Ricciardi. L\'ideale di giustizia. Da Rawls a oggi PDF

Title Ricciardi. L\'ideale di giustizia. Da Rawls a oggi
Course Filosofia del diritto
Institution Università degli Studi di Cagliari
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Riassunto dettagliato della parte introduttiva...


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L’IDEALE DI GIUSTIZIA Da John Rawls a oggi

Introduzione -

Cos'è la giustizia? La parola “giusto” esprime plauso. La parola “ingiusto” esprime biasimo. Dell'azione di una persona che ha agito giustamente si dice che è degna di lode. L'ingiustizia invece è qualcosa che normalmente disapproviamo. A nessuno piace essere accusato di aver commesso un’ingiustizia. Fatta questa necessaria premessa che ci trova tutti d'accordo, la faccenda si complica quando qualcuno ci chiede di spiegare cos’è la giustizia, o almeno di darne una definizione. La difficoltà a cui andiamo incontro non dipende dal fatto che non siamo in grado di fare degli esempi di ingiustizia, perché l'esperienza passata e la cronaca mettono a nostra disposizione un lungo catalogo di esempio da cui attingere: eliminazione da una gara di un atleta sospettato di doping sulla base di rilievi poco affidabili; una truffa subita da un conoscente; il blocco di un’autostrada da parte di un gruppo di manifestanti; i termini di un accordo internazionale negoziato sotto la minaccia della violenza ... Per quanto sia salda la mia convinzione che in tutte queste circostanze è stata commessa un'ingiustizia, non riesco a trovare una formula che catturi adeguatamente le caratteristiche che tali eventi hanno in comune. Accade ad esempio che, quando mi trovo a spiegare ad un amico, che sostiene la causa dei lavoratori in sciopero, perché il blocco stradale mi sembra un metodo di lotta ingiusto, mi trovo in seria difficoltà e sono costretto ad ammettere di non riuscire a confutare alcuni dei suoi argomenti in assenza di una chiara idea di cosa sia la giustizia. Sono consapevole inoltre che potrei trovarmi nella stessa situazione anche discutendo gli altri casi di presunta ingiustizia con persone che non sono della mia stessa opinione. È evidente che in questo caso le proprie intuizioni su cosa sia giusto e su cosa sia ingiusto non risultano affatto sufficienti. Prendiamo in considerazione un fatto piuttosto semplice: non mantenere le promesse. Esiste un consenso diffuso sul fatto che una persona che non tiene fede alla parola data commette un’ingiustizia nei confronti del destinatario della promessa. La relativa uniformità delle nostre reazioni di biasimo è testimoniata da pratiche linguistiche consolidate come quella di scusarsi o di offrire una giustificazione se non si rispetta la parola data. Tuttavia se qualcuno ci chiedesse di spiegare perché è giusto mantenere le promesse ci troveremo probabilmente in difficoltà. L'abitudine non può essere considerata una ragione sufficiente, perché se lo fosse saremmo costretti ad ammettere che tutti i modi di fare consolidati, proprio per via di questa caratteristica, ci obbligano alla conformità. Cosa dovremmo fare inoltre se ad essere ingiusta fosse proprio la pratica?

