Cicerone: analisi e traduzione paradoxa stoicorum PDF

Title Cicerone: analisi e traduzione paradoxa stoicorum
Author Martina Cipriano
Course Lingua e letteratura inglese
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Summary

- Quadro storico.
- Analisi e traduzione paradoxa stoicorum (proemium, II e IV)...


Description

Cicerone -

Quadro storico:

Disputatio in utramque partem: discussione che analizzava le motivazioni di un versante/dottrina e l’altro, sperando di giungere, se non proprio alla verità, ad un grado apprezzabile di probabilità-> PROBABILISMO: grado più vicino alla presunta verità (periodo di crisi che investiva tutti i campi dell’umano/cultura, il probabilismo era visto come la massima possibilità nell’obiettivo che si poteva richiedere alla ricerca filosofica). Ci troviamo nel 46 a.C., appena prima della grande produzione filosofica di Cicerone, che si svolge tutta tra il 45-44 a.C. e poi fino alla morte. 

Paradaoxa stoicorum: ha un titolo filosofico-> si parla di stoici. Sono un tentativo di saldare la filosofia alla retorica-> si pone il problema di riportare ad un modo di parlare, che sia comprensibile ai più e possa essere accettato e condiviso anche da grandi masse che non sono le élite culturali, quei concetti della filosofia storica che vengono dibattuti in una certa forma (chiusa, astrusa, oscura) solo nelle scuole di stoicismo.

Cicerone, rivolgendosi al suo destinatario (Bruto), dice che il suo obiettivo è quello di provare se questi principi della dottrina stoica, che vengono dibattuti all’interno delle scuole stoiche senza nessun abbellimento retorico, senza nessuna cura formale perché per gli stoici la verità si diceva senza mezzi termini, possano anche essere portati a conoscenza del grande pubblico grazie ad una eloquenza più accettabile. Per Cicerone rendere di maggiore notorietà/ comprensione questa dottrina stoica significa renderla fruibile a livello civile e politico (portarla nel foro). Processo di saldatura tra quello che sarà il grande obiettivo delle opere filosofiche: fornire un corredo etico a questi nuovi ceti che stavano emergendo e la cultura precedente (intrisa di insegnamento retorico) e far sì che questa filosofia grazie ad una veste retorica gradevole potesse diffondersi in strati più vasti di popolazione. 



Paradosso: è una produzione formulata in contraddizione con l’esperienza comune o con i principi elementari della logica, ma che all’esame critico si dimostra valida. È la descrizione di un fatto che contraddice l’opinione comune o l’esperienza quotidiana. Paradoxon: dal greco παρα (contro) δοξον (opinione)-> in greco significava tutto ciò che era al di fuori del pensiero comune. L’attitudine a ragionare per paradossi (per concetti difficili da accettare e comprendere perché lontani dal pensiero comune) era una tendenza tipicamente stoica perché gli stoici non amavano gli abbellimenti retorici, preferivano essere coincisi.

Il personaggio che appare subito è Catone, che diventerà Uticense, che per non accettare la sconfitta della parte repubblicana si darà la morte. Catone è portato come l’esempio di perfetta adesione al pensiero stoico, anche nell’eloquio, nel modo di parlare, di esporre le teorie perché la sua è una maniera coincisa di parlare, tanto che quello che dice può sembrare troppo duro, al limite del non comprensibile. Lo sforzo che fa Cicerone in questi paradossi è quello di provare a rendere questi concetti così incomprensibili alla gran parte della popolazione più comprensibili e accettabili grazie ad una giusta veste retorica-> nel proemio spiega il suo obiettivo, qual è l’oggetto del testo, quando l’ha composto, con quale scopo. I paradoxa sono 6: le tematiche sono comprensibili in un’ottica filosofica, ma poco applicabili all’interno di un discorso culturale, politico corrente.

