Medicina legale Lez. 8 PDF

Title Medicina legale Lez. 8
Author Benedetta Foglio
Course Medicina Legale
Institution Università degli Studi di Torino
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1 MEDICINA LEGALE – lezione 8

Continuiamo con la traumatologia forense. Dopo le lesioni contusive e i grandi traumatismi, caratterizzati da una molteplicità di lesioni, oggi ci occuperemo della lesività da arma bianca. Questa dicitura rimanda alle lesioni che venivano cagionate con spade, pugnali o similari in contrapposizione alle armi da fuoco che, in epoche risalenti più che oggi, sprigionavano polveri nerastre che si stratificavano sul corpo della vittima quando era attinta dal proiettile. La lesività che facciamo rientrare in questa classe di patologia riguarda lesioni: o

da taglio

o

da punta

o

da punta e taglio

o

da fendente In realtà, per essere più precisi, dovremmo parlare di lesioni provocate da strumenti dotati di un’estremità a punta ovvero strumenti dotati di uno spigolo tagliente, strumenti dotati di uno spigolo acuminato a cui fa seguito poi uno/più fili taglienti e così via fino ad arrivare al fendente.

LESIONI DA STRUMENTI TAGLIENTI La caratteristica di questa lesività è che è cagionata da alcuni strumenti costruiti appositamente per l’offesa, ma anche da altri che sono solo occasionalmente adoperati per produrre delle lesioni (es. coccio di vetro). Le lesioni da taglio, quindi, hanno in comune il meccanismo d’azione (tanto che si tratti di uno spigolo affilato quanto che si tratti di un coccio occasionalmente adoperato come strumento fendente) => il meccanismo d’azione comune in questione è legato ad un semplice scorrimento dello strumento sulla superficie dei nostri tessuti. Naturalmente, più è affilato lo spigolo che stiamo adoperando e minore sarà l’energia necessaria per poter creare la lesività sottostante. Una delle caratteristiche della lesività da strumenti taglienti è che il tagliente recide tutto ciò che incontra => margini tipicamente netti. Va da sé che più il tagliente è affilato e maggiore sarà la nettezza dei margini. In caso di tagliente con cd. “spigolo a dente di cane” (cioè con delle zigrinature) come un banale coltello da cucina usato per scorrimento, sicuramente avremo un taglio netto, ma i margini saranno un po’ erosi per l’effetto di questa irregolarità dello spigolo. Un’altra caratteristica è che si tratta di lesioni piuttosto superficiali. Quando si fa una verifica su una ferita da tagliente ci sono alcuni elementi che devono essere sempre presi in debita considerazione: innanzitutto una divaricazione dei margini che, però, non è sempre perfetta come se fosse un’asola => dipende da come il tagliente recide le fibre elastiche sottostanti presenti nei nostri tessuti => se il taglio avviene in maniera ortogonale alle fibre, queste, come degli elastici, si retraggono => di conseguenza, la soluzione di continuo che io avrò sarà molto irregolare => pertanto, per verificare che si tratti di una ferita da taglio, devo accostare con le mani i margini riportandoli su uno stesso asse. Se, invece, il taglio viene perpetrato in maniera parallela alle fibre elastiche, allora la soluzione di continuo si presenterà con i margini tra loro ravvicinati e sarà, quindi, più facilmente identificabile.

