Orazio 1 - Testo, traduzione e analisi PDF

Title Orazio 1 - Testo, traduzione e analisi
Author Gildo D'Ambrosio
Course Didattica del latino 
Institution Università degli Studi di Salerno
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Testo, traduzione e analisi...


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ODE 1.11 ( Carpe Diem) ➔ Asclepiadeo maggiore ( Rispetto al minore, se prima dei due dattili finali si inserisce un coriambo (equivalente a un trocheo più un giambo). Tù ne quaèsierìs, scìre nefàs, quèm mihi, quèm tibi fìnem dì dederìnt, Lèuconoè, nèc Babylònios tèmptarìs numeròs. Ùt meliùs, quìdquid erìt, pati, sèu plùris hiemès sèu tribuìt Iùppiter ùltimam, 5 quaè nunc òppositìs dèbilitàt pùmicibùs mare Tyrrhenùm: sapiàs, vìna liquès èt spatiò brevi spèm longàm resecès. Dùm loquimùr, fùgerit ìnvida aètas: càrpe dièm, quàm minimùm crèdula pòstero TRADUZIONE Tu non chiedere, è vietato sapere quale fine a me, quale a te, abbiano fissato gli dei, oh Leuconoe, non tormentare gli astri Babilonesi. Come è meglio accettare qualsiasi cosa sarà, sia che Giove abbia concesso molti inverni, sia (che abbia concesso) come ultimo (inverno) quello che ora indebolisce il mar Tirreno con le scogliere che resistono; sii saggia, filtra il vino e sopprimi la lunga speranza al tempo breve. Mentre parliamo sarà già fuggito l’invidioso tempo: COGLI L’ATTIMO, quanto meno fiduciosa possibile nel domani. ANALISI QUAESIERIS: quaero,is,quaesii,quaesitum,quaerere. III perfetto congiuntivo con valore di imperativo negativo. (forma sincopata per Quaesiveris) SCIRE: scio,scis,scitum,scire. IV imperativo DEDERINT: do,das… congiuntivo perfetto = interrogativa indiretta TEMPTARIS: tempto,as… I forma sincopata per Temptaveris = congiuntivo perfetto o imperativo negativo PATI: patio,patis,patere. Infinito passivo III - ut: introduce l’esclamativa TRIBUIT: tribuo,tribuis,tribui,tributum,tribuere. III perfetto DEBILITAT: debilito,as… I presente SAPIAS: sapio,sapis,sapii,sapere. III congiuntivo esortativo LIQUES: liquo,as,liquavi,liquatum,liquare. I congiuntivo esortativo - vina: plurale poetico RESECES: reseco,as,resecui,resectum,resecare. I congiuntivo presente/esortativo -spatio brevi: potrebbe essere sia un ablativo assoluto che un semplice ablativo strumentale LOQUIMUR: loquor,loqueris,locutus sum,loqui. Presente FUGERIT: fugio,is,fugi,fugitum,fugere. III futuro anteriore CARPE: carpo,is,carpsi,carptum,carpere. III imperativo

