Mia moglie e il mio naso, Pirandello PDF

Title Mia moglie e il mio naso, Pirandello
Author Ferdinando Violante
Course Letteratura Italiana
Institution Università telematica e-Campus
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Mia moglie e il mio naso “Che fai?” mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio. “Niente”, le risposi, “mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.” Mia moglie sorrise e disse: “Credevo ti guardassi da che parte ti pende.” Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: “Mi pende? A me? Il naso?” E mia moglie, placidamente: “Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.” Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, come insieme tutte le altre parti della mia persona. Per cui m’era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo. Vide forse mia moglie molto più addentro di me in quella mia stizza e aggiunse subito che, se riposavo nella certezza d’essere in tutto senza mende, me ne levassi pure, perché, come il naso mi pendeva verso destra, così … “Che altro?” Eh, altro, altro! Le mie sopracciglia parevano sugli occhi due accenti circonflessi, ^ ^ , le mie orecchie erano attaccate male, una più sporgente dell’altra; e altri difetti… “Ancora?” Eh sì, ancora: nelle mani, al dito mignolo; e nelle gambe (no, storte no!), la destra, un pochino più arcuata dell’altra: verso il ginocchio, un pochino. Dopo un attento esame dovetti riconoscere veri tutti questi difetti. E solo allora, scambiando certo per dolore e avvilimento la maraviglia che ne provai subito dopo la stizza, mia moglie per consolarmi m’esortò a non affliggermene poi tanto, ché anche con essi, tutto sommato, rimanevo un bell’uomo. Sfido a non irritarsi, ricevendo come generosa concessione ciò che come diritto ci è stato prima negato. Schizzai un velenosissimo “grazie” e, sicuro di non aver motivo né d’addolorarmi né d’avvilirmi, non diedi alcuna importanza a quei lievi difetti, ma una grandissima e straordinaria al fatto che tant’anni ero vissuto senza mai cambiar di naso, sempre con quello, e con quelle sopracciglia e quelle orecchie, quelle mani e quelle gambe; e dovevo aspettare di prender moglie per aver conto che li avevo difettosi. “Uh che maraviglia! E non si sa, le mogli? Fatte apposta per scoprire i difetti del marito.” Ecco, già – le mogli, non nego. Ma anch’io, se permettete, di quei tempi ero fatto per sprofondare, a ogni parola che mi fosse detta, o mosca che vedessi volare, in abissi di riflessioni e considerazioni che mi scavavano dentro e bucheravano giù per torto e su per traverso lo spirito, come una tana di talpa; senza che di fuori ne paresse nulla. “Si vede”, voi dite, “che avevate molto tempo da perdere.” No, ecco. Per l’animo in cui mi trovavo. Ma del resto sì, anche per l’ozio, non nego. Ricco, due fidati amici, Sebastiano Quantorzo e Stefano Firpo, badavano ai miei affari dopo la morte di mio padre; il quale, per quanto ci si fosse adoperato con le buone e con le cattive, non era riuscito a farmi concludere mai nulla; tranne di prender moglie, questo sì, giovanissimo; forse con la speranza che almeno avessi presto un figliuolo che non mi somigliasse punto; e, pover’uomo, neppur questo aveva potuto ottenere da me. Non già, badiamo, ch’io opponessi volontà a prendere la via per cui mio padre m’incamminava. Tutte le prendevo. Ma camminarci, non ci camminavo. Mi fermavo a ogni passo; mi mettevo prima alla lontana, poi sempre più da vicino a girare attorno a ogni sassolino che incontravo, e mi maravigliavo assai che gli altri potessero passarmi avanti senza fare alcun caso di7 quel sassolino che per me intanto aveva assunto le proporzioni d’una montagna insormontabile, anzi d’un mondo in cui avrei potuto senz’altro domiciliarmi. Ero rimasto così, fermo ai primi passi di tante vie, con lo spirito pieno di mondi, o di sassolini, che fa lo stesso. Ma non mi pareva affatto che quelli che m’erano passati avanti e avevano percorso tutta la via ne sapessero in sostanza più di me. M’erano passati avanti, non si mette in dubbio, e tutti braveggiando come tanti cavallini; ma poi, in fondo alla via, avevano trovato un carro: il loro carro; vi erano stati attaccati con molta pazienza, e ora se lo tiravano dietro. Non tiravo nessun carro, io; e non avevo perciò né briglie né paraocchi; vedevo certamente più di loro; ma andare, non sapevo dove andare. Ora ritornando alla scoperta di quei lievi difetti, sprofondai tutto, subito, nella riflessione che dunque – possibile? – non conoscevo bene neppure il mio stesso corpo, le cose mie che più intimamente m’appartenevano: il naso, le orecchie, le mani, le gambe. E tornavo a guardarmele per rifarne l’esame. Cominciò da questo il mio male. Quel male che doveva ridurmi in breve in condizioni di spirito e di

