Riassunto Carlo Galli PDF

Title Riassunto Carlo Galli
Author Martina Martinicca
Course Storia delle Dottrine Politiche
Institution Università del Salento
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riassunti dettagliati di dottrine politiche , Manuale del pensiero politico Carlo Galli...


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RIASSUNTO CARLO GALLI- MANUALE DI STORIA DEL PENSIERO POLITICO CAPITOLO I : L’ANTICHITÀ GRECA E ROMANA L’immagine del cerchio sarebbe probabilmente quella più adatta per descrivere come i greci percepivano il loro spazio politico, cerchio dove al centro si pone il potere (kratos o archè), di farlo una questione politica, una cosa pubblica, che riguardava tutti. La politica ha lentamente eroso il carattere sacro delle leggi, ponendosi nel mezzo proprio perché disponibile ad ascoltare le ragioni di tutti, e di contro ha dovuto legittimarsi non più sulla tradizione, ma sulla necessità di ordine sociale, di assorbire le dinamiche interne alla polis. Lo spazio circolare della politica è uno spazio determinato dall’esclusione, dalla netta separazione tra i liberi e gli schiavi, tra uomini e donne, ricchi e poveri, l’uguaglianza è dunque molto diversa da quella che intendiamo noi. Ma ciò che ci separa maggiormente da loro è il concetto di democrazia partecipata, non più attuabile nella modernità. OMERO Omero nell’Iliade e nell’Odissea ci mette a nudo il mondo greco, difatti gli studiosi notano nel poema una forte crisi dell’autorità (Achille è un ribelle ad Agamennone, capo supremo, Ulisse deve riconquistare il trono usurpato). In ogni caso la virtù eroica (aretè) che si imparava da Omero era un valore fisico e morale, che non solo era ad appannaggio dei pochi (il ghenos), ma che per sua stessa natura di riconoscimento in forza e onore, generava un infinità di conflitti. Conseguentemente la morale eroica si scontra con il concetto di diritto, sfociando nel conflitto sia interno che esterno. Per questo si assiste alla decadenza di questo modello. Da qui nasce l’irrisolto dualismo che percorre l’Iliade, la virtù eroica individuale (che privilegia la supremazia del singolo sugl’altri), e la capacità di giudizio collettivo, cioè conciliare forza e consiglio (Achille e Agamennone). Il sistema valoriale che emerge dai poemi omerici si dimostra fragile. PLATONE Di fronte alla crisi che attraversava le istituzioni ateniesi, e alla insofferenza provocata dalla sofistica, Platone volle promuovere uno schema teorico fondato su basi solide, tanto da non essere attaccabile neppure dai sofisti. La politica doveva essere rifondata su quei valori di giustizia e virtù, dandole una funzione tecnica, cioè come arte egemonica, fondata dal governo dei saggi, cioè dei filosofi. Nel “Repubblica” Platone vuol venire a capo della questione della Giustizia, cioè la virtù