Torniamo al nostro immaginario interlocutore che ci chiede una spiegazione o una definizione di giustizia. La richiesta è un invito ad andare oltre le intuizioni per trovare un punto di partenza condiviso per discutere. Costui infatti non ci interroga sulle nostre impressioni ma ci chiede cos'è giusto e cosa ingiusto e in quali circostanze possiamo affermare senza ombra di dubbio che una persona non ha agito giustamente. Una risposta sbrigativa potrebbe essere quella secondo cui “è ingiusto fare ciò che non si deve fare” . Tuttavia questa definizione non è accettabile perché esistono casi in cui si può dire che una persona ha il dovere di compiere un'azione, perché ad esempio c'è una legge che glielo impone, eppure allo stesso tempo non sarebbe fuori luogo affermare che l’azione in questione non è giusta. Pensiamo ad esempio al caso di un pubblico ufficiale che ha il dovere legale di agire in un modo che offende la nostra sensibilità, eseguendo ad esempio lo sfratto di una famiglia che sappiamo essere priva di mezzi di sostentamento. Accade sovente infatti che nella vita di ogni giorno l'adempimento di un dovere imposto dalla legge comporti un'ingiustizia. Fare ciò che si deve non è necessariamente giusto. O meglio non possiamo accettare che lo sia senza aver compreso cosa si intende per “dovere” nelle diverse circostanze in cui impieghiamo questa parola. Spostare l'attenzione dall'azione alla regola non cambia radicalmente i termini del problema. Anche le critiche morali rivolte a una regola sociale che impone di compiere un’azione ingiusta si formulano allo stesso modo, dicendo “non è giusto”. Lo stesso avviene per le regole che permettono l'ingiustizia. Ad esempio si afferma che è ingiusta una legge che non stabilisca limiti stringenti per la carcerazione preventiva, oppure si afferma che non è giusta una procedura di selezione per un incarico pubblico che non tenga adeguatamente conto delle qualificazioni o delle capacità dei partecipanti. Appare naturale concludere che regole che permettono l'ingiustizia sono a loro volta ingiuste. Ma in che senso sono ingiuste, se lo sono? Che differenza c'è, ammesso che ce ne sia una, tra l'ingiustizia di un'azione e quella di una regola?

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Soffermiamoci sull’azione ingiusta. Parlando di azioni, accade frequentemente che “giusto” e “ingiusto” siano usati come se giustizia e moralità fossero coestensive, ovvero come se ogni azione immorale fosse anche ingiusta. Questo modo di pensare affonda probabilmente le sue radici in una tradizione che risale alla Grecia antica. All'inizio del libro V dell'Etica nicomachea di Aristotele, Teognide afferma che “nella giustizia si riassume ogni virtù”. Aristotele aggiunge che essa viene considerata spesso la virtù sovrana, ovvero quella che desta maggiore ammirazione. La parola che i greci impiegavano per caratterizzare un’azione ingiusta è “adikon”, che può essere usata anche per dire che una cosa è sbagliata. Anche in alcune lingue moderne, come ad esempio l'italiano e l'inglese, la coppia composta da “adikon” e “dikaion” presenta un’ambiguità tra un senso più specifico, corrispondente ai nostri “ingiusto” e “giusto” , e uno più ampio espresso dalla coppia “sbagliato” e “giusto”.

Come nei casi di “giusto o sbagliato” e di “right or wrong” in inglese, le due parole greche possono esprimere: - sia una generica conformità o difformità rispetto a ciò che è stabilito da una regola, - sia una più specifica valutazione che assume naturalmente una coloritura morale.

