non può che trasformarsi in critica della stessa sostanzialità del Sé. L’aura della genialità si frantuma nella molteplicità delle manifestazioni artistiche e si dissolve insieme alla perdita dell’Io creatore. Anche il Soggetto non può sopravvivere che nella “comica” inessenzialità delle molteplici maschere le quali sono perfettamente riproducibili. Benjamin insiste sul fatto che l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità rivoluziona le forme stesse della sua comunicazione e percezione. Ma il problema dell’opera d’arte tecnicamente concepita è più complesso di quello di un’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica perché si tratta di un’arte senza soggetto perché è l’arte stessa che va oltre sé, si compie, il suo finire è nomen agentis (colui che compie 2

un’azione). L’arte romantica, l’arte dell’ironia e della critica di ogni sostanzialità, l’arte che si distacca da ogni funzione culturale rivendicando la propria autonomia, è arte della riflessione e dell’intelletto perché è un arte che abbandona la sua stessa idea di genialità comportando la crisi del valore della stessa rappresentazione sensibile che è l’unica forma in cui questa può portare a coscienza i contenuti universali dello spirito (Hegel). La rappresentazione sensibile è il passato della comprensione concettuale che diventa inutile ripetere perché la sua rappresentazione estetico-sensibile diviene superflua. La ragione della perdita di aura della rappresentazione artistica non sta nella sua riproducibilità, ma nell’affermarsi di un sapere che esibisce una potenza infinitamente superiore a quella della “cifra” della genialità e per Hegel, tale potenza, è del sapere assoluto che si incarna nella figura chiamata Kűnstler (artista) in quanto operatore universale capace di superare nel suo produrre ogni esteriorità ed effettuare la liberazione di ogni datità. L’arte tradizionale esige la trasformazione di ogni natura in fatto ma, in realtà, non sarà mai in grado di rappresentarlo del tutto. La volontà di potenza come arte è il passato della volontà di potenza come Tecnica, autocosciente del proprio significato. Qui le riflessioni di Hegel avrebbero potuto incontrarsi con quelle di Heidegger su Nietzsche. La volontà di potenza unita al progetto tecnico-scientifico costituisce il dissolversi dell’aura della soggettività creatrice, dell’individualità e singolarità che appartiene alla sua figura e alle sue rappresentazioni. La Tecnica esige cervello sociale e prodotti perfettamente riproducibili perché espressi attraverso un linguaggio universale. Per Benjamin è proprio l’innovazione tecnico-scientifica, invece, a produrre il contesto in cui le forme artistiche possono riassumere pieno valore a condizione che ne interiorizzino il significato storico-sociale rivoluzionario e , quindi, il suo saggio sull’Opera d’arte rimanda al concetto di autore come produttore: energia innovativa, capacità di trasformare il proprio linguaggio e tecnica trasformano il sistema di produzione decidendo il valore dell’opera. Sorgono così alcune domande: -

In che misura un’opera d’arte abbatte le tradizionali barriere tra le arti?

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In che misura comprende in sé la rivoluzione introdotta da fotografia e cinema?

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Opera o no per superare l’astratta separatezza tra produzione e consumo, tra artista e pubblico?

Potremmo dire che l’artigiano è chiamato a farsi artista. Il disincanto benjaminiano è completo quando si tratta di denunciare ogni tentativo di ripristino dei valori culturali e dell’aura, anche nel campo della fotografia e del cinema perché, per Benjamin, il “pericolo” non è tanto il tentare di ritornare a forme d’arte tradizionali per separare nuovamente opera e consumo (es. repliche per consumo di massa). Secondo lui l’autore deve produrre innovazione tecnica, non rappresentarla esteticamente: deve essere tecnicamente innovativo nel suo operare. L’esigenza alla base del discorso è chiara e rappresenta il tratto fondamentale del rapporto di Benjamin con la teoria marxiana: il movimento rivoluzionario è immanente al dispiegarsi delle forze produttive, esaltandone l’energia innovativa o si rovescia nel suo opposto. La sua teoria dell’arte considera inutilizzabili 3

