Radioterapia libro PDF

Title Radioterapia libro
Course Radioterapia
Institution Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro
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Riassunto CITTADINI Diagnostica per immagini e radioterapia...


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RADIOTERAPIA CAPITOLO XL

PROGRAMMATICA DELLA RADIOTERAPIA La radioterapia è quella branca specialistica della medicina che s’interessa dell’uso delle radiazioni ionizzanti nel trattamento delle malattie neoplastiche e di alcune affezioni non neoplastiche che traggono da essa vantaggi superiori o uguali a quelli ottenibili con altri mezzi. Bersaglio fondamentale della radioterapia è la malattia neoplastica. Strumento della radioterapia sono le radiazioni ionizzanti elettromagnetiche e corpuscolari. Esistono dei presupposti teorici per l’impiego terapeutico delle radiazioni ionizzanti: di essi si occupa la radiobiologia, branca della radiologia in gran parte legata alla radioterapia e sempre più capace di spiegarne, prevederne, programmarne i risultati, comprenderne gli insuccessi e i danni eventuali. Noi ci occuperemo di quella parte della radiobiologia che più strettamente si collega alla radioterapia, la radiobiologia clinica. La radioterapia è una specialità medica un po’ particolare: essa usa un agente fisico per produrre effetti chimici e biologici all’interno dell’organismo. È strutturalmente diversa dalla chirurgia, che agisce in modo meccanico sull’organismo, e dalla terapia medica, che vi agisce per via chimica: però, come la chirurgia, richiede un bagaglio di nozioni tecniche che comprende capacità di localizzazione, scelta di vie di accesso, definizione di aree, volumi, rapporti anatomici; come la terapia medica, introduce nell’organismo un agente capace di effetti biologici, che quindi va dosato nella quantità e nel tempo. Noi parleremo di radiobiologia (essa studia l’interazione delle radiazioni ionizzanti –RI- e esseri umani, e come questa possa essere utilizzata in radioterapia), radioprotezione, e radioterapia (apparecchiature e tecniche). Le radiazioni elettromagnetiche hanno uno spettro continuo, e variano per la lunghezza d’onda (λ), la frequenza (f) e l’Energia che trasportano (E). E ed f sono direttamente proporzionali; λ è inversamente proporzionale ad E ed f (se diminuisce λ allora aumentano f ed E).

CAPITOLO XLII

LE RADIAZIONI IONIZZANTI E LE LORO PROPRIETÀ DI INTERESSE RADIOTERAPICO 1. Tipi di radiazioni ionizzanti

In radioterapia si fa uso di radiazioni ionizzanti elettromagnetiche e corpuscolari: le prime sono rappresentate dai raggi X e dalla radiazione γ; le seconde da fasci di particelle cariche (elettroni; protoni; particelle α; mesoni π-; ioni leggeri, cioè nuclei di C, Ne, Si e Ar) e da fasci di neutroni. Tutti questi tipi di radiazioni hanno in comune la proprietà di «interagire» nel contesto dei materiali attraversati cedendo energia agli elettroni o ai nuclei atomici e inducendo di conseguenza, direttamente o indirettamente, eccitazioni e ionizzazioni. Questo evento fisico primario dà l’avvio a modificazioni molecolari prima e cellulari poi fino alla produzione di effetti biologici macroscopici. I vari tipi di radiazioni si differenziano, tuttavia, tra di loro per due aspetti principali: la necessità che si pone per alcuni di essi di commutare la loro energia in energia di particelle cariche capaci di eccitare e ionizzare (cosiddette «radiazioni indirettamente ionizzanti»); il modo secondo il quale queste eccitazioni e ionizzazioni vengono distribuite nello spazio a livello microscopico, condizionato dai particolari meccanismi di interazione e di grande importanza ai fini dell’entità degli effetti biologici indotti a parità di energia totale ceduta. La differenza tra raggi X e γ risiede nella loro origine, infatti i primi originano da un tubo a raggi X, oppure da acceleratori lineari che producono i cosidetti raggi x ad alta energia, i secondi vengono emessi

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dal nucleo di elementi spontaneamente radioattivi (radium), o resi artificialmente tali (isotopi radioattivi come Co60): l’emissione di energia rappresenta la modalità attraverso cui il nucleo eccitato si libera dell’energia in eccesso. Le radiazioni corpuscolate originano dal decadimento radioattivo; il decadimento, si verifica quando un elemento non ha lo stesso numero di protoni e neutroni, ciò lo rende instabile e causa l’emissione di particelle atomiche. L’interazione delle radiazioni ionizzanti con la materia riconosce tre fasi: la fase fisica (10-18 – 10-12 s fenomeni di ionizzazione ed eccitazione), la fase chimica (10-10 – ore azione diretta ed indiretta), e la fase biologica (ore-anni lesioni del materiale genetico, alterazioni metaboliche).

2. Interazione tra radiazioni e materia

I raggi X e la radiazione γ cedono energia alla materia attraverso 3 meccanismi: l’effetto fotoelettrico, l’effetto Compton e l’effetto coppia. Nella collisione con la materia le radiazioni cedono tutta o parte dell’energia alle molecole ed agli atomi che la assorbono, con conseguenze che variano a seconda della quantità di energia da esse ceduta ed assorbita dagli atomi bersaglio. Sulla base di queste osservazioni le radiazioni vengono divise in eccitanti (con energia inferiore a 10 eV e l’energia ceduta è inferiore a quella necessaria ad espellere dall’atomo uno dei suoi elettroni di valenza) ed in ionizzanti (con energia superiore a 10 eV dove l’energia ceduta supera quella di legame e l’elettrone di valenza viene espulso dall’atomo che diviene uno ione positivo); radiazioni con energia inferiore a 1 eV hanno solo un effetto termico sui tessuti. Effetto fotoelettrico  il fotone incidente cede tutta la sua energia ad un elettrone di un orbita più interna; il fotone scompare, e l’elettrone viene fuori dall’atomo con una certa energia cinetica. Ciò causa ionizzazione. Effetto Compton  il fotone cede all’elettrone urtato (di solito posto nelle orbite più esterne) solo parte della sua energia; il fotone continua il suo cammino deviato e con minor energia, l’elettrone viene espulso con una certa energia cinetica. L’effetto coppia, possibile solo per i fotoni di energia superiore a 1,02 MeV (che equivale all’energia insita nella massa di due elettroni), consiste nella «materializzazione» del fotone, nelle vicinanze del campo elettrico nucleare, in due particelle, un elettrone negativo e uno positivo, alle quali viene impressa una certa energia cinetica. colpiscono il nucleo liberando (detto anche positrone il quale poi colpendo un elettrone da origine a due raggi γ perpendicolari di 511 keV ciascuno). Questi effetti si verificano in base all’energia dei fotoni incidenti; cioè per fotoni poco energetici l’effetto fotoelettrico è il più probabile, molto meno probabile l’eff Compton, inesistente l’eff coppia. All’aumentare dell’energia aumenta la probabilità dell’eff coppia, e diminuisce quella per l’eff fotoelettrico. Ad es. fotoni con più di 1,02 MeV  50%eff Compton, 50% coppia,0 % fotoelettrico. A seguito dei 3 eventi interattivi descritti vengono comunque messi in moto elettroni secondari, i quali sono a loro volta in grado di dissipare energia nella produzione di ionizzazioni: poiché il numero di ionizzazioni prodotte direttamente dai singoli fotoni è del tutto trascurabile rispetto a quello prodotto dagli elettroni secondari, raggi X e γ possono essere considerati radiazioni «indirettamente» ionizzanti nel senso sopra precisato. La densità media di ionizzazione nei tessuti biologici è di circa 60 coppie di ioni per µm di percorso per i raggi X convenzionali; scende a circa 6 coppie di ioni per µm per i raggi X di 25 MV prodotti con macchine acceleratrici; per la radiazione γ del 60Co è di 7,5 coppie di ioni per µm. Man mano che il fascio fotonico penetra nel materiale Con i raggi X convenzionali il massimo della dose è depositato alla superficie della porta di ingresso del fascio; invece per i raggi γ prodotti dal Co60, il massimo della dose è deposto a 5 mm di profondità. Utilizzando raggi X con energia maggiore si può progressivamente spostare il massimo della dose più in profondità, con un certo risparmio degli strati superficiali. Il meccanismo di interazione degli elettroni è l’urto anelastico: l’interazione a distanza tra il campo elettrico dell’elettrone primario, e il campo elettrico dell’atomo porta a ionizzazione. Inoltre si vengono

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a formare elettroni secondari, terziari, ecc. dopo le varie interazioni. La densità di ionizzazione è di 79coppi/µm. Le modalità di interazione dei protoni (simile per le particelle α) sono sovrapponibili a quelle degli elettroni, cioè i protoni hanno urti anelastici con gli elettroni degli atomi inducendo ionizzazione. La densità di ionizzazione è di 20 coppie/µm, però c’è una particolarità; con l’aumentare della profondità la velocità del protone diminuisce, a seguito delle interazioni. Diminuendo la velocità di progressione aumenta la densità di ionizzazione, prima in modo lento, poi in maniera brusca (cioè si ha un picco di densità di ionizzazione) in corrispondenza del tratto finale del percorso. In breve i protoni danno un picco di ionizzazione quando la loro velocità è più bassa, questo perché a basse velocità diventano più probabili le interazioni con gli elettroni degli atomi. L’evento più probabile per i neutroni è la collisione con un nucleo di idrogeno, il neutrone ne risulta deviato, e il protone che costituisce il nucleo dell’H viene messo in movimento e produce numerose ionizzazioni lungo il suo percorso. Se il fascio di neutroni è molto energetico può interagire con nuclei di carbonio e O, liberando particelle α densamente ionizzanti. La densità di ionizzazione è di 600 coppie/µm.

3. Azione diretta e azione indiretta L’eccitazione e la ionizzazione di un atomo inducono nella molecola della quale questo fa parte ripercussioni più o meno significative, la più grave delle quali è evidentemente la rottura. È caratteristica delle radiazioni ionizzanti quella di dar luogo a prodotti di scissione di per sé in uno stato reattivo. Poiché l’interazione tra RI e molecola è un evento casuale, la probabilità che ciò coinvolga una determinata molecola è proporzionale alla presenza di questa molecola nel tessuto irradiato. L’acqua è la molecola più rappresentata nei tessuti, ecco perché rappresenta la molecola costantemente colpita dalle RI. La molecola di acqua ionizzata va incontro ad una serie di reazioni definite nell’insieme radiolisi ionizzativa. Si formano radicali liberi (hanno un elettrone spaiato) come H e OH, che possono danneggiare il DNA. In assenza di O2 e di biomolecole (es. irradiazione di acqua pura), i radicali interagiranno tra loro secondo tutte le possibili combinazioni producendo “prodotti molecolari”: H2O, H2 e H2O2, questo ultimo fortemente ossidante. Se nel mezzo irradiato è presente, in sufficiente concentrazione, O2, questo, per l’elevata elettroaffinità, catturerà radicali H dando luogo alla formazione del radicale HO2 (ad alto potere ossidante). Questo è l’effetto indiretto. L’effetto diretto è quando la RI danneggia direttamente il DNA. Per azione indiretta agisce anche la molecola di ossigeno; infatti essa è di per sé in grado di sottrarre elettroni alle biomolecole formando ROS che possono danneggiare il DNA o altri componenti della cell. Ciò spiega perché a parità di dose somministrata l’effetto biologico indotto è 2-3 volte superiore in presenza di ossigeno (effetto dell’ossigeno). Quindi l’ossigeno funziona da radio sensibilizzante. Le RI a bassa DI agiscono più per fenomeni indiretti che diretti, opposto per quelle ad alta DI. Grandezze fisiche e unità di misura 1. DOSE di ESPOSIZIONE: serve a misurare la dose in aria prima che arrivi al paziente, si utilizza il Roengter come cariche elettriche che si generano nell’unità di massa (nella pratica 1 R = 1C/1Kg di aria). 2. DOSE ASSORBITA: è la quantità di energia erogata per unità di massa di tessuto indipendentemente dal tipo di radiazione. 1 Gray (Gy) = 1 Joule/Kg. Di solito in radioterapia si da una dose di 70Gy dilazionata in più sedute 3. DOSE EQUIVALENTE: è il prodotto della dose assorbita per il fattore Q. Esprime la capacità di indurre un danno biologico equivalente da parte di radiazioni con diverso LET. 1 Sievert (Sv) = 1Gy*Q. Il fattore qualitativo “Q” permette il confronto degli effetti di radiazioni con stessa energia ma con LET diversi (per i raggi alfa è 20 volte più grande di quelli X e gamma). 4. LET: è la capacità di trasferire energia delle radiazioni, ovvero il numero di ionizzazioni per unità di percorso che è conseguenza della densità di ionizzazione. 1 LET = 1 J/m ATTIVITA’ RADIOATTIVA: misurata in Bequerel (1 Bq=1 disintegrazione al secondo) ma in passato misurata in Curie (1Ci=3,7*1010 Bq).

4. L’efficacia biologica relativa

A parità di dose fisica somministrata in un volume corporeo macroscopico, l’effetto biologico indotto può essere diverso per i vari tipi di radiazioni. Alla base di questo evento è la diversa modalità di

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distribuzione a livello microscopico delle ionizzazioni (e di conseguenza anche dei radicali liberi prodotti nella radiolisi dell’acqua). Le radiazioni a bassa densità di ionizzazione (raggi X e γ, e-) distribuiscono le ionizzazioni in forma sparsa, spesso non riuscendo a totalizzarne il numero voluto nel contesto del bersaglio; sono però molto sensibili al potenziamento indotto dalla presenza di O2. Le radiazioni ad alta densità di ionizzazione (p+, n, π-) concentrano ionizzazioni nello spazio, spesso tuttavia in eccesso rispetto a quanto sufficiente per l’inattivazione del bersaglio (inducendo con ciò un certo «spreco» di dose); agevolano la produzione di H2O2; sono poco sensibili al potenziamento indotto dalla presenza di O2. L’efficacia biologica è convenientemente espressa in forma relativa a una radiazione di confronto, in genere i raggi X convenzionali o la radiazione γ del 60Co. Si definisce efficacia biologica relativa (EBR) il rapporto tra la dose della radiazione di riferimento e la dose della radiazione in studio necessarie per produrre un determinato effetto in un certo tempo. Ad es i protoni EBR 2. L’EBR varia in base alla dose, al frazionamento, alla composizione del fascio (energia e numero atomico della particelle), alla profondità, e al tessuto (dipende dalla capacità di riparazione del tessuto). Un altro parametro biologico che viene considerata è il LET (linear Energy transfer): energia trasferita per unità di percorso, misurata in J/m. Il LET può essere concettualmente assimilato alla DI. Oltre un certo LET l’EBR non aumenta più, anzi diminuisce; questo perché la cellula muore (schema qui sopra). Il danno causato dalle RI può essere letale, sub letale (può essere riparato dai sistemi enzimatici che agiscono sul DNA; lo stesso tipo di danno può essere subletale in una cellula normale che ripara il DNA normalmente e letale in una cellula tumorale che non è in grado di riparare il danno.), o potenzialmente letale (danno che in una cellula normale sarebbe letale ma che non lo è più in particolari condizioni metaboliche (come l’ipossia e l’ipometabolismo). La morte della cellula può avvenire per morte mitotica (danni ai cromosomi come delezioni, duplicazioni, ponti tra cromosomi compromettono la mitosi inducendo la morte della cellula è l’evento più frequente), apoptosi (danni a carico del DNA o di altre strutture cellulari attivano l’apoptosi prima che la cellula si divida; nei tessuti irradiati è responsabile del 10% delle morti cellulari), necrosi. CAPITOLO XLIII

RADIOBIOLOGIA ONCOLOGICA 1. Le curve di sopravvivenza cellulare Le curve dose effetto sono state analizzate per elaborare modelli matematici con i quali interpretare il meccanismo di azione delle radiazioni. Queste curve presentano in ascissa la dose, e in ordinata la frazione di cellule sopravvissute in scala logaritmica. La curva che descrive l’effetto ha una spalla iniziale e una seconda parte esponenziale. Le curve di sopravvivenza cellulare sono in accordo con il modello matematico “a bersagli multipli e colpo unico”, il che significa in termini biologici presenza in ogni cellula di più (n) bersagli sensibili in ognuno dei quali devono verificarsi almeno un evento per avere la perdita della capacità riproduttiva. La spalla indica una minore efficienza di effetti letali a basse dosi e rappresenta l’accumulo del danno sub-letale riparabile in funzione della dose somministrata e del tipo di tessuto. La larghezza della spalla dipende dal numero di bersagli che devono essere colpiti prima di determinare la morte della cellula. La linea retta del grafico o “pendenza esponenziale” indica che progressivi livelli di dose inducono una progressiva riduzione della capacità riparativa cellulare e quindi progressivo danno cellulare. Quindi per ogni frazione di radiazioni viene distrutta la stessa proporzione di cellule secondo un andamento esponenziale. N è un numero che viene ottenuto per estrapolazione e rappresenta il numero di bersagli. Dq = dose dopo la quale la curva assume andamento esponenziale.

