Neppi - Appunti Dalla 1 alla 7 PDF

Title Neppi - Appunti Dalla 1 alla 7
Author Maria Papa
Course Scienze del corpo e della mente
Institution Università degli Studi di Torino
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Summary

Appunti completi del professor Neppi di Neuropsicologia Sperimentale e Clinica...


Description

Neppi La coscienza e gli altri fenomeni mentali sono fenomeni biologici. Seguendo l’approccio riduzionista, le neuroscienze cognitive cercano di dare una spiegazione in termini causali di questi fenomeni attraverso un metodo scientifico. L’utilizzo di quest’approccio è necessario, in quanto ancora non abbiamo capito come dall’attività integrata dei neuroni nasca l’attività cognitiva; nello specifico la difficoltà da superare è la comprensione del passaggio che va dal biochimico dell’attività neuronale alla cognizione superiore, quindi alla coscienza. In questo senso la scienza deve essere definita come “un insieme di metodi per compiere delle scoperte su tutto ciò che ammette un’indagine sistematica”. Per ora lo studio si concentra sulla ricerca dei correlati biologici delle attività cognitive, obiettivo che già era stato intrapreso dai frenologi nel 1800. Mentre una volta si pensava che ogni area svolgesse in toto un’attività cognitiva specifica, oggi sappiamo che le funzioni cognitive coinvolgono più aree cerebrali, le quali convogliano le informazioni in un’unica zona del cervello, nella quale il processo si conclude. Metodi di indagine lesionale per l’incontro tra dimensione biologica e cognitiva: 1. ricostruzione e sovrapposizione; 2. potenziali evocati evento-correlati (ERP); 3. utilizzo congiunto di fMRI e di MEG (Magneto ElettroencefaloGrafia): più potente metodo di mapping; 4. BMI (Brain Machine Interface): è un approccio di studio all’attività cerebrale che ha lo scopo di interpretare in che modo i neuroni codifichino le informazioni, attraverso la registrazione dell’attività elettrica, la decodifica di questi segnali da parte di un computer e il riutilizzo degli stessi per comandare mezzi robotici o digitali. Lo scopo è dunque quello di permettere al cervello di comunicare direttamente con mezzi robotici (es. uso di arti artificiali); 5. TMS (Stimolazione Magnetica Transcranica): si utilizza un campo magnetico per inibire o attivare aree specifiche del cervello. Ha una bassa risoluzione spaziale e non permette di raggiungere le aree sottocorticali, ma può essere utilizzato per simulare le lesioni corticali nei soggetti sani. 6. Registrazioni elettrofisiologiche: permette una registrazione più dettagliata dell’attività neuronale, ma è invasiva e pericolosa, per cui viene utilizzata sull’uomo solo se strettamente necessario (es. valutazione aree colpite da un tumore per decidere l’area da asportare). La plasticità neuronale è definita come la capacità del sistema neurocognitivo di adattarsi all’esperienza ambientale, modificando sia la propria struttura che la propria funzione. Essa dipende dalla frequenza e dall’intensità dell’esperienza, sia in senso positivo che negativo, poiché se non permetto al neurone di svolgere la propria attività egli ridurrà le proprie ramificazioni. Il fenomeno della plasticità agisce ad ogni livello (molecolare, cellulare e comportamentale) ed in modo bidirezionale. Essa permette il recupero funzionale dopo una lesione/esportazione: più precoce è la lesione e maggiore sarà l’espressione plastica. Inoltre, la plasticità avviene quasi contemporaneamente all’esperienza che la induce, per cui più questa sarà continuativa e maggiore sarà la probabilità che il cambiamento diventi permanente. La nostra predisposizione ad essere più o meno plastici è influenzata da una componente genetica ed una ambientale. Rispetto a quella ambientale il nostro stile di vita può essere orientato ad una maggiore o minore plasticità; rispetto a quella genetica le esperienze e la predisposizione plastica vengono codificate a livello di DNA. Infine, più sviluppo una certa capacità cognitiva o motoria, maggiore dovrebbe essere la presenza di fenomeni plastici in caso di lesione/asportazione. [leggere articolo 1: The influence of environment and experience on neural grafts] La visione come ricerca della costanza d’oggetto Il cervello, per acquisire conoscenza, utilizza l’astrazione, ovvero la formazione di concetti; la specializzazione funzionale stessa si accompagna a questa capacità. La visione è un processo attivo che coinvolge più aree visive funzionalmente specializzate e anatomicamente distinte; fino a qualche decennio fa invece, la si considerava come un processo passivo coinvolgente esclusivamente l’area V1.