L’idea del cogliere è millenaria e da questa Orazio plasma la “callida iunctura” (consiste nell'accorta ed accurata disposizione delle parole) sempre eterna. Cogliere dal greco “carpizo” connesso al frutto “carpos”. La struttura del testo è allocutiva: il poeta si rivolge alla destinataria, Leuconoe, che è un altro dei nomi parlanti oraziani; sempre dal greco “leukòs”= bianco -più- “nòos” = mente”; come dire: dalla mente candida, ingenua, una connotazione etico-psicologica. Il tono dell’ode è parenetico (esortativo/morale) e si propone come di esortare ad ammonire ➔ in questo modo la nostra Leuconoe, la nostra “Mente Candida”, è una fanciulla ingenua, che va istruita sul tempo, con intento chiaramente educativo-pedagogico. La ragazza è smarrita a causa della troppa ansia per il domani. Ma i significati del nome, Leuconoe, possono condiurre a più interpretazioni per questa mente della ragazza: 1) mente pallida: con Pindaro ipotesto orazione ( ipotesto = l’opera che costituisce il modello o la fonte di un’opera successiva). Rende l’idea di una mente semplice, da vera ingenua; 2) mente bianca: con sfumatura chiaramente cromatica = non colorata. Parte delle meditazioni di Orazio sul tempo sono associate al bianco ➔ inverno (neve); vecchiaia ➔ morte = assenza di tempo. 3) mente chiara: come esito di un cromatismo spirituale. Leuconoe è una donna dalla mente lucida che vuole vedere chiaro un marito al proprio futuro ; per questo non dovrebbe interrogare gli altri babilonesi. 4) mente pura: nel senso di limpidezza della mente priva di ogni scoria di pensiero, libera di ogni impurità; “filtra il vino”. 5) mente di Apollo: il nome Leuconoe alluderebbe alla città di Laucade, città apollinea conosciuta proprio per il tempio di Apollo, dio della poesia. Vicino alla città c’era una rupe da cui le persone erano solite suicidarsi a causa delle pene d’amore. Secondo Strabone, Menandro ( commediografo fine IV secolo) aveva composto una “Leucadia” in cui la suicida della rupe di Laucade era la poetessa Saffo. Il “Tu” di inizio componimento è una particella fortissima; Orazio sente come l’esigenza di individuare il destinatario del discorso e lo fa come se la sua Leuconoe l’avesse davanti. L’accezione dell’ode è quindi simposiale ; la struttura è apparentemente dialogica, in realtà monologica. Il poeta fa ricorso a 3 verbi di conoscenza: - quaero: chiedere per conoscere. Questo è il primo atto verso la conoscenza, una conoscenza che però non è lecito raggiungere: scire nefas; in variatio negativa. - sapio sapore di qualcosa, legato al senso del gusto. Propriamente, chi è “sapio”, riesce a separare ➔ “spatio brevi spem longam RESECES”, a conoscere, il brutto dal bello. - scire: conoscere. Scio = conoscenza; sapio = competenza C’è inoltre chi ha pensato che una delle tante tematiche dell’ode sia “l’eros”, nel senso che l’esortazione oraziana a Leuconoe sia godereccia “ godiamoci le storie io e te perché non ci è lecito...”. All’ipotesi si aggiunga l’eccezione greca del “carpo”, cioè cogliere il frutto per succhiarne il succo, per assaporarlo; di per sé, già da sola, questa è un’immagine molto sensuale. Quella del Carpe Diem è l’ode in cui più si avverte il principio della CALLIDA IUNCTURA che muove il calamo oraziano ➔ unione di due parole che prese singolarmente mancano di una reale e

