Parafrasi PDF

Title Parafrasi
Course Letteratura Italiana e Lingua Italiana
Institution Università degli Studi di Salerno
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Parafrasi ...


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L’INIZIO In quella parte del libro della mia memoria (metafora per indicare i ricordi della fanciullezza), prima della quale si potrebbe leggere ben poco (proprio perché si tratta dei primi ricordi dell’autore), si trova una rubrica (titolo scritto in rosso, dal latino ruber = rosso), che recita: Incipit Vita Nova (ovvero: “Qui comincia la vita nuova”). Sotto questa rubrica io trovo scritte le parole che ho intenzione di ricopiare (assemplare) in questo breve libro, e se non tutte, per lo meno la parte fondamentale di esse (sentenza = il sunto, oppure il significato sostanziale). Già quasi per nove volte (fiate), dopo la mia nascita, il sole era ritornato al medesimo punto della sua orbita (ovvero “erano passati nove anni dalla mia nascita”, dunque, poiché Dante nasce nel 1265, siamo nella primavera del 1274), quando apparve per la prima volta (prima) davanti ai miei occhi la signora (donna, dal lat. Domina = signora, padrona) gloriosa della mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice (ovvero “portatrice di beatitudine”), senza che sapessero che si chiamasse realmente così. Lei aveva vissuto un tempo pari allo spostamento di un dodicesimo di grado del Cielo delle Stelle Fisse (ovvero “aveva 8 anni e quattro mesi di vita”, poiché il Cielo delle Stelle Fisse, nell’astronomia medievale, ruota di un grado ogni secolo); per cui mi apparve al principio del suo nono anno di vita e io la vidi che stavo per terminare il mio nono anno di vita. Mi si presentò vestita di un colore nobilissimo, umile e casto, rosso scuro, con una cintura (la cintura indica la condizione di donna non sposata, la veste rosso scuro l’ardore di carità) e ornata in maniera confacente alla sua giovanissima età. In quel preciso istante, dico sinceramente, lo spirito vitale, che si trova nel luogo più intimo del cuore (la teoria secondo la quale le funzioni vitali dell’uomo sono assicurate da spiriti residenti nelle parti del corpo è di Alberto Magno, e viene ripresa, in ambito Stilnovista, sia da Dante che da Cavalcanti), cominciò a tremare con una tale intensità che si manifestava in modo spaventoso finanche nelle minime pulsazioni, e tremando disse queste parole: “Ecco un Dio più forte di me, che giungendo mi sottometterà” (l’espressione viene dai Vangeli, dove è riferita a Gesù Cristo, Dante invece vuole intendere l’Amore, lo spirito più forte che sottometterà il suo spirito vitale). In quell’istante lo spirito animale (lo spirito animale, nella teoria di Alberto Magno, è la parte dell’anima deputata alle funzioni sensoriali), che si trova in quel luogo posto in alto (nel cervello), dove tutti i sensi portano le loro percezioni, cominciò a stupirsi fortemente e rivolgendosi in particolar modo agli spiriti degli occhi disse queste parole: “È appena apparsa la fonte della vostra beatitudine”. E in quel momento, lo spirito naturale, che si trova in quella parte del corpo dove viene somministrato il nostro nutrimento (sempre in base alla teoria di Alberto Magno, lo spirito naturale, deputato al nutrimento, aveva sede nel fegato o nello stomaco), cominciò a piangere, e mentre piangeva disse queste parole: “Ah povero me, che d’ora in poi sarò frequentemente impedito nello svolgimento della mia funzione” (il riferimento è alla perdita dell’appetito che sopraggiunge quando ci si innamora). Da allora in avanti dico che Amore dominò l’intera mia anima, la quale, in questo modo, fu subito e per sempre legata a lui (disponsata), e (Amore) cominciò ad avere su di me un tale ardimento e una tale egemonia, per via della forza che gli conferiva la mia facoltà immaginativa (il pensiero continuo di Beatrice), che per me era inevitabile assecondare in tutto e per tutto i suoi desideri.

