Politica Economica - Riassunto completo dell\'ultima edizione 2019 dei capitoli 1,2,3,4 PDF

Title Politica Economica - Riassunto completo dell\'ultima edizione 2019 dei capitoli 1,2,3,4
Author Eleonora La Vite
Course Politica economica
Institution Università degli Studi di Palermo
Pages 40
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Warning: TT: undefined function: 32 Warning: TT: undefined function: 32POLITICA ECONOMICATeoria e PraticaCAPITOLO 1: i fondamentiMolteplici sono gli atteggiamenti che l’economista ha facoltà di scegliere riguardo al tema della decisione: può evitare la politica come oggetto di studio, per concentrar...


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POLITICA ECONOMICA Teoria e Pratica

CAPITOLO 1: i fondamenti Molteplici sono gli atteggiamenti che l’economista ha facoltà di scegliere riguardo al tema della decisione: può evitare la politica come oggetto di studio, per concentrarsi sugli effetti delle scelte pubbliche (economia positiva); oppure può tentare di esercitare su di essa la propria influenza, indirizzandole delle raccomandazioni ( economia normativa); oppure può assumerla come tema principale, sforzandosi di rappresentare le determinati delle politiche economiche (political economy). ● ECONOMINA POSITIVA: l’economista cerca di determinare attraverso quali canali le decisioni pubbliche influenzano i comportamenti privati. La politica economica in questo caso viene considerato come un dato esogeno di cui l’economista cerca di studiare. Questo tipo di economia affronta la politica economica con i medesimi concetti e metodi che utilizzerebbe per un qualsiasi fenomeno economico. ● ECONOMIA NORMATIVA: l’economista in questo caso, si domanda quale insieme di decisioni pubbliche possa meglio sostenere le finalità dichiarate come riassorbimento della disoccupazione, il miglioramento del tenore di vita. Questa economia si imbatte in difficoltà alle quali l’economia positiva sfugge per tre motivi: 1 necessità di definire degli obiettivi di politica pubblica e di comporre i trade-offs tra gli obiettivi alternativi 2 incertezza sulla decisione giusta tra first-best e second-best. La prima è quella che conduce ad una situazione nella quale non è possibile un intervento che accresca il benessere di un individuo. La seconda si riferisce al fatto che, quando vi sono dei vincoli per raggiungere soluzioni di first-best, lo stato impiega strumenti di politica economica creando delle distorsioni per correggerne altre. 3vastità dei problemi che vi sono a causa dell’informazione asimmetrica fra il decisore pubblico, coloro cui spetta di realizzare la decisione e coloro ai quali quest’ultima si applica. ●

POLITICAL ECONOMY: si occupa di rappresentare i vincoli e i processi di decisione nei regimi democratici. Essa si ispira ad una visione riduttiva, secondo la quale i politici non anno altro obiettivo che quello di mantenersi al potere. Per James Buchanan i giudizi normativi devono limitarsi al quadro che definisce la politica economica: la costituzione e l’insieme delle regole, delle procedure e delle istituzioni nell’ambito delle quali le decisioni di politica economica vengono assunte.

In sintesi l’economia positiva resta alla base dell’analisi delle decisioni pubbliche, ma essa è sempre più integrata dalla political economy. L’economia normativa resta importante ma cosciente dei propri limiti, è diventata più modesta: mettere in luce una carenza dei mercati per giustificare un intervento pubblico non è più sufficiente, occorre anche assicurarsi che esso sarà effettivamente in grado di migliorare la situazione. Quanto alla political economy, essa fornisce spiegazioni utili, in particolare al fine di apprendere la dimensione economica della riforma delle istituzioni nazionali e internazionali.

Quale per la politica economica? I principali compiti dei decisori di politica economica possono classificarsi in 6 categorie: 1 Definire e applicare le regole del gioco economico. La legislazione economica definisce il quadro all’interno del quale gli agenti privati assumono le proprie decisioni. Ciò include la protezione dei consumatori, la politica della concorrenza ecc. 2 Tassare e spendere. Imposte e sicurezza sociale, produttività attraverso le spese per le infrastrutture, ricerca e istruzione, domanda aggregata attraverso il consumo e investimenti pubblici. 3 Emettere moneta e regolarne l’offerta. La scelta di un regime monetario e di cambio è una delle decisioni più importanti che un governo possa essere condotto a prendere. 4 Produrre beni e servizi. Responsabilità dell’offerta delle cure sanitarie, dell’istruzione o controllo dell’imprese pubbliche in settori come trasporti o energia. 5 Risolvere i problemi (o pretenderlo di farlo). Cercare di influenzare le decisioni private o almeno darne l’illusione. 6 Negoziare accordi con altri paesi. I governi partecipano alla governance delle istituzioni regionali e mondiali. La politica economica ha delle accezioni diverse da un paese all’altro. Negli USA le discussioni di politica pubblica si incentrano sulla fissazione dei tassi di interesse da parte delle Federal Reserve, sulle reazioni del congresso alle proposte del presidente in materia di tassazione e bilancio. Nell’UE sono le riforme strutturali a occupare l’agenda del dibattito. Infine, in Argentina, Brasile e Turchia l’unica ossessione è il controllo dell’inflazione e la prevenzione delle crisi finanziarie. Rappresentazione semplificata della politica monetaria. Gli obiettivi della politica monetaria sono numerosi e a volte contraddittori fra loro. La politica economica dispone di numerosi strumenti. Io più tradizionali riguardano la politica monetaria (fissazione di tassi d’interesse) e la politica di bilancio o fiscale (livello spesa pubblica). Al di là dell’approccio macroeconomico, essa si avvale anche dell’approccio microeconomico: regolamentazioni, struttura dei tributi diretti e indiretti sulle famiglie ecc. Infine, le istituzioni estendono direttamente la loro azione al funzionamento dei mercati e influenzano l’efficacia degli strumenti di politica economica. L’economista Douglass North definisce le istituzioni come i “vincoli creati dall’uomo per strutturare le interazioni tra gli uomini”. Politica economica come insieme di trade-off. Quando il numero degli strumenti è uguale a quello degli obiettivi (n=p), quest’ultimi potranno essere raggiunti tutti. Si tratta della regola di Tinbergen, in base alla quale il perseguimento di n obiettivi indipendenti dalla politica pubblica necessita che il governo disponga di un numero almeno equivalente di strumenti indipendenti. Applicando direttamente questa regola, una banca centrale indipendente, che persegua l’obiettivo di stabilità dei prezzi, lo potrà raggiungere. Ai governi accade di dover perseguire molteplici obiettivi con una gamma limitata di strumenti. Nella loro gestione quotidiana, la norma è quella di dover ricorrere ai trade-offs.

L’idea di un trade-offs fra disoccupazione e inflazione risala agli anni ’60. In questo periodo, l’economista A.J. Phillips, mise in luce una relazione negativa fra il tasso di disoccupazione e quello di crescita dei salari. Relazione che si può notare attraverso la curva di Phillips, curva che indicava, che la riduzione della disoccupazione di un punto percentuale avrebbe dovuto essere “pagata” con un aumento del tasso di inflazione.

Cambiare le istituzioni: le riforme strutturali. Le persistenti difficoltà delle economie europee hanno evidenziato i limiti dei consueti trade-offs di politica economica. Il trade-off a cui tutti i paesi europei si ritrovano a dover dare una risposta, viene descritto dalla retta con pendenza negativa AA. L’aspettativa più ragionevole nei confronti di una politica economica prevede che il suo obiettivo sia quello di elevare l’occupazione e nello stesso tempo la produttività. La soluzione migliore consiste nel modificare il trade-offs occupazione/produttività, spostando quindi la retta AA verso l’alto. Le proposte di riforma strutturale possono esser lette come tentativi di modificare le combinazioni di politica economica cambiando le varie istituzioni a essi proposte. Nei paesi in via di sviluppo e in quelli emergenti, il concetto è stato quello di aggiustamento strutturale, un insieme di riforme raccomandate dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale e imposte ai paesi richiedenti assistenza finanziaria, evocate con l’espressione Washington Consensus. L’aggiustamento strutturale ricopre molteplici aspetti di ciò che va sotto il nome di riforma strutturale. Queste riforme strutturali hanno spesso un effetto negativo nel breve periodo, ma positivo in quello lungo. L’esempio più radicale di riforma strutturale, è stato nel XX sec., il passaggio di un certo numero di paesi dall’economia pianificata all’economia di mercato. Le motivazioni dell’intervento pubblico. Si distinguono 3 funzioni della politica di bilancio/economica: ●

L’allocazione delle risorse, rientrano le politiche dirette a fornire i beni pubblici come investimento in ricerca e sviluppo, istruzione ecc.





La stabilizzazione macroeconomica. Essa affronta gli shock esogeni che allontano l’economia dall’equilibrio, con stabilità dei prezzi e pieno impiego dei fattori di produzione, proponendosi di ridurre la distanza da questo. La redistribuzione fra agenti o fra regioni, cioè la modifica della distribuzione dei redditi. È ciò che si prefiggono le politiche tributarie e i sussidi sociali.

Ciò che allocazione e stabilizzazione hanno in comune è il fatto che entrambe influiscono sul livello dell’attività economica nel suo complesso. Le politiche allocative tentano di accrescere il più possibile l’output raggiungibile senza inflazione (output potenziale); le politiche di stabilizzazione si propongono di minimizzare lo scarto fra output effettivo e potenziale (output gap). L’intervento pubblico ha come giustificazione il raggiungimento del primo teorema dell’economia del benessere, in base al quale ogni equilibrio concorrenziale è un ottimo nel senso di Pareto. Il valore di questa acquisizione è insieme ASSOLUTO e LIMITATO. Assoluto perché nega che l’intervento pubblico possa migliorare le sorti degli uni senza peggiorare quelle degli altri, il che implica l’accettabilità dell’intervento pubblico. Limitato perché non dice nulla sulla distribuzione del reddito e della ricchezza e poi perché le condizioni di validità di questo principio sono molto rigide. Allocazione In merito all’allocazione, gli argomenti sono di ordine microeconomico. Si tratta di rimediare ai cosiddetti fallimenti di mercato. I motivi di intervento pubblico sono la presenza dei monopoli, l’esistenza di esternalità e le asimmetrie informative fra gli agenti. Stabilizzazione Se l’intervento pubblico, in merito alle allocazioni, ha l’obiettivo di modificare l’equilibrio di mercato nel lungo periodo, esso, ai fini della stabilizzazione si prefigge di minimizzare le deviazioni nel breve periodo rispetto all’equilibrio. La sua motivazione consiste nella ricerca di una maggiore efficienza del sistema economico, non migliorandone l’equilibrio, ma facendo in modo che sia raggiunto. In merito alla stabilizzazione, Keynes forniva all’intervento pubblico 2 motivazioni: -

Instabilità dei comportamenti privati che chiamava animal spirits La rigidità dei salari e dei prezzi che impedivano a quest’ultimi di equilibrare i mercati, in particolare quello del lavoro.

La combinazione dell’instabilità dei comportamenti privati e dell’impossibilità di sopperirvi giustificava il ricorso alle politiche di bilancio e monetarie dette anticicliche, concepite per limitare le fluttuazioni cicliche e scongiurare le depressioni. La teoria dei “real business cycles” risultava coerente per spiegare le fluttuazioni cicliche attraverso gli shock sulle tecnologie di produzione e le reazioni degli agenti razionali ottimizzanti, evitando ogni riferimento a comportamenti irrazionali o a rigidità nominali. Gli studi contemporanei di ispirazione keynesiana analizzano le politiche di stabilizzazione nel modello offerta7domanda aggregata in base al quale vi è, una relazione fra produzione e prezzo del prodotto. La relazione fra il prodotto potenziale (offerta aggregata) e prezzo nel breve periodo è crescente perché, un aumento dei prezzi riduce il salario reale e rende la produzione più redditizia. Nel lungo periodo, la disoccupazione si trova al suo livello di equilibrio e l’offerta si adegua. La domanda aggregata invece, dipende negativamente dal prezzo, poiché un aumento di esso riduce il valore reale degli asset nominali delle famiglie e dunque il consumo. Queste due relazioni sono rappresentate dalle curve di domanda e offerta aggregata.

In questo contesto occorre valersi di 2 distinzioni. La prima si riferisce alla differenza fra le variazioni dell’offerta o della domanda. La seconda è la distinzione fra gli shock: -

-

Shock da offerta, modificazione esogena della relazione fra prodotto potenziale e prezzo. Ad esempio per un livello dato di salario e prezzo del prodotto, uno shock petrolifero riduce l’offerta potenziale perché fa diminuire la redditività della produzione. Shock da domanda, una modificazione esogena della relazione fra domanda e prezzo. Ad esempio, una contrazione del consumo conseguente una perdita di ricchezza delle famiglie.

Entrambi gli shock possono comportare una diminuzione della produzione, ma richiedono soluzioni di politica economica diverse ed è importante saperle distinguere. Uno shock da domanda positivo sposta la curva di domanda aggregata verso destra, con uno spostamento dell’equilibrio, di conseguenza da E ad A’, dove produzione e prezzo sono più elevati. Uno shock da offerta positivo, sposta la curva di offerta verso destra, con una produzione più elevata ma un prezzo più basso (punto B’). il criterio più semplice per distinguere gli shock è dato dal modo con cui produzione e prezzo variano: nello stesso senso nel primo caso, in senso opposto nel secondo caso. Nel lungo periodo la curva di offerta aggregata diventa verticale perché i prezzi si aggiustano e la disoccupazione raggiunge il suo presunto livello di equilibrio. Il ragionamento è lo stesso, salvo che lo shock da domanda si traduce nei prezzi (spostamento da E ad A’). per uno shock da offerta, il risultato è equivalente lo stesso che nel breve periodo (spostamento da E a B’). Le politiche della domanda non sono dunque efficaci di fronte a uno shock dell’offerta. Occorre in tal caso servirsi di politiche dell’offerta. Nel mondo dell’informazione imperfetta, gli economisti si occupano di rappresentare la struttura dell’economia attraverso un modello di relazioni tra variabili dipendenti e variabili esplicative. Supponiamo che la relazione fra una delle prime Y e le seconde X=(X1,…Xm) sia data da una funzione F: Y=F(X) Un cambiamento del valore di Y può risultare sia da un cambiamento nei valori delle variabili X, sia da un cambiamento della funzione F, cioè da una pertubazione nella relazione fra X e Y.

In tempo reale i decisori raramente sono in grado di individuare con certezza questi 2 tipi di cause. Un approccio corrente è quello di partire dall’osservazione e di stimare delle equazioni di tipo Y= F(X). Quindi il consumo delle famiglie si può così scrivere:

Dove C = consumo R= reddito reale Ω= ricchezza monetaria P=livello generale dei prezzi u=tasso di disoccupazione t=tempo Ɛ=residuo della stima (margine di errore che rappresenta lo scarto fra il valore stimato e quello osservato di C,) Si ipotizzi che i coefficienti ao, a1,a2 siano positivi e a3 negativo. Un cambiamento del valore di C, può risultare dai cambiamenti nei valori delle variabili esplicative Rt,Ω, P e u; da uno shock temporaneo che influenza l’equazione o un cambiamento nel valore di Ɛt; da un cambiamento nei valori di coefficienti a,i=1,2,3, dovuto a una modificazione durevole nella struttura dell’economia. Ciascuno di questi 3 fattori può richiedere una soluzione di politica economica diversa. Olivier Blanchard e Danny Quah hanno proposto un metodo empirico per identificare gli shock dell’offerta e quelli della domanda, basato sul fatto che tali shock hanno effetti opposti sulla coppia quantità-prezzo. Essi stimano simultaneamente delle equazioni autoregressive che si collegano a variabili endogene, come la produzione e il prezzo e considerano i residui di stima corrispondenti come shock esogeni che, dopo la trasformazione, possono essere classificati come shock dell’offerta o della domanda. Da questo possiamo capire come l’efficacia delle politiche di stabilizzazione è dimostrabile solo quando ci si trova dinanzi ad un quadro di ipotesi molto preciso. Redistribuzione. L’argomento centrale a favore dell’intervento pubblico è che essa non garantisce necessariamente la giustizia sociale. La motivazione dell’intervento pubblico non è relativa all’inefficienza della soluzione di mercato ma a un’esclusiva attenzione all’equità sociale. Un miglioramento dell’equità può realizzarsi a livelli di efficienza costanti oppure comportare una perdita di efficienza e dunque di un trade-off fra 2 obiettivi. Le preoccupazioni relative all’equità sono completamente indipendenti dalla ricerca dell’efficienza. È ciò che accade quando il governo detiene i mezzi per modificare la distribuzione dei redditi grazie ai trasferimenti a domma fissa, che non modificano gli incentivi economici. Tuttavia non è sempre possibile realizzare dei trasferimenti a somma fissa. Per stabilire chi debba pagare più imposte e chi debba beneficiare di una maggiore redistribuzione, il governo avrebbe bisogno di un’informazione completa ex ante riguardante gli effetti della liberalizzazione. È la ragione per la quale la redistribuzione dei redditi richiede spesso un trade-off fra equità ed efficienza: più il reddito è redistribuito, maggiore sarà la perdita di efficienza, perché sia le imposte sia i sussidi riducono soprattutto l’offerta dei fattori di produzione. La valutazione delle politiche economiche Per valutare le scelte di politica economica e per confrontare tra loro le alterazioni disponibili, è necessario darsi dei criteri precisi. L’obiettivo più generale che si possa assegnare alla politica economica è la soddisfazione delle famiglie residenti, che gli economisti chiamano utilità. Essa è in grado di contemplare sia il consumo di beni e servizi che il tempo libero. Si può scrivere che :

Dove Cik, k=1,…, n è il consumo da parte del consumatore i del bene k nel periodo t, Ni, è la quantità di lavoro fornita dal consumatore i nel periodo t, Ɵ è un vettore di variabili rappresentative delle condizioni di lavoro e Ξ un vettore di variabili rappresentative della qualità dell’ambiente. L’utilità istantanea è un criterio molto riduttivo. Se la politica economica la assumesse come obiettivo unico, non vi sarebbe alcun motivo di investire né di preservare l’ambiente per l’avvenire. Occorre adottare un contesto intertemporale e dotarsi quindi di un tasso di sconto ,o al fine di aggregare le utilità nel tempo:

Quindi l’utilità intertemporale Ui del consumatore i è il valore attuale, al tasso ,o delle sue utilità future dove Et denota la speranza matematica alla data t. è un criterio di questo tipo che viene utilizzato per valutare l’intensità auspicabile dello sforzo di riduzione delle emissioni dei gas serra. Ui contempla la capacità futura di produzione di beni e servizi.

Il criterio di Pareto permette di comparare solo una minima frazione delle situazioni possibili. Questo criterio porta a eliminare tutti i punti, fra A e C e fra E e F, a partire dai quali è possibile migliorare le utilità dei due individui. Ma permette di scegliere fra i punti situati su CE. Per effettuare questa scelta, occorre darsi una funzione di benessere sociale dove gli indici da 1 a m rappresentano gli individui o le famiglie che formano la società. È allora possibile comparare due distribuzioni dei redditi. Le funzioni più correnti sono: ● ●

La funzione “benthamiana”: Γ=U1+U2…+Um La funzione “rawlsiana”: Γ= Min (U1,U2,…Um)

La prima non attribuisce importanza alla distribuzione del reddito fra gli individui, in quanto considera solo l’utilità totale. La seconda è più soddisfacente. Esso approda alla scelta del punto C, dove l’ultima U dell’agente meno favorito è massima.

Allocazione, stabilizzazione, redistribuzione: i criteri specifici. La valutazione degli effetti delle politiche economiche richiede strumenti economici diversi per le questioni di allocazione, stabilizzazione e di redistribuzione. Le analisi dette di equilibrio parziale considerano un settore di attività soltanto, trascurando le interdipendenze fra i settori. Una simile semplificazione resta accettabile finchè il settore studiato è di dimensioni limitate in confronto all’economia nel suo insieme. L’analisi di equilibrio parziale è ...


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