Riassunti articoli/riviste da \"PEDAGOGIA OGGI\" PDF

Title Riassunti articoli/riviste da \"PEDAGOGIA OGGI\"
Course Pedagogia di genere e delle pari opportunita'
Institution Università degli Studi di Firenze
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Summary

ARTICOLI RIVISTE "Pedagogia oggi":
-LA PEDOGIA DELLA NON VIOLENZA, OGGI: RILFESSIONI E PROPOSTE di Michele Corsi e Maria Grazia Riva.
-VIOLENZE VISIBILI E INVISIBILI. PROSPETTIVE PEDAGOGICHE di Ivo Lizzola.
-METODI EDUCATIVI E VIOLENZA SULL’INFANZIA NELLA STORIA DELL’EDUCAZIONE FRA...


Description

LA PEDOGIA DELLA NON VIOLENZA, OGGI: RILFESSIONI E PROPOSTE di Michele Corsi e Maria Grazia Riva. La nostra contemporaneità trasuda violenza in ogni suo contesto, in ogni dove. La violenza si manifesta in molteplici forme e tipologie, spesso sfuggenti. Esistono violenze invisibili e violenze visibili in molti ambienti: politici, economici, sociali e culturali. C’è una violenza eclatante come quella che si manifesta negli stadi, nelle guerre, nei crimini mafiosi. I media ci sommergono quotidianamente con una quantità enorme di fatti violenti. La pedagogia ha, invece, il compito storico di non fermarsi sulla soglia delle informazioni diffuse e di interrogarle criticamente, cercando di esplorare la violenza tra le generazioni passate, sociali e familiari. Spesso la prima violenza si manifesta tra le mura domestiche da genitori non necessariamente incompetenti, ma piuttosto inconsapevoli delle ricadute del loro stile educativo. Chi non ha ricevuto, ascolto, rispetto, soprattutto nella seconda infanzia, con estrema probabilità non sarà in grado di rispettare i propri coetanei e compagni, così come l’ambiente. L’ambiente ci accoglie e ci contiene tutti, ma non tutti si prendono cura di esso.

Rivista “Pedagogia Oggi”. Violenze visibili e invisibili. Editoriale. LA PEDOGIA DELLA NON VIOLENZA, OGGI: RILFESSIONI E PROPOSTE di Michele Corsi e Maria Grazia Riva. La nostra contemporaneità trasuda violenza in ogni suo contesto, in ogni dove. La violenza si manifesta in molteplici forme e tipologie, spesso sfuggenti. Esistono violenze invisibili e violenze visibili in molti ambienti: politici, economici, sociali e culturali. C’è una violenza eclatante come quella che si manifesta negli stadi, nelle guerre, nei crimini mafiosi. I media ci sommergono quotidianamente con una quantità enorme di fatti violenti. La pedagogia ha, invece, il compito storico di non fermarsi sulla soglia delle informazioni diffuse e di interrogarle criticamente, cercando di esplorare la violenza tra le generazioni passate, sociali e familiari. Spesso la prima violenza si manifesta tra le mura domestiche da genitori non necessariamente incompetenti, ma piuttosto inconsapevoli delle ricadute del loro stile educativo. Chi non ha ricevuto, ascolto, rispetto, soprattutto nella seconda infanzia, con estrema probabilità non sarà in grado di rispettare i propri coetanei e compagni, così come l’ambiente. L’ambiente ci accoglie e ci contiene tutti, ma non tutti si prendono cura di esso. VIOLENZE VISIBILI E INVISIBILI. PROSPETTIVE PEDAGOGICHE di Ivo Lizzola. Per far fronte all’instaurarsi tra le persone, i generi, le generazioni, della distanza e della violenza, serve lucidità, cura del sentire l’altro. Lucidità, cura e attenzione sono insieme, condizione e frutto della relazione educativa. Martin Buber nel “Il problema dell’uomo” parla di “età della casa” e di “età senza casa”. Nella prima le convivenze umane abitano mondi ordinati nei quali si ha il senso del tempo e della storia, mentre nel secondo prevale l’incertezza e l’ansia.