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Le cellule che hanno dopo la esposizione un numero di bersagli colpiti inferiore a (n) possono riparare il danno entro alcune ore. La larghezza della spalla condiziona l’effetto del frazionamento della dose. Quindi: Grafico per dose singola: Per radiazioni ad alto LET (come i neutroni) non c’è differenza tra tessuti a lento rinnovamento (risposta lenta) e tessuti a rapido rinnovamento (risposta rapida) perché è come se ci fosse un unico bersaglio [linea tratteggiata nel grafico]. Per le radiazioni a basso LET come i raggi X si ha una notevole differenza tra i due tessuti: in quelli a rapido rinnovamento si ha un andamento quasi rettilineo con proporzionalità diretta tra morte cellulare e dose di radiazione (come se ci fosse un unico bersaglio da colpire), per quelli a lento rinnovamento si ha una proporzionalità con il QUADRATO della dose e questo genera una “spalla” iniziale della curva come se dovessero essere inattivati più bersagli nella cellula (capacità di riparare i danni). - Grafico per dose frazionata: Se si fraziona la dose nei tessuti a rapido rinnovamento non cambia molto ma per quelli a risposta lenta per ogni irradiazione (distanziata almeno 6-8 ore) ci sarà una spalla e le curve tra dose singola e frazionata differiranno per la “somma” delle spalle. Questo è fondamentale! Il frazionamento della dose in radioterapia porta ad un maggior scarto di risposta tra i tessuti a lento e a rapido rinnovamento; i tessuti a risposta LENTA devono essere preservati mentre si vuole attaccate principalmente quelli a risposta RAPIDA come i tumori.

2. Le cinque «R» del frazionamento della dose in radioterapia

Riparazione del danno subletale. tra una frazione di dose e l’altra, le cellule hanno la possibilità di riparare il danno indotto dalle radiazioni. Questo comporta che la dose totale di radiazione necessaria per ottenere uno stesso effetto (la dose “isoefficace”) deve essere tanto maggiore quanto maggiore è il numero delle frazioni. La riparazione del danno sub letale condiziona anche la pendenza della curva di sopravvivenza. Riossigenazione delle cellule ipossiche. le cellule ipossiche sono meno sensibili al danno da radiazioni rispetto a quelle ben ossigenate. Tutti i tumori di discrete dimensioni presentano cellule ipossiche (di solito a livello centrale), a causa dei irregolari processi di neoangiogenesi. Però i tessuti sani sono tutti ben ossigenati, e ciò comporterebbe un maggior danno ai tessuti sani rispetto a quelli tumorali per ogni singola dose. Ma nell’intervallo tra le singole frazioni di dose si ha una certa riossigenazione delle aree ipossiche a seguito della morte ed eliminazione delle cellule ben ossigenate con conseguente decompressione di piccoli vasi, riduzione della distanza tra capillari e cellule ipossiche: ecco perché il frazionamento migliora la terapia, perché ad ogni frazione si beccano le cellule ipossiche, andate incontro a riossigenazione, che sono fuggite alla frazione precedente. Ridistribuzione delle cellule ciclanti. le fasi G2 ed M sono le più sensibili all’effetto delle radiazioni. Ciò comporta una uccisione preferenziale delle cellule in fase sensibile ed una conseguente semisincronizzazione della popolazione residua nelle fasi più radioresistenti; ma negli intervalli tra le singole frazioni di dose le cellule sopravvissute si desincronizzano, sicché le successive frazioni hanno minore probabilità di trovarsi di fronte a una popolazione resistente. La fase S è la più ra...


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