2 A parte l’aspetto base di una ferita da tagliente, comunque, l’elemento importante da tenere in considerazione è quello determinato dalle cd. “ codette”, sia di ingresso che di uscita => guardando dall’alto una soluzione di continuo da tagliente, troveremo – nella maggior parte dei casi – un punto dove c’è un piccolo taglio superficiale e poi via via la ferita diventa sempre più profonda; andando avanti si superficializza fino a quando, poi, c’è un tratto estremamente superficiale e, infine, scompare. La soluzione di continuo ha due estremità in cui il taglio è molto superficiale e da una parte è più breve rispetto all’altra => questo si verifica perché quando con la lama viene prodotta la lesione, questa – una volta che è stata ubicata sulla superficie – dopo un breve tratto immediatamente va in profondità => poi, man mano che viene fatta scorrere (tenendo conto che l’arto che impugna l’arma ha una limitata estensione), necessariamente tende a distanziarsi per effetto dell’arto e questo determina una progressiva risalita della lama fino a quando, poi, sostanzialmente il taglio si produce in maniera superficiale. Questo fenomeno chiamato, appunto, delle codette ci consente di verificare il punto di ingresso e il punto di uscita della lama => cioè la direzione che la lama ha seguito nel determinare quella lesione. Queste codette in genere si riconoscono facilmente: quella di ingresso di solito è più piccola di quella di uscita. Questa morfologia è tipica di casi nei quali il soggetto viene attinto in zone sostanzialmente pianeggianti (es. arti, che sono segmenti scheletrici a sezione circolare). Se invece ad es. provo a tagliare un braccio “come un salame”, ad un certo punto la lama perde contatto con la superficie a causa, appunto, della curvatura del braccio => assistiamo allora a un fenomeno che prende il nome di “ inversione delle codette ”: in questo caso la codetta più lunga è quella presente nel punto di ingresso e non in quello di uscita => questo è fondamentale da sapere per evitare di sbagliare nell’esaminare le lesioni. Anche in chi cerca di recidersi le strutture vascolari dei polsi possiamo notare l’inversione delle codette, perché fa dei tagli ortogonali => il soggetto che si produce questa lesività si espone ad un’agonia, in quanto il taglio delle vene non produce istantaneamente la morte del soggetto: in primo luogo perché nelle strutture venose, rispetto a quelle arteriose, il sangue scorre ad una pressione molto bassa; in più c’è un meccanismo riflesso, fisiologico per il quale – a un certo punto – il vaso che è stato lesionato tende a contrarsi nella sua componente muscolare, limitando ulteriormente la perdita ematica. Facendo un sopralluogo in scene di questo tipo sembrerà che si sia compiuta una carneficina, perché la persona, proprio perché non succede quello che si aspettava, cerca di perseguire il suo intento autosoppressivo in altri modi (es. continuando a provocarsi tagli, recidendo le vene del collo, buttandosi dal balcone). Ovviamente questo tipo di lesività da strumenti taglienti – a parte qualche tentativo di suicidio – si inserisce all’interno di un’aggressione, quindi non è detto che riusciamo a trovare sempre una lesione classica canonica => ci sono una serie di varianti anche se, tutto sommato, il principio è sempre quello. Naturalmente soggiace a questo tipo di fenomeno anche la lesività del collo, perché si tratta di nuovo di una struttura a sezione circolare => in questi casi il soggetto, oltre a morire perché vengono recisi i grossi vasi come la carotide, può andare incontro a dei meccanismi combinati, quindi non muore tanto per l’emorragia ma perché, tagliandosi la carotide che porta sangue all’encefalo, entra aria e si determina un’”embolia gassosa” (nell’encefalo arriva sangue con aria libera e questo crea una grave alterazione encefalica rapidamente mortale). Così come, vicino alla carotide, la lesione del nervo vago può determinare in maniera riflessa una “bradicardia”, che porta al rallentamento dell’attività cardiaca fino a determinarne l’arresto.

3 Altra ipotesi ancora è quella per la quale il taglio molto profondo prende poco i vasi ma arriva addirittura alle vie respiratorie => allora la breccia che si determina fa sì che del sangue passi direttamente nelle vie respiratorie => il soggetto, pertanto, annega per il tramite del proprio sangue (cd. “sommersione interna”). Nel settore medico legale si dice che la lesività da arma bianca – soprattutto da taglio e da punta e taglio – è un po’ la tomba del medico legale => nel senso che non si tratta di casi semplici, soprattutto quando si deve di valutare se si tratta di lesioni auto inferte o omicidiarie o anche accidentali. Da considerare anche se il soggetto è destrimane o mancino => la lesività cambia. Nell’esame delle vittime di lesioni da strumenti da taglio – soprattutto da taglio e da punta e taglio – un’attenzione particolare va dedicata alle cd. “lesioni da difesa”, cioè soluzioni di continuo (spesso da taglio) che noi possiamo osservare nei soggetti che tentano ovviamente di divincolarsi o parare i colpi che vengono inferti dall’aggressore => normalmente ce le si aspetta sui mezzi naturali di difesa (arti superiori, ma qualche volta anche quelli inferiori). Un’altra possibilità è anche quella che, un po’ imprudentemente, la vittima cerchi di disarmare l’aggressore afferrando a piena mano la lama => è sufficiente che questa venga sfilata all’indietro per produrre una lesione da taglio sulla mano della vittima. Spesso situazioni di questo tipo vengono misconosciute o occultate (es. una signora si presenta in pronto soccorso e dice che, mentre lavava i bicchieri, gliene è caduto uno e, nel raccoglierlo senza prestare attenzione, si è tagliata perché era rotto => il realtà, il medico che nota lesioni sospette deve comunque fare la segnalazione all’autorità giudiziaria, perché le cose potrebbero essersi svolte diversamente). Le lesioni da taglio alle mani, comunque, non sono soltanto tipiche della vittima, ma alcune possono osservarsi anche sulle mani dell’aggressore (soprattutto se non è particolarmente esperto nel gestire l’arma) => perché la sua mano, durante la fase concitata, può scivolare dall’impugnatura sulla lama stessa oppure, nel tentativo di immobilizzare la vittima con l’altra mano, può prodursi queste lesioni da taglio di superficie.