le nuove forme di espressione in contrasto con la tradizione: genialità, valore eterno, mistero, aura, distanza autore-pubblico, distinzione di generi. Ciò significa ritenere la tecnica matrice del rinnovamento dell’umanità e operare una distinzione tra l’essenza rivoluzionaria della tecnica e l’uso che di essa possono fare forze culturali politiche re-azionarie. Brecht diceva: “non riallacciarsi al buon Antico ma al cattivo Nuovo”. Per Benjamin quando il Nuovo è cattivo (perché non prende posizione rispetto ai rapporti di produzione) dovrebbe essere respinto più dell’Antico buono. Il Nuovo autentico è quello che si rivela nell’essenza di fotografia e cinema quando liberata dal suo uso capitalistico. Un tale schema non funziona da criterio per giudizi di valore e ciò viene alla luce anche soltanto pensando alla posizione di Benjamin nei confronti di movimenti come il futurismo: una tra le avanguardie storiche che più ha esaltato i valori di esposizione, la de-sacralizzazione dell’arte, la commistione tra i generi generando trasformazioni non indifferenti per cui l’opera veniva sparata contro l’osservatore. Lo stesso Gramsci sottolineava che il tratto più innovativo del futurismo fosse la drastica risoluzione del fare artistico nell’ambito della Tecnica e del Lavoro, nella sua comprensione come fattore dello sviluppo della forze produttive. La critica di Benjamin non può reggersi sul valore di innovazione ma sulla collocazione politica. Per capirne di più occorre tornare al nocciolo della questione sulla perdita dell’aura. L’aura dell’opera assicurava distanza da chi deve “contemplarla” costringendolo all’attenzione. L’aura impedisce che l’opera venga immediatamente fruita obbligando ad un’osservazione lunga nel tempo, infinita perché c’è qualcosa in essa che non può essere interpretato a fondo, svelato. Le masse esigono immediatezza: tutto deve farsi vicino ed il tempo che occorre per avvicinarsi all’opera è tempo perso. L’appello alla concentrazione è divenuto ormai segno di comportamento asociale. L’eliminazione del valore dell’unicità e l’esigenza di un contatto immediato con la rappresentazione, di una valutazione rapita che non abbisogni di una duratura attenzione, sono tratti rivoluzionari dell’epoca in cui la macchina tecnico-produttiva e la realtà delle masse si accordano. Benjamin motiva le ragioni del suo parlare di “masse” in quanto l’espressione artistica, oggi, ha a che fare con le masse che la controllano: tanto più il controllo è immediato, tanto più le nuove arti produrranno effetti rivoluzionari. L’attuale controllo capitalistico, invece, mira a mantenere una distanza tra opera e pubblico e le opere che ne nascono fingono di avere dei valori sociali. Il cinema, in primis, appare chiamato a far esplodere la contraddizione: le sue immagini colpiscono e schockano la massa e in quanto tali devono essere colti e valutati non dal singolo individuo ma dalla massa distratta . È un’arte cosciente del suo essere forza produttiva deve colpire l’attenzione e deve mobilitare. L’ossessione di questi saggi è collocare l’”angelo” della rivoluzione all’altezza dello sviluppo delle forze produttive e si parla di “masse” e non di “classi” perché non sono le classi a formare le masse ma è in seno alle masse che si possono definire le classi. Il sistema capitalistico genera un nuovo tipo di massa e quindi una classe operaria non si conosce e perciò non si può guidare senza risalire alla massa da cui ha avuto origine. 4

Qualsiasi forma del fare rivolta ad abbattere le barriere tra teoria e prassi, la distanza tra l’opera e il suo consumo nasce da istanze connesse alla genesi delle grandi masse contemporanee e il luogo in cui queste si concentrano è la metropoli (i saggi benjaminiani si basano sulla Parigi capitale del 19esimo secolo). Ma qui la prospettiva si approfondisce e si complica. Alla luce de L’Opera d’arte e L’autore come produttore ci si poteva aspettare che l’espressione della vita massificata venisse indagata attraverso la letteratura di massa combinata allo studio della “vita nervosa” e “intellettualizzazione”. Fotografia e cinema rappresentano la forma attuale dei rapporti di produzione perché esprimo il processo di desostanzializzazione del mondo: ogni cosa perde la sua fissità, nessun ente ha un volto proprio avvolto in una propria aura (Benjamin parla di residuo di aura per i primi ritratti fotografici). Questa indifferenza è il presupposto della riproducibilità tecnica: l’idea che ogni ente possa essere considerato scambiabile con ogni altro rende possibile, ed esige, la sua riproducibilità. Il valore di una cosa è relativo a quello di altre cose con cui risulta scambiabile: si tratta proprio della valutazione distratta. Inoltre, all’astrazione che nella merca di opera corrisponde la valutazione distratta che ne viene data perché non si ha il tempo di concentrarsi su una merca che subito viene distratta verso un’altra. Il denominatore comune a tutto ciò è il denaro. Il denaro ne regola lo scambio e si perde nella circolazione producendo al fine di produrre nuove merci. La legge della riproducibilità è la legge stessa del denaro nella forma che questo assume nel sistema sociale capitalistico di produzione. Il denaro soddisfa l’esigenza delle grandi masse di essere ovunque in tempo reale perché ogni cosa è contemporaneamente a disposizione. La loro individualità e il loro hic et nunc sono il passato. Ma lo stesso passato può entrare nella circolazione generale ed essere riprodotto. I luoghi rappresentati nel documentario fotografico accompagnano, per esempio, lo sviluppo dell’industria del turismo. Il denaro elimina la distanza rendendo, perfino, omogeneo ciò che è diverso per cui il valore di una cosa consiste proprio nel suo essere valutata. Il mondo dell’essenzialità dell’inessenziale è quello della moda - cioè del Moderno. Per Benjamin non si tratta soltanto di una distratta curiosità per la novità perché nella moda si esprime il permanente del mondo della circolazione denaro-merce-denaro. Moda non significa l’irrompere del nuovo, bensì l’eterno ritorno del nuovo. Il movimento del denaro, che si incarna in merci particolari a rinascere nella sua forma più pura, astratta. La moda è la profonda esigenza che le masse hanno di rinnovarsi e permette di comprendere che la produzione capitalistica è, prima ancora che produzione di oggetti, lo stesso consumo: l’oggetto che si era fissato nel valore d’uso di distrae da esso trapassando nel consumo e ritrasformandosi, grazie a tale essereconsumato, in denaro di nuovo. La moda investe nel settore e non è concesso nessun tempo per concentrarsi perché le lerci devono sedurre con rapidità al fine di invitare all’acquisto più immediato.