corpo così misere e disperate che certo ne sarei morto impazzito, ove in esso medesimo non avessi trovato (come dirò) il rimedio che doveva guarirmene. II. E il vostro naso? Già subito mi figurai che tutti, avendone fatta mia moglie la scoperta, dovessero accorgersi di quei miei difetti corporali e altro non notare in me. – Mi guardi il naso? – domandai tutt’a un tratto quel giorno stesso a un amico che mi s’era accostato per parlarmi di non so che affare che forse gli stava a cuore. – No, perché? – mi disse quello. E io, sorridendo nervosamente: – Mi pende verso destra, non vedi? E glielo imposi a una ferma e attenta osservazione, come quel difetto del mio naso fosse un irreparabile guasto sopravvenuto al congegno dell’universo. L’amico mi guardò in prima un po’ stordito; poi, certo sospettando che avessi così all’improvviso e fuor di luogo cacciato fuori il discorso del mio naso perché non stimavo degno né d’attenzione, né di risposta l’affare di cui mi parlava, diede una spallata e si mosse per lasciarmi in asso. Lo acchiappai per un braccio, e: – No, sai, – gli dissi, – sono disposto a trattare con te codest’affare. Ma in questo momento tu devi scusarmi. – Pensi al tuo naso? – Non m’ero mai accorto che mi pendesse verso destra. Me n’ha fatto accorgere, questa mattina, mia moglie. – Ah, davvero? – mi domandò allora l’amico; e gli occhi gli risero d’una incredulità ch’era anche derisione. Restai a guardarlo come già mia moglie la mattina, cioè con un misto d’avvilimento, di stizza e di meraviglia. Anche lui dunque da un pezzo se n’era accorto? E chi sa quant’altri con lui! E io non lo sapevo e, non sapendolo, credevo d’essere per tutti un Moscarda col naso dritto, mentr’ero invece per tutti un Moscarda col naso storto; e chi sa quante volte m’era avvenuto di parlare, senz’alcun sospetto, del naso difettoso di Tizio o di Caio e quante volte perciò non avevo fatto ridere di me e pensare: – Ma guarda un po’ questo pover’uomo che parla dei difetti del naso altrui! Avrei potuto, è vero, consolarmi con la riflessione che, alla fin fine, era ovvio e comune il mio caso, il quale provava ancora una volta un fatto risaputissimo, cioè che notiamo facilmente i difetti altrui e non ci accorgiamo dei nostri. Ma il primo germe del male aveva cominciato a metter radice nel mio spirito e non potei consolarmi con questa riflessione. Mi si fissò invece il pensiero ch’io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere

[da Luigi Pirandello, Uno nessuno centomila]

Comprensione e analisi del testo:

1. La situazione da cui prende avvio il romanzo era anticipata da una riflessione del saggio L’Umorismo (1908) sul guardarsi allo specchio: ‹‹Oh perché proprio dobbiamo essere così, noi? Ci domandiamo talvolta allo specchio, con questa faccia, con questo corpo? Alziamo una mano, nell’incoscienza; e il gesto ci resta sospeso. Ci pare strano che l’abbiamo fatto noi. Ci vediamo vivere››. a. Quali analogie ritrovi fra i due passi? Rispondi con riferimenti al brano letto. b. Ora prova a spiegare perché il guardarsi allo specchio si collega a una scoperta fondamentale per Pirandello: l’io è, contemporaneamente, ‹‹uno, nessuno e centomila››.

