Riassunto dei primi tre capitoli del libro \"Psicologia culturale\" di P. Inghilleri - Psicologia sociale e ambientale a.a. 2016/2017 PDF

Title Riassunto dei primi tre capitoli del libro \"Psicologia culturale\" di P. Inghilleri - Psicologia sociale e ambientale a.a. 2016/2017
Course Psicologia sociale e ambientale
Institution Università degli Studi di Milano
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PSICOLOGIA CULTURALE (P. INGHILLERI)!CAP 1 - I FONDAMENTI DELLA PSICOLOGIA CULTURALE!1 I precursori e le origini!1.1 Lev Vygotskij Lev Vygotskij (1896-1934) è stato il primo autore che ha dato uno spazio adeguato all’influenza della cultura nei processi di sviluppo e di vita negli esseri umani. Due ...


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PSICOLOGIA CULTURALE (P. INGHILLERI) ! CAP 1 - I FONDAMENTI DELLA PSICOLOGIA CULTURALE ! 1.1 I precursori e le origini !

1.1.1 Lev Vygotskij Lev Vygotskij (1896-1934) è stato il primo autore che ha dato uno spazio adeguato all’influenza della cultura nei processi di sviluppo e di vita negli esseri umani. Due apporti importanti: - centralità del contesto socioculturale nei processi di sviluppo, con particolare riferimento a quelli linguistici e cognitivi; - teorizzazione concetto di artefatto. La costruzione della prospettiva di analisi di Vygotskij è prodotta grazie all’utilizzo di un nuovo approccio di studio, secondo cui i fenomeni e quindi anche i comportamenti vanno studiati nella loro storia, nei termini delle trasformazioni che li hanno interessati a partire dal momento in cui sono apparsi fino al tempo della loro (eventuale) scomparsa. Piaget nel 1923 scrive Il linguaggio e il pensiero del fanciullo in cui propone la propria teoria dello sviluppo cognitivo del bambino. Secondo Piaget: • lo sviluppo cognitivo è un processo a base genetica e quindi quasi indipendente dal contesto di vita • ha un andamento stadiale, in quanto il bambino sviluppa competenze quantitativamente e qualitativamente differenti al raggiungimento di determinate età • pensiero e linguaggio sono strettamente legati: compaiono prima come funzioni egocentriche e in un secondo momento vengono “socializzati”, resi funzionali alla comunicazione con gli altri Vygotskij si pone in maniera critica nei confronti del pensiero di Pieget e all’interno del dibattito in corso, affrontando il problema dello sviluppo cognitivo e contemporaneamente tendo conto dei temi della filosofia hegeliana e marxista. Costruzione della teoria storico-culturale dello sviluppo esposta prima in Lo sviluppo psichico del bambino (1923-1934) e poi, in maniera più articolata, in Pensiero e linguaggio (1934). Modello di sviluppo all’interno del quale la funzione di espressione linguistica non viene considerata uno strumento di secondo livello sviluppato a immagine e somiglianza del pensiero. Pensiero e linguaggio non si sviluppano parallelamente: questi due processi evolutivi, nati come indipendenti, si intersecano più volte nel loro cammino e così facendo permettono all’organismo in evoluzione o al bambino in fase di sviluppo di integrare processi complessi all’interno di un Sé in costruzione. Aspetto innovativo di questa teoria è che tanto l’evoluzione dell’individuo quanto quella della società sono storicamente e culturalmente connotate. Nel modello storico-culturale, ogni funzione compare due volte, prima a livello interpersonale (nel linguaggio), poi a livello intrapersonale (nel pernsiero). 1