1. Paradosso: parte dal bene più alto degli stoici che è la virtù, chiamata dai romani “ virtus”, cioè il compimento/l’obiettivo della filosofia storica. Il saggio era colui che incarnava la virtù completa, la perfetta capacità di non lasciarsi turbare da passioni. I paradossi hanno un doppio titolo: uno greco ed uno latino perché sono dei luoghi comuni, dei topoi, che venivano dibattuti all’interno della scuola stoica greca e che Cicerone si propone di rivestire di una veste latina (riportandole a Roma). Il titolo latino del I paradosso è: quod honestum sit id solum bonum esse-> ciò che è onorevole/virtuoso solo quello è il bene. Το καλον: il bello/la virtù-> non solo in senso fisico, ma soprattutto in senso morale. 2. Paradosso: l’oggetto è la conseguenza del primo assunto: “in quo virtus sit, ei nihil deesse ad beate vivendum”-> la persona in cui vi sia la virtù (la persona che ha saputo incarnare la virtus) non manca niente per il vivere felicemente-> non gli manca niente per raggiungere la felicità che consiste in una virtù, non in una felicità corrente. Molti di questi argomenti verranno ripresi nelle “Tusculanae disputationes” più ampiamente nel V libro recita “ad beate vivendum virtutem se ipsam esse contentam”-> per vivere felicemente la virtù basta a se stessa, non ha bisogno di altro (era la parte fondamentale dello stoicismo). 3. Paradosso: anch’essi porta una tematica stoica-> “aequalia esse peccata et recte facta” sia le colpe sia le azioni fatte bene sono uguali. Seneca più volte dice di non essere indulgenti con se stessi, non autogiustificarsi-> se uno è caduto in errore e abbraccia una colpa, secondo gli stoici, anche una sola volta ha già accantonato il λογος che è in lui ed è colpevole come chi ha compiuto una colpa maggiore perché alla base c’è lo stesso errore dottrinale e filosofico. 4. Paradosso: “omnes stultos insanire”-> tutti gli stolti sono folli. Stolto nel senso di “mancante di ragione” (privo di ragione). Con il termine “stolto”, gli stoici latini e Cicerone, intendevano chi più o meno ragionatamente aveva deciso di abbandonarsi ad una passione e aveva cancellato da sé la ragione. Se è privo di ragione e ha fatto questa scelta da un punto filosofico “suicida” allora è anche folle, perché solo una persona che conosce cos’è il bene per se stesso e per gli altri deve capire di non doversi abbandonare alla irrazionalità, ma deve seguire il λογος. Ne consegue che tutti gli stolti (che abbandonano la ragione) sono folli (fanno qualcosa di incomprensibile e con conseguenze dannose che faranno soffrire se stessi e gli altri). 5. Paradosso: “omnes sapientis liberos esse et stultos omnes servos”-> tutti i saggi sono liberi e tutti gli stolti sono schiavi (paradosso difficile da accettare a Roma). Quali sono le cause della vita comune rendono un uomo stolto (chi si innamora di una donna e ne asseconda tutti i capricci, che ci abbandona al desiderio fare politica, di accumulare denaro)-> lo inducono ad allentare l’attenzione su quelli che sono i mali delle passioni. Sono colpe già condannate da Lucrezio ma le interpretava da epicureo, come estensione della paura della morte-> accumulare il più possibile in termini di valori materiali e immateriali per lasciare una traccia di sé dopo la morte. Per uno stoico queste passioni distolgono da quello che deve essere l’unico vero obiettivo-> ovvero raggiungere la piena consonanza con il λογος. Alla fine le persone che lo hanno abbandonato sono stolti e schiavi perché di volta in volta si asserviscono ad una donna, a coloro che possono favorirli sulla strada della carriera politica…