2. Chi si vede allo specchio, si vede fuori dal proprio corpo, lo osserva come cosa estranea e finisce per odiarlo. Scaturisce da qui, nel primo capitolo di Uno, nessuno e centomila, l’insistenza sulle brutture fisiche del corpo. a. Secondo te, Vitangelo è più stupito o più stizzito per l’improvvisa rivelazione della moglie? Motiva la risposta. b. Quali difetti fisici il protagonista scopre effettivamente su di sé? c. Vitangelo dà importanza o no a tali difetti? Perché?

3. La pagina narrativa di Pirandello assume un andamento scenico e teatrale. La sintassi presenta un carattere ‹‹gesticolatorio››, utile al personaggio-narratore per riflettere, argomentare, spiegare al lettore i suoi sentimenti e le sue idee. a. Tra queste forme espressive, ne spiccano alcune: ritrova per ciascuna esempi significativi nel testo. - Interiezioni ed esclamazioni - Espressioni di cortesia - Battute umoristiche

Correttore: 1. a. In questo brano Uno, nessuno e centomila e nel passo tratto dall’Umorismo è affrontato il tema dell’esperienza straniante che si può talvolta avere osservandosi allo specchio: esso infatti ci riflette un’immagine di noi come vista dall’esterno, come potrebbe vederla chiunque altro e, guardandola, ‹‹Ci vediamo vivere››. Spesso, però, ci guardiamo allo specchio distrattamente e solo per controllare un certo particolare, come fa Moscarda per vedere se ha qualcosa a una narice che gli duole, ma se qualcuno ci fa notare una nostra determinata caratteristica alla quale finora non avevamo fatto caso (per esempio, il naso un po’ storto), potremmo scoprire – come appunto accade al protagonista _ che l’immagine che gli altri hanno di noi è diversa da quella che ci siamo fatti di noi stessi. b. Il legame tra l’esperienza del guardarsi allo specchio e la frantumazione dell’io, che è tema fondamentale (come già suggerisce il titolo) del romanzo Uno, nessuno e centomila, consiste nel fatto che la nostra immagine è diversa anche per ogni altra persona che ci osserva, a seconda del tipo di rapporto che ha con noi e degli interessi che nutre verso la nostra persona. Vitangelo Moscarda, infatti, scoprirà che non solo la moglie, ma anche tutti gli altri, lo vedono in modo diverso da come egli pensava, e ciascuno in modo diverso dagli altri. Egli si renderà conto, insomma, di essere in realtà non uno, bensì centomila, e perciò nessuno. 2. a. Vitangelo è al tempo stesso stizzito e stupito, non tanto per il fatto di dover riconoscere un difetto fisico che non sapeva di avere, quanto per il fatto di non essersene mai accorto prima, di scoprire che gli altri lo vedono diversamente da come finora si è visto lui. b. Difetti nelle gambe e nelle gambe. c. Il protagonista dà importanza a questi difetti soprattutto perché la loro improvvisa scoperta gli dimostra che non conosceva neppure il suo stesso corpo.

3. Interiezioni ed esclamazioni: “Uh, che maraviglia!”, “E chi sa quant’altri con lui”, “Ma guarda… naso altrui!”; espressioni di cortesia: “grazie”, “se permettete”, “tu devi scusarmi”; battute umoristiche: “credevo d’essere per tutti un Moscarda col naso dritto, mentr’ero invece per tutti un Moascarda col naso storto”...


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