La predicting coding theory di Freestone, riconducibile ad un approccio di tipo probabilistico, considera il cervello come un generatore di realtà possibili, il quale creerebbe diverse rappresentazioni probabilistiche della realtà. Il riconoscimento del mondo esterno avverrebbe dunque tramite il confronto fra le informazioni in entrata e le rappresentazioni create, tra le quali viene scelta la più adatta. Questo è uno dei modelli, ad oggi, più potenti per spiegare la nostra modalità di interazione con il mondo esterno. Ovviamente questo procedimento occupa un certo lasso di tempo (600-700 millisecondi), ma la rappresentazione finale viene già modificata in considerazione di questo. Secondo questa teoria la realtà che ci rappresentiamo sarebbe dunque una stima, anche se piuttosto precisa, di ciò che realmente c’è all’esterno. Il sistema visivo permette una rappresentazione topologica (o analogica) della realtà esterna, per cui ogni punto dello spazio esterno viene elaborato e mappato da un’area cerebrale precisa all’interno della corteccia striata. La stessa modalità rappresentativa è valida sia per la mappatura motoria che per quella sensoriale (Homuncolo). Rispetto alla vista, questo implica che una lesione in una specifica regione di V1 creerà un deficit in una zona recisa del campo visivo. La percezione Non esiste una teoria unica e universale che spieghi in modo esaustivo come percepiamo lo stimolo. I modelli proposti sono i più probabili che si sono scoperti. La percezione non si può studiare da un unico punto di vista perché è troppo complesso come fenomeno. Per capire come si costruisce una percezione dobbiamo astrarre più proprietà costanti che ci permettano di dire come il cervello si rapporta con l’esterno, altrimenti si dovrebbe dire che il cervello funziona casualmente. Invece lo sviluppo filogenetico ha permesso lo sviluppo di proprietà costanti e generali che definiscono il modo in cui il cervello crea una percezione dell’esterno. Ad oggi siamo abbastanza sicuri che il cervello per costruire una rappresentazione faccia riferimento ad un concetto o una rappresentazione preesistente di ciò che sta fuori per poterlo riconoscere, quindi l’esperienza sedimentata in memoria a livello filogenetico contiene dei modelli del mondo esterno sufficientemente generali o astratti per essere utilizzati come teorie di riferimento per capire cosa c’è fuori. Non esiste nel nostro cervello la rappresentazione precisa di ogni singola variante della realtà perché sono infinite. Una delle spiegazioni più plausibili è proprio questa della memoria filogenetica. Questo principio generale è un principio probabilistico di conoscenza del mondo, nel senso che rimane sempre una possibilità di errore di riconoscimento, perché è sempre possibile la presenza di uno stimolo che non corrisponde sufficientemente bene al modello. Il cervello quindi funzionerebbe come un modello statistico che stima la possibilità che quello che c’è fuori sia simile a quello che c’è dentro. Questo modello assomiglia al modello di verosimiglianza. La mancanza di riconoscimento di uno stimolo può causare smarrimento. Per costruire questi modelli il cervello deve essere in grado di astrarre dal dettaglio della realtà. Esempi di questa capacità di astrazione sono la direzione del movimento, l’orientamento di uno stimolo, la costanza della rappresentazione, il concetto di grandezza e altezza, il concetto di volto. Tutta questa conoscenza astratta deriva dalla capacità del cervello di costruire i concetti con cui interpretare la realtà. Se non avessimo la capacità di riunire le caratteristiche particolari degli stimoli in un’unità più generali e astratte, il riconoscimento sarebbe impossibile. Oltre alla capacità di astrazione il cervello ha una specializzazione funzionale, cioè è in grado di riconoscere gli aspetti più particolari del mondo. Per poter far stare insieme la capacità di astrazione e la specializzazione ha delegato a sotto-unità il riconoscimento dei dettagli, cioè esiste un livello di percezione intermedia in cui vengono riconosciuti questi dettagli, che a livello più alto verranno elaborati ed astratti per inserire lo stimolo in una categoria più ampia. Fino a circa 30 anni fa le neuroscienze consideravano la visione come un processo di registrazione passiva, oggi invece si ritiene che il cervello abbia un ruolo attivo nella costruzione della rappresentazione. Per la maggior parte questo processo di riconoscimento è automatico, infatti noi prendiamo atto ad un certo punto di essere a conoscenza della presenza dello stimolo, ma questa è solo la conclusione di un processo iniziato 700-600 millisicondi prima. Quindi la catena è stima, anticipazione, riconoscimento e reazione. La nostra risposta non è tarata sullo stato della realtà iniziale, ma su quello finale, perché il cervello tiene

