Spettroscopia XPS - DESCRIZIONE DETTAGLIATA DELLA TECNICA PDF

Title Spettroscopia XPS - DESCRIZIONE DETTAGLIATA DELLA TECNICA
Course Chimica Analitica
Institution Università del Salento
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DESCRIZIONE DETTAGLIATA DELLA TECNICA...


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SPETTROSCOPIA XPS (Spettroscopia di fotoelettroni a raggi x) E’ una tecnica utilizzata per sondare le superfici dei materiali: essa consente infatti di conoscere gli elementi chimici che compongono la superficie di un materiale e di determinarne talvolta lo stato di legame. Usata soprattutto per l’analisi di superfici solide, interfacce o punti di contatto. Il campione viene irraggiato con una sorgente di raggi X monocromatica. I fotoni entrano nel materiale e subiscono varie interazioni, tra le quali l'effetto fotoelettrico e l'emissione Auger. In entrambi i casi un elettrone viene espulso dal materiale con una energia cinetica legata alla energia di legame dello stesso. Misurando l'energia cinetica dell'elettrone espulso si risale alla sua energia di legame, indicativa dell'elemento chimico interessato. L’energia di legame degli elettroni di un dato atomo dipende fondamentalmente dall’elemento chimico cui appartengono e dal loro livello energetico; analizzando lo spettro degli elettroni fotoemessi si può determinare quali elementi sono presenti nel nostro materiale. L’XPS è una tecnica spettroscopica basata sull’effetto fotoelettrico: quando un campione viene investito da una radiazione elettromagnetica avente energia E = hν nella regione dei raggi X, si ha la fotoemissione degli elettroni dei livelli energetici più interni; quindi gli elettroni riescono ad uscire dalla superficie costituendo una corrente che può essere misurata. Gli elettroni contenuti negli atomi del materiale si trovano su livelli energetici (orbitali) caratterizzati da una determinata energia di legame, ossia l'energia con cui gli elettroni sono legati al nucleo dell’atomo. Misurando l’energia cinetica (EK) degli elettroni fotoemessi si può determinare la loro energia di legame (EB), tramite l’espressione: EK= hν – EB - ɸ EB = h ν - (EK + ɸ) dove hν è l'energia della luce incidente (h è la costante di Planck e ν la frequenza della radiazione incidente) e ɸ è la funzione lavoro del materiale, ossia è l'energia minima che occorre fornire per estrarre un elettrone dal materiale stesso, in altre parole è il lavoro che il sistema deve fare per portare l’elettrone dal livello di Fermi nel vuoto. Questa energia dipende dal tipo di materiale e si aggira in genere intorno a qualche elettronvolt. La ɸ può essere calibrata: si misura l’energia cinetica di standard come oro, rame e carbone, e poi conoscendo hν e l’energia di legame, e usando come riferimento l’elettrone 1s del carbonio, si può calcolare la funzione lavoro ɸ. Quindi: 𝐸𝑙𝑒𝑔𝑎𝑚𝑒 = 𝐸𝑓𝑜𝑡𝑜𝑛𝑒 − (𝐸𝑐𝑖𝑛𝑒𝑡𝑖𝑐𝑎 + ɸ) Tuttavia elettroni possono anche essere emessi dal materiale a seguito di un processo di rilassamento interno detto emissione Auger. A seguito della fotoemissione di un elettrone di core (elettrone in un orbitale a bassa energia, vicino al nucleo) si genera una lacuna in un orbitale interno (ad es. 1s). La lacuna può quindi essere riempita da un elettrone degli orbitali esterni emettendo energia, che può essere liberata sotto forma di raggi X o emettendo un terzo elettrone degli orbitali più esterni, detto elettrone Auger, che potrà fuoriuscire dal materiale. Generalmente gli elettroni che vengono emessi in questo tipo di processo sono quelli più vicini al nucleo, ossia gli elettroni di core; essi sono così fortemente legati al nucleo da essere perturbati in modo assolutamente trascurabile dall'ambiente esterno all'atomo, anche nel caso quest'ultimo fosse legato ad altri atomi. In realtà l’energia di legame di questi elettroni risente parzialmente dell’intorno chimico e può subire dei “chemical shift”, ossia degli spostamenti di energia a seguito del cambio dello stato di ossidazione di un elemento. Dunque questa tecnica permette di differenziare lo stato di ossidazione degli elementi, fornendo una prima informazione sul materiale (es: si potrà distinguere il Fe(0) dal Fe(II) e dal Fe(III)). Uno spettro XPS presenta sull’asse delle x l’energia di legame degli elettroni (eV) e sull’asse y il numero di elettroni misurati, quindi indica quanti elettroni sono emessi a determinate energie. Consideriamo un campione di rame: quando i fotoni colpiscono il campione gli elettroni dei livelli