potente valenza poetica. La candida iunctura è insomma sintentizzabile come sintesi fra ars (tecnica) e l’ingenium poetico. Per Persio, che seguirà in parte il modello oraziano della satira, il genere satirico si muove sull’imbestialimento e non si configura, quindi, come per Orazio, in un laboratorio sperimentale. Persio intenderà “callido”, nel senso di astuto, il poeta satirico ma la sua scrittura necessitava essere “acris” = pungente, brillante tanto da dar fastidio ➔ radice AC richiama quasi sempre una prerogativa visiva. Nell’ode forse Orazio stava riflettendo sulla prassi poetologica. Essa contiene effettivamente parecchi tratti meta-poetici ed è carica di senso ipertestuale. Nell’iperbato iniziale “ne quaesiris… nec temptaris” vengono citati i babilonesi, maestri nell’arte divinatoria, e il sapere contenuto nei loro libri, le “cabale”. Leuconoe consulta questi libri ( “astri” in traduzione) perché impossibilitata materialmente ad interrogare gli esperti per conoscere il suo futuro. Tutto ciò è però “scire nefas”, un divieto etico e morale con cui il poeta ammonisce la ragazza ➔ non sono cose che ci riguardano! È proprio l’ammonimento a far scattare un rapporto Orazio-Epicuro; in tutta l’opera oraziana saranno presenti “ammaestramenti” di radice epicurea. In definitiva la donna commette due illecità, prima “quaesiris” poi “temptaris”, e non avrebbe potuto, né umanamente né moralmente, interrogare alcuno circa la sua condizione ansiogena per il futuro. L’ansia che permea dall’1.11 è riecheggiante, avvertita come continuativa (spem longam), e fa diventare divinamente immaginifico ( abile creatore o suscitatore di immagini) l’oggetto di questo sentimento: il tempo, il futuro. ➔ tutto è affidato al volere di qualche divinità Il rapporto col tempo e l’ansia per il futuro sono tematiche cardine della poesia oraziana e presenti già in 1.9. Nell’ode a Taliarco l’ansia e la frustrazione che dominano il componimento sono più immediate: “quid sit futurm cras , fuge quaerere” ➔ la cosa accadrà domani, evita di chiederlo (CRAS 1.9) Il futuro diventa cras = domani; un futuro concreto VS “tu ne quaerisis… quem finem di dederint” ➔ non chiedere quale sorte,destino,futuro abbiano fissato gli dei Quello di 1.11 è un futuro legato a “di”, gli dei ( FINEM 1,11) Il sentimento del tempo Orazio lo metabolizza naturalmente dal “brevitate vitae” di Seneca, che nell’incipit scrive: “ la maggior parte dei mortali si lamenta, tutta insieme, dell’avarizia della natura, poiché siamo generati per vivere un minimo di tempo, e poiché si dice che questi spazi di tempo concessici scorrano tanto velocemente e rapidamente che, eccetto pochissimi, tutti gli altri sono lasciati in asso dalla vita proprio mentre si preparano a vivere.” (- conqueritur, gignimur = indicativi presenti) ➔ viene espresso un dato oggettivo con l’indicativo - decurrunt = congiuntivo presente soggettivo con il congiuntivo L’archetipo di Seneca a Roma è Sallustio, che nel suo “Bellum Iugurtinum” espone il medesimo giudizio sul tempo: se scorre veloce è in realtà solo una nostra impressione, se è ben speso non è così. NEL MOMENTO IN CUI IL TEMPO VA VELOCE DAVVERO SI GIUNGE ALLA PUNTA D’ICEBERG DELL’INTERO DISCORSO

CARPE DIEM

Il verbo assume importanza se si considerano le analisi posteriori. ➔ Porfirione, commentatore di Orazio del II-III secolo, definisce il “carpo” una traslatio: il termine richiama l’atto del cogliere frutti. Così da un argomento agricolo si è passati alla trattazione di una tematica filosofica. ➔ Lambino, ci dice inoltre che la traslatio del “carpo” proviene sia dalla sfera agricola che da quella tessile dei lanifici (la lana era destinata al raffinamento, ad essere setacciata). ➔ Nel saggio “ la poesia lirica di Roma”, Pascoli offre una traduzione dell’ode 1.11. Anche qui il “carpo”, nei vari abbozzi di traduzione, assume la valenza del cogliere ➔ “l’oggi lo cogli”. “ Cogli come un fiore con cui ti tocchi appena una dea fuggente”. ➔ Ovidio, che legge Orazio, ricontestualizza il “carpo” con meno callida iunctura poiché riporta il verbo alla sfera agricola Ars Amatoria,III,79 “ Nostra sine auxilio fugiunt zona: carpite florem qui nisi carputus erit, turiper ispe cadet” ➔ i nostri beni fuggono via senza aiuto: cogliete il fiore poiché, se non sarà colto, cadrà vergognosamente. Nel libro III dell’Ars, Ovidio “ carpite florem” sottintende l’accusativo “iuventutem”, il fiore della giovinezza. Nel restituire al verbo apparente concretezza Ovidio lo sta doppiamente metaforizzando. “Carpite florem” non è un invito a godersela, ma è un concetto legato al tempo che fugge ed ancorato alla riflessione filosofica oraziana. ➔ Orelli, commentatore di Orazio fine 700, ci dice che il “carpe” è si l’atto del cogliere un frutto, ma un frutto ancora acerbo e che non è maturo. È un raccogliere con velocità che esprime la stessa velocità del gesto. Es: è un “carpere oscula” = raccogliere, strappare, quasi rubando dei baci. ➔ è la stessa idea di rapidità viene proposta da Marziale in un suo distico: VII,47,11 ➔ “vive vellut rapto fugituaque gaudia carpe: perdiderit nullum vita reversa diem” Vivi come si fa con qualcosa che si afferra rapidamente e prendi al volo le gioie fuggevoli: la vita tornata indietro non perda alcun giorno. Dopo aver analizzato gli utilizzi del “carpo” posteriori ad Orazio, bisogna capire che la iunctura non è relegata all’ode 1.11, ma contenuta in tutta la sua opera: il “carpe diem” diventa approdo finale nella poetica oraziana, ricontestualizzato con parole diverse e non sempre così ispirate. ➔ Epodi XIII,3: “ un’orrida tempesta ha oscurato il cielo e la pioggia e la neve accompagnano giù Giove: ora il mare, ora i boschi risuonano del tracio Aquilone. Amici, cogliamo al volo l’occasione del giorno e finchè sono salde le ginocchia ed è conveniente ( decet: è decoroso; “dec” radices usata per il “mostrare”) si tenga lontana la vecchiaia dalla fronte corrucciata (adirata)...”. “Rapiamus amici occasionem de die” ➔ che è molto simile al “carpe diem” di 1.11 ma colpisce assai di meno; pare una iunctura non perfettamente riuscita. CARPO RAPIO 1.11 VS XII (velocità) (fulmineità) Se il “carpo” è il cogliere con una sfumatura di velocità, “rapio” è uno strappare con sfumatura intensiva e quindi sulla “lunga disatanza”.