anche conto del futuro, cioè di come sarà la realtà alla fine del processo. Quando battiamo le palpebre il cervello crea un modello di come sarà la realtà quando riapriremo gli occhi. La percezione è influenzata da due tipi di fattori: top-down (che riguardano la conoscenza pregressa del mondo e ci aiutano a riconoscere la realtà esterna ed a definire le caratteristiche della rappresentazione finale) e bottom-up (caratteristiche di basso livello, o elementari, degli stimoli, utilizzate dal sistema fin dai primi stadi di elaborazione per cominciare a capire cosa sta entrando nel sistema percettivo/sensoriale quando ancora non si sa il modello corrispondente, sono indizi che aiutano il sistema a prevedere). Questi due processi di elaborazione interagiscono, cioè la conoscenza pregressa lavora sugli indizi elementari. La teoria del predicting coding ritiene che il cervello non capisce subito di cosa si tratta ma che tramite un processo iterativo crei una moltitudine di realtà possibili utilizzando agli indizi elementari e che nel farlo sia guidato da un principio superiore di massimizzazione di omeostasi del sistema. L’omeostasi è il motore primario della nostra esistenza, perenne tendenza all’equilibrio e fuga dal caos, ovvero dal disequilibrio. Quando si elabora un modello della realtà il caos equivale alla non corrispondenza di esso con l’esterno, quindi il processo probabilistico ha lo scopo di ridurre al minimo l’errore nella costruzione del modello. Per fare questo il SN ha la capacità di stimare l’errore che fa nella costruzione del modello, grazie all’aumento del rumore. L’errore viene vissuto a livello cosciente come sensazione di disagio, derivante da una non perfetta corrispondenza tra l’informazione in ingresso e il modello sviluppato. Questi due modelli (predicting coding e free energy principle1) sono molto potenti perché riescono a spiegare il funzionamento del SN considerando e includendo anche la componente emozionale, dandogli il ruolo di feedback del processo di riconoscimento (soddisfazione vs. disagio). È un meccanismo che si autoregola utilizzando i feedback per imparare dall’esperienza, dal momento che siamo portati a ricercare il piacere e allontanarci dal dispiacere. Il sistema deve anche essere in grado di attribuire un peso diverso ai diversi input, nel nostro caso di solito il più saliente è quello visivo, perché bisogna dare più importanza all’input che ha più possibilità di rappresentare fedelmente la realtà esterna, in modo da poter ridurre l’errore. Esempio: quando volgiamo la nostra attenzione ad uno stimolo in movimento indirizziamo i nostri sistemi percettivi verso quello stimolo, girando tutto il corpo e non solo gli occhi, perché il SN cerca di massimizzare la fedeltà del segnale e di ridurre l’errore. Secondo l’optimal integration theory questo processo di selezione degli input verrebbe svolto automaticamente dal SN stimando la quantità e correttezza delle informazioni portati dai diversi input; avverrebbe un confronto tra le tipologie di input sensoriale per scegliere quale dovrebbe dare informazioni più dettagliate e per tenerlo così in maggiore considerazione. Ovviamente questo meccanismo è flessibile, per cui la valutazione viene effettuata in ogni situazione. Questi tre principi agiscono insieme per permetterci di creare un modello più rappresentativo possibile della realtà e permetterci di riconoscerla. La percezione può essere definita un processo inferenziale, perché il sistema cognitivo fa delle inferenze su come sarà lo stato finale della realtà. Le caratteristiche dei fattori bottom-up sono che il tipo di informazioni che danno non può essere modificata dal sistema, non c’è possibilità di correzione, perché sono fattori così precoci che non si può modificare sulla base dell’esperienza l’informazione. Il vantaggio di questo sistema di codifica è la sua velocità; il suo limite è che non potendo essere modificate possono portare anche a rappresentazioni non veritiere delle realtà, cioè possono costruire delle illusioni visive che non possiamo modificare volontariamente anche con informazioni top-down. Non è così grave perché il prezzo che paghiamo è comunque minore dell’assenza di riconoscimento. Un principio analogo può essere applicato alla conoscenza top-down, poiché essendo in parte determinata da fattori culturali possiamo sperimentare un erroneo riconoscimento di una situazione sociale all’interno di altro contesto culturale, ma questo tipo di conoscenza è modificabile, perché è più influenzata da fattori ontogenetici che filogenetici. Tra i fattori bottom-up troviamo la luminosità (il checker shadow illusion si basa sulle informazioni dell’ombra, ma se 1Free energy principle: il sistema tende a mantenere l’equilibrio omeostatico tendendo a ridurre l’energia libera, cioè quella che non è finalizzata al mantenimento dell’equilibrio. [leggere articolo 2: free energy principle]