L’uomo è la creatura a cui non basta nascere una sola volta: ha bisogno di venire riconcepito. La speranza “è il fondo ultimo della vita umana”, quello che esige la nuova nascita. Oltre la violenza e la paura l’uomo e la donna europei hanno la consapevolezza di questa speranza, serbano il bisogno di una nuova nascita. Uomini e donne che non riescono ad abitare la loro vulnerabilità. Si costruisce così un “ordinario sonnambulismo” che può essere ricco di immagini e di esercitazioni continue. Nel nostro clima culturale la relazione e l’esperienza dell’educazione non sono scontate: si dovrebbe coltivare e coltivare. L’incontro con la violenza del mondo degli oggetti paralizza il sentire e il costruirsi di una coscienza morale. Molto spesso vulnerabilità, sofferenza sociale e emarginazione hanno natura esistenziale, sono legate a dimensioni personali, psicologiche, relazionali, di senso. I bambini e le bambine provenienti da famiglie disastrate e maltrattati hanno bisogno di una relazione educativa efficace. La relazione educativa è sempre una relazione segnata da una reciprocità assi metrica, come la relazione di cura. Il gesto educativo è in piena evidenza anche un gesto di cura, un gesto d’accoglienza della esposizione della debolezza. Educare è curare tra corpi e biografie, esposti ed affidati; importante in tale contesto è l’intenzionalità, che si colloca nel termine fenomenologico e nell’impianto teorico-epistemologico della pedagogia fenomenologica. La coscienza è sempre intenzionalità. Ognuno nasce e si educa approfondendo di dare senso a ciò che egli sta di fronte e di darsi un senso. Educarsi ad una coscienza intenzionale è educarsi ad uno sguardo e ad un riguardo. L’intenzionalità matura e si esprime nell’incontro con l’altro, tra le generazioni. La vulnerabilità non è la fragilità ma si designa la sua persistenza nel processo di umanizzazione della vita. È ciò che costituisce l’autonomia umana, è motivazione profonda di un lavoro etico. L’educazione è la continua scoperta della nostra vulnerabilità nel tentativo di costruire una danza buona tra forza e fragilità. Riuscire ad essere miti in tempo di guerra è difficile, non è un tema spirituale. Ogni corpo è toccato dalla corrente calda della violenza, la sente e con essa si deve confrontare. La violenza calda, anzitutto quella agita con l’altro, contro di sé, contro le cose “fa molto rumore” sottolinea Gaetano De Leo. Quest’ultimo parla di “processo della devianza”, processo organizzatore, processo attivo che si sviluppa producendo ed organizzando connessioni tra le dimensioni e le prestazioni situazionali, relazionali, temporali e simboliche. Si possono individuare tre fasi: • Quella degli antecedenti storici della devianza, cioè le condizioni, le carenze sofferte dalla persona. • L’emergere nella storia del soggetto di una crisi. • Ripensamenti e interazioni e ritorni della stabilizzazione del processo deviante. Occorre creare e vivere condizioni in grado di esprimere la propria libertà in un orizzonte di senso e di valore, una libertà matura e responsabile; dare spazio ad una vita comune. La cura di sé, la costruzione di uno stile di vita è un’acquisizione rara. Lo sguardo educativo è legato al mantenimento di una fiducia di base, alla convinzione dell’educabilità. La relazione educativa è esperienza di avvicinamento impotente, è

una forma di presenza segnata da cambiamento e da prestazione. La relazione educativa richiede un luogo di riconoscimento di vita comune, di identificazione, non un luogo di passaggio, di estraneità funzionale. Entrare in una relazione educativa è sempre operare e recuperare uno strappo, portare al recupero dei propri bisogni e dei pensieri. Il punto di partenza non è che la conoscenza di ciò che il comportamento deviante comunica, dare senso e valore alla realtà. L’esercizio della violenza è spesso un processo, è qualcosa che risulta da una composizione di elementi, soggettivi e di contesto, liberarsene è un processo impegnativo, complesso e sofferto. Importante è creare uno spazio pedagogico penitenziario che chiede la costruzione di un “patto tratta mentale” con le persone detenute, farsi carico di un lavoro su di sé. Il carcere è insieme un luogo e un non luogo. La vita all’interno del carcere cambia, che sia tu la vittima o il colpevole. Servono relazioni con donne e uomini che non dimenticano; uomini che non fanno finta di ciò che è successo e non collaborano con ciò che è successo. “ TI DO IO UNA BUONA LEZIONE CHE RICORDERAI A LUNGO” . METODI EDUCATIVI E VIOLENZA SULL’INFANZIA NELLA STORIA DELL’EDUCAZIONE FRA SETTE E NOVECENTO di Francesca Borruso. Uno dei temi e dei dibattiti della storiografia contemporanea è relativo al progressivo riconoscimento della condizione infantile. Secondo Philippè Aries i metodi d’educazione dei figli subiscono in Europ una profonda trasformazione fra il XV e il XVI secolo, al sorgere di un’iconografia infantile più vicina al “vero”, la progressiva scolarizzazione dei bambini. L’identità infantile diventa oggetto di cure materiale ed educative. Fra il XVI e il XVII secolo il sorgere di un altro sentimento, quello della famiglia ritenuta da sempre come il luogo primario della vita affettiva. Dalla storiografia più recente troviamo diversi tipi di infanzia, con ceti sociali di appartenenza diversi: un’infanzia borghese, un’infanzia contadina o operaia, un’infanzia vissuta in città, un’infanzia industriale. Bambini e bambine hanno da sempre avuto destini educativi diversi. Il fenomeno della violenza all’infanzia, è sempre esistita sul piano storico in tutte le classi sociali e ancora oggi si ripropone. Una violenza, che emerge intrecciata a pratiche educative assai diverse. Hugh Cunningham diversifica tra: ▪ La storia dell’infanzia: cerca di ricostruire le idee sull’infanzia e il ruolo svolto dall’idea di infanzia in un determinato contesto e periodo storico. Una storia delle idee, quindi, ricostruita attraverso fonti eterogenee come la letteratura, le immagini, la trattatistica pedagogica, poiché ogni visione del mondo comprendere la visione della natura dell’infanzia. ▪ La storia del bambini: orientata alla ricostruzione delle condizioni di vita reali dei bambini e delle bambine nei diversi momenti storici e che si fonda su fonti storiche frammentate, incerte. Vite di bambini e di bambine come “testimonianze da altri”, “raccontate da altri”. In tale prospettiva potrebbero essere preziose le “scritture bambine”, ossia quelle narrazioni infantili che sono oggetto di preservazione e di cura da parte degli adulti, come nel caso di Egle Becchi.

Una storiografia centrata sulla ricostruzione delle condizioni dei bambini deve essere incentrata sulla vita privata, nello scorrere della quotidianità. La storia dell’infanzia nella società occidentale è caratterizzata da prove relative alla violenza fisica e psicologica sistematicamente perpetrata sui bambini “ a fine educativo”, diffusa nelle classi sociali. Un potere educativo sui figli è collocato da alcuni autori come principio di autorità. Così Lutero e Calvino , i quali ritengono che l’educazione familiare, soprattutto il rapporto tra padre e la madre, sia il momento iniziale del processo formativo dell’autorità. Calvino illustra nel suo Institutio Christiane Religionis del 1536 la funzione di tale processo formativo. Per Calvino il rapporto autoritario quindi è strutturalmente identico sempre dovunque, mentre il rapporto con i genitori si configura come la fonte di ogni rapporto autoritario. Il processo di dipendenza nel bambino passa attraverso la famiglia, un padre che fa le veci di Dio rispetto ai suoi figli, unico titolare e gestore dell’autorità familiare. Kruger pensa che se vostro visto vuole togliervi l’autorità, voi siete autorizzati a scacciare la violenza con la violenza per rafforzare la considerazione che godete su di lui. John Locke invece, nel suo testo Some Thoughs concerning Education del 1693, critica fortemente l’uso delle punizioni corporali, proponendo la sostituzione della patria potestà con il “paternal power”: una titolarità comune al padre e alla madre. Jean Jaques Rousseau, soprattutto con il “Contratto sociale” e con “l’Emilio” entrambi del 1762, egli avvia una svolta democratica epocale nella concezione delle relazioni tra genitori e figli. Emilio, era un bambino educato “secondo natura”, volto alla formazione di “un uomo nuovo”, lontano dal progresso della civiltà ormai corrotta. Il padre viene investito in una responsabilità pedagogica ancora più incisiva, che dovrà durare fino all’età adulta di Emilio. Il suo ruolo educativo sarà quello di guidarlo, senza comandargli mai nulla, bensì impedendogli indirettamente di fare ciò cui deve astenersi. Deve ricevere insegnamenti solo dall’esperienza e la prima educazione deve essere puramente negativa. Negli stessi anni in Italia Cesare Beccaria nel capitolo 26 del noto “Volume Dei delitti e delle pene” (1764) affronta il tema della patria potestà criticando fortemente la famiglia patriarcale, fondata sul potere illimitato e inviolabile del padre. Critica fortemente la pena capitale e l’uso della tortura, ritenuto uno dei capolavori dell’età illuminista. In Francia nell’agosto del 1790 , con il programma di limitare il potere dei padri e mettere in ordine nella realtà familiare, attraversata da violenze e sopraffazioni di ogni genere. Il dibattito illuminista e la rivoluzione francese si chiudono con il codice civile napoleonico, il quale propone il potere paterno di far arrestare i figli limitandoli nel tempo a un periodo massimo di uno o sei mesi. Nel 1838, nel Regno delle due Sicilie, fu varata una legge che consentiva al padre, alla madre se vedova, di pretendere il ritiro conservatorio della figlia maggiore per un tempo determinato. Solo nel 1839, con il codice penale albertino, verrà sanzionato penalmente l’abuso della patria potestà (art. 233).

Ci sono tante e differenti infanzie. L’infanzia aristocratico-borghese è caratterizzata sa maggiori cure e attenzioni rispetto all’infanzia delle classi lavoratrici i cui i bambini vengono avviati nel lavoro nella loro tenera età. Di contro è sempre sorvegliata e punita da genitori e precettori che addomesticano all’obbedienza, all’interazione delle buone materie. Fra Sette e Ottocento nelle classi elevate i bambini trascorrevano tra le mura domestiche i primi anni di vita, la loro educazione continuava poi nel convento o in un collegio. Nel corso del XIX secolo si diffonde tra i ceti borghesi il costume di allevare i propri figli in casa, facendoli istruire da precettori e istitutrici, sotto lo sguardo vigile della famiglia. Un’educazione privatizzata, gestita all’interno delle mura domestiche, orientata all’assimilazione dei valori borghesi. Come scrive Simonetta Ulivieri ogni ceto ha i suoi riti e le sue scuole. Sapersi vestire, parlare, muoversi in pubblico è un apprendimento che richiede una rigida disciplina che si interiorizza nel tempo e al prezzo dei duri sacrifici. Nel corso dell’800 la punizione fisica viene gradualmente assimilata alla punizione psicologica. Nascere in una famiglia povera, poteva significare non poter essere bambini. L’abbandono o l’infanticidio erano le pratiche più diffuse di controllo delle nascite e se scampava a questo destino l’avviamento era il lavoro in fabbrica o nelle campagne. Nell’800 troviamo anche alcuni esempi di questo tipo nella letteratura italiana: Rosso Malpelo di Giovanni Verga e le avventure di David Copperfield di Charles Dickens. LA VIOLENZA SULLE DONNE di Franca Pinto Minerva. La storia dell’umanità è spesso accompagnata da violenze fisiche, maltrattamenti e torture. Violenze su bambini, su soggetti deboli e vulnerabili, su intere popolazioni sull’ambiente, su piante e su animali. Tra tutte le forme di violenza, una particolare caratterizzazione assume la violenza sulle donne, oggetto di soprusi e di discriminazioni illegali ma spesso oscurate e impunite. La soprafazione è volta alla subordinazione che per secoli ha negato l’esperienza e la parola delle donne. L’affermazione del principio dell’uguaglianza tra i generi richiede una radicale riscrittura culturale del sistema dei diritti e dei doveri. Le donne, hanno finito per auto convincersi della loro differenze, è attraverso lo scambio linguistico che si dà forma alla propria coscienza. La parola non è mai neutra: agisce all’interno della prassi. Il linguaggio e lo sguardo maschile costruiscono l’identità femminile. L’attuale dibattito su femminicidio e femmicidio si è affermato attraverso le denunce di studiose, occupate sul fronte del femminismo. Femminicisio e femmicidio si riferisce ad ogni contesto storico e geografico, quando la donna subisce violenza fisica, psicologica, economica, normativa, sociale, religiosa, in famiglia e fuori. La violenza sulle donne ha una lunga storia alle spalle. Essa ha attraversato secoli. Tale termini sono forme di annientamento della donna, che rompe gli schemi e si ribella all’immagine e al ruolo sociale. Parlare di femmicidio e femminicidio non è solo la denuncia di un delitto. Barbara Spinelli nel suo saggio, dal titolo Il femminicidio, il primo testo pubblicato sull’argomento in Italia nel 2008.