Tema del linguaggio, Vygotskij prospetta tre stadi di sviluppo: 1. linguaggio esteriore: apprendimento di tipo imitativo, spinto dal desiderio di socializzazione; 2. linguaggio egocentrico: il bambino utilizza la sua neonata competenza linguistica per interiorizzare gradatamente il linguaggio, fino a farlo diventare mentale e quindi autonomo. 3. linguaggio interiore: il linguaggio, mentale e non, diventa esso stesso uno strumento atto all’interiorizzazione e alla comunicazione del pensiero, che contemporaneamente ha sviluppato le basi della propria struttura e delle proprie funzioni. Concetti principali dell’opera vygostkijana: - Sviluppo dell’essere umano è un processo sociale, avviene attraverso lo scambio relazionale del bambino con le altre persone interagenti nella sua quotidianità - Il bambino partecipa come soggetto attivo, dotato di intenzioni e di iniziative che si manifestano nelle sue espressioni concrete - Processo eminentemente culturale, avviene in un contesto storico ben definito, a livello sociale, relazionale e di condivisione del significato - Il bambino fa uso di strumenti che si sono sviluppati durante l’evoluzione filogenetica e che sono specifici della società a cui appartiene - La mente diventa uno strumento di mediazione tra il mondo esterno e quello interno, in continua comunicazione tra loro. Ciò permette al soggetto di attribuire significato all’esperienza e di evolversi in complessità. Vygotskij colloca il linguaggio al centro della linea sociale di sviluppo (storica), che interagisce con la linea naturale di sviluppo (genetica) tramite la mediazione semiotica. Quest’ultima viene articolata dall’individuo tramite l’uso di determinati strumenti, che l’autore chiama artefatti per evidenziare come si siano formati storicamente attraverso le modifiche che l’uomo ha apportato all’ambiente durante il processo di evoluzione filogenetica e storico-culturale, accumulandosi nel bagaglio culturale di ogni specifico gruppo sociale. La cultura è dunque medium speciespecifico dell’essere umano e il linguaggio ne è lo strumento prediletto: egli parla di mediazione culturale. Questa, per Vygotskij, avviene all’interno del medesimo contesto storico culturale. La cultura è infatti un sistema complesso, determinato nel tempo e nello spazio, che mette in atto in maniera costante e continua un’operazione di mediazione semantica fra la realtà (l’oggetto) e l’individuo (il soggetto), rendendo la prima interpretabile al secondo al fine di dirigere le proprie azioni e i proprie pensieri. Nell’incontro con gli oggetti esterni il soggetto non ha un contatto diretto, ma viene mediato dagli artefatti, elementi simbolici culturalmente costruiti e tramandati, che orientano l’individuo nei processi di attribuzione di senso e che possono essere di tipo materiale o immateriale. L’artefatto è quindi il prodotto dalla cultura che s’inserisce fra l’individuo e il mondo e lo rende intellegibile e, contemporaneamente, l’insieme degli artefatti costituisce la cultura di un determinato contesto. Artefatti sia tecnico-pratici che psicologico-simbolici: entrambi i tipi svolgono la funzione sia di strumento con cui l’individuo conosce e modifica la realtà, sia di simbolo attraverso il quale il soggetto comunica e tramanda i significati da una generazione all’altra. 2

1.1.2 Jerome Bruner Jerome Bruner (1915) si è occupato di svariati argomenti, inizialmente legati al funzionamento mentale dell’adulto, poi in seguito allo sviluppo del pensiero nel bambino. La sua ricerca, nella maturità, si è concentrata soprattutto sul rapporto tra mente e cultura, fra il “dentro” e il “fuori” dell’individuo. Bruner sviluppa un modello complesso del funzionamento mentale, descritto nel suo libro La mente a più dimensioni, in cui sostiene la compresenza di due modalità di pensiero, complementari e qualitativamente differenti: • il pensiero paradigmatico o logico scientifico, simile a quello descritto nei lavori di Pieget • il pensiero narrativo, determinato dalla relazione dell’individuo con l’ambiente storico e culturale. Secondo Bruner, ricerca psicologica si deve occupare non delle analisi delle “cause” dei pensieri e dei comportamenti dell’uomo, ma dello studio del modo in cui l’uomo interpreta il mondo, se stesso e gli altri. Egli approfondisce i concetti di cultura e di soggetto definendo quest’ultimo come essere immerso in un contesto culturale specificamente determinato. La sua attenzione si sposta dall’analisi dell’interazione nella sua manifestazione concreta alla studio della rappresentazione di tale interazione e delle modalità in cui essa viene elaborata. Esempio: commenti a proposito dei soliloqui spontanei che Emmy, una bambina di 2 anni, produceva sistematicamente prima di addormentarsi. L’esperienza di Emmy esemplifica un altro elemento della teoria culturale di Bruner: la costruzione del Sé, che passa attraverso la narrazione, è profondamente legata alla padronanza del linguaggio, inteso non solo come lessico e sintassi, ma anche in relazione alla retorica e alle regole per costruire un discorso narrativo. Il linguaggio viene considerato un sistema simbolico ben preciso, con specifici vincoli e opportunità, che quindi impone non solo un punto di vista sul mondo, ma anche sull’impiego della mente nei confronti del mondo. Esso diventa un primario strumento di rappresentazione della realtà e in tal modo struttura il pensiero. In questo processo di costruzione del Sè la cultura entra non solo fornendo i contenuti simbolici e gli strumenti per comprenderli e interiorizzarli, ma anche proponendo un modello strutturale che influenza significativamente la costruzione del pensiero e il suo funzionamento. Negli ultimi vent’anni, Bruner ha concentrato la propria attenzione sullo studio della relazione culturalmente connotata tra l’individuo e l’universo dei significati. Ipotesi secondo cui, durante lo sviluppo cognitivo, oltre a costruirