Meneghetti Le origini delle letterature medievali romanze PDF

Title Meneghetti Le origini delle letterature medievali romanze
Author Miriana Torchia
Course Filologia romanza
Institution Università degli Studi di Milano
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riassunto ...


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Maria Luisa Meneghetti – Le origini delle letterature medievali romanze 1. INTRODUZIONE Le letterature romanze nascono presso popoli dotati da tempo di una loro tradizione letteraria, veicolata da un idioma di elevato prestigio come il latino. Possiamo dire quindi che sono frutto di una scelta, linguistica e culturale che avrebbe potuto non avere luogo in queste determinate circostanze. L'evoluzione che ha portato dalla letteratura latina alle letterature romanze può essere paragonata ad un movimento diacronico composto da un alternarsi di fasi di aggregazione e frammentazione: sistema letterario classico (aggregazione) → letterature romanze del basso Medioevo (frammentazione) → sistemi letterari della modernità legati agli stati europei (aggregazione). L'affermarsi del presente ha contribuito all'eclissi di alcune importanti lingue letterarie medievali: • provenzale: ragioni di carattere politico, legate ai connotati accentratori della monarchia francese, editto di VillersCotterets emanato da Francesco I che imponeva l'uso del francese in tutti gli ambiti istituzionali. • catalano: l'unione delle corone di Catalogna-Aragona e di Castiglia avviò la riduzione del prestigio del catalano in favore del castigliano. • galego-portoghese: questa lingua era stata il veicolo specializzato del genere lirico ed era comune a tutti i poeti della penisola iberica. Il suo abbandono è legato alla perdita di notorietà degli stessi modelli trobadorici. 1.2 LETTERATURA MEDIOLATINA E LETTERATURE VOLGARI: UNA LUNGA SIMBIOSI In che momento si sono definitivamente decise le sorti delle letterature volgari? In realtà il periodo di cui hanno avuto bisogno per prevaricare sul latino fu relativamente breve: 150 anni che vanno dall'inizio del XII secolo alla metà del XIII. La letterature mediolatina è comunque rimasta un forte elemento di unificazione, fiancheggiando le letterature romanze. Si è venuta così a creare una dialettica, in cui Roncaglia ha distinto una 'continuità di fondo' (la tradizione latina) e una 'discontinuità di livello' (l'innovazione volgare). Il movimento che conduce all'interconnessione fra questi due piani è duplice: 1) La letteratura mediolatina impone il suo influsso tematico e formale sulle letterature volgari. Innumerevoli casi dimostrano la derivazione di un'opera volgare da una latina. Es. Roman de Brut, Wace < Historia regum Britanniae, Goffredo di Monmouth. 2) Le letterature volgari influiscono sulla coeva letterature mediolatina: è una corrente meno prevedibile se si pensa al divario di prestigio culturale fra le due. Es. genere della 'pastorella volgare', spesso oggetto di imitazione da parte dei poeti che scrivono ancora in latino a partire dal 1170-80. In parecchi casi comunque ci troviamo, più che a individuare uno di questi due movimenti specifici, ad individuare un'area caratterizzata da tratti di evidente simbiosi culturale: determinate tematiche o soluzioni formali trovano spazio sia in ambito mediolatino che in ambito volgare. Esemplificativi di questo 'fenomeno' sono quegli scrittori che fecero uso sia del latino che della loro lingua 'materna'. 1.3 ORDINE DI PARTENZA E ORDINE DI ARRIVO Importante è anche la specificità del ruolo di alcune letterature neolatine nel determinare il processo di avvio e di conclusione del fenomeno che stiamo studiando. Possiamo dire che le letterature romanze sono entrate nel Medioevo grazie alla Francia, e ne sono uscite grazie all'Italia. E' possibile che la conversione al volgare delle letterature dell'antica Gallia sia da collegare a alla precoce unificazione politica della regione, dove, già dal 510 d.c era costituito un regno franco dotato di immutate caratteristiche etniche e sociali. Il 'ritardo' italiano invece, secondo un'ipotesi di Novati era dovuto alla situazione di crisi della letteratura latina, e quindi in generale della cultura. Per quanto riguarda la penisola iberica, l'invasione araba del 711 d.c. provocò una vera e propria crisi culturale accompagnata però da una grande fioritura di opere storiografiche e liriche in lingua araba. A partire dal Duecento comunque, la distanza che separava le due letterature di area francese dalle restanti mediolatine appare pressoché colmata.