Ma pensare che un Cesare potesse essere considerato uno stolto e uno schiavo (più degli schiavi stessi) perché si era asservito alla lotta per il potere e aveva compiuto tutta una serie di colpe. Era difficile far comprendere questo paradosso in una società schiavistica come Roma. 6. Paradosso: quod solus sapiens dives-> se i veri beni non sono quelli materiali e neanche il potere “soltanto il saggio è il vero ricco”. La ricchezza di tutti gli altri è effimera, in qualsiasi momento può essere sottratta, richiamata indietro, può essere persa. Guerre civili e prescrizioni hanno come conseguenza più vistosa delle numerose morti, lo spostamento di enormi masse di ricchezze, di denaro, di beni immobili. Dunque, dire in una società come questa che chi aveva più potere era schiavo e chi aveva delle ricchezze materiali (le aveva conquistate a forza di colpe), vistose non era realmente ricco, mentre il vero ricco era il saggio che si teneva lontano dalle lotte politiche, era paradossale e trasgressivo-> provocatorio nei confronti di un potere che si stava costituendo. Cicerone era dovuto uscire a forza dall’attività, dalla pratica-> poteva veramente occuparsi solo dei problemi generici? È impossibile. Anche se questi paradossi hanno come oggetto quello che nella scuola di retorica erano chiamata quaestiones infinitae-> erano questioni che non potevano essere delimitate, non avevano un protagonista o una situazione precisa a cui fare riferimento, erano questioni generali. Solo i sapienti sono ricchi-> non dice di chi sta parlando. Solo il IV è una quaestio finita-> non lo dice direttamente, ma c’è l’allusione ad un personaggio politico e a situazioni autobiografiche. Ma, in generali, tutti i paradossi, anche quando trattano questioni apparentemente infinitae, cioè non definite nelle circostanze cronologiche dei protagonisti, hanno molti agganci con la realtà e trattano questioni che per un versante o per un altro sono molto attuali. Alla vigilia della grande produzione filosofica, Cicerone fa lo sforzo di conciliare quella che era stata la sua attività politica (oratore, chi si occupa di convincere, persuadere con riflessione filosofica). Nel de inventione lo dice esplicitamente-> testo di carattere retorico. Si apre con una prefazione, in cui chiede al lettore se passando in rassegna tutta la storia dei popoli e delle grandi istituzioni politiche si possa giungere a capire quanto la retorica abbia giovato o danneggiato la vera politica-> perché la retorica (vista con diffidenza dai romani) ha come obiettivo quello di persuadere. Se la retorica e dunque l’arte della parola pronunciata non è sostanziata di una forte carica etica-morale può essere negativa e quindi condurre al bene di chi parla e al male degli altri, mentre una retorica eticamente sostanziata è quella che ha permesso, come dice lui, la crescita/sviluppo della civiltà umana (aggregazioni popolari, grandi stati che si sono dotati istituzioni eticamente positive. È il momento in cui tira le somme del problema della retorica: da un lato è necessario sostanziare la retorica eticamente (vedi sopra “nel de inventione”…), ma alla vigilia del suo grande sforzo di fornire a questa nuova classe dirigente un patrimonio etico che potesse servire come guida, si rende conto che la retorica è necessaria nel momento stesso in cui veicola più facilmente i concetti filosofici, anche quelli più astrusi, come le affermazioni paradossali degli stoici (famosi per queste affermazioni)-> i paradoxa. La lingua è il riflesso del pensiero. Lucrezio nel suo testo si è sforzato di usare dei nessi prosastici, che inducono a comprendere meglio le varie argomentazioni e parti in cui il suo ragionamento si è articolato. Gli stoici non volendo usare artefici retorici, finivano per pronunciare delle massime/insegnamenti che, tolto tutto quello che poteva dar conto di come si arrivava a quel punto finale dell’argomentazione, faceva diventare incomprensibili tutti i nessi logici, quindi le affermazioni potevano sembrare troppo acute (punge ma lascia poco insegnamento).

Uno stoico come Seneca in più punti delle sue epistole dirà che certe acutezze eccessive degli stoici sono condannabili perché alla fine diventano persone che amano farsi notare per l’acutezza delle loro idee e dei loro pensieri, ma alla fine non avevano una reale funzione didattica. Queste affermazioni sono oscure e quindi non sono tanto diverse da persone che perdono tempo in questioni filologiche-> l’unico obiettivo deve essere quello di risanarsi da un punto di vista morale e risanare gli altri, se questo non serve, come non servono le questioni grammaticali o filologiche, sbagliano anche gli stoici. 