L’uso del termine femminicidio e femmicisdio ha il grande merito di costruire un linguaggio condiviso attraverso cui le donne hanno potuto riconoscere e affermare la propria volontà di essere soggetti liberi. Il ruolo fondamentale della scuola è quello di identificare gli impliciti nei linguaggio e nelle strutture del sapere che continuano a proporre forme di pensiero gerarchiche e che hanno da sempre controllato, la produzione di forme di pensiero femminili. Riconoscere la differenza tra i generi è cosa diversa di tracciare separazioni e confini che ostacolano la relazione e la comunicazione. La violenza sulle donne va letta non come una semplice violenza di genere, ma come l’esito di un generale sistema culturale ed educativo che tende ad imporre e riprodurre sfruttamenti, esclusioni, trattamenti inumani. La violenza è l’assuefazione. La donna tende a giustificare atteggiamenti da parte dell’uomo come segno di gelosia, di stress, di un brutto carattere. L’ho uccisa perché l’amavo. FALSO!!!”. Qui un ruolo importante lo hanno i media. Essi hanno il merito indiscusso di aver messo in luce e aver diffuso informazioni sui fenomeni della violenza dando alla collettività l’opportunità di discutere di tali eventi. I media illuminano e rendono visibili il sistema della violenza sulle donne, ma spesso, anche se involontariamente, riproponendo gli stereotipi. Il problema della violenza richiama tutto l’intero sistema della formazione. La prevenzione sulla violenza deve esserci dalla prima infanzia e dalla famiglia. Educare le madri e i padri a riflettere sugli stereotipi e avviando percorsi educativi dove sono fondamentali il dialogo, la solidarietà e la reciprocità. Dal 1948 fu emanata la Dichiarazione Universale dei diritti umani. Numerose sono le conferenze internazionali, come per esempio: ▪ La CEDAW, la Convenzione sull’Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione contro le Donne, riconosciuta nel 1980. ▪ La Conferenza di Vienna istituì il “Tribunale globale sulla violazione dei diritti delle donne” nel 1993. L’ALTRO DEI CORPI. CARTOGRAFIE DEL SOGGETTO E VIOLENZA DI GENERE di Francesca Marone. La violenza di genere in Italia è un fenomeno che oramai ha assunto i contorni di un problema sociale, spesso oggetto di attenzione da parte dei media e dell’opinione pubblica. La violenza appartiene alla condizione umana, è un problema sociale che si esprime in diversi modi e deve essere contestualizzato, storicizzato. Il termine stesso “violenza” deriva dall’etimo indo-europeo wir che significa forza, attacco, violazione di qualcosa che merita rispetto. In Italia è sempre più presente e frequente il femminicidio. Riccardo Iacona ha sottolineato che in Italia nessuno sembra volersi prendere la responsabilità di dire qualcosa e non fare nulla, di fatto, si accetta la violenza. L’essere ridotte a corpo-oggetto porta le donne a interiorizzare lo sguardo dell’osservatore e ciò determina nelle donne più giovani un maggiore controllo del corpo correlato a sentimenti di vergogna e inadeguatezza per il proprio corpo.

La grande lezione del femminismo è stata la capacità di allontanarsi da una visione essenzialistica che produceva un modello unico di femminilità per scoprire e tematizzare le differenze tra le donne. In passato, l’educazione femminile doveva essere plasmato attraverso la funzione del suo essere corpo materno, come unico scopo del suo divenire. L’identità è una costruzione discorsiva intimamente connessa con il potere, costringe a ripensare all’identità sessuale, usando così il termine queer, diverso. La filosofia Judith Butler considera il corpo sessuato una costruzione culturale e non un dato biologico irriducibile, essendo il sesso una forma di regolazione attraverso cui la corporeità viene concretizzata dal potere. Il corpo diviene un corpo culturalmente intellegibile, cioè comprensibile a partire da un’analisi culturale; cosicchè esiste un corpo leggibile, quello corrispondente al dettato delle norme costituire e un corpo illeggibile, che, al contrario, sfugge al riconoscimento della società. Teresa de Laurentis parla di “soggetto eccentrico” come un soggetto molteplice, indisciplinato, in contin...


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