Ludovico Ariosto - Riassunto Letteratura italiana 1  PDF

Title Ludovico Ariosto - Riassunto Letteratura italiana 1 
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Course Letteratura italiana 1 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Riassunto dettagliato vita e opere di Ariosto...


Description

LUDOVICO ARIOSTO Ludovico Ariosto, che opera per tutta la vita nell’ambiente della corte, rappresenta la tipica figura dell’intellettuale cortigiano del Rinascimento. Al tempo stesso, il suo rapporto col mondo cortigiano è percorso da una segreta ambivalenza: l’autore è costantemente mosso da sentimenti di malcelato rifiuto e sottile ambivalenza. Il poeta proveniva da una nobile famiglia: il padre Nicolò era funzionario al servizio dei duchi d’Este ed era comandante della guarnigione militare di Reggio Emilia, città in cui, nel 1474, nacque Ludovico Ariosto. Dieci anni più tardi, nell’84, il padre di trasferì a Ferrara, con vari incarichi amministrativi, e qui Ludovico intraprese i primi studi: frequentò, presso l’Università di Ferrara, corsi di diritto, ma contro la sua vocazione e soltanto per accondiscende il padre. Abbandonati gli studi poco graditi, infatti, si dedicò con ardore ad approfondire la sua formazione letteraria e umanistica, di cui fu frutto la sua produzione di liriche latine. Legato da rapporti di amicizia a Pietro Bembo, l’intellettuale più prestigioso dell’epoca, Ariosto ne subì l’influenza, indirizzandosi verso la poesia volgare. Alla morte del padre, nel 1500, dovette occuparsi del patrimonio familiare: per far fronte alle necessità economiche, dovette accettare incarichi ufficiali da parte degli Estensi. Entrò, infatti, al servizio del cardinale Ippolito, figlio del duca Ercole I, con incarichi molto vari, che andavano dalle semplici missioni politiche e diplomatiche a minute incombenze pratiche. Come tanti altri letterati cortigiani del suo tempo, per aumentare le entrate, assunse anche la veste di chierico, prendendo gli ordini minori che, tuttavia, gli impedirono di convivere con una donna sposata e fiorentina, Alessandra Benucci, di cui si era innamorato, e che sposò in segreto solo anni più tardi, dopo la morte del marito. Nel 1516 Ariosto pubblicò la prima edizione dell’Orlando furioso, alla quale lavorava da circa un decennio, e la dedicò al cardinale Ippolito che, tuttavia, non mostrò l’entusiasmo che il poeta si aspettava. L’anno successivo, recandosi a prendere possesso di un vescovato in Ungheria, il cardinale impose ad Ariosto di seguirlo, ma il poeta rifiutò, passando al servizio del duca Alfonso, che gli affidò il difficile compito di governatore della Garfagnana, regione appenninica da poco annessa al Ducato estense, una regione turbolenza, infestata dai banditi, in cui l’ordine doveva essere mantenuto con la forza. Questo incarico di fiducia ottenuto consentì ad Ariosto di manifestare eccellenti doti pratiche, destreggiandosi tra gli intrighi della vita cortigiana del tempo e sottolineando il suo essere un uomo accorto e saggio. LE OPERE MINORI Le liriche latine e le rime volgari La lirica latina di Ariosto risale prevalentemente agli anni giovanili: si tratta di 67 componimenti, circa, mai raccolti dall’autore in forma organica né pubblicati come opera compiuta.