Storiografia

Caratteri: 1. Verità come legge nella scrittura di un’opera storica, considerato un elemento ineludibile-> infatti lo dichiara Cicerone nel De oratore: dire sempre la verità e non tacere mai ciò che è accaduto. La dichiarazione fatta dallo storiografo nella prefazione dice che ci si è attenuti alla veritas-> diventa un topos (lungo comune di tutte le prefazioni storiografiche). Il termine tecnico veritas serve per indicare la veridicità dei contenuti. Tacito, in particolare nella prefazione degli Annales, ricorda come fino ad Augusto non mancarono degli storici abili d’ingegno, ma dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), le verità fu infranta e il racconto storiografico fu contaminato dall’odio nei confronti dei principi o dal servilismo-> ovvero dall’adulazione. Storiografia dei senatori: definita così da Syme-> ovvero scritta da persone appartenenti ai ceti alti, che facevano parte anche loro della dirigenza. La storiografia è considerato un genere letterario complesso e pericoloso perché ricostruiva la memoria di momenti anche difficili (ad esempio quello del cambio istituzionale con l’avvento del principato). 2. Moralismo: la storia di Roma viene interpretata come la frizione tra i vizi e le virtù dell’uomo, che in alcune fasi della storia hanno preso l’una il sopravvento sull’altro. L’impostazione di un’opera storica altina è pessimistica-> c’è stata sempre una prima fase, secondo lo storico, positiva e brillante, che secondo il momento storico in cui vive e di cui scrive lo storico è un momento che si collocale in una determinata fase dell’espansionismo romano, quindi un periodo di crescita, di evoluzione caratterizzato da grande operatività dei romani, dal desiderio di praticare la loro virtus, poi c’è stato un periodo di frattura che è diverso per ogni storico in base al periodo che prende in esame. Sallustio: la individua nella presa di Cartagine per 2 motivi: 1. Roma fu sommersa di beni di consumo-> il suo modo di vivere viene rivoluzionato. Cominciò l’avarizia, accaparramento dei beni da parte delle classi dirigenti e la nascita di un disagio sociale ed economico negli altri ceti. 2. Con la caduta di Cartagine terminò la paura in un nemico ben definito (i cartaginesi)-> accusati dai romani di ogni male (finirono con il rivolgere l’uno contro l’altro quell’aggressività che era un tratto del loro carattere). Tacito: individua la frattura nella battaglia di Azio-> momento importante di una frattura politica e culturale. Vede in questa battaglia la fine della veritas. Momento di crisi anche per il ceto intellettuale. Tito Livio: storico più debole come provenienza scoiale, a differenza di Sallustio e Tacito che avevano anche praticato la politica con Cesare. Livio viene da Padova e non appartiene a un ceto elevato, proprio per questo dovrebbe esaltare maggiormente il momento iniziale della nascita del principato, ma anche lui individua un momento di crisi grave-> non si esprime chiaramente, ma usa un avverbio nella sua prefazione “nuper” (di recente).

Teatro: capace di creare un genere come la praetexta, che nasce con Nevio (scrive un clastidium per ricordare la vittoria sui galli a Casteggio), ovvero una tragedia di argomento romano che a volte trae l’argomento del dramma dalla storia. La storiografia a Roma è un genere che rivela molto nazionalismo. È un racconto che crede nelle virtù del popolo romano, che crede nella sua grandezza (in certi valori che hanno reso grande Roma). Roma è sempre l’elemento di confronto positivo, in qualsiasi caso, anche quando nel confronto con altre popolazioni sembra avere la peggio da un punto di vista morale. Tacito nell’Agricola (sorta di monografia/biografia su Agricola, funzionario dello stato e suo suocero-> compie spedizione in Britannia sotto Domiziano [opera minore rispetto alla trattazione delle Historiae e degli Annales]) fa dire ad un generale britanno, Calgaco, alla vigilia di una battaglia, un discorso molto polemico nei confronti dei romani-> critica di base rispetto all’espansionismo romano. Gli fa dire che i romani sono una sorta di predoni del mondo, il loro espansionismo politico è dovuto solo all’avidità-> conquistano popoli che gli garantiscono ricchezza. Si colgono voci di dissenso negli scritti degli storici. Sallustio scrive 2 monografie: -