politica per eccellenza, confutando la tesi utilitaristica di Trasimaco (giustizia come utile del più forte) secondo la tesi che il perseguimento dell’utile, da parte di qualunque gruppo, anche criminale, seguendo la virtù non può che avvenire secondo giustizia. Platone nella genesi della città vede presenti i produttori, cioè coloro che soddisfano i bisogni dei cittadini producendo ciò che è necessario, a questi successivamente si affiancano i Phylakes, coloro su cui prevale l’elemento dell’aggressività, i custodi guerrieri. Infine ci saranno gli archontes, cioè coloro che governeranno la città, coloro che dotti sulle scienze, privi di ogni legame familiare affettivo, di ogni proprietà privata saranno quelli più adatti a svolgere la funzione di governo. E’ la teoria delle tre stirpi, bronzea, argentea, aurea, cioè coniugare nella politica tre componenti dell’anima umana, desiderio, aggressività e ragione, in modo sistemico e gerarchico (castale e fisso). Dato che i filosofi conoscono il vero e il bene (secondo il mito della caverna), loro sono i più indicati, a svolgere il potere secondo Giustizia. Le forme di governo tendono a degenerare secondo lo schema : timocrazia-oligarchia-democrazia-tirannide. Nella vecchiaia il suo pensiero perde quella componente radicale e comincia ad accettare la debolezza umana, difatti nel suo scritto Nomoi (le leggi), accetta che la politica sia retta da leggi, cosa che rifiutava precedentemente, visto che le leggi sono il simbolo della fragilità umana, ma riconosce in loro il mezzo migliore per limitarla. Oltre questo Platone diventa più sensibile sul tema della libertà e della democrazia, non ritenendole più sintomi di anarchia. Riconosce che è necessaria una mescolanza tra il principio di libertà e quello di autorità, riconoscendo l’importanza del tema del consenso, accettando anche la famiglia e la proprietà privata. ARISTOTELE Anche per Aristotele come per Platone la giustizia è una virtù che si manifesta nell’universo politico, di diversa concezione è come sia definita e come si manifesti. La politica fa parte delle scienze pratiche, che si distinguono da quelle teoretiche, operando una rottura del sapere rispetto alla concezione Platonica che lo poneva come unificato e che l’esattezza fosse rintracciabile in qualunque campo. Nell’Etica Nicomachea, la politica viene analizzata nell’ambito della vita associata. Virtù fondamentale è la prudenza, segnado il passaggio alle virtù etiche (coraggio, temperanza e liberalità) che fanno delle passioni un elemento sussidiario rispetto alla ragione. Le virtù etiche sono le disposizioni meidante le quali l’uomo diventa buono e compie il bene disciplinando le passioni e gli istinti, tuttavia se per agire bene bisogna conoscere il bene, è fondamentale conoscere la virtù individuale per

agire correttamente nella prassi. Essendo impossibile dimostrare per via teoretica ciò che è giusto in qualunque caso, Aristotele adotta il criterio del “giusto mezzo”, il bene pratico è ciò che sarebbe stato scelta dall’uomo giusto. La più importante di tutte è ovviamente la Giustizia, emblema di moderazione del singolo e della città, definita non come parte della virtù, ma come “l’intera virtù” (cioè quella che le raccoglie tutte). La Dikaiosyne (Giustizia) si suddivide in distributiva (delle ricchezze alla cittadinanza) e correttiva (privilegiando l’uguaglianza nelle relazioni). Non esiste un ottimo stato, ma molte possibilità di realizzarlo nelle diverse città, secondo la virtù degl’uomini, secondo i dettami della ragione pratica. Aristotele è rivoluzionario rispetto a Platone anche perché ritiene che la politica non sia ne buona ne cattiva, ma sia un dato necessario. La distanza con Platone emerge subito riguardo al fondamento della vita associata, poiché secondo lui non nasce solo da individui che svolgono funzioni e da governanti che impartiscono ordini, bensì nasce come organizzazione complessa che accoglie contraddizioni e necessità complesse. Il potere politico si differenzia dalle altre fonti di potere (familiare, economico ecc.), poiché è si concepito come comando, tuttavia esercitato su liberi e uguali. Qui si istaura il legame tra autorità e libertà, fondata sulla proprietà privata, poiché liberi sono coloro che sono padroni di beni, quindi qui è in polemica con platone che voleva abolire la proprietà all’interno della sua Polis ideale. Analizzando la città, Aristotele dice che la Politeia è la struttura che da ordine alla città, ma bisogna definire diversamente il cittadino in base a seconda della costituzione vigente. Aristotele elenca tre forme politiche buone (regno, aristocrazia e politia) e tre degenerate (tirannide, oligarchia e democrazia). La distinzione delle forme dipende più dalla ricchezza e dalla povertà, piuttosto che dalla formalità, ha lungimiranza nell’adottare un’analisi sociologica. Aristotele si oppone ad una visione del governo aristocratico dei più abbozzando una teoria della ragione dei più. La maggioranza è per aristotele una somma di virtù individuali, dunque più adatta a governare dei pochi. Nel 4 libro della politica vuole trovare la forma di potere migliore e d utilizza il criterio della stabilità, di quiete del regime per classificare la migliore. Secondo lui la ricetta perfetta sta nella estensione della classe media, del suo peso nella vita politica e nell’uguaglianza dei suoi membri come la ricetta ideale per uno stato stabile, governato da una mistione di politia e aristocrazia sarà lontano dagli eccessi, dunque ben governato. I valori cardine che Aristotele evidenzia quando studia le costituzioni ateniesi sono il rispetto delle leggi, qualunque sia il regime politico, un cauto avvicinamento alla democrazia, ritenendo positivo l’autogoverno. Aristotele vede l’uomo come animale politico naturalmente socievole.