Il momento in cui per le letterature romanze finisce il Medioevo è segnato da • la rivalutazione dell'individuo e della letteratura e del pensiero classici operata dall' Umanesimo. • il nuovo senso di appartenenza statale dovuto alla crisi delle due grandi istituzioni universali, impero e papato. In questo caso è proprio il mondo culturale italiano ad accorgersi anticipatamente di questa crisi della dimensione universalistica: sono gli italiani i primi a ricostruire il perduto dialogo con il mondo classico, a riprendere in modo sistematico lo studio dell'antichità greca, a rimettere in primo piano l'individuo come 'artefice' della sua fortuna e a interpretare il divenire storico come lo scontro di grandi personalità politiche. 1.4 L'ALBA DELLA NUOVA CULTURA L'oggetto del nostro interesse consiste in una messa a fuoco della fase di preparazione e gestazione delle letterature romanze. Si tratta di una fase che inizia con il declino dell'impero romano d'Occidente e che si conclude alla fine dell'XI secolo. Ci soffermeremo non sui primi veri testi letterari compiuti e autonomi, ma sulla vasta categoria degli inserti documentari, dei frammenti, delle farciture e delle glosse. Il comune denominatore fra questi testi sarà il fatto di rappresentare concretamente sia un ricorso cosciente al volgare, che le prime registrazioni sperimentali di tale uso.

2. LA CULTURA OCCIDENTALE DAL TRAMONTO DELL'IMPERO ROMANO ALLA FINE DELL'ETA' MEROVINGIA (secoli V-VII) 2.1 DALLA STORIA ALLA PREISTORIA In principio abbiamo quattrocento anni di cosiddetta zona grigia: non più una civiltà unitaria sotto l'egida dell'impero romano, che aveva trovato una compatta tradizione etica, religiosa e letteraria; bensì l'accettazione di una realtà culturale esterna, barbara, anticlassica. Quattrocento anni separano la data della fine dell'impero d'Occidente ( 476 d.c.) dal più antico testo letterario scritto in lingua romanza (la sequenza di Sant'Eulalia). Cercheremo ora di capire che mutamenti avvengono nel corso di questi quattro secoli. 2.2 FINE DI UN IMPERO, SOPRAVVIVENZA DI UNA CIVILTA' Nel settembre del 476 d.c. l'imperatore Romolo Augustolo venne deposto dal generale Odoacre. Sappiamo però, che, al di la dei dati annalistici, l'impero romano d'Occidente era già in crisi da tempo a causa di molteplici fattori: • succedersi di imperatori destinati a durare pochi anni, incoronati contemporaneamente da diverse fazioni militari. • invasioni barbariche (visigoti, angli e vandali) che comportano la sottrazione di larghe porzioni di terreno all'autorità centrale. Nel 486 i franchi occupano la Gallia orientale e gli ostrogoti di Teodorico trasformano anche la penisola italiana in un regno romano-barbarico. • conflittualità fra gli strati alti e gli strati bassi della società: le masse rurali portavano il peso del mantenimento economico dell'impero e iniziano a manifestare un atteggiamento di aspra ostilità nei confronti dei residenti urbani. Consideriamo quindi il 476 come l'indicazione di un punto di non ritorno, pur rimanendo consapevoli del fatto che la fine dell'entità politica non ebbe un riflesso automatico e immediato sulla realtà socio-culturale. La civiltà romana aveva avuto fin dalle sue origini un fondamento multietnico, presentava quindi grandi capacità di assorbimento e romanizzazione nei confronti delle popolazioni straniere. Una spinta al cambiamento Sotto questa superficie sono all'opera fattori di cambiamento la cui portata si rivelerà dirompente: • La 'conquista' culturale dei barbari avviene sulla base di uno standard di civiltà decisamente più basso di quello delle classi dominanti: l'èlite romana ha perso la capacità di imporre i propri modelli, è la cultura delle masse provinciali, più attenta alle espressioni esteriori e materiali dell'arte che non a quelle intellettuali, ad essere assorbita dai nuovi arrivati. Questa saldatura fra proletariato interno ed esterno ha avuto come conseguenza prima il fatto che il veicolo linguistico sia stato non il latino letterario, ma il 'latino volgare', parlato nelle diverse province e per questo aperto alle innovazioni fonetiche, morfologiche e lessicali. • Ufficializzazione del cristianesimo come religione di Stato: il riconoscimento costantiniano e poi quello