“Rapio” sembra meglio funzionare relativamente a “occasionem” = ob più cado = cadere avanti; non si cade per caso. ➔ l’occasione si coglie mentre sta passando, non prima; il movimento per afferrarla deve essere fulmineo. Tornando nuovamente alle odi II,8: v.25 “evita quando sei con te stesso, trascurando le cose per cui il popolo si affanna di stare troppo attento a tutto e cogli felice i doni dell’ora presente e abbandona le cose pesanti”. *dona praesentis. Cape laetus horae* ➔ capio,is,cepi,captum,capere. III = prendere facendone un possesso sicuro. Con “capio” viene sancito il rapporto tra chi prende e i “dona”, non ci si rifà a un qualche volere superiore della divinità, è qualcosa di più concreto ➔ capio è diverso da raio è diverso da carpo ➔ Epistole (1.11 v.22) : tu qualunque ora il dio ti avrà concesso, prendi con mano grata, e non rimandare ciò che è piacevole al prossimo anno”. *grata sume manu ➔ sumo,is,sumpsi,sumptum,sumere. III = prendi, afferra ( più debole sia di rapio che di carpo). Ne “ la semantica del Carpe Diem (1973)” Traina offre una spiegazione per i verbi del “prendere”, ponendo un accento particolare sul “carpo”. - Carpo è un prendere al rallentatore; - Rapio è un prendere di nascosto; - Sumo è un prendere con riverenza. Traina affronta il significato del “carpo” ➔ un verbo che si usa per indicare il gesto, l’azione, per cui da una totalità si “spilucchia” una parte o, caso più raro, un tutto smembrato dalle sue parti. Traina rifiuta però l’idea della delicatezza del verbo: prima dei poeti augustei il “carpo” non si allacciava alla positività o al godere di qualcosa; le sue prerogative erano palesemente negative. NB. Sfera del surripere: l’autore non dichiara esplicitamente la dipendenza con altri testi, ma allude: ha “rubato segretamente”. In questo modo stimola anche il lettore a partecipare al “riconoscimento” dell’opera = agnizione. Seneca Padre riporta un aneddoto su Ovidio, il cui maestro sosteneva che il poeta scrivesse non “sub ripiendi causa” ma “palam mutiandi”, con l’intenione di “vellet agnosci”. L’anticamera del Carpe Diem Abbiamo già prima spiegato come Orazio prenda la tematica del rapporto del tempo da Seneca; in poesia saranno i poeti del 1 secolo ad utilizzare il “carpo” ma ancora con sfumature decisamente negative. ➔ Seneca ( De brevitate vitae, X.6): “ il tempo presente è talmente breve che ad alcuni non pare niente. Infatti è sempre in corso, scorre e si precipita ( praecipitatur). Prima di arrivare è già finito. L’ “attimo” per Seneca riguarda solo gli alienati, coloro i quali regalano il proprio tempo ad altri e lo impiegano verso diverse occupazioni. ➔ Virgilio (Eneide XII): a partire da 459, nei successivi 4 versi c’è l’utilizzo di 2 verbi particolari mentre si parla di Turno: “arripio e corripio”. -arepto tempore = cogliendo il tempo (giusto) -corripuit = si lanciò via