noi togliamo gli elementi di basso livello della percezione possiamo avere un’informazione veritiera) e il movimento2. L’evoluzione del concetto di visione va dalla separazione tra percezione (processo passivo di basso livello ad opera di V1) e visione consapevole o comprensione del percetto (processo attivo di alto livello ad opera della corteccia visiva associativa (V2-V4)), alla loro unificazione in un processo unico in cui il cervello seleziona attivamente gli elementi essenziali o costanti dell’oggetto, li confronta con le informazioni visive immagazzinate in precedenza, e produce un immagine visiva della realtà dotata di significato (corteccia parietale-temporale- frontale). Non è ancora stata mappata completamente la corteccia exstrastriata nell’uomo per problemi etici, ma non dovrebbe essere troppo dissimile da quella della scimmia. Tutte le aree specializzate costruiscono singole rappresentazioni che vengono poi integrate in una rappresentazione finale. La corteccia parietale (localizzazione spaziale) frontale (elaborazione info relative al movimento) e temporale (identificazione dello stimolo) sono quelle a livello cui si crea la rappresentazione della realtà. Molta della psicologia della gestalt a livello di codifiche percettive può essere ridefinita dai concetti del predicting coding: la gestalt aveva iniziato a cercare le costanti utilizzate dal SN per creare le percezioni. Zeki è un neuroscienziato che ha iniziato a studiare circa 20 anni fa l’espressione artistica come possibile rappresentazione dell’attività cerebrale del vedere. Dai suoi studi è nata la neuroestetica 3. La considerazione da cui è partito Zeki è che il nostro cervello davanti alla gioconda reagisca in modo diverso rispetto a quando è davanti ad uno scarabocchio. Quindi ritiene che il cervello risponda in modo differente agli stimoli che riteniamo belli rispetto a quelli che riteniamo brutti o neutri. Prima dei suoi studi si riteneva che l’esperienza della bellezza fosse esclusivamente intima, oggi si ritiene che l’esperienza della bellezza sia composta sia da valutazioni soggettive culturalmente influenzate, sia da costanti oggettive determinate a livello evolutivo dalla selezione naturale. Zeki si è accorto che alcuni grandi artisti utilizzano nelle loro opere l’ambiguità, che è una caratteristica di base del mondo fisico, la quale ha determinato lo sviluppo del metodo predittivo del cervello. Essendo che il cervello reagisce all’ambiguità in modo particolare, queste opere d’arte stimolano maggiormente l’attività cerebrale; l’ambiguità inserita da questi artisti è però irrisolvibile e fa entrare il nostro cervello in un loop in cui continuamente cerca di dare una spiegazione all’immagine senza riuscirci. È come se continuamente producesse modelli possibili della realtà che però non trovano mai una rappresentazione priva di errore. È uno stimolo che non raggiunge mai, secondo la teoria del predicting coding, l’assenza di errore e quindi l’equilibrio (quando Zeki ha proposto questi studi la teoria del predicting coding non esisteva). Questa impossibilità di eliminare il rumore renderebbe le opere più interessanti del normale. Quindi il cervello è più attivo perché non riesce ad eliminare l’errore, ma essendo lo stimolo solo parzialmente ambiguo non provoca il senso di spaesamento. Se invece prediamo ad esempio il cubismo, Zeki ipotizza che esso rappresenti gli stimoli ad uno stadio precedente rispetto all’elaborazione e all’integrazione finale. Una possibile interpretazione del perché questa corrente fosse inizialmente considerata brutta riguarda appunto il fatto che venisse presentato al cervello un modello non ancora completo. È sulla base di questi studi che nasce la neuroestetica, affermata come disciplina scientifica grazie al riconoscimento di risposte neuronali diverse davanti a stimoli “belli”. Gli studi più recenti dimostrano che la bellezza è un concetto multicomponenziale: viene sicuramente influenzato da fattori culturali ed esperienziali (ontogenetici), ma anche dalla reazione del cervello, uguale per tutti (filogenetica), a certe configurazioni visive, indipendentemente da fattori culturali, sessuali e di età. Ad esempio, nei volti e nei corpi femminili i fattori associati alla bellezza sono quelli correlabili con il benessere e la capacità di procreare. Anche se ancora non si può dare una precisa spiegazione del perché riconosciamo come belle 2 V4 area colore, V5 area movimento 3 Neuroestetica: alcuni tipi di percezione hanno una proprietà particolare, che è sia soggettiva che oggettiva, che riguarda la valutazione della bellezza, cioè di come valutiamo certi stimoli più belli di altri.