L'idea che la giustizia sia la virtù sovrana che include tutte le altre è alimentata da questa ambiguità lessicale. Questa idea viene accolta dallo stesso Aristotele, che identifica la giustizia come conformità al diritto positivo (i “nomoi”) con la virtù morale in generale, sulla base della considerazione che l'uno e l'altra hanno lo stesso scopo, in quanto mirano al bene comune dei membri di una società politica, sia essa retta da un regime democratico o aristocratico, prescrivendo o proibendo le stesse cose. Ad esempio il diritto prescrive di compiere le azioni tipiche dell'uomo coraggioso, temperante o mite, e quindi ci richiede di fare esattamente ciò che è in armonia con i requisiti da soddisfare nell'esercizio delle virtù. Per Aristotele la giustizia è virtù completa perché chi la possiede è capace di servirsi delle virtù anche nei confronti degli altri e non solo di se stesso. Per i Greci il possesso della virtù apporta beneficio alla persona virtuosa. Molte virtù della tradizione classica (ad esempio temperanza e coraggio) sono disposizioni ad agire che migliorano la vita di chi le possiede. La giustizia sarebbe dunque la virtù completa in quanto è l'unica che, essendo rivolta al prossimo, è un bene anche per gli altri e non solo per chi la possiede. A partire da questa osservazione di Aristotele si afferma la tendenza a vedere nella giustizia una virtù squisitamente sociale, che riguarda le interazioni tra le persone. Una persona giusta sarebbe quindi quella che è in grado di avere l'atteggiamento appropriato nei confronti degli altri e che non agisce in modo virtuoso solo a proprio vantaggio. Un compito difficile, commenta Aristotele. Il modo di concepire la giustizia esemplificato da Aristotele corre tuttavia il rischio di oscurare distinzioni concettuali molto importanti. Come abbiamo già osservato e come lo stesso Aristotele ammette,non possiamo assumere affatto che ci sia sempre coincidenza perfetta tra ciò che ci impone una regola sociale (le regole di diritto sono un tipo di regola sociale) e ciò che sarebbe moralmente giusto fare. Sebbene la giustizia eserciti un ruolo prominente nella valutazione morale dell'azione, essa rappresenta solo un aspetto della moralità. L'azione umana presenta infatti eccellenze o difetti di vario tipo. Per esempio, se una persona agisce in modo da ferire i sentimenti di qualcuno, possiamo dire che ha fatto qualcosa di indelicato, forse potremmo dire anche che non ha adempiuto ad un dovere, ma non ci spingiamo necessariamente a dire che ha agito ingiustamente. Non è difficile immaginare una situazione in cui una persona agisce giustamente, per esempio ripagando un debito, ma in modo indelicato. Ciò dipende dal senso speciale che il termine “ingiusto” ha rispetto agli altri modi che abbiamo per formulare un giudizio negativo sul comportamento di una persona. L'uso di “ingiusto” sarebbe probabilmente più appropriato nel caso di un genitore che punisca un figlio in maniera più severa per una marachella a cui hanno partecipato egualmente anche gli altri figli, oppure nel caso di un genitore che punisca uno dei figli senza preoccuparsi di accertare se sia effettivamente colpevole. Se l'ingiustizia è un difetto dell'azione non c'è dubbio che tale genitore ne è colpevole.

Ma di quale difetto stiamo parlando? Nel primo caso il genitore punisce i figli in modo diverso anche se essi sono egualmente responsabili della stessa azione riprovevole. Nel secondo caso invece la punizione è arbitraria e dunque ingiustificata. Cosa hanno in comune questi due casi che spieghi perché li consideriamo entrambi ingiustizie? Hart, l'autore da cui abbiamo ripreso gli esempi che stiamo discutendo, ha scelto per illustrare l'ingiustizia due situazioni che evocano la figura di un giudice. In entrambi i casi di cui stiamo parlando infatti, il genitore viene presentato come una persona che ha il diritto di punire i propri figli se fanno qualcosa di male. Si può dire che in entrambe le situazioni in oggetto il genitore esercita tale diritto in maniera impropria, in quanto abusa del proprio diritto. In cosa consiste questo abuso? Se il genitore avesse punito nello stesso modo tutti i figli egualmente responsabili della stessa marachella diremmo probabilmente che ha agito in modo giusto, almeno nel senso minimo di “giustizia come regolarità” per cui casi uguali previsti da una regola devono essere trattati nello stesso modo. Un giudice giusto infatti applica le regole in modo imparziale, senza fare distinzioni arbitrarie di trattamento tra persone che si trovano nella stessa situazione. In questo senso si può sostenere che anche il secondo genitore ha commesso un'ingiustizia perché potrebbe essersi trovato nella situazione di punire una persona che non si è macchiata di alcuna colpa. Punire un innocente equivale a fare differenze arbitrarie di trattamento (in questo caso tra persone egualmente innocenti). L'esame di esempi come quelli proposti da Hart ci consente di trovare un caso paradigmatico da cui partire per spiegare cos'è la giustizia. L'ingiustizia dell'azione sembra essere infatti la manifestazione più immediata (perché più vicina all'esperienza quotidiana) di questo difetto da cui muovere per chiarire il concetto di giustizia. Per affrontare questo problema viene spontaneo chiedersi che cosa hanno in comune tutti gli atti giusti e che cosa li distingue da quelli ingiusti. C'è qualcosa che accomuna tutte le manifestazioni di giustizia (o di ingiustizia) dell'azione? L'idea che la giustizia sia una virtù che riconosciamo nel modo di agire delle persone suggerisce che c'è uno specifico difetto caratteriale che si accompagna al vizio dell'ingiustizia. Per Aristotele tale difetto consiste in ciò che egli chiama “pleonexia” (ingordigia o desiderio di avere più degli altri). Il filosofo contemporaneo Bernard Williams ha rilevato che l’essere motivati da pleonexia nel fare qualcosa non è un requisito necessario dell'ingiustizia. Egli infatti ha fatto notare che ciò che conta perché un'azione sia ingiusta non sono le motivazioni che la accompagnano. In realtà l'ingiustizia si presenta in compagnia di diversi atteggiamenti. Infatti si può agire ingiustamente per ingordigia o per il desiderio di avere più degli altri, ma anche per superficialità o per invidia. Talvolta un'ingiustizia può essere persino involontaria, come può capitare quando una persona cagiona un danno ad un'altra senza averne l'intenzione. A questo punto però accade che non è più chiaro perché l'ingiustizia sarebbe un vizio, almeno nel senso in cui lo sono la codardia o l’insincerità, che sono invece accompagnate necessariamente da un atteggiamento mentale di un certo tipo. Esistono inoltre situazioni in cui l'ingiustizia non è il risultato dell'azione di una persona che ha l'intento di far torto a qualcuno, ma piuttosto la conseguenza di un certo assetto sociale. Probabilmente siamo tutti d'accordo nel ritenere che una legge è ingiusta se stabilisce differenze di trattamento arbitrarie tra le persone. L'ingiustizia risultante dall'applicazione pedissequa da parte di un giudice di una legge di questo tipo non è il prodotto dell'intenzione colpevole del magistrato. Ciò che in questo caso è ingiusto è il modo in cui la legge distribuisce vantaggi e oneri tra le persone. Questo esempio dimostra che esiste un’asimmetria importante tra un caso significativo di ingiustizia e le altre virtù, tuttavia ciò non significa che dobbiamo rigettare integralmente la ricostruzione aristotelica della Giustizia. Esistono indubbiamente casi in cui una persona agisce in modo ingiusto per una forma di

