Parafrasi Fiammetta PDF

Title Parafrasi Fiammetta
Course Filologia romanza
Institution Università degli Studi di Milano
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Parafrasi dell'Elegia di Madonna Fiammetta di Boccaccio....


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Elegia di Madonna Fiammetta -Parafrasi-

Capitolo V [Invocazione a Venere] «O bellezza speciale del cielo, o dea piena di pietà, o Venere santa, la cui immagine mi apparve in questa camera all’inizio dei miei affanni, porta conforto ai miei dolori, e per quell’antico e profondo amore che provasti nei confronti di Adone, mitiga i miei mali. Vedi quanto mi dispero a causa tua; vedi quante volte a causa tua ho pensato alla morte/ ho pensato a suicidarmi; vedi se la mia fede merita tutto il male che io sto sopportando. Io, giovane inesperta, non conoscendo le tue frecce, diventai suddita del tuo piacere senza disobbedirti. Tu sai tutto il bene che mi venne promesso grazie a te, e certamente non nego che io già avessi del bene; ma, se questi affanni che mi dai sono da intendersi come parte di quel bene [che mi venne promesso], periscano allora il cielo e la terra nello stesso momento, e si rimodellino allora con il mondo che seguirà delle nuove leggi simili a queste. Se è anch’esso male, come mi pare di capire, venga, o bella dea, il bene che mi fu promesso, in modo tale che la bocca non possa dire come gli uomini abbiano imparato a mentire. Manda tuo figlio con le sue frecce e le tue fiaccole dal mio Panfilo, là dove ora egli abita lontano da me, e se lui forse per il fatto di non vedermi è raffreddato nel suo amore per me, o se invece è infiammato dall’amore per qualche altra donna, fallo bruciare ancora in modo tale che, ardendo nello stesso modo in cui ardo io, non ci sia alcuna ragione che lo trattenga dal tornare, e in modo tale che io così riprenda un po’ di conforto, e non perisca sotto il peso di questo grande dolore. O bellissima dea, giungano le mie parole alle tue orecchie, e se tua non vuoi riscaldarlo [Panfilo], almeno togli dal mio cuore le tue frecce in modo tale che io, esattamente come Panfilo, possa trascorrere i miei giorni senza tutte queste angosce.» Con queste preghiere, prima ancora che sapessi essere vane, ma allora credendole ascoltate, alleviavo il mio tormento con grande speranza, e ricominciando dopo poco con nuovi mormorii, così dicevo: [Invocazione a Panfilo] «O Panfilo, dove sei tu ora? Deh, che cosa fai tu ora? Passi la silenziosa notte senza sonno e con molte lacrime come me, oppure la passi tra le braccia della giovane di cui con tanto dolore ho appreso l’esistenza? Oppure dormi pacificamente senza ricordarti affatto di me? Deh, come può essere che Amore governi due amanti con leggi così diverse, anche se ciascuno ama fermamente, come faccio io, e come forse fai anche tu? Io non so la risposta, ma se succede veramente così, cioè che gli stessi pensieri che mi tormentano, tormentino pure te, quali prigioni e quali catene ti trattengono, che non le hai ancora spezzate per venire da me? Certamente io non so cosa e chi mi avrebbe potuto trattenere dal venire da te, se soltanto il fatto di essere una donna, cosa che senza dubbio sarebbe per me ragione di impedimento e di vergogna, non mi trattenesse. Qualsiasi affare, tutte le altre ragioni che ti trattengono là, devono già essere finite; e di tuo padre, che deve già essersi stancato di te, prego spesso per la sua morte, come sanno gli dèi, credendo fermamente che sia lui la ragione del tuo non ritorno; e se non è la ragione del fatto che non torni, almeno fu la ragione del fatto che mi hai dovuta lasciare. Ma non dubito ormai che, pregando per la sua morte, la sua vita si allunghi, tanto gli dèi mi sono contrari e affatto disposti ad esaudirmi per ogni cosa che io chiedo. Deh, vincano il tuo amore, se è uguale a com’era prima, e le sue forze, se tu vieni da me. Non pensi a me che passo le mie notti da sola, notti durante le quali tu mi fosti fedele compagno, [non pensi] a se tu fossi con me, come già fosti? Ohimè! Quante notti lo scorso inverno ho passato da sola infreddolita senza di te nel grandissimo letto! Deh, ricordati dei vani piaceri che spesso

