poesia neoterica e catullo PDF

Title poesia neoterica e catullo
Course Letteratura Latina
Institution Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
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LA POESIA NEOTERICA Nel I secolo a.C. cresce una nuova generazione di poeti, in forte rottura con la tradizione nazionale. Per indicare le tendenze innovatrici dell’avanguardia poetica, Cicerone conia la sprezzante definizione di poetae novi (o neòteroi, alla greca). La poesia neoterica segna il culmine, sul piano letterario, di una tendenza da tempo sensibile nella cultura latina: da una parte il crescente disinteresse per la vita attiva in politica, per i valori della trazione, in pratica del ruolo del civis romano; dall’altra il contemporaneo affermarsi del gusto dell’otium, del tempo libero dedicato alle lettere e ai piaceri, alla soddisfazione dei bisogni individuali e privati. I tratti che accompagnano questo nuovo modo di far poesia sono: - Rifiuto del mos maiorum, della vita impegnata al servizio della comunità, che si riflette nella diffusione dell’epicureismo che predica la rinuncia dei negotia a favore di una vita appartata e tranquilla; - Amore come tema privilegiato; per gli epicurei il fine è l’atarassìa, il piacere senza turbamenti, e l’eros è una malattia insidiosa, mentre per i neòteroi l’amore è il sentimento centrale della vita, il fulcro e la ragione essenziale del vivere; - Cura formale: l’ossessione per il gusto formale della poesia si traduce anche in contatti, incontri, discussioni, lettere cioè in una attività critico – filologica che accompagna la pratica poetica vera e propria e le fa da supporto e verifica; - Misura breve: i generi privilegiati di questa poesia non sono quelli pomposi della tradizione ma sono quelli della poetica callimachea, adatti al lavoro di cesello (labor limae), come l’epigramma o l’epillio che consentono al poeta di fare sfoggio della propria preziosa erudizione e di attuare raffinate strategie compositive.

CATULLO Gaio Valerio Catullo nasce a Verona, in Gallia Cisalpina, da famiglia agiata ma la sua data di nascita non è certa. Probabilmente nacque nell’87 a.C. e morì nel 57 a.C. A Roma conobbe e frequentò personaggi di spicco dell’ambiente politico e letterario ed ebbe una relazione d’amore con Clodia (la Lesbia dei suoi versi), quasi certamente la sorella di Clodio e moglie di Quinto Cecilio Metello, console nel 60 a.C. Probabilmente nel 57 andò in Bitina e in questa occasione visitò la tomba del fratello, morto e sepolto nella Troade.  LIBER Raccolta di 116 carmi. 1. CARMI 1-60: componimenti brevi e di carattere leggero, noti anche come nugae (passatemi), in metro vario; 2. CARMI 61-68: componimenti eterogenei ma di maggiore estensione e cura formale noti come carmina docta, anch’essi in metro vario; 3. CARMI 69-116: carmi generalmente brevi e in distici elegiaci, i cosiddetti “epigrammi”. Carme 2:

un’armonica impalcatura sostiene un moto sentimentalmente vivace e lo incanala in una struttura semplice e raffinata. Quello che vuol sembrare un sospiro sfuggito al poeta è in realtà un carme costruito preziosamente su precisi rapporti di forma. Passer, deliciae meae puellae, quicum ludere, quem in sinu tenere, cui primum digitum dare adpetenti et acris solet incitare morsus, cum desiderio meo nitenti carum nescioquid libet iocari et solaciolum sui doloris credo, tum gravis acquiescet ardor Tecum ludere sicut ipsa possem et tristis animi levare curas!

Passero, gioia della mia ragazza, che gioca con te, ti tiene in grembo, ti porge la punta del dito mentre salti verso di lei e provoca le tue pungenti beccate, quando al mio desiderio, alla mia luce piace inventare qualche dolce svago come esiguo conforto alla sua pena (io credo) perché allora trovi pace la tua passione. Potessi anch’io scherzare, come lei con te, alleviare gli affanni del mio cuore. Carme 5: il più celebre “carme dei baci” è un bilanciato gioco di antitesi e di richiami simmetrici celato dietro le parole che vogliono apparire dettate dalla passione più immediata. Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis. Soles occidere et redire possunt; nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda. Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum; dein, cum milia multa fecerīmus, conturbabimus illa, ne sciamus, aut ne quis malus invidere possit, cum tantum sciat esse basiorum.