teodosiano vengono percepiti dalle masse come una sorta di trasferimento alla Chiesa di Roma di quel tratto di universalità perduto con la caduta dell'impero. D'ora in poi il senso di appartenenza si esprimerà in termini non più civili ma religiosi. La Chiesa assume il ruolo di strumento principale nell'avvio della convivenza fra romani e barbari, diffondendo tipo di cultura molto diverso da quello delle classi elevate e intellettuali. Fin dall'inizio il Cristianesimo fu avvertito come una religione popolare: i primi suoi propagatori furono incolti o semicolti e utilizzarono come veicolo linguistico un latino ricco di neologismo, orientalismi e grecismi. Auerbach osserva come il cristianesimo abbia effettuato scelte molto precise in ambito stilistico-retorico: nella traduzione dei testi sacri si era servito di un idioma che si avvicinava molto al latino parlato evocando allo stesso tempo la cadenza degli originali ebraici. Per quanto riguarda invece la diffusione della dottrina, i Padri della Chiesa avevano scelto un linguaggio che si rifaceva all'uso tradizionale romano-imperiale della diatriba e della declamazione scolastica e filosofica. Si tratta di un linguaggio che si serve con naturalezza degli artifici della retorica, avvicinandosi al parlato quotidiano. All'inizio del V secolo sant'Agostino fissa i fondamenti teorici di un simile uso linguistico, scomponendo la teoria classica dei tre stili. Quando la dottrina cristiana diviene oggetto della letteratura, la corrispondenza fra registro e argomento perde senso: tutta la materia cristiana, in quanto frutto della rivelazione divina, deve essere considerata di rango elevato. Tuttavia solo lo stile umile, diasdorno, limpido e diretto può rendere accessibile a tutti la profondità di una dottrina fondata su concetti misteriosi e sublimi. Agostino applica alla teoria comunicativa l'antica inclinazione del cristianesimo per quell' humiltas che veniva promossa a ideale di vita e di comportamento. 2.3 L'ORA DEL DECLINO Si potrebbe dire che, negli anni di Alarico e Odoacre chi viveva nell'ex impero d'Occidente avvertiva una sostanziale continuità nel quadro socio-culturale caratteristico del mondo del tardo impero. A partire dal VI secolo invece, si avvertono segni di cedimento anche in questo senso. Il declino civile e sociale L'aristocrazia occidentale si ritira nelle campagne, avviando le città a una progressiva decadenza e causando la crisi dell'istituzione scolastica pubblica. Nemmeno le campagne sono sempre sicure: le vicende della guerra greco-gotica e i saccheggi conseguenti all'invasione longobarda causano la distruzione della vecchia classe senatoria. Nel contesto di tutti i regni romano-barbarici si estende un tipo di organizzazione che potremmo definire protofeudale, favorita dall'uso della commendatio, secondo cui i contadini si affidavano a un proprietario più potente. Il particolare e il locale tendono a diventare categorie fondanti della vita quotidiana: nelle corti e nelle ville si racchiude la parabola della produzione e del consumo. Uno degli effetti di questa nuova situazione è costituito dallo straordinario sviluppo del monachesimo : il modello egiziano del IV secolo si diffonde in tutta Europa, virando da un'esistenza ascetica e isolata a una decisamente più comunitaria e normata da regole precise (esempio celebre è quello di Benedetto da Norcia e della sua regola del 540). Il monachesimo diviene così 'l'orgoglio' dell'espansione cristiana: clamoroso fu il caso della gestione interamente monastica del movimento di evangelizzazione dell'Irlanda. Altro avvenimento politico fondamentale furono le invasioni islamiche, che possono essere considerate la causa dell'ultima delle fratture prodottesi nella compagine sociale dell'antico impero. La sfera di influenza della latinità mediterranea risultò sensibilmente ridotta e, a causa della perdita di territori come l'Africa settentrionale e la penisola iberica, anche l'Italia sarà fortemente esposta alle incursioni. Le invasioni islamiche ebbero conseguenze fondamentali anche sul piano socio-ideologico, innescando un primo confronto diretto fra le due religioni monoteistiche per eccellenza. Il declino culturale Auerbach individua, fra il VII e l'XI secolo, una grande pausa, durante la quale non c'è ne pubblico letterario né una lingua letteraria generalmente comprensibile. Uno dei motivi principali di questa situazione di 'stallo' è il prevalere, presso le gerarchie ecclesiastiche, di posizioni rigoristiche, e quindi antiletterarie. Proprio in questo clima Boezio intraprese la traduzione di tutto il patrimonio filosofico greco, in una disperato tentativo di salvaguardia e trasmissione.

A partire dalla fine del secolo si evidenzia un atteggiamento bifronte nei confronti della cultura classica: da un lato i classici vengono copiati a tappeto, dall'altro questo grande patrimonio culturale resterà per secoli ben poco utilizzato.

2.4 VARIETA' GEOGRAFICHE, CULTURALI E REGISTRALI NELLA CIVILTA' LETTERARIA PRECAROLINGIA Quando comincerà a prodursi un'espressione letteraria autonoma, possiamo dire che una nuova civiltà letteraria è ormai nata. A differenza della civiltà latina classica, quella precarolingia dei primi secoli del Medioevo si presenta come un organismo composito, variegato e mutevole. Seguirne gli sviluppi aiuterà a comprendere il terreno di avvia, secoli più tardi, delle letterature volgari. Rottura dell'unità linguistico-letteraria imperiale Riportiamo un aneddoto riferito da Plinio il giovane, che riguarda lo stesso Plinio e Tacito. Siamo a cavallo fra I e II secolo, Tacito si trova ad un banchetto e un cavaliere seduto di fianco a lui, dopo avergli chiesto se viene dalla provincia, avendo capito che si tratta di un letterato gli chiede se sia Plinio o Tacito. Capiamo quindi che, nella Roma della fine del I secolo, non è possibile riconoscere la provenienza di uno scrittore dalla sua conversazione e che quindi tutte le persone istruite parlavano pressoché nello stesso modo. La cultura dei grandi letterati dell'età imperiale appare estremamente unitaria anche se, analizzando l'origine degli autori latini, moltissimi di loro sono nati fuori dai confini amministrativi dell'Italia. Si potrebbe anzi dire che la letterature imperiale si inaugura con un' aetas iberica, dato che sono di origine spagnola molti dei più importanti scrittori del I secolo. Per quanto riguarda quindi la padronanza del latino e la cultura letteraria, le diverse province dell'impero sembrano raggiungere un livello di omogeneità molto superiore a quello conseguito nell'architettura e nelle arti figurative. Quando non esisterà più una letteratura classica 'viva' e la scuola pubblica smetterà di formare laici istruiti, verrà a mancare qualsiasi tipo di pubblico colto e assisteremo a una radicale diminuzione delle persone alfabetizzate. Ne consegue che, mancando una stabilità normata, la lingua parlata è pronta ad accogliere tutte le spinte innovative provenienti dal basso e dall'esterno e, per converso, i modi del parlato e della lingua d'uso penetrino nelle scrittura. 2.5 IL LATINO DELLA PAROLA Prendiamo ora in considerazione quella letteratura che costituisce in questo periodo la regola: provinciale, pratica, noncurante della tradizione classica, che ha spesso la Bibbia come unico punto di riferimento. Si tratta di un corpus letterario poco definito, che si avvicina, per la sua struttura formale traballante, ai testi documentari. Di questi tempi, non è più la lingua scritta che influenza quella parlata, ma è la parlata, che filtra e traspare, senza irrompere violentemente nella scritta. L'ampio patrimonio della letteratura 'bassa' dei primi secoli del Medioevo ci interessa nella misura in cui ci permette di individuare al suo interno le tracce di questo idioma d'uso. L'accoglimento di forme latine sempre più orientate verso il volgare deriva da precise scelte legate ad un tentativo di maggiore comunicabilità. Questo non significa che chi scriveva all'epoca fosse consapevole della differenza fra latino della grammatica e latino d'uso, tuttavia forme come ' sermo/rusticus', latino 'circa romancum ' e latino 'iuxta rusticitatem' sono prove di una progressiva intuizione di questo distacco. Questa varietà di definizioni ci impedisce di ridurre ad unum le diverse apparizioni scritte di questo latino orientato al volgare: ogni apparizione sembra costituire un caso a sé. A etichette troppo specifiche sarebbe da preferirne una più elastica che sottolinei la provenienza del costrutto implicato da una situazione originaria: possiamo quindi parlare di 'latino della parola'. Testimoniale vs didattico, orale vs parlato Il progressivo intensificarsi di questa realtà linguistica in molti testi scritti dipende da fatti che potremmo definire funzionali, legati alla destinazione al significato stesso del testo. Vediamo due casi concreti: 1) Funzione/categoria testimonale: può accadere di dover fissare per iscritto una formula rituale, connotata da un forte valore simbolico grazie al quale lo scrivente sarà molto attento a mantenerne l'integrità originaria. Lo scritto si costituisce come tramite di una corretta memoria. 2) Funzione/categoria didattico/ prescrittiva: per quanto riguarda il genere omiletico, si è sempre sottolineata la plasticità del latino usato nella predicazione, che doveva adeguarsi al livello sempre meno elevato della cultura di massa dei fedeli di ambiente rurale. Della lingua delle omelie restano più che altro tracce indirette, legate alla produzione agiografica (biografie di santi in occasione della loro ricorrenza annuale).