più interni possono essere emessi. Gli elettroni di questi livelli energetici avranno energie di legame specifiche, quindi riportando in grafico il numero di elettroni emessi con determinati valori di energia di legame sarà possibile ottenere uno spettro XPS caratteristico per il rame, in cui ad ogni picco corrisponderà una precisa energia di legame propria dei livelli energetici di quell’elemento. Lo spettro del rame avrà una forma fissata: vi è un picco Cu(2s) che indica il numero di elettroni emessi dal livello 2s, poi ci sono i picchi corrispondenti al livello 2p (si sdoppia in ½ e 3/2, parzialmente sovrapposti) , il picco degli elettroni Auger emessi per diseccitazione della molecola e i picchi Cu(3s) e Cu(3p). Poiché l’energia di legame dei picchi corrisponde all’energia di legame dei livelli energetici del rame, si procede con l’identificazione dell’elemento. Confrontando le posizioni dei picchi e le energie di legame con dati tabulati, è possibile identificare gli elementi contenuti in una miscela. Quindi ogni elemento produce una serie caratteristica di picchi XPS a valori di energia di legame che identificano direttamente ogni elemento che esiste nella o sulla superficie del materiale da analizzare. Questi picchi caratteristici corrispondono alla configurazione elettronica degli elettroni all'interno degli atomi (elettroni di core), per esempio, 1s, 2s, 2p, 3s, ecc. Generalmente la tecnica spettroscopica XPS, quando applicata a solidi, è un tecnica di superficie: l’XPS rileva solo quegli elettroni che sono effettivamente arrivati nel vuoto dello strumento senza subire urti. Quanto più gli elettroni emessi provengono dai livelli interni dell’atomo, tanto più aumenta la probabilità che urtino contro altre particelle disperdendo parte della propria energia; gli elettroni più interni dunque raggiungono con difficoltà l’analizzatore e il picco relativo alla loro energia di legame potrebbe risultare falsato. Quindi gli elettroni che meglio riescono ad arrivare all’analizzatore sono quelli dei livelli più esterni, di superficie. E’ possibile analizzare la superficie di campioni fino a circa un nanometro di profondità; al di sotto di 20 strati atomici (5-6 nm) gli elettroni non raggiungono il rivelatore. Tramite questo tipo di analisi è possibile ottenere informazioni quantitative sulla composizione chimica dello strato superficiale dei campioni analizzati. Questa tecnica è quindi molto utile nello studio e caratterizzazione di film sottili e interfacce, cioè della regione di confine fra due materiali diversi. In ambito industriale essa è per esempio utilizzata per determinare la composizione chimica dei rivestimenti superficiali di utensili e parti meccaniche. Nella ricerca scientifica essa è molto utile nello studio della crescita di sistemi, quali ad esempio film sottili di materiale organico o inorganico depositati su substrati opportuni. Ci sono anche strumentazioni pensate per analizzare l’emissione di elettroni in gas e liquidi. L’analisi si effettua in condizioni di alto vuoto, per limitare il più possibile gli urti e le dispersioni di energia. Si stanno proponendo tecniche XPS anche a pressione ambiente, adatte per lo studio di materiali biologici che in condizioni di ultra alto vuoto (10-10 torr) potrebbero subire dei danni. Per analizzare la parte interna del nostro campione si usa una tecnica definita sputtering, in cui un fascio di gas ionizzato con ioni positivi o negativi colpisce il campione e rimuove gli strati superficiali. Tuttavia il fascio di ioni sulla superficie potrebbe non rimuovere gli strati più esterni in modo perfetto, ma potrebbero crearsi delle irregolarità sulla superficie analizzata, oppure si potrebbero anche innescare reazioni chimiche. Questa tecnica si usa generalmente per analizzare campioni lamellati in cui ci sono più strati di componenti. La spettroscopia dà informazioni di tipo chimico: in base all’energia dei fotoni usata si possono avere informazioni su tutti gli elementi della tavola periodica, tranne idrogeno ed elio (sono troppo leggeri e il diametro dei loro orbitali è così piccolo da ridurre la probabilità di colpire un elettrone). Quindi con un’analisi XPS noi possiamo studiare la composizione chimica superficiale di tutti i campioni. Per allontanare elettroni con un’energia di legame elevata sarà necessaria una radiazione ad alta energia. Gli strumenti più potenti in questa analisi sono quelli che operano a luce di sincrotrone, cioè una radiazione generata da elettroni accelerati in un apposito acceleratore; questa radiazione ha energia elevatissima. Lo spettrofotometro XPS classico usa come sorgente di raggi X una radiazione ad alluminio, a magnesio, o a rame.

Nello spettro XPS sull’asse delle x si riporta l’energia di legame e sull’asse delle y vi è il numero di elettroni contenuti nel livello energetico. Essendo carichi, gli elettroni sono facili da misurare: c’è un sistema che li separa in base alla loro energia e li manda ad un analizzatore che misura la corrente generata dagli elettroni. I picchi più intensi sono quelli corrispondenti agli elettroni emessi dell’atomo, mentre gli altri rappresentano gli elettroni di fondo, cioè elettroni emessi che perdono energia nelle collisioni e quindi hanno una distribuzione media lungo tutto lo spettro. Gli spettri XPS possono essere registrati o in funzione dell’energia cinetica o in funzione dell’energia di legame. Mentre l’energia di legame di un elettrone in un determinato atomo è sempre uguale indipendentemente da che tipo di sorgente utilizzo, l’energia cinetica invece dipende da hν, quindi se si cambia la sorgente cambia anche l’energia cinetica. Quindi è difficile operare il confronto tra spettri in funzione dell’energia cinetica quando si cambia la radiazione; è perciò preferibile utilizzare lo spettro in funzione dell’energia di legame, che permette velocemente di identificare l’elemento. La distribuzione dei picchi nello spettro è caratteristica di ogni elemento, quindi è una tecnica molto risolutiva dal punto qualitativo. La spettroscopia XPS può anche essere usata nella speciazione di un atomo, ossia nella distinzione dei suoi vari stati di ossidazione a seguito di chemical shift, cioè piccole variazioni nell’energia di legame degli elettroni. Es. se l’energia di legame del 2p del Fe(0) è 708 eV, il ferro ossidato avrà un valore di energia di legame del 2p pari a 712 eV. Da questa piccola differenza posso capire che non si tratta di Fe(0), ma di Fe(2) o Fe(3). Sfruttando questa tecnica si può anche compiere un’analisi quantitativa: è possibile conoscere le distribuzioni percentuali degli elementi in un certo campione. Il numero di elettroni in ciascuno dei picchi caratteristici è proporzionale alla quantità di elemento all'interno dell'area irradiata. Per conoscere la percentuale di un elemento bisogna dunque misurare l’area dei picchi e normalizzare tramite dei fattori di sensibilità relativa. Per normalizzare i dati di tutti gli elementi si utilizza il fluoro, quindi all’area del fluoro si attribuisce valore 1 e si correggono tutti gli altri valori rispetto a questo. Questi fattori di sensibilità con cui normalizzare sono memorizzati all’interno dello strumento stesso. In questo modo è possibile risalire alla composizione atomica della superficie. Una variante della spettroscopia XPS è la spettroscopia UPS, in cui la radiazione utilizzata è ultravioletta. In questo caso la radiazione incidente non ha energia molto elevata e non sarà in grado di estrarre gli elettroni di core, ma potrà solo estrarre gli elettroni di legame. Quindi l’UPS studia una zona con energia di legame molto bassa che va da 0 a 10 eV e corrisponde agli elettroni di legame, di conseguenza le informazioni che otteniamo sono sui legami chimici. Questa tecnica fornisce informazioni importanti sulle proprietà elettroniche del materiale, per esempio se esso è isolante o conduttore, e può determinare nel dettaglio la distribuzione energetica degli elettroni all’interno della banda di valenza e di conduzione. Lo strumento Il campione solido è posto in una camera a bassissime pressioni in alto vuoto, e viene colpito dalla sorgente di raggi X in una certa area. Dal campione fuoriescono elettroni con diverse intensità, che saranno collimati attraverso delle lenti elettroniche (in cui vi sono campi elettrici), fino a raggiungere l’analizzatore di energie. Nello spettrometro XPS gli elettroni vengono fatti scorrere in un

tubo a cui si applica una differenza di potenziale in modo tale che essi attraversino l’analizzatore e raggiungano il rivelatore separati in funzione della diversa energia con cui vengono emessi dal campione. Gli elettroni dunque raggiungono il rivelatore con velocità diverse, e qui si forma uno spettro. I picchi non hanno la forma di una gaussiana ma si possono avere forme complicate, per esempio il livello 2p è indicato sempre da due componenti ½ e 3/2 solo parzialmente sovrapposte tra loro. Chi utilizza XPS a livello specialistico, studiando la forma dei picchi, può avere delle informazioni particolari anche sullo stato di aggregazione del materiale analizzato, per conoscere la struttura della materia e come gli atomi e gli elementi nella struttura fisica solida interagiscono realmente tra di loro. Inoltre la forma dei picchi varia a seconda che il campione sia un conduttore, un semi-conduttore o un isolante, perché l’energia degli gli elettroni che fuoriescono varia in base alla natura del materiale. Nello spettrometro XPS classico le radiazioni di alcuni elementi come alluminio, magnesio e rame Kα hanno energia precisa e possono essere mono-cromatiche e non mono-cromatiche; nel caso del sincrotrone la radiazione è monocromatica. Nella spettroscopia XPS-ESCA, tuttavia, i raggi X non possono essere focalizzati in un’area specifica molto piccola. Si dice quindi che l’analisi XPS ha una risoluzione laterale bassa, generalmente superiore ai nanometri e inferiore di qualche decina di micron, mentre in termini di profondità è una tecnica adatta allo studio di nano-materiali perché lo spessore della superficie analizzata è nell’ordine dei nanometri. Qualche strumento nella tecnica FAI è risuscito a ridurre il raggio incidente a qualche micron ma mai nell’ordine dei nanometri. Una tecnica detta Auger utilizza un fascio di elettroni al posto dei raggi X e può essere in grado di eseguire delle mappature poiché il fascio può essere focalizzato e colpire materiali dalle dimensioni nell’ordine dei nanometri. L’XPS rileva tutti gli elementi con numero atomico (Z) da 3 (litio) in poi. Non può rilevare idrogeno (Z = 1) o elio (Z = 2) perché il diametro dei loro orbitali è così piccolo da ridurne la probabilità di cattura quasi a zero. Inoltre i limiti di rivelazione per la maggior parte degli elementi sono dello 0.01-0.1% degli atomi. Gli spettri XPS possono essere: wide-scan, se rappresentano tutti gli elementi/atomi di un campione e servono come base per la determinazione della composizione elementare dei campioni stessi; oppure ad alta risoluzione quando rappresentano un atomo specifico e gli elettroni in un suo livello energetico. Anche in quest’ultimo caso tuttavia non si osserva un unico picco; ad es. nel caso del livello degenere 3d si osservano forme complicate. Per poter interpretare questi picchi più complessi, esistono dei programmi di “fitting” in cui si ipotizza la struttura dell’elemento. Quindi tramite spettroscopia XPS si possono ottenere informazioni riguardo la composizione della superficie: è possibile risalire ai vari gruppi funzionali e allo stato di ibridazione degli atomi. Questo è lo spettro di un carbonio 1s. Ogni picco corrisponde a forme diverse di carbonio, quindi possiamo individuare il fullerene, la grafite, il carbonio organico o inorganico. I carbonati arrivano a 290 eV, i fenoli a 286 eV, i carboni sp2 ed sp3 sono generalmente intorno a 284-285 eV. Quindi se io analizzo un polimero, posso stabilire i gruppi funzionali e la loro distribuzione percentuale e quindi individuare la qualità del polimero....


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