ingordigia come quella di cui parla Aristotele, tuttavia non possiamo partire da esempi del genere per spiegare cos'è la giustizia. Alla luce di queste considerazioni alcuni filosofi contemporanei hanno tentato un approccio diverso alla chiarificazione del concetto di giustizia. Per illustrare questo approccio alternativo può essere utile pensare alla società in cui viviamo attraverso l'analogia con un gioco come il calcio. Nel calcio tutti i giocatori competono per la vittoria ma il gioco non sarebbe possibile se non ci fosse un certo livello di cooperazione tra di essi. E’ evidente che la divisione in due squadre comporta la cooperazione tra le persone della stessa squadra, ma è importante sottolineare che se tutti i giocatori non accettassero le regole del gioco non ci sarebbe nessuna partita. La vittoria, e più in generale il piacere di prendere parte alla partita, dipendono sia dalla competizione sia dalla cooperazione. Considerato come una pratica sociale, il gioco ha una struttura costituita dalle regole che attribuiscono poteri, ovvero che stabiliscono cosa può fare ciascuno dei giocatori all'interno del gioco stesso, quali sono le mosse che è autorizzato a compiere in quanto persona che ha un certo ruolo nel gioco. Attraverso l'attribuzione di questi poteri normativi, le regole distribuiscono libertà alle persone che partecipano al gioco. Uno degli aspetti interessanti di questo modo di vedere la società è che esso ci aiuta a cogliere l'importanza delle regole che attribuiscono poteri, e quindi distribuiscono libertà, nel condizionare le possibilità di azione dei giocatori. Le regole del gioco distribuiscono la libertà di toccare il pallone con le mani in modo diverso tra chi partecipa al gioco e questa differenza è destinata ad avere un impatto sul controllo esercitato sul pallone stesso da chi occupa ruoli diversi. Pensare alla società attraverso l'analogia con un gioco ci aiuta inoltre a vedere che certe cose che ci colpiscono come ingiustizie non sono necessariamente il prodotto della volontà di una persona di commettere un torto, e nemmeno sono inevitabilmente la conseguenza dell'esecuzione di una regola che impone di compiere un’azione ingiusta, ma possono dipendere invece dal modo in cui le regole che costituiscono diverse pratiche e istituzioni sociali distribuiscono la libertà tra le persone che a esse prendono parte. In casi del genere l'ingiustizia è un difetto delle pratiche o delle istituzioni e non è un difetto di una persona o di una regola. Per questo motivo . La giustizia infatti ha un legame intimo con la società intesa come un'attività cooperativa intrapresa per il mutuo vantaggio da un gruppo di persone tra cui c'è sia identità sia conflitto di interessi.

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Hart osserva che buona parte delle critiche che muoviamo ad una legge impiegando le espressioni “giusto (just) e ingiusto (unjust)” potrebbero essere anche formulate usando “fair and unfair” . Per Hart la fairness non è coestensiva con la moralità in generale. Tale nozione viene normalmente richiamata in due tipi di situazioni: quando abbiamo a che fare non con la condotta individuale di una persona ma con il modo in cui classi di individui sono trattate nella distribuzione di qualche onere o beneficio. In questi casi ciò che è fair o unfair è la quota che essi ricevono. quando qualcuno subisce un ingiuria e c'è la richiesta di una compensazione o di una riparazion e. Hart ritiene che in tutti questi casi le nostre valutazioni assumono sullo sfondo il principio che le persone hanno titolo, l’una nei confronti dell'altra, a certe posizioni relative di eguaglianza o di diseguaglianza. Una volta chiarito il contenuto e la portata di questo principio latente sarebbe possibile spiegare le diverse

applicazioni del concetto di giustizia come derivazioni o estensioni a partire dai due tipi di situazione che abbiamo menzionato. Ciò che Hart ha in mente quando parla di una legge come unfair è il modo in cui essa plasma la vita delle persone cui si applica, attraverso la distribuzione di vantaggi e svantaggi della cooperazione sociale. Nel presentare la propria tesi egli riprende la distinzione di Aristotele tra due sensi in cui si potrebbe parlare di giustizia particolare (fig. 1 pag. XVI). Per Aristotele la giustizia particolare ha a che vedere con l'uguaglianza (egli impiega la parola greca “ison” che letteralmente significa eguale) e si divide in due specie. In ciascuna delle due specie di giustizia particolare l'eguaglianza assume tuttavia un senso diverso. Nella prima si tratta di eguaglianza proporzionale al merito delle persone coinvolte. Nella seconda si tratta di un’eguaglianza stretta tra le parti di un’interazione. La concezione dell'eguaglianza di Aristotele ha suscitato controversie vivaci tra gli studiosi ma è bene sottolineare che essa rispecchia in parte il modo di pensare di una cultura che non riconosce l'eguale valore delle persone come la nostra. Applicando la distinzione di Aristotele al problema di cui si occupa Hart possiamo dire che una legge può essere considerata Fair o Unfair da ciascuno dei due punti di vista. Dal primo punto di vista perché essa distribuisce in modo diseguale oneri o benefici tra le persone che appartengono a un gruppo o che partecipano un'attività. Dal secondo punto di vista perché ammette squilibri tra le parti di un’interazione. Gli oneri e i benefici di cui si parla a proposito di giustizia distributiva possono essere di vario tipo. Dal lato attivo della bilancia andrebbero inclusi tra i benefici non solo reddito e ricchezza ma anche le diverse posizioni normative cui genericamente ci riferiamo impiegando l'espressione “diritti”. Ad esempio una legge che distribuisce il potere di concludere contratti tra le persone attraverso la disciplina che regola la capacità di agire e stabilisce i requisiti di validità per il contratto in generale oppure per i diversi tipi di contratto.

Veniamo ora al secondo tipo di giustizia particolare: la giustizia correttiva. La Fig.2 riassume la distinzione di Aristotele riportando gli esempi che egli menziona. Le due specie di rapporti che Aristotele Individua corrispondono in parte alla classificazione delle Fonti delle obbligazioni nella tradizionale sistemazione del diritto civile. Da un lato la mancanza di fairness può dipendere dal fatto che la legge non interviene per correggere lo squilibrio che si determina all'interno d...


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