abbiamo trascorso insieme, e se te li ricordi, sono certa che nessuna donna ti potrà mai portare via da me. E questo pensiero più di ogni altro mi rende sicura del fatto che non sia vera la notizia che ho sentito di te che hai preso una nuova sposa, la quale, se esistesse anche, non ti può togliere a me, se non per poco tempo. Dunque ritorna; e se i piacevoli diletti non hanno la forza di riportarti indietro, ti riporti indietro il voler liberare da una morte turpissima colei che più di ogni altra cosa ti ama. Ohimè! Penso che se tu ora ritornassi da me, a stento mi riconosceresti, tanto l’angoscia mi ha trasformata. Ma è certo che, tutto ciò che le lacrime infinite mi hanno tolto, vedere di nuovo il tuo viso mi farebbe provare una breve felicità, e senza alcun dubbio tornerei la stessa Fiammetta di un tempo. Deh, vieni, vieni, che il tuo cuore ti chiama: non lasciare appassire la mia giovinezza che segue i tuoi piaceri. Ohimè! Io non so con che freno potrei moderare la mia felicità, se tu tornassi, in modo tale che non fosse visibile a tutti, perché io dubito, e lo faccio a ragione, che il nostro amore, così a lungo e con così grande senno e sofferenza celato, così non fosse manifesto a tutto. Ma ora anche se tu venissi a vedere, se queste bugie si svolgessero sia nei casi favorevoli sia in quelli sfavorevoli! Ohimè! Se tu ora fossi già venuto, e non potrebbe accadere di meglio se lo sapessero tutti [di questo amore], perché crederei me stessa al riparo da tutto.» E detto questo, esattamente come se egli avesse udito le mie parole, subito mi alzavo e correvo alla finestra, nella speranza ingannandomi di aver sentito ciò che in realtà non avevo sentito, e cioè che egli avesse bussato alla nostra porta, come era solito fare. O quante volte, se i solleciti amanti avessero saputo il mio stato, avrei potuto essere ingannata, se qualcuno di essi, malizioso, si fosse fatto credere Panfilo in quei momenti! Ma dopo che avevo aperto la finestra, e guardato la porta, gli occhi di rendevano conto dell’inganno; e così la vana felicità si ritorceva contro di me trasformandosi in improvviso turbamento, esattamente come, dopo che il robusto albero dai forti venti con le vele ravviluppate è trasportato a forza in mare da quelli [dai venti], la tempestosa onda sommerge senza fatica la nave pericolante. E ritornando come sono solita alle lacrime, infelicissima piango, e sforzandomi poi di dare tregua alla mente, sperando con gli occhi chiusi di addormentarmi, tra me e me in questo modo dico: [Invocazione al Sonno] «O Sonno, piacevolissima quiete di tutte le cose, vera pace degli animi, che fuggi ogni cura come un nemico, vieni a me, e caccia dal mio petto con il tuo operare tutti i miei pensieri. O tu, che diletti i corpi schiacciati dai pesanti affanni, e poni rimedio alle nuove fatiche, perché non sei ancora venuto? Deh, tu ora dai a tutti gli altri riposto: donalo a me, che ne ho bisogno più di tutti gli altri. Allontanati dalle giovani felici, che ora si esercitano nelle palestre di Venere tenendo i loro amanti tra le braccia, e che ti rifiutano e ti odiano, ed entra nei miei occhi, che sono sola e abbandonata, e dimoro vinta dalle lacrime e dai sospiri. O domatore dei mali e parte migliore della vita umana, consolami, e stai lontano da me solo quando Panfilo con le sue piacevoli parole diletterà le mie orecchie. O languido fratello della pesante morte, tu che rimescoli le cose false con quelle vere, entra negli occhi tristi! Tu prendesti possesso dei cento occhi di Argo che volevano restare aperti; deh, ora prendi i miei occhi che ti desiderano! O porto di vita, o riposo di luce, o compagno della notte, tu che vieni graziosamente allo stesso modo sia per i grandi re che per gli umili servi, entra nel mio triste petto, e rigenera piacevolmente le mie forze. O dolcissimo Sonno, che costringi l’umana generazione impavida della morte ad abituarsi alla sua lunga durata, occupa me con tutte le tue forze e scaccia da me i gesti insani, nei quali l’animo stesso si affatica senza fine.»

Capitolo VIII [Ultimi due paragrafi]

«[…] Ma se forse, o donne, considerate fatui i miei argomenti, e li ritenete argomenti ciechi degni di una cieca amante, ritenendo le lacrime altrui più infelici delle mie, quest’ultimo [argomento] supplisca da solo a tutti gli altri: se colui che prova invidia è più infelice di colui verso il quale prova invidia, allora io sono invidiosa di tutti coloro i cui mali ho reputato meno infelici dei miei. Ecco allora, o donne, che a causa degli antichi inganni della Fortuna io sono infelice; e oltre a ciò, non diversamente da come una lanterna che è vicina a spegnersi è solita gettare una vampa di luce più grande di quelle solite, essa si è comportata; dal momento che, dandomi in una prima apparenza un certo refrigerio, ma riportandomi poi alle lacrime da cui mi ero allontanato, mi ha resa infelicissima. E dal momento che io, allontanato ogni altro tipo di paragone, con uno solo [di paragone], cerco di rendervi certe dei miei mali, vi dico con la stessa gravità che le donne infelici miei pari possono dire, che in questo modo le mie sofferenze sono al presente più pesanti, di quanto fossero nella vana speranza, esattamente come la febbre suole, venendo con uguale caldo o freddo, [suole] offendere i malati che sono ricaduti nella malattia a più della prima volta in cui vi sono caduti. E dal momento che non potrei dirvi più nulla, ma elencare solamente le mie pene, e dal momento che ai vostri occhi sono pietosa, per non darvi più noia traendo a lungo le vostre lacrime se qualcuna di voi leggendo ne ha sparse, e per non perdere altro tempo in altre parole, [tempo] che mi richiama a piangere, scelgo di tacere, rendendovi manifesto il fatto che non esiste altro paragone al mio narrare di quello che io sento, che sia dipinto nel fuoco o che arda veramente. Per il quale [dolore] io prego Dio, che o attraverso le vostre preghiere o le mie, spenga il mio fuoco con acqua salutare, o facendomi morire, o facendo tornare Panfilo.»

Capitolo IX Nel quale capitolo Madonna Fiammetta si rivolge al suo libro, imponendogli come, quando e a chi esso debba andare, e da chi si debba guardare; e chiude il libro. O mio piccolo libretto, quasi tratto dalla sepoltura della tua donna, ecco, così come piace a me, è arrivata la tua fine molto più velocemente di quanto non sia arrivata la fine dei nostri mali; dunque, così come tu sei stato scritto dalle mie mani, e macchiato in più punti dalle mie lacrime, ti presento alle donne innamorate: esse, visto che sei guidato dalla pietà, così come io spero fermamente, ti vedranno volentieri, se Amore non ha cambiato le sue leggi da quando noi siamo diventati infelici. E questo abito misero con cui io ti mando non ti provochi vergogna nell’andare da ciascuna donna, sia essa di condizione elevata o meno, a meno che non sia lei a rifiutarti. Non si richiede per te un abito fatto in modo diverso, sempre che io abbia pensato a dartene uno diverso. Tu devi essere contento di mostrarti simile alla mia condizione, la quale, essendo infelicissima, ti fa vestire miseramente, esattamente come fa con me; e quindi tu non abbia a cuore alcun ornamento come invece fanno gli altri, cioè [tu non abbia cura] di nobili copertine, ornate e tinte di vari colori, o di rifinita punteggiatura, o di fini miniature, o di grandi titoli; queste cose non convengono ai grandi pianti, che tu porti con te; lascia queste cose e i grandi spazi e i begli inchiostri e le carte rese lisce con la pomice ai libri felici; a te si conviene invece di andare messo insieme con carte disordinate, macchiato e pieno di squallore, là dove io ti mando, e destare con i miei affanni la grande pietà negli animi delle donne che ti leggeranno. La quale pietà se accade che si mostri a causa tua sui bellissimi visi, subito nel mondo che puoi prendi merito di ciò. Sia io che te non siamo così favoriti dalla fortuna, che i segni di pietà [di chi ci guarda] non debbano essere vivissimi, né però questi segni sono diversi da quelli che lei stessa [la Fortuna] non può togliere ad alcuno che è infelice, e quindi non sono esempio di quelli che dona a coloro che sono felici, in modo tale che essi mettano al sicuro i loro beni, ed evitino di diventare come noi; libretto, così come tu puoi, questo mostra di me, in modo tale che, se esse sono sagge, per paura degli affanni di cui noi soffriamo diventino saggissime nei loro amori ad evitare gli oscuri inganni dei loro amanti.

Dunque vai: io non conosco quale sia il passo che più ti si addice, se quello veloce o quello lento, né conosco quali sono i luoghi che tu debba visitare per primi, né conosco da chi e come tu sarai ricevuto. Così come la fortuna ti guida, tu vai: il tuo corso non può essere molto ordinato. Il tempo nuvoloso ha nascosto alla tua vista ogni stella, le quali [stelle] anche se apparissero tutte, la fortuna a te avversa non t’ha lasciato nessun mezzo per salvarti; e quindi buttato di qua e di là, come succede ad una nave senza timone e senza vela che è colpita dalle onde, così la fortuna ti abbandona, e come i luoghi riecheggiano, così fanno i consigli. Se tu mai giungerai nelle mani di qualcuna, la quale è così serena nei suoi amori che schernisce le nostre angosce, e ci schernisca come se fossimo dei pazzi, umilmente sostieni i fatti che vengono accolti come fossero delle burle, i quali sono comunque una piccolissima parte dei vostri mali, e ricorda a quella donna come la fortuna sia mutevole, e quindi [la fortuna] potrebbe rendere noi felici, e potrebbe rendere lei come noi [cioè infelice], e allora le renderemmo gli stessi scherzi e le stesse risa che lei ha rivolto a noi. E se invece troverai una donna che, leggendoti, non riuscirà a tenere gli occhi asciutti, ma che dolente e pietosa riguardo alle nostre sofferenze moltiplichi le tue macchie con le sue lacrime, tu raccoglile dentro di te, come se fossero sante, insieme con le mie, e mostrandoti più pietoso e afflitto, umilmente prega che preghi per me colui che con le sue ali dorate visita in un solo momento tutto il mondo, in modo tale che egli, forse perché pregato da una bocca più degna della nostra, e più arrendevole ad altri piuttosto che a noi, allevi le nostre angosce. E io, chiunque sia questa donna, prego sin da ora, con quella voce che è tipicamente data agli infelici, che ella non giunga mai ad una infelicità così grande, e che sempre gli dèi le siano sereni e favorevoli, e che possa protrarre per lungo tempo i suoi amori secondo i suoi desideri. Ma se per caso tra la schiera delle donne amorose, passando dalle mani di una in quelle di un’altra, giungerai tra le mani di quella donna nemica che è usurpatrice della nostra felicità, subito fuggi da quel luogo come se fosse un nemico, e non mostrare alcuna parte di te agli occhi di quella donna che è ladra, in modo che ella per la seconda volta, sentendo la nostra sofferenza, non si rallegri di averci fatto del male. E se dovesse accadere che quella donna ti trattenga con la forza, e che ti voglia vedere a tutti i costi, e ti dovesse mostrare che i nostri affanni non la fanno ridere ma piuttosto piangere, e che tornando a ragionare, ci renda il nostro amante. Oh, che cosa felice sarebbe questa, e come sarebbe fruttuosa la tua fatica! Fuggi gli occhi degli uomini, e se sei veduto da questi occhi devi dire: «O genere ingrato e ingannatore delle donne semplici, non si conviene a voi di vedere le cose pie». Ma se tu dovessi giungere a colui che è l’origine dei nostri mali, sgridalo e dì: «O tu, che sei più rigido di una quercia, fuggi di qui, e non violarci con le tue mani: la fiducia che tu hai rotto è la ragione di tutto ciò che io contengo; ma se con una mente umana tu vi vuoi leggere, forse riconoscendo il torto che hai commesso nei confronti di colei che, se torni da lei, desidera perdonarti, allora leggimi; ma se non vuoi fare questo, non si conviene a te di vedere le lacrime di cui sei causa, soprattutto se le vuoi accrescere esattamente come era la decisione che hai preso all’inizio». E se dovesse accadere che qualche donna si meravigli delle tue parole rozzamente composte, dì che quelle mandi via, perché le parole ornate si trovano negli animi limpidi e nei tempi sereni e tranquilli. Piuttosto dovrai dire che mostri ammirazione come a quel poco che narri disordinato bastarono l’intelletto e la mano, considerando che da una parte amore e dall’altra la gelosia con vari scontri tengono impegnato l’animo sofferente in una continua battaglia, e nel tempo indecifrabile favorendolo la fortuna avversa. Tu puoi ritenerti sicuro da ogni agguato, così come io credo, perché non sarai vittima dell’invidia di nessuno; ma se pure troverai qualcuno che è in uno stato più infelice del tuo, cosa che io dubito, e quella persona ti vedesse come più felici di lui, allora tu lasciati mordere [dall’invidia]. Io non so bene quale parte di te possa ricevere una nuova offesa, dal momento che ti vedo tutto lacerato dalle percosse della fortuna. Egli non ti può fare molto male, né farti arrivare in un luogo basso tu che prima eri in alto, dal momento che è infimo il luogo in cui ti trovi ora. E se ancora alla Fortuna non basta di averci fatto arrivare a terra, ma se cercasse di sotterraci sotto la terra, dal momento che siamo abituati alle avversità, [così tanto] che con quelle stesse spalle con le quali

abbiamo sopportato e ancora sopportiamo gli affanni maggiori, sopporteremo anche le minori; e però lei entra dove vuole. Dunque vivi: non te lo si può negare; e come esempio eterno sia per i felici sia per gli infelici, tu che sei la dimora delle angosce della tua donna. Qui finisce il libro chiamato Elegia della nobile Madonna Fiammetta inviato da lei a tutte le donne innamorate.

Parafrasi capitolo I [Pagine 40-41-42-43] Costui dunque, o donne pietose, fu colui che il mio cuore con folle stima tra i tanti giovani nobili, belli e valorosi, non solo quelli che erano qui presenti ma tutti quelli della mia città, [colui che il mio cuore] elesse come signore della mia vita, il primo, l’ultimo e il solo; costui fu colui il quale io amai e tutt’ora amo più di ogni altro; costui fu colui il quale doveva essere l’inizio e la ragione di ogni mio male e, come io temo, di dannosa morte. Questo fu il giorno in cui io stessa, che prima ero una donna libera, io divenni infelicissima serva; questo fu il giorno in cui io conobbi amore, che prima da me non era mai stato conosciuto; questo fu il giorno in cui per la prima volta i dannosi veleni contaminarono il mio puro e casto petto. O misera me! Quanto male venne fatto nei miei confronti in quel giorno! O misera me! Quanto ora sarebbero lontane da me la noia e l’angoscia, se questo giorno fosse stato pieno di tenebre! Ma cosa lo dico a fare? Le cose passate e brutte si possono più facilmente incolpare piuttosto che riparare. Io alla fine fui presa, così come è stato detto; o qualunque cosa fosse quella, se furia infernale o fortuna nemica che provava invidia nei confronti della mia pura felicità, insidiandola, in questo giorno con speranza di infallibile vittoria si poté rallegrare. Colta dunque a tradimento dalla nuova passione, quasi attonita e fuori di me, io sedevo fra le donne, e la sacra funzione, che io a malapena udivo e comprendevo, lasciavo passare, e similmente alle mie compagne ragionavo diversamente. E così tanto tutta la mia mente era occupata dal nuovo e subitaneo amore, che, o con gli occhi o con il pensiero io continuavo a guardare l’amato giovane, e nemmeno tra me e me capivo quale esito di questo fervente desiderio io domandassi. O quante volte io, desiderosa di vedermi più vicina a lui, biasimai il suo stare dietro insieme agli altri, considerando tiepidezza quella cautela che lui usava! E già mi annoiavano i giovani che stavano intorno a lui, tra i quali io guardavo qualche volta l’oggetto della mia attenzione, alcuni di questi giovani, credendo che guardassi invece loro, pensarono di essere amati da me. Ma, mentre questi erano i miei pensieri, si concluse il solenne ufficio, e già le mie compagne si erano alzate per andarsene, quando io, dopo avere richiamato l’anima che vagava intorno all’immagine del giovane desiderato, me ne accorsi [che il santo ufficio era finito]. Alzatami dunque insieme alle altre, e rivolti i miei occhi verso di lui, vidi nei suoi gesti quello che io con i miei gesti cercano di mostrargli, e quindi gli mostrai che andarmene mi procurava dolore. Ma in qualunque caso, dopo qualche...


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