Sempre in Virgilio troviamo anche l’uso di “carpo”: (in senso sempre strettamente negativo) ➔ Eneide IV: “carpere soporem” = prendere sonno (a fatica). Il senso è chiaro: quando il turbamento priva del sonno qualcuno, questo sonno va preso, strappato, afferrato pezzo per pezzo. Didone non riuscirà a dormire e confiderà il proprio cruccio alla sorella, che avvilirà ancor di più la lamentosa: “carpere perpetua iuventa” = ti consumerà una giovinezza eterna. ➔ Catullo utilizzerà il “carpo” nel carme 63 ( a Manlio). Il poeta parlerà della lontananza da Roma e del suo vivere in una zona rurale. “Illic mea carpitur aetas” = lì si consuma la mia vita ➔ si potrebbe tradurre anche con “trascorre”, ma alla luce della biografia catulliana il verbo assume una connotazione retro-amara, non godereccia né ottimistica. ➔ Ma quindi il tempo fugge o no? Questo è un concetto cui gli antichi giunsero relativamente presto. Ancora ci serviamo di Seneca per comprendere i risvolti di questo filosofeggiare: Brevitate vitae (IX,1.2): “ ci può essere qualcosa di più idiota della convinzione di alcuni. Parlo di quegli uomini che ostentano la saggezza e sono alienati con maggior impegno e per poter vivere meglio organizzano la vita a spesa della vita stessa”. -Prudentia: la capacità del “pro-videre”, cioè del prevedere; -iactant: “sparano in faccia” ➔ verbo di movimento e intensità; -impendio: ostacolare… “ a spesa” “… ordinano i loro pensieri verso il futuro lontano: la più grande “iactura” (perdita di tempo). Questa strappa via ogni primo giorno, questa ti ruba il presente mentre ti promette il futuro. Il più grande ostacolo al vivere è l’attesa, che dipende dal domani perdendo l’oggi.” -ordo: indica sempre una conseguenza cronologicamente plausibile; -iactura: “gettare”, “malaugurio”, “perdita”; -perdit: per più do ➔ per più eo è il rovinarsi “… organizzi ciò che è nella mano della Fortuna, ciò che è nella tua lo lasci andare. Dove guardi? Fino a dove vuoi arrivare? Tutte le cose che devono arrivare giacciono nell’incertezza. “Vivi adesso”. Lo urla il grande poeta, e come invasato da un’ispirazione divina, canta un carme salvifico: “ciascuna giornata più bella della vita, agli infelici mortali fugge per prima”. Perciò bisogna combattere la velocità del tempo con la velocità dell’utilizzo. Bisogna bere il tempo come si beve da torrente vorticoso e destinato a non scomparire.” -torrenti rapido = pleonasmo -torreo = bruciare, nel senso di un letto di un fiume spogliato d’acqua. Quando piove il fiume si ingrosserà e inizierà il proprio scorrere frenetico. La conclusione di Seneca è che il tempo ci “percula”; e lui farà lo stesso col lettore che verrà rassicurato retoricamente ( domani andrà meglio, c’è sempre il domani ecc..).Il tempo per Seneca diventa invidioso e meschino: invita a cose buone ma insieme ce ne priva. ➔ Traina giungerà alla stessa conclusione di Seneca. Il “fugerit invida aetas” di 1.11 indica un tempo già fuggito perché invidioso: il tempo ti invita mascolinamente a sperare nel futuro. Per Traina il “carpe diem” è costantemente connesso al divieto di pensare al domani; da questo divieto Orazio si difende rifugiandosi nel breve giro dell’oggi ( dies,occasio,hora…). Così il godersi il giorno, il cogliere l’attimo diventa un giocare in difesa, premunendosi contro la malignità del tempo.

➔ Alessandro Fo considera l’ode di Orazio cuore della problematica umana del rapporto col tempo. La parola poetica ( carpe diem) funziona perché ad Orazio è uscita perfetta. ➔ Primo Levi affrontando la venuta imminente del 2000 riproporrà una traduzione di Orazio....


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