Questi componimenti sono espressione della formazione umanistica di Ariosto, e del suo smisurato amore per i classici latini: Orazio, autore a lui particolarmente congeniale, con il suo ideale di serenità imperturbabile, ma anche Catullo, Virgilio e i poeti elegiaci come Tibullo, Properzio e Ovidio. Di personale, Ariosto in questi componimenti immette un’intonazione più realistica, come la denuncia del contrasto fra la durezza della vita quotidiana e le aspirazioni all’otium intellettuale proprie del letterato. Gli spunti personali si intensificano nelle rime in volgare, molte delle quali incentrate sull’amore per Alessandra Benucci, rappresentato in toni intimi e affettuosi assai distanti dai modi rarefatti della lirica petrarchesca, che pure esercita un influsso notevole sul linguaggio poetico di Ariosto. A differenza della poesia latina, le rime volgari sono state scritte lungo tutto l’arco dell’esistenza del poeta, e spesso non sono facilmente databili; anch’esse non furono mai raccolte organicamente dall’autore, e furono pubblicate solo postume, nel 1546. Le commedie Incaricato di allestire gli spettacoli scenici per le feste di corte, Ariosto non si limitò a riproporre testi latini tradotti e adattati al nuovo contesto di fruizione, com’era consuetudine, ma inaugurò una produzione originale di commedie in volgare, prima in prosa (La Cassaria e I Supposit) e poi, dopo un’interruzione di circa un decennio, in versi (Gli Student, rimasta incompiuta; Il Negromante; La Lena): esse segnano la rinascita di questo genere letterario d’ispirazione classica in età moderna. I modelli sono i commediografi latini e principalmente Plauto: le prime due commedie in prosa di Ariosto riflettevano il classico schema plautino del conflitto tra i giovani, tesi a raggiungere i loro obiettivi amorosi, ed i vecchi, che in vari modi li ostacolano. Una parte importante hanno anche i servi astuti, che aiutano i giovani ad ottenere ciò che desiderano con espedienti e inganni. Al modello dell’intreccio plautino si aggiunge anche la suggestione della novella italiana, in particolare Boccaccio, nel motivo dell’intraprendenza dei giovani nella ricerca del soddisfacimento amoroso e in quello dell’astuzia Le lettere Ci sono giunte di Ariosto circa 214 lettere: si tratta di un epistolario di carattere molto diverso rispetto a quello degli umanisti, che avevano come modello Petrarca. Le lettere di Ariosto, non essendo state composte in vista della pubblicazione, non presentano un carattere propriamente letterario: piuttosto che trasfigurare la realtà smussando i riferimenti troppo crudi e diretti in nome di un’ideale classicheggiante, esse si presentano come documento autentico, scritte in uno stile semplice e immediato. Le satire Ariosto compose sette satire in forma di lettere in versi, ma non ne curò la stampa, infatti, una prima edizione di esse uscì soltanto dopo la sua morte.