LO STILE DELLA LODA [vv. 1 – 4] Donne che comprendete cosa sia l’amore, io voglio (vo’) parlare a voi della mia donna, non perché io pensi di poter esprimere compiutamente (finire) la sua lode, ma solo per parlare, al fine di dare sfogo ai pensieri. [vv. 5 – 8] Io affermo che, quando considero il suo valore (valore: l’insieme delle qualità fisiche e spirituali della donna), Amore mi si fa sentire tanto dolcemente che, se in quel momento (allora) io non perdessi le forze (ardire), con le mie sole parole potrei far innamorare chiunque (la gente). [vv. 9 – 14] Però io non voglio parlarne in modo così elevato (sì altamente), da risultare inadeguato al mio scopo (vile) a causa del timore (per temenza: il timore è ovviamente quello di non essere all’altezza), perciò parlerò della sua nobiltà (stato gentile, con riferimento alla nobiltà dell’animo) in modo semplice (leggeramente) se comparato alle sue qualità (a respetto di lei), e lo farò con voi, donne e fanciulle che capite cos’è l’amore (amorose), dal momento che non è questo un argomento del quale parlare con altri. [vv. 15 – 18] Un angelo invoca l’intelletto divino e dice: “Signore, nel mondo si può vedere un miracolo incarnato (ne l’atto: lett. in atto) che proviene (procede) da un anima che risplende fin quassù (nel cielo)”. [vv. 19 – 21] E il cielo, al quale null’altro manca per essere perfetto (che non have altro difetto) che di possedere lei (di contare Beatrice tra le schiere dei beati), la reclama al suo Signore e ciascun santo invoca a gran voce la grazia (merzede) per lei. [vv. 22 – 28] Solo la divina misericordia (Pietate) difende la nostra causa (nostra parte: ovvero le ragioni degli uomini che vogliono che Beatrice resti sulla terra), in quanto Dio, alludendo a Beatrice (madonna) dice: “O miei amati, sopportate con pazienza che l’oggetto della vostra speranza (vostra spene, vale a dire Beatrice), per tutto il tempo che io desidero, resti là dove (sia … là ‘v’è) c’è chi si aspetta di perderla e che anche tra le pene dell’Inferno potrà dire (agli altri dannati): “Oh sventurati (mal nati) io ho potuto vedere la creatura che gli stessi beati potevano solo sperare di vedere”. [vv. 29 – 30] Dunque Beatrice (Madonna, dal latino mea domina) è desiderata nell’alto dei cieli; ora (or, congiunzione testuale che indica il passaggio ad un altro argomento della lode) voglio (voi) mettervi a conoscenza (farvi savere) del suo potere (virtù: il potere di Beatrice è, come si vedrà, il suo effetto salvifico). [vv. 31 – 34] Io esorto ad accompagnarsi con lei qualunque donna (qual) che voglia risultare nobile, perché, quando lei passa per strada, Amore getta il gelo nei cuori villani (ovvero non gentili, e dunque incapaci di amare), cosicché ogni loro pensiero si paralizza e si spegne. [vv. 35 – 36] E chiunque sopportasse di continuare a guardarla, si trasformerebbe in un essere nobile, oppure morirebbe. [vv. 37 – 40] E allorché incontra qualcuno che sia degno di guardarla (un cuore nobile), costui sperimenta l’effetto miracoloso (virtù: il potere) di lei, perché tutto ciò che ella emana si trasforma per lui (li avvien) in un senso di beatitudine (in salute) e a tal punto lo rende placido che egli dimentica ogni offesa ricevuta. [vv. 41 – 42] E inoltre Dio, come maggiore grazia, le ha concesso che chiunque abbia parlato con lei non possa essere condannato all’Inferno (mal finir). [vv. 43 – 44] Amore dice di lei: “Come può una creatura mortale essere a tal punto fornita di ogni grazia (sì adorna) e pura?”. [vv. 45 – 50] Poi la osserva attentamente e tra se e sé conclude con sicurezza (giura) che Dio intenda fare di lei una creatura straordinaria. Ha una carnagione quasi del colore della perla, e nella misura che si addice ad una donna, non di più. Lei è quanto di più perfetto la natura possa fare ed è in base a lei come modello che si misura la bellezza.

[vv. 51 – 56] Dai suoi occhi, non appena lei li muova, escono fiammeggianti spiriti d’amore che feriscono gli occhi di chi la guardi in quel momento (chi incrocia il suo sguardo) e sono così penetranti (passan sì) che ciascuno di loro giunge dritto al cuore (lo cor retrova): voi potete vederle Amore dipinto nello sguardo, là dove nessuno può guardarla fisso (negli occhi appunto). [vv. 57 – 58] Oh canzone, io so che parlerai a molte donne, una volta che io ti avrò diffusa. [vv. 59 – 65] Ora perciò io ti ammonisco, dal momento che io ti ho allevata come una figliola di Amore giovane e semplice, affinché, dovunque tu giunga, dica in forma di preghiera: indicate mi la via, perché io sono stata mandata a colei delle cui lodi sono piena (ossia a Beatrice)”. E se non vuoi girare a vuoto, non restare dove ci sia gente villana (i cuori non gentili incapaci di amare): [vv. 66 – 70] ingegnati, per quanto ti sia possibile, di rivelarti solo a donne o ad uomini cortesi, che ti porteranno là (da Beatrice) per la via più veloce (tostana). Così troverai Amore e insieme a lui, lei (Beatrice); raccomandami a lui come ti si addice

TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE È talmente nobile d’animo e tanto piena di decoro la mia signora, che quando rivolge ad altri il saluto,ecco che tutti ammutoliscono e abbassano lo sguardo, perché non hanno il coraggio di guardarla. Ella procede, sentendosi lodare, benevola e mite nel comportarsi, e sembra che sia una creatura discesa sulla terra per compiere un miracolo. Si dimostra così affascinante a chi la guarda che trasmette, tramite gli occhi, una dolcezza al cuore, tale che non la può capire chi non l’ha provata; sembra che dalla sua fisionomia esca uno spirito dolce ricolmo d’amore che va dicendo all’anima: Sospira (è impossibile non sospirare al vederla e al contemplare la sua grazia).

VEDE PERFETTAMENTE OGNI SALUTE [vv. 1 – 4] Vede la beatitudine nella sua forma più perfetta chi vede la mia donna tra altre donne, e quelle che camminano con lei sono tenute a rendere grazie a Dio per la grande concessione ricevuta. [vv. 5 – 8] E la sua bellezza ha un tale potere, che alle altre (donne) non ne deriva alcuna invidia, essa anzi le fa andare vestite di gentilezza, d’amore e di fede. Pubblicità [vv. 9 – 11] La visione di lei rende ogni creatura umile, e non fa apparire bella soltanto se stessa, ma per mezzo di lei tutti ricevono onore. [vv. 12 – 14] E nei suoi gesti è tanto nobile che nessuno può ripensare a lei senza sospirare pervaso dalla dolcezza d’amore.

COSì NEL MIO PARLAR VOGLI’ESSER ASPRO

Io, nella mia espressione poetica (nel mio parlar), voglio essere tanto aspro, quanto lo è nelle sue azioni (negli at) questa bella pietra (riferito all’amata, dura come una pietra), la quale racchiude dentro di sé, come in una roccia (impetra, dal verbo impetrare), una sempre (ognora) crescente (maggior) durezza e crudeltà (natura cruda), e che protegge (veste) il suo corpo (sua persona) con una pietra dura (diaspro), [vv. 6 – 8] al punto che, a causa di tale pietra (per lui, complemento di causa riferito a diaspro), oppure per il fatto che lei si ritrae (ella s’arretra), non esce mai dalla faretra (dalla faretra di Amore) una freccia (saetta) che riesca a sorprenderla indifesa (ignuda: metafora). [vv. 9 – 13] Mentre invece lei colpisce a morte (ancide), e non serve a niente che ci si protegga (ch’om si chiuda) o che ci si allontani (si dilunghi) da quei colpi mortali, i quali, come se avessero le ali, raggiungono chiunque (giungono altrui) e spezzano ogni corazza (ciascun’arme): per cui io non so, né posso difendermi (atarme, lett. aiutarmi) da lei. [vv. 14 – 19] Non trovo scudo che lei non riesca a spezzarmi, né luogo che mi nasconda dalla vista di lei (viso è latinismo): perché, come il fiore occupa la cima del ramo (fronda), così lei si trova in cima ai miei pensieri. Riguardo alla mia sofferenza mostra di preoccuparsi (par che si prezzi) tanto quanto una nave (legno: metonimia) si preoccupa di un mare che non solleva (lieva) neanche un’onda (vale a dire che la donna non si preoccupa minimamente del dolore che procura a Dante). [vv. 20 – 26] E il peso che mi fa sprofondare (affonda, metafora suggerita dalla precedente similitudine con la nave) è tale che nessuna poesia (rima) potrebbe descriverlo adeguatamente (adequar, cioè, etimologicamente, uguagliare). Ah, angosciosa e impietosa lima (metafora dell’amore che consuma il poeta), che logori (scemi) in silenzio (sordamente) la mia vita, perché non hai ritegno (ritemi) di corrodermi il cuore, strato dopo strato (a scorza a scorza: altra metafora concreta, suggerita dall’immagine della lima), come io invece ho pudore di rivelare agli altri (il nome di) chi ti dà la forza (ossia il nome della donna, colei che dà all’amore la forza necessaria a distruggere il poeta)? [vv. 27 – 32] Ogni volta (qualora) che penso a lei (di lei) in un luogo (in parte) dove qualcuno (altri) possa portare il suo sguardo (ossia “dove qualcuno mi possa vedere”), per la paura che (per tema non, costruzione ricalcata su quella latina dei verba timendi) il mio pensiero traspaia (traluca) all’esterno (di fuor) così da rivelarsi, il cuore mi trema più di quanto io non faccia (non fo: vale a dire “più di quanto non tremi io stesso”) per la paura della morte, la quale (morte), per mezzo dei denti di Amore, mi sta già divorando (manduca) ogni facoltà sensoriale, [vv. 33 – 34] nel senso che (cio è che) il pensiero (il pensiero assillante dell’amata sdegnosa) corrode il loro vigore (il vigore dei sensi), così da renderne meno efficace la funzione (n’allenta l’opra: indebolisce il loro lavoro). [vv. 35 – 99] Amore mi ha colpito e messo a terra e mi sta sopra, (armato) con quella stessa spada con la quale uccise Didone, e a lui io rivolgo le mie grida, invocando misericordia, e lo supplico con umiltà: ma lui sembra determinato a negarmi ogni forma di pietà. [vv. 40 – 43] Egli (Amore) ripetutamente (ad or ad or) alza la mano (armata di spada), e minaccia (sfida) la mia debole vita, questo spietato (perverso) che mi tiene a terra, disteso e con la faccia in su (a riverso), incapace per stanchezza di qualsiasi reazione (d’ogni guizzo stanco). [vv. 44 – 47] Allora nella mente mi nascono delle grida (strida); e il sangue, che è distribuito in tutto il corpo (disperso) attraverso le vene (per le vene), corre fuggendo verso il cuore che lo chiama; per cui io rimango pallido.