La necessità è quella di rendere comprensibile ai destinatari un testo dotato di forte valore pragmatico. Si introduce così il problema dello stile del lacerto di 'latino della parola' che viene accolto nel testo scritto. Le forme d'espressione non appartenenti alla scrittura ma che si presentano in contesto scritto, sono essenzialmente riconducibili a due situazioni stilistiche alternative: 1) Stile parlato: si tratta di quei costrutti che appaiono come registrazioni di testi di stile parlato, che riflettono un uso ordinario della parola in una situazione d'interlocuzione. 2) Stile orale: si tratta dei costrutti che presentano caratteri e regole di funzionamento particolari. Essi appaiono come prodotti di un genere, che si definisce non per una specifica struttura o contenuto, ma per il fatto di fondarsi su una comunicazione di tipo orale. Esaminando i testi databili all'epoca altomedievale ci si accorgerà che, in linea di massima, i testi che rappresentano il recupero di un costrutto parlato rivestono la funzione didattico prescrittiva, mentre quelli che rappresentano il recupero di un costrutto orale rivestono la funzione testimoniale. Casi del latino della parola a funzione didattico prescrittiva (stile parlato) I) Il 'Pactus Legis Salicae' e la Parodia della 'Lex Salica': il Pactus Legis Salicae è il corpus delle leggi merovinge risalente alla prima metà del VI secolo, ma giunto a noi in una versione databile ai secoli VII o VIII, che porta dei ritocchi sostanziali alle disposizioni e ne attualizza la veste linguistica in modo da rendere il testo accessibile alla massa illitterata dei sudditi dei regni franchi. Il parlato si fa strada soprattutto nella parte in cui vengono esplicitate le diverse norme, cioé nei punti dove il messaggio aveva un importanza sostanziale. In uno dei codici che hanno tramandato la Lex, è presente una breve appendice parodica che imita la struttura degli autentici articoli, utilizzando una lingua ricalcata su un parlato volgareggiante. Il contenuto va riferito al filone satirico-tabernario: si vieta a chiunque voglia bere l'uso della cuppa a vantaggio del più ampio staubo. II) L'iscrizione della basilica di San Marco a Roma: si tratta di un'iscrizione, databile al IX secolo, incisa sul parapetto circolare del pozzo anticamente posto davanti alla chiesa. E' ...


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