Anche per questi componimenti vi erano dei modelli classici, tra i quali spicca in primo luogo Orazio: ad Orazio Ariosto è vicino nell’ideale di una vita quieta e modesta ma indipendente da ogni servitù, e nel distacco ironico con cui sa guardare se stesso e gli altri. Anche la struttura di questi componimenti risponde al modello oraziano, ed è quella della chiacchierata alla buona, che trascorre disinvoltamente, talora senza apparenti connessioni, tra i vari argomenti. I temi centrali delle satire di Ariosto sono: la condizione dell’intellettuale cortigiano; i limiti e gli ostacoli che essa pone alla libertà dell’individuo; l’aspirazione ad una vita quieta e appartata, lontana dalle ambizioni e dalle invidie della realtà di corte; il fastidio per quelle incombenze pratiche che costituiscono un ostacolo all’esercizio poetico. L’atteggiamento dell’autore è ironico, ma alcune volte mostra punte di asprezza polemica. L’ORLANDO FURIOSO Intorno al 1505, Ludovico Ariosto mise mano alla composizione di un poema cavalleresco, l’Orlando furioso. La materia cavalleresca era molto amata nella corte ferrarese e aveva già trovato espressione, pochi decenni prima, in un capolavoro di Matteo Maria Boiardo, l’Orlando innamorato. Nella sua opera Ariosto si collega direttamente a quella boiardesca, riprendendo la narrazione esattamente dal punto in cui il poeta l’aveva interrotta e proseguendola con nuove avventure. L’opera passa attraverso tre diverse fasi redazionali: la prima nel 1516, in seguito all’uscita della quale subito il poeta si mise a lavoro per correggerla e limarla; la seconda redazione, risalente al 1521, senza grandi cambiamenti di rilievo, con qualche aggiustamento e qualche taglio e una complessiva revisione linguistica. Nonostante già queste due prime edizioni ebbero tanto successo, testimoniato dalle numerose ristampe, insoddisfatto Ariosto si accinse a una nuova e più radicale revisione dell’opera, dando vita ad una terza edizione, apparsa nel 1532. In questa terza ed ultima edizione la revisione fu principalmente linguistica: nelle prime due, il poeta aveva usato quella lingua cortigiana che era stata propria anche di Boiardo, basata fondamentalmente sul toscano letterario con numerose coloriture padane e latineggianti; nell’ultima redazione, invece, adeguò la lingua ai canoni classicistici autorevolmente fissati da Pietro Bembo: una lingua pura e levigatissima, priva di ogni ibridismo locale, che si rifaceva rigorosamente al fiorentino dei classici trecenteschi. Seppur in misura ridotta, la revisione riguardò anche i contenuti: il numero dei canti, da 40 nelle prime due edizioni, passò a 46 e l’inserzione di nuovi episodi determinò nuove simmetrie e un clima nettamente diverso, più cupo, permeato di pessimismo sulla Fortuna e l’azione umana, e caratterizzato da tematiche negative , quali il tradimento, la tirannide, la violenza. Continuando il poema interrotto da Boiardo, Ariosto riprende la materia cavalleresca che già aveva avuto tanta fortuna sul suolo italiano. Anche nel Furioso si opera quella fusione, già consacrata da Boiardo, tra materia carolingia e arturiana: i personaggi, Carlo Magno, Orlando, Rinaldo, Astolfo, sono quelli della tradizione

carolingia, ma grande rilievo hanno sia il motivo amoroso sia quello fiabesco e meraviglioso, tipico della materia di Bretagna. Come già nell’Orlando innamorato, anche nel Furioso si intrecciano le vicende di numerosi eroi; inoltre, Ariosto riprende l’espediente boiardesco di interrompere improvvisamente la narrazione, in un momento cruciale, per passare a narrare la vicenda di un altro personaggio. Nel Furioso, anzi, questo procedimento diviene sistematico, dando luogo ad un vero e proprio congegno narrativo, il cosiddetto entrelacement: il narratore porta avanti in parallelo il racconto di più vicende contemporaneamente, troncandole e riprendendole, conducendo numerosi fili narrativi ad intersecarsi tra loro, per poi dividersi nuovamente. Occorre, tuttavia, ricordare che l’intrecciarsi delle vicende narrate non dà mai il senso di un accostamento casuale, come spesso avveniva in Boiardo, ma appare sempre inserito in un disegno organizzativo rigoroso: è il poeta stesso che nel corso del racconto più volte enuncia il principio di unità che deve esserci nella molteplicità. Tra gli innumerevoli fili narrativi che compongono l’intreccio del Furioso, l’autore stesso, nel Proemio, ne indica tre principali, accanto al motivo encomiastico di esaltazione della casa d’Este: - la guerra mossa dal re africano Agramante a Carlo Magno sul suolo di Francia, per vendicare la morte del proprio padre Troiano - l’amore di Orlando per Angelica e l’inesausta quanto vana ricerca della donna amata, che si risolve nella scoperta del suo tradimento e dello sposalizio con Meodoro, nella follia dell’eroe e nel suo finale rinsavimento, grazie ad Astolfo che ha recuperato il suo senno con un viaggio sulla luna - le vicende di Ruggiero e Bradamante, divisi da infinite peripezie che si concludono con la conversione di Ruggiero al cristianesimo e con le nozze4, da cui avrà origine la casa estense. Il punto di vista da quale ogni evento viene narrato è, tuttavia, variabile. Nel poema, ogni certezza o acquisizione non è mai definitiva, ma viene superata mediante un processo di correzione continua. Viene, dunque,a crearsi un pluralismo prospettico, che è uno dei caratteri salienti del Furioso: nel corso della narrazione, diversi modi di giudicare un fatto o un comportamento possono alternarsi, senza che mai si imponga un giudizio definitivo, univoco e incontrovertibile. Il pluralismo prospettico che caratterizza l’Orlando Furioso, altro non è che il corrispettivo speculare di quel mondo infinitamente molteplice e vario di cui il poema vuole essere il simulacro. Anche al centro del Furioso, come già nei romanzi cavallereschi precedenti, vi è il motivo dell’inchiesta: ciò che muove la vicenda e suscita le imprese dei cavalieri è la ricerca spasmodica di qualcosa, la ricerca di un oggetto del desiderio costante. L’inchiesta, nell’opera di Ariosto, assume un carattere tutto laico e profano: tutti i personaggi desiderano e ricercano qualche cosa, una donna, l’uomo amato, un elmo, una spada o un cavallo; ma, il desiderio è vano, gli oggetti ricercati deludono sempre le attese, l’inchiesta risulta sempre fallimentare e inconcludente. L’inchiesta fallimentare, nell’opera, si traduce in un movimento circolare, che non approda mai ad una meta e ritorna sempre su se stesso, ad indicare il carattere ossessivamente ripetitivo della ricerca inappagata e della sua frustrante inutilità.