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Gli oggetti destinati ad essere merci nascono desostanzializzati per cui la loro origine è il loro stesso fine. Il loro prodursi è già la loro riproduzione tecnica e, per tanto, nessun aura può essere assegnata al valore che li genera. L’idea di sacralità si conserva soltanto in quella della sacra prostituzione: il simbolo della prostituta equivale ad esposizione, acquisto e scambio che si manifesta in pieno nella metropoli. La cosa vale tanto più, quanto più il suo esporsi segna la moda, ovvero produce consumo per cui tutto viene sconsacrato (Marx). Lo stesso “cervello” è continuamente al lavoro per sviluppare nuove merci e per consumare ciò che ha prodotto, creando così le condizioni affinché il ciclo rinasca: così funziona il cervello metropolitano. Nei suoi saggi Benjamin esprime l’idea che il produttore, padrone del funzionamento e della potenzialità della macchina, possa opporsi al suo “uso” capitalistico”. Il fondamento di tale idea è riferibile a Marx per il quale il capitale deve sottomettere alla legge del suo profitto ciò che l’intelletto generale produce. Il lavoro tecnico-scientifico è la forma per eccellenza del lavoro vivo che entra il contraddizione con la macchina, che vorrebbe indirizzare l’energia produttiva in prodotti determinati garantendo un profitto a chi detiene la proprietà dei mezzi di produzione. Viene un tempo in cui il lavoro vivo, nella forma del cervello sociale, sconvolge le capacità di controllo in termini economici e non si presenta più come lavoro dipendente dal processo di valorizzazione. Questa per Marx è la contraddizione ultima e legge dello sviluppo storico. La forma universale del fare può rappresentarsi solo come produttiva di merci. Le sue “idee” non devono restare senza valore, se devono avere comunque pubblico o mercato, i suoi prodotti non possono che apparire in forma di merce per cui il destino è segnato.

2. Melancholia metropolitana Il disincanto malinconico si fa esplicito nei grandi saggi su Parigi e Baudelaire (Le spleen de Paris) in cui viene rivissuta l’intera storia che ha condotto all’autore come produttore: quella della metropoli-capitale che ne ha generato la figura. Ma ora, sulla possibilità di poter cogliere nella perdita di aura la fondata speranza di una “liberazione del produttore” cala il silenzio. Benjamin conduce un interminabile lavoro riguardante il valore profetico della poesia: la storia dell’arte è una storia di profezia che possono essere comprese solo guardandole dal presente, una volta maturate. Nella Parigi di Baudelaire, Benjamin vede una di queste profezie che, solo ora, dal punto di vista del dominio della Tecnica, della figura del produttore, dell’affermarsi dei comportamenti di massa, delle nuove forme di espressione e di percezione, si rivela in tutta la sua forza. Il profeta rappresenta la contraddizione del presente in quanto egli può predire solo quando avverte la sofferenza presente e quando diviene in grado si elevarsi a tale sy-patheia (con-divisione, sentire insieme all’altro) con il proprio presente potrà dire “oltre” l’attuale. Il dire del poeta custodisce questa forza profetica. Questa parola, però, non esprime soltanto il destino dell’ epoca in quanto la conosce e la vive in 6

tutte le sue ferite che nessuna Ragione può a posteriori sanare e che quindi vive secondo il suo essere-perla-morte. Se l’operare del produttore non riconosce il valore della distanza, se il suo lavoro è guidato dal fine dell’ubiquità, comprendere questa storia dal punto di vista della profezia poetica significa dover riacquistare distanza, concentrazione e attenzione ma tutto ciò all’interno della metropoli e per la metropoli, in quanto è grazie a questa che il poeta esiste, appartie...


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