LESIONI PRODOTTE DA STRUMENTI DOTATI DI PUNTA Si va dalla “microlesività” (es. punta di un ago) fino a lesioni molto più importanti (es. impalamento). Tipicamente, più è acuminato l’oggetto a punta e più la lesività è traumatica. A differenza della lesività da tagliente, questa è tutta profonda => quindi in superficie posso avere un piccolo forellino, ma non ho idea di quale fosse la lunghezza dello strumento adoperato e delle lesioni che può aver provocato. C’è ovviamente un foro di entrata, un tramite e, qualche volta, anche un foro di uscita => dipende dalla lunghezza dello strumento e, soprattutto, dalla regione anatomica che viene attinta (es. cacciavite determina immagini a stampo). Ci sono lesioni da strumenti dotati di punta che viaggiano a coppie => quindi, non si tratta di colpi singoli (es. rompighiaccio). Poi può trattarsi anche di strumenti del tutto occasionali (es. strumento per il barbecue). Bisogna ovviamente capire se il soggetto quando è stato trovato era già morto, oppure se è morto per questo tipo di lesione => se il soggetto fosse già deceduto noi non avremmo i fenomeni emorragici, che sono tipicamente rappresentativi di lesività prodotta quando il soggetto è in vita.

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LESIONI PRODOTTE DA STRUMENTI DOTATI DI PUNTA E TAGLIO Sono le più complesse, perché qui si associano i due meccanismi lesivi => con la punta esercitano una pressione con cui si divaricano i tessuti e con il filo tagliente recidono ciò che incontrano. Normalmente la lesività che si osserva dipende un po’ dalle caratteristiche dell’arma adoperata => in un coltello possiamo distinguere l’estremità, il filo tagliente, il dorso lama, il sistema di protezione dell’impugnatura (per evitare che il soggetto si ferisca utilizzandolo) e il manico. Quando un soggetto ferito viene accompagnato dalle forze dell’ordine in pronto soccorso, loro sanno già che si tratta di lesività da punta e taglio: il problema è capire quale arma possa essere stata impiegata => e qui entra un po’ in gioco sia la morfologia dell’arma adoperata che la sede attinta: innanzitutto distinguiamo un’arma “monotagliente” da un’arma “bitagliente” => nelle lesioni da monotagliente si osserva generalmente una specie di triangolo isoscele, in cui la lunghezza della ferita corrisponde all’altezza della lama; la base del triangolo, invece, corrisponde alle dimensioni del dorso della lama (sembra una cosa quasi matematica, ma non è così semplice => ci sono variazioni in base alle linee elastiche recise) => una sola cosa è certa: unendo i margini si forma una specie di “T” e, andando a misurare la sua altezza (es. 1,50 cm) e la sua base (es. 1,00 mm) posso arrivare ad individuare l’arma. Però ci sono delle situazioni nelle quali tutto diventa più semplice perché, accanto alla lesione principale, io ho delle aree ecchimotiche accessorie tutt’intorno dovute al fatto che la lama è entrata tutta e c’è stato un impatto contundente della stessa contro i tessuti vicini alla ferita. Quando, invece, la lesività è provocata da uno strumento dotato di due spigoli taglienti, allora la lesività è tipicamente “ad asola”, come una specie di ovale. E tanto nel monotagliente quanto nel bitagliente possiamo trovare un lungo taglio laterale accanto al taglio principale: è la cd. “ codetta laterale”, dovuta alla rotazione che la lama subisce all’interno del corpo quando l’aggressore fa un movimento di rotazione dell’avambraccio per cercare di estrarre l’arma con maggiore potenza e velocità possibile => anche questa codetta è estremamente importante perché può aiutarci a capire molte cose. Quando una lama non viene utilizzata per scorrimento secondo il suo asse maggiore, ma secondo il suo asse minore si determinano dei fenomeni di rimozione dei tessuti superficiali che prendono il nome di “abrasione” (es. lesioni da lama di rasoio) => non hanno niente a che vedere con le escoriazioni, che sono invece lesioni contusive. Se, a questo punto, dovessimo calcolare la lunghezza della lama partendo dalla lesività, dobbiamo stare ben attenti a dove questa valutazione viene fatta perché c’è solo un distretto corporeo che, normalmente, non si modifica o si modifica leggermente, ovvero il torace => posso quindi calcolare facilmente la distanza della ferita prodotta con lo strumento e la lama stessa. Questo stesso discorso non si può fare, invece, quando la lesività è prodotta a livello addominale => perché il soggetto che, istintivamente, cerca di divincolarsi ritrae la pancia contraendo la muscolatura ma, accorciandosi la distanza tra parete anteriore e parete posteriore, anche un’arma molto piccola può raggiungere delle profondità piuttosto importanti. Questo vuol dire che se io vedo magari una persona ferita in pronto soccorso o al tavolo autoptico la situazione è completamente diversa, perché l’addome sarà disteso e quindi sarà falsata la lunghezza => non è facile, pertanto, calcolare la lunghezza dell’arma in base alla distanza tra la lesione di superficie e la lesione cagionata nel punto più profondo. L’unico