[vv. 48 – 52] Egli mi ferisce sotto il braccio sinistro così violentemente, che il dolore si ripercuote (rimbalza) nel cuore; allora dico: “Se egli alza di nuovo (la mano armata di spada), la Morte metterà fine alla mia vita (m’avrà chiuso) prima ancora che il colpo sia calato (disceso giuso)”. [vv. 53 – 58] Magari io potessi vederlo (lui, riferito ad Amore) spaccare in due (fender per mezzo) il cuore alla crudele donna che squarta (squatra) il mio; dopo di ciò (poi) non sarebbe per me brutta (atra, lett. scura, buia) la morte, verso la quale (ov’) io corro per via della sua bellezza: perché questa bandita (scherana) assassina (micidiale) e ladra (latra) colpisce (dà) sia con il sole, sia con l’ombra (nel rezzo: cioè colpisce continuamente, senza tregua, di giorno e di notte). [vv. 59 – 61] Me misero! Perché lei non si lamenta per me, come faccio io a causa sua, nell’abisso infuocato? Perché (in tal caso, se così fosse) io griderei immediatamente: “Vengo a soccorrervi”, [vv. 62 – 65] e lo farei volentieri, poiché (sì come quelli) metterei le mani nei biondi capelli che Amore, al fine di consumarmi, arriccia (increspa) e rende dorati (dora), e allora le piacerei. [vv. 66 – 69] Se io avessi afferrato le belle trecce (di lei), che per me si sono trasformate in uno scudiscio e in una frusta, prendendole prima dell’ora terza (le nove del mattino), passerei in loro compagnia la sera e l’ora delle campane (squille: l’ultima ora del giorno, un modo per dire da mattina a sera), [vv. 70 – 73] e non sarei dolce né cortese, anzi mi comporterei come l’orso quando gioca, e se Amore (oggi) mi frusta per mezzo di esse, io mi vendicherei (allora) più di mille volte. [vv. 74 – 78] Inoltre, guarderei fisso e da vicino in quegli occhi da cui escono quelle lingue di fuoco che m’infiammano il cuore che porto senza vita, al fine di vendicarmi del fuggire che lei fa da me (lo fuggir che mi face). E infine le renderei il perdono con l’amore. [vv. 79 – 83] O Canzone, va dritta presso quella donna che ha ferito il mio cuore e che mi sottrae la cosa della quale io ho maggior desiderio (ossia lei stessa e il suo amore), e colpiscila nel cuore con una freccia; perché nel fare una vendetta si guadagna grande onore....


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