L’inseguire vanamente questi oggetti delusori costituisce per i personaggi un errore, altro termine chiave del poema: esso può essere un errore materiale, ma anche morale, quando, ad esempio, un desiderio ossessivo e insoddisfatto si trasforma in follia (è il caso di Orlando, che diviene folle per amore; ma anche di Bradamante, folle di gelosia per Ruggiero; Rodomante, folle di dolore per il tradimento di Doralice). Questo filone tematico centrale, costituito dall’inchiesta, si riflette anche sulla struttura del poema. Dal momento che la vicenda è costituita dal movimento incessante dei personaggi alla ricerca degli oggetti del loro desiderio, una funzione essenziale assume l’organizzazione dello spazio, una spazio vastissimo e del tutto orizzontale, nel senso che il movimento dei personaggi avviene in una dimensione puramente terrena (per converso si pensi allo spazio verticale della Divina Commedia dantesca). A tal proposito, potrebbe sembrare fuorviante il viaggio di Astolfo sulla luna: in realtà, la Luna non è che il complemento della terra, il suo rovescio speculare, il luogo in cui si accumula tutto ciò che si perde sulla terra. Riflettendo la concezione laica che è propria del Rinascimento, dunque, il mondo del Furioso è tutto immanente, che ignora o mette tra parentesi la trascendenza. Inoltre, lo spazio del Furioso è aperto al desiderio e alla scelta umani, ma è anche uno spazio frustrante e labirintico, in cui domina non il disegno divino che tutto regola provvidenzialmente, ma l’azione capricciosa e imprevedibile della Fortuna. Rispetto alla fiducia nella virtù dell’uomo in lotta contro la Fortuna, propria dell’Umanesimo quattrocentesco, ed anche di Machiavelli, Ariosto presenta una visione più disincantata e pessimistica. L’organizzazione del tempo, poi, è analoga a quella dello spazio: anche il tempo, infatti, al pari dello spazio, non è lineare ma labirintico. Poiché sono molteplici i fili narrativi che si intrecciano, molti fatti, che si succedono sull’asse sintagmatico del racconto, sono in realtà contemporanei, oppure, fatti raccontati successivamente sono precedenti, e viceversa. Quello dell’Orlando furioso è un tempo tutto aggrovigliato, che torna costantemente su se stesso, perché spesso il poeta torna indietro per riprendere fili narrativi che aveva lasciati interrotti. Tuttavia, nonostante dall’organizzazione di spazio e tempo, e dall’intreccio narrativo del poema, si evince l’immagine di un reale labirintico, infinitamente vario e molteplice, mutevole e imprevedibile, l’impressione esterna che il poema consegna al lettore non è quella del disordine e del caos informe, ma, al contrario quella di un cosmo perfettamente ordinato e armonico. In questo senso, l’opera rappresenta compiutamente l’ideale rinascimentale dell’uomo che domina razionalmente la realtà, e sul piano estetico, dell’artista che dà forma al caos della materia così come Dio ha plasmato il mondo. È stato già precedentemente accennato che, sulla scia dell’Orlando innamorato di Boiardo, anche Ariosto tratta nel suo poema la materia cavalleresca, in un connubio tra materia carolingia e arturiana. Ma, sulla base di questa considerazione, è lecito chiedersi quale senso potesse dare a questa materia, tipicamente medievale, un uomo del pieno Rinascimento quale Ariosto.