Congiura di Catilina Bellum Iugurthinum

Opera di impianto tradizionale-> le Historie (I secolo a.C.) di cui non rimane molto, ma dei frammenti, tra cui dei discorsi e delle lettere molto significative. In una di queste, scritta da Mitridate, re del Ponto, ad un sovrano orientale a cui stava chiedendo un’alleanza contro i romani, si sentono le stesse voci di condanna dei romani-> condannata la rapacità come tratto caratteristico della loro politica estera. A volte gli storici sono stati ostili a Roma. I romani sono sempre un modello positivo in quanto virtus, rispetto agli altri popoli, perché rispetto alle loro colpe, che sono individuabili in momenti/fasi del loro sviluppo storico, alla fine hanno saputo organizzare un modello politico, istituzionale, militare che non ha eguali nel mondo. Virtus particolare del popolus romano che le altre nazioni, per quanto possano essere più pure nel loro comportamento esteriore, sono ancora ad un livello inferiore di civiltà. -

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Caratteri del moralismo nella storiografia aa Roma; del pessimismo e del forte nazionalismo presente sia quanto Roma viene esaltata nelle sue opere, battaglie… sia quando ci sono quelle più rare (voci di dissenso) che ne condannano la politica, in particolare quella espansionistica. Topos della veridicità a cui nessuno storico si sottrae nelle dichiarazioni delle varie prefazioni.

Gellio: scrittore del II secolo. Scrive le noctes atticae, in cui immagina che durante le notti, che probabilmente aveva trascorso durante un suo soggiorno ad Atene, ha raccolto materiale di vario carattere (erudizione enciclopedica-> questioni grammaticali, di storia locale, episodi, aneddoti, dibattiti tra personaggi/uomini di cultura). Grazie a questa tipologia che raccoglie materiale di vario carattere abbiamo le uniche testimonianze di aneddoti, dibattiti… Nel capitolo 18 del suo V libro delle noctes atticae ricorda una polemica, che nel II secolo a.C. si svolse probabilmente all’interno del mondo degli storiografia. Ricorda che lo storico Sempronio Asellione, di cui non ci è giunto quasi niente, aveva scritto nel primo libro della sua opera (quindi probabilmente in una prefazione) tutta la sua polemica rispetto ad una certa modalità di scrittura della storia di Roma. La forma originaria di scrittura a Roma era quella annalistica-> prendeva il via dagli Annales maximi, che i pontefici massimi in una prima fase redigevamo su tavole, che poi venivano esposte al pubblico per una forma di chiarezza. Poi questi Annales vennero messi per iscritto e costituivano la memoria dei primi secoli di Roma.

Questa modalità di scrittura annalistica (scrivere gli eventi anno per anno) viene messa in discussione da Semprionio Asellione nella prefazione della sua opera perché dice: scrivere cosa accadeva anno per anno senza interrogarsi su quello che stava accadendo contemporaneamente all’interno di Roma, oppure quali fossero gli uomini che agivano in un modo e perché-> quindi scrivere acriticamente una serie di fatti con l’unico criterio di scrivere anno per anno non è scrivere storia, ma è fabula pueris narrare-> ovvero è come raccontare una favola a dei bambini. Uno storico deve metterci spirito critico in quello che racconta e interrogarsi sulle motivazioni, sull’importanza diversa che un evento ha rivestito in una determinata fase storica a Roma. Dunque, tra gli storici nel II secolo a.C., secondo quanto riportato da Gellio, si fece strada la necessità di abbandonare una modalità acritica di scrivere storia e sentì l’esigenza di scrivere su alcuni argomenti in particolare, che avevano influenzato l’andamento della storia di Roma e l’avevano deviata in una determinata direzione. Lotta tra una scrittura continuata della storia e una monografica (μονος: solo/γραφια: scrittura)-> monografia: scrittura su un solo argomento-> che lo storico riteneva particolarmente rappresentativo delle scelte politiche dell’epoca). Sallustio: primo di cui abbiamo monografie e nelle 2 prefazioni delle sue opere spiega perché ha scelto questi argomenti. Congiura di Catilina (congiura mossa da un giovane di buona famiglia-> circondato da altri giovani nobili che si erano in...


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