ELLENISMO La crisi delle poleis apre un nuovo scenario politico che porterà la politica stessa in secondo piano. Ciò è evidente nelle teorie dei cinici che scindono il privato dal pubblico, slegandosi dalla patria, nelle teorie di Epicuro del vivi nascosto, lontano dall’impegno politico, anche se quest’ultimo dava importanza all’ordine politico necessario per raggiungere i propri interessi. Caso differente è lo stoicismo che da un lato critica gli assetti sociali e il dovere nei confronti della “legge” e non della morale, ma dall’altro sostiene che l’ordine politico debba essere fondato sulla ragione e sull’unità del cosmo in maniera che legge di natura e razionalità siano coincidenti. Roma Passata in poco più di 200 anni da un regime monarchico ad uno repubblicano, Roma intorno alla metà del 200 a.C. si affacciava sul Mediterraneo per sconfiggere Cartagine. La repubblica era governata dal Senato, termine della carriera politica di ogni nobile, la cui unica attività degna era proprio quella politica. Il Senato deteneva l’auctoritas e conferisce legittimità alla potestas. Dopo le guerre civili l’auctoritas passerà nelle mani del princeps e poi dell’imperator che accomunerà su di sé ogni potere. Il Senato è un unicum rispetto all’esperienza greca, infatti mai la nobiltà ellenica era riuscita ad influenzare tanto a lungo la vita politica delle poleis. Secondo i romani è proprio l’auctoritas a rappresentare quel quid che li differenzia dalla libertà senza freno che fu la rovina dei greci. Il Senato è organo consultivo, ratifica le decisioni delle assemblee, amministra il tesoro, impone le tasse, rappresenta la città, controlla l’operato dei magistrati. È il custode della continuità di Roma. La potestas passerà anche nelle mani del popolo grazie alle lotte che esso intraprenderà nel corso dei primi anni di Repubblica, un esempio è la tribunicia potestas dei tribuni. La potestas è la capacità di imporre prescrizioni e di esercitare una certa forma di coercizione, lo avevano censori, questori edili, consoli e pretori. L’imperium è il comando militare proprio dei consoli e dei pretori. Le magistrature erano elette dai comizi centuriati che rappresentavano il popolo divisi secondo il censo. Le assemblee votavano le leggi proposte mentre i magistrati le possono anche arrestare. La forma politica romana assurse a modello lungo l’arco di tutta la sua durata la libertas,la virtus e la civilista. Una cosa fondamentale che nacque a Roma è la giuridicizzazione della politica, ossia il riconoscimento che la politica assume la forma del diritto. Il diritto romano posa sulla distinzione tra ius publicum e ius privatum. In entrambi i campi si distingue tra lex, approvata dalle assemblee valide erga omnes, e sentenze valide solo per chi è

chiamato in giudizio. La lex a Roma era il frutto della mediazione e dell’incontro di più volontà.

CAPITOLO II : CRISTIANESIMO E POLITICA LE ALTERNATIVE PRINCIPALI Il cristianesimo, come ogni rivoluzione spirituale, ebbe molte ricadute culturali e pratiche. Innanzitutto un nuovo e radicalmente diverso schema valoriale (amare il nemico), a cui si somma il comandamento “date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”, si vede che il cristianesimo è una rivoluzione spirituale che tende a tenere bilanciati il potere trascendente della fede, e quello terreno, in un instabile equilibrio. Concetto cardine è che ormai la lealtà dell’uomo verso il potere è divisa, si è costruita una frattura, si pone il dilemma del comportamento, pro stato o pro fede? Gli atti degli apostoli non lasciano dubbi, bisogna ubbidire a Dio e non alla legge umana. PAOLO L’apostolo Paolo raccomanda di essere sottoposti alle autorità esistenti, poiché preposte da Dio stesso, poiché l’obbedienza è dovuta al fatto che tutti i poteri derivano da Dio. Il potere è visto come strumento punitivo dei malvagi, è dunque ministro di Dio, viene chiamato potere della spada. In Paolo è forte la trascendenza, ma non cerca mai di sovvertire l’ordine secolare, ma di giustificarlo con un’argomentazione teologica. ERMA E LA “LETTERA A DIOGNETO” L’invito di Erma al cristiano è di non radicarsi alla vita terrena, poiché l’ordine terreno non rimandano alla volontà di Dio, dunque l’obbedienza è passiva, poiché i cristiani abitano la terra come stranieri residenti. LA SVOLTA COSTANTINIANA Con Costantino il cristianesimo abbandona la via tracciata da Erma, e favorivano una attività nel mondo terreno, che però eclissava la scienza politica a favore della teologia. C’erano svariati principi, quello più importante era che nessun potere poteva legittimarsi se non per via dell’etica e dello scopo cristiano, cioè nel disegno