Nel suo poema, Boiardo si presentava sì quale celebratore della cavalleria, ma non più nel senso medievale: egli credeva che i valori cortesi potessero rivivere nella società cortigiana e che fossero in essa ancora praticabili, a patto che venissero rivitalizzati con contenuti nuovi e moderni: così, la prodezza guerriera diveniva l’energia dell’individuo in grado di opporsi alla Fortuna; la lealtà si trasformava in tolleranza. Nonostante Ariosto si rivolga, poi, ad un pubblico distante di una sola generazione da quella di Boiardo, non crede più in quell’attualizzazione del mondo cavalleresco: ai suoi tempi, la civiltà cortigiana è ormai in piena crisi e irreversibile declino. La cavalleria, ormai svuotatasi degli originari valori etico-religiosi, non può più essere riempita di nuovi valori, e rappresenta un mondo ormai remoto, che può solo essere vagheggiato con nostalgia, ma anche con distacco. Dal disincanto del poeta deriva una fusione, all’interno dell’opera, tra due componenti eterogenee: l’abbandono al piacere del fantastico, e la riflessione concettuale. Da un lato vi è il piacere di immergersi, narrando, in un mondo fittizio, di abbandonarsi al meraviglioso e al fantastico, alla serie infinita di battaglie, duelli e amori; dall’altro, vi è la volontà di corredare la narrazione delle storie romanzesche con la riflessione etico-filosofica su tutta una serie di temi centrali della civiltà rinascimentale: la molteplicità e mobilità del reale; il capriccio imprevedibile della Fortuna e la possibilità di dominio razionale; l’agire dell’uomo, che si muove spinto dal desiderio, in una vana ricerca di oggetti che sempre gli sfuggono, ecc. Nel poema, dunque, dietro le avventure meravigliose si manifesta un lucido intento conoscitivo, un autentico impegno intellettuale, che è profondamente agganciato alla realtà e rivela un atteggiamento critico nei confronti della stessa. Proprio perché sempre accompagnato dalla ferma volontà di riflessione sul reale, l’abbandono al piacere del meraviglioso romanzesco in Ariosto non può essere totale. Di qui nasce il procedimento dello straniamento, costante nel Furioso: esso consiste in un improvviso mutamento nella prospettiva da cui è presentata la materia, nell’allontanarla e nel guardarla con occhio estraneo in modo da impedire l’immedesimazione emotiva nel mondo narrato, e in modo da costringere anche il lettore a guardare personaggi, situazioni e sentimenti come da lontano, per riflettere su di essi con atteggiamento critico. L’effetto dello straniamento è ottenuto per mezzo di vari espedienti: il più tipico è l’intervento della voce narrante con giudizi e commenti; in altri casi,il narratore ostenta una imperfetta conoscenza dei fatti, giocando a limitare il proprio statuto di conoscenza. Un procedimento, affine allo straniamento, di cui Ariosto si serve nel poema è l’abbassamento: esso consiste nell’abbassare leggermente la dignità epica ed eroica dei suoi personaggi, portandoli ad un livello più familiare così da far emergere, sotto l’apparenza dei cavalieri e delle dame, gli uomini e le donne comuni, con i loro limiti e i loro errori....


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