5 punto in cui questa valutazione può essere fatta – come dicevamo – è sicuramente la gabbia toracica, perché è quella che si deforma meno sotto i colpi eventualmente inferti. Poi ci sono le lesività cagionate dalle forbici, le cui branche possono essere adoperate tanto come se fossero una branca unica quanto separatamente (e quindi dare colpi inferti con meccanismo di punta e taglio). Anche qui abbiamo lesioni da difesa cagionate da strumenti con punta e taglio agli arti superiori, alle mani o, in alcuni casi, c’è addirittura un pezzo di lama che si spacca e che può rimanere all’interno dei tessuti (es. cuoio capelluto). Anche l’osso può lesionarsi se raggiunto da una lama, con fratture a stampo. Qualche volta durante l’aggressione vengono inferti più colpi nella stessa sede oppure possono essere raggiunte anche le zone profonde, e quindi gli organi interni. È più difficile di quanto si immagini capire se siamo di fronte a ferite auto inferte o ad omicidio => bisogna anche analizzare l’ambiente circostante, guardare se ci sono stupefacenti o sostanze allucinogene che possono aver portato a gesti inconsueti. Si parla di “overkiller” quando l’omicida è un seriale e va oltre l’omicidio, umilia la vittima. Per capire, poi, se un soggetto era presente o meno durante l’aggressione, i medici legali vanno a studiare la ghiandola surrenale, che produce ormoni e presenta cellule della parte corticale e cellule della parte midollare => queste ultime sono quelle che producono adrenalina e noradrenalina => si fa allora il cd. “test psicologico post mortem” in cui si vanno a vedere le cellule della midollare del surrene: se queste sono gonfie e hanno ancora tutta l’adrenalina al loro interno vuol dire che questa non è stata utilizzata, pertanto non c’è stata una situazione di stress da parte del soggetto (quindi, probabilmente, il soggetto era in uno stato di mancata vigilanza per effetto di sostanze stupefacenti magari); se, invece, le cellule sono vuote, allora vuol dire che l’adrenalina è andata tutta in circolo e quindi il soggetto era cosciente e ha reagito. Importantissima è sempre l’ispezione degli indumenti (che molto spesso vengono ignorati e trascurati). Sulle ferite da punta e taglio, una volta suturate, non si può dire più niente => resta la cicatrice e basta.

LESIONI DA FENDENTE Sono quelle provocate da strumenti che normalmente hanno uno spigolo più o meno affilato e questo spigolo agisce non per scorrimento, ma per affondamento => quindi agiscono in virtù di una forza viva dalla quale vengono animati (es. accetta). Naturalmente, più è energica la forza con cui questi oggetti vengono messi in movimento – e, soprattutto, più è acuminato lo spigolo di cui sono dotati – e peggiori saranno le conseguenze. Le lesioni da fendente sono in parte corrispondenti al gruppo di lesioni da arma bianca, quindi hanno i margini netti => ma, siccome sono animati da una forza viva, determinano anche sui bordi delle aree di contusione (bordi ecchimotici) per effetto dell’energia cinetica con cui il fendente arriva sul corpo VS ferite lacero contuse, che hanno caratteristicamente i bordi irregolari....


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