divino. Roma si cristianizza, e il cristianesimo si romanizza, attingendo dall’enorme patrimonio giuridico romano, cioè l’attitudine di atteggiarsi nei confronti della bibbia come ci si atteggiava al corpus iuris. Un problema che divenne sempre più pressante era tenere insieme il potere classico secolare con quello trascendente. Nacque il dualismo dei poteri, le cosiddette due spade. EUSEBIO DI CESAREA Eusebio stringe impero e chiesa in un legame non occasionale, ritenendo che il messaggio di Cristo fosse stato portato nel momento temporale in cui fosse stato più facilmente conoscibile, cioè nell’impero universale di Roma. Dio sceglieva così di operare nella storia. Alla cattiva politica del politeismo, Eusebio contrapponeva la giusta teologia politica del cristianesimo, secondo il principio: Una sola chiesa, un solo impero, dunque un’analogia tra impero e monoteismo, dunque una giustificazione del potere politico. Costantino è vicario di Dio, dunque sia capo spirituale che politico. Questo è il “cesaropapismo”. AGOSTINO Per Agostino il potere politico può giustificarsi solo come esecuzione della volontà di Dio, altrimenti è semplice brigantaggio. Secondo agostino Roma con il suo diritto ciceroniano era distante da quello vero, cioè la giustizia divina. Agostino non teorizza un potere nuovo, ma iscrive Roma e il suo impero nella provvidenza, quella imperscrutabile volontà che da ai buoni e ai cattivi, Dio è l’autore della storia. Agostino ha svalutato la virtà romana in quanto incentrata nella ricerca della Gloria. Secondo agostino esistono due città, una terrena ed una celeste, e si delinea una dialettica tra queste due, quella terrena che ama più se stessa che Dio, e quella celeste che ama Dio ed è indifferente a se stessa. Le due città sono destinate a convivere fino alla fine dei tempi, allora si istaurerà la città di Dio per suo volere. Agostino da valore all’ordine politico in quanto necessario alla vita nella città terrena, che è negativa quando guarda a se stessa, positiva quando tende a Dio. Il potere è quindi un ministero necessario dal peccato originale che ha rotto l’uguaglianza e l’armonia degl’uomini. TOMMASO D’AQUINO Adatto a Tommaso è il detto “gratia non tollit naturam, sed perficit”, cioè la grazia non annulla la natura, ma la perfeziona. Innanzitutto c’è una maggiore considerazione della natura in Tommaso, rispetto alle tesi dell’Agostinismo politico,

specialmente di quella umana, che non era più solo negativa e bisognosa di un potere coercitivo, ma anche positiva, in quanto razionale, in grado di costruire un ponte tra natura e grazia. Secondo Tommaso esiste una lex naturalis che tiene insieme tutto il creato, discendente dalla lex aeterna, e fornendo un quadro su cui costruire la lex Humana. La legge naturale emanata da Dio è l’ordine razionale dell’essere che l’uomo può conoscere grazie alla ragione. Questa può essere trascurata dagl’uomini che hanno la mente ottenebrata dalle passioni, ma nega che l’anima umana non sia naturalmente buona. Secondo lui l’uomo ha una naturale e spiccata tendenza associativa, dovuta alla necessità e molteplicità dei bisogni umani. Potere (necessario per ottenere i fini dei più) e società sono naturali tappe dello sviluppo umano. Secondo Tommaso, il bene comune è ciò che interessa a tutti, dunque è anche il bene dell’associazione politica. Così si legittima la legge civile e del potere politico come strumento. La forma di governo che egli ritiene più adatta è quella dell’uno, poiché immagine di Dio unico che regge l’intero universo, e perché l’uno è in grado di salvaguardare l’unità della società. Tuttavia Tommaso è favorevole ad una qualche partecipazione politica dei sudditi, poiché è un rimedio al carattere instabile alle forme pure di governo. Nel pensiero di Tommaso appaiono i germi del pensiero costituzionale: in primo luogo perché dice che la volontà politica degli uomini ha valore di legge solo quando discende dalla legge naturale, dunque non quando è soggetta all’arbitrio di alcuni, ma deve esprimere il bene comune. In secondo luogo, come conseguenza, la legge deve inserirsi in un quadro di leggi naturali e razionali, e il governo deve essere limitato dunque sia nel legiferare che nell’agire. Tommaso è favorevole al diritto di resistenza nei confronti della tirannine. Inoltre il potere politico è limitato dal fatto che in qualche modo tutti devono parteciparvi. Oscilla dunque tra un principato della virtù, e un principato di tutti. IL TARDO MEDIOEVO La svolta nel confronto tra potere temporale e potere spirituale sta nella nascita dei regni nel ‘300, in questo embrione di modernità, pronti a fronteggiare tanto la chiesa quanto l’impero. Essi, rifacendosi al riscoperto diritto romano, reclamavano autonomia e completezza. I COMUNI Il nome comune si riferisce alla svolta istituzionale che avvenne nell’Italia settentrionale a metà del XII secolo e che aveva caratterizzato la vita delle città nel senso dell’autonomia. Si trattava del fenomeno dell’autonomia politica della città

frutto di un patto giurato tra singoli che, dapprima definiva l’autonomia da altri poteri politici ed ecclesiastici e poi passava ad istituire forme di governo della comunità che spesso erano rappresentate da magistrature collegiali. I comuni costituirono così tante repubbliche popolari ispirate all’autonomia, alla libertà e all’autodeterminazione rispetto al potere imperiale. Si cerco una giustificazione teorica che arrivò attraverso due vie: quella dei teorici della politica, che sostenevano la preferibilità del governo popolare, e i teorici del diritto. Brunetto Latini a Firenze si prodigò nei confronti della libertà e dell’autogoverno porteranno poi all’umanesimo civile. Latini sul solco della classificazione aristotelica ritiene valida solo la forma veramente politica dei comuni, opposta alla forma regale, dove il governo è scelto e rende conto del proprio operato. Tolomeo da Lucca, nel continuare il lavoro lasciato incompiuto da san Tommaso, teorizza una naturale avversità verso il governo regale da parte di coloro che avendo coraggio, virilità e fiducia possono solo essere governati da un regime politico. Il regime politico è il potere di più persone caratterizzato da elettività e da sottomissione dei governanti alle leggi. Anche Remigio de’ Girolami sostiene la medesima tesi asserendo come dimostrazione che gli uomini tendono al bene comune incarnato dall’ordine corporativo. Nello stesso periodo rinasce lo studio del diritto romano con i Glossatori che sembravano avallare la supremazia dell’imperatore su tutto il creato e quindi anche sul papato. Successivamente si passò ad uno studio meno letterale del diritto grazie ai Commentatori che fornirono ai comuni la dottrina giuridica di cui avevano bisogno. Uno di questi fu Bartolo di Sassoferrato, il quale riconosceva la sovranità del comune, anche in assenza di una concessione imperiale, poiché in grado di governarsi da sé. Così i comuni che non riconoscevano nulla di superiore potevano essere autonomi.

DANTE Dante fu paladino della causa Imperiale, nel “Monarchia”. Secondo il principio aristotelico di società fondata sulla naturale socievolezza dell’uomo per lo scopo del raggiungimento della felicità, Dante postula una monarchia universale come presupposto chiave per il suo raggiungimento. Dante non introduce svolte logiche di rilievo, cerca piuttosto di...


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