determinate configurazioni visive, spesso si fa riferimento all’evoluzione: la valutazione della bellezza sarebbe il risultato di un processo filogenetico per cui alcune esperienze visive, maggiormente correlate alla probabilità di sopravvivenza, si sono sedimentate collegandosi al concetto di bellezza. Un esperimento per misurare i correlati neuronali sottostanti la valutazione del bello è stato svolto utilizzando stimoli neutri, costruiti tenendo costante la luminosità e variando la frequenza spaziale, per evitare l’influenza dell’esperienza personale nella valutazione. Il compito dei soggetti era quello di dare innanzitutto una valutazione di alcuni stimoli, costruiti sulla base dei dati che indicano un valore medio di frequenza spaziale delle immagini come più apprezzato dagli individui. Dopo di che gli si chiedeva di individuare un target all’interno degli stessi, mentre gli venivano misurato i potenziali evocati ed il tempo di risposta. L’ipotesi è che negli stimoli considerati belli i potenziali evocati dovrebbero essere diversi e i tempi di risposta minori, infatti uno stimolo bello dovrebbe aumentare la fluency of processing e, di conseguenza, l’efficacia nella costruzione del modello. Come si può vedere dal grafico i risultati confermano questa ipotesi, nel senso che al crescere della valutazione dello stimolo (grafico 1) decresce il tempo di risposta ed individuazione del target (grafico 2). Rispetto invece alla rilevazione dei potenziali evocati possiamo notare come si presentino due picchi d’onda quando si risponde ad uno stimolo con frequenza spaziale intermedia. Il cervello viene attivato più precocemente (picco C1) da questi stimoli, aumentando co...


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