Viviamo ed amiamoci, o mia Lesbia: le chiacchiere dei vecchi troppo seri stimiamole tutte due soldi. Il solo può cadere e ritornare, ma noi – quando la nostra breve luce

si sarà spenta una volta – avremo una notte soltanto da dormire, infinita. Dammi mille baci ed altri cento, ed altri mille, e dopo, ancora cento. Quando saranno migliaia confonderemo il conto per non sapere, o evitare il malocchio di un invidioso, quando saprà che sono stati tanti i nostri baci. Dopo i primi versi carichi di pathos lo slancio dell’invito ai baci può apparire come il grido euforico di chi voglia spezzare la gabbia dell’ansia della morte ma proprio ciò che sembra espressione spontanea, incontrollata, si rivela un’attenta e controllata struttura formale: basta la asimmetricità dell’alternarsi di deinde e dein a dimostrare come nulla sia lasciato ad una disposizione casuale. Carme 8: Miser Catulle, desinas ineptire, et quod vides perisse perditum ducas. Fulsere quondam candidi tibi soles, cum ventitabas quo puella ducebat, amata nobis quantum amabitur nulla. Ibi illa multa tum iocosa fiebant, quae tu volebas nec puella nolebat. Fulsere vere candidi tibi soles.

[…] At tu, Catulle, destinatus obdura!

Infelice Catullo, non impazzire più. Ritieni morto ciò che vedi morto. Ti sorrisero un tempo soli fulgidi, quando venivi dove la fanciulla ti conduceva, la fanciulla amata da te quanto mai sarà nessuna. Quanti giochi, allora! Tu li volevi, lei non li sdegnava. Sì, veramente i soli ti brillarono. Il vocativo finale che riprende quello del primo verso chiude il componimento in una salda forma circolare, che riesce a comunicare contemporaneamente l’ansia e il suo faticoso controllo. In Catullo, il destinatario di ogni carme è per lo più rappresentante di una cerchia raffinata e colta e lo sfondo della poesia di Catullo è costituito dall’ambiente letterario e mondano della capitale di cui

la cerchia degli amici neoterici fa parte, accomunati dagli stessi gusti, dallo stesso linguaggio, dall’ideale di grazie e brillantezza di spitiro: lepos (grazie), venustas (bellezza leggiadra), urbanitas (modo di comportarsi civile e cortese nei normali rapporti con altre persone) sono i principi che regolano questo codice etico ed estetico che governa comportamenti e rapporti reciproci ma ispira anche il gusto letterario e artistico. La figura di Lesbia, incarnazione della devastante potenza dell’eros è protagonista indiscussa della poesia catulliana. Lo stesso pseudonimo richiama Saffo. È una donna dotata di grazia, bellezza, intelligenza, cultura, modi raffinati e spirito brillante. Gioie, sofferenze, tradimenti, abbandoni, speranze, inganni scandiscono le vicende di questo amore che è vissuto da Catullo come l’esperienza capitale della propria vita. L’eros, non più marginale come era nella morale tradizionale che lo vedeva come debolezza giovanile e tollerabile finché non infrangesse certe convenienze di ordine sociale, diventa centro dell’esistenza e valore primario. Il solo in grado di risarcire la fugacità della vita umana. Il rapporto con Lesbia, nato come adulterio, come amore libero e basato sull’eros, nel farsi oggetto esclusivo dell’impegno morale del poeta tende paradossalmente a configurarsi nelle aspirazioni di Catullo come un tenace vincolo matrimoniale. Le recriminazioni per il foedus d’amore violato da Lesbia sono un motivo insistente sulla bocca del poeta. Catullo cerca di fare di questa relazione irregolare un foedus ma l’offesa ripetuta del tradimento produce in lui una dolorosa dissociazione fra la componente sensuale (amare) e quella affettiva (bene velle). Celebre esempio di questo conflitto interiore è il carme 85 che condensa in un ossimoro (odi et amo) la dolorosa sensazione del poeta stupito di fronte al dissidio che lo lacera. Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucio Odio e amo. Perché lo faccia, mi chiedi forse. Non lo so, ma sento che succede e mi struggo.

Catullo scrive anche epilli, poemetti brevi in esametri, di argomento mitologico dai risvolti patologicamente passionali. L’epillio con le sue stesse dimensioni favorisce il paziente lavoro di rifinitura stilistica che sul piano dei contenuti permette al poeta di far sfoggio della sua preziosa dottrina. Il carme 64 è un celebre esempio di epillio. Narra il mito delle nozze di Peleo e Teti ma nella vicenda principale contiene anche un’altra storia, che figura ricamata nella coperta nuziale, quella dell’abbandono di Arianna a Nasso da parte di Teseo. La storia di Arianna è incastonata mediante la tecnica alessandrina dell’èkphrasis e della digressione e l’intreccio delle due vicende d’amore istituisce fra di esse una serie di relazioni che hanno il loro nucleo nel tema della fides, la virtù cardinale del mondo etico catulliano, quella fides di cui, nella lontana età degli eroi, gli stessi dei si facevano garanti e che nella corrotta età del presente è violata insieme agli altri valori religiosi e morali. Arianna ammonisce così l’infedeltà di Teseo: Nunc iam nulla viro iuranti femina credat, nulla viri speret sermones esse fideles Da ora nessuna donna creda ad un uomo che giura, nessuna speri che i suoi discorsi siano sinceri.

Il canto profetico delle Parche saluta invece le nozze di teti con Peleo esaltando la reciproca fedeltà dei due sposi: Nulla domus tales umquam contexit amores, nullus amor tali coniuxit foedere amantes Nessuna casa strinse insieme simili amori, nessun amore mai congiunse due amanti in tale patto. Il mito si fa proiezione e simbolo delle aspirazioni del poeta, del suo bisogno perennemente inappagato di ancorare un amore tanto precario a un vincolo più saldo, a un foedus duraturo. Catullo scrisse anche epitalami, cioè canti nuziali. Sono epitalami i carmi 61 e 62. Nel ciclo dei carmina docta è compreso anche il carme 66 che è un omaggio a Callimaco. È la traduzione in versi latini di un’elegia famosa del poeta greco, nota come Chioma di Berenice. Nel tradurre la vicenda del catasterismo, cioè della trasformazione di un ricciolo di Berenice in costellazione, Catullo introduce o accentua temi centrali della sua ideologia come l’esaltazione della fides, della pietas, condanna dell’adulterio e celebrazione delle virtù eroiche. Il carme 68 riassume i temi principali della poesia di Catullo, come amicizia e amore, attività poetica, la sua connessione con Roma, il dolore per la morte del fratello. Il ricordo dei primi amori furtivi con Lesbia sfuma nel mito: la vicenda di Protesilao e Laodamìa si fa archetipo della vicenda di Catullo e Lesbia, di un coniugium anch’esso imperfetto e precario. Il largo spazio concesso al ricordo e alla vita vissuta in un componimento che andava al di là delle dimensioni dell’epigramma dovevano farlo apparire con il progenitore della futura elegia soggettiva latina.

LINGUA E STILE: La lingua catulliana è il risultato di un originale combinazione di linguaggio letterario e sermo familiaris: il lessico e le movenze del parlato vengono assorbiti e filtrati da un gusto aristocratico che li raffina e li impreziosisce, senza però isterilirne le capacità espressive. Particolarmente frequenti sono i diminutivi, caratteristica del linguaggio familiare, che nella loro stessa mollezza fonica e formale sembrano rivelare l’adesione a quell’estetica del lepos e della grazia caratteristica della poesia catulliana. Lo stile è composito e vitale e utilizza un’ampia gamma di modalità espressive che vanno dall’invettiva scurrile alle morbidezze del linguaggio amoroso, dalla baldanza giovanile grazia leggera, alla pacata malinconia, agli abbandoni di certi momenti elegiaci. I carmi brevi sono più vivacemente espressivi e la dominante è quella affettiva e autobiografica mentre nei componimenti maggiori sono più evidenti la dottrina e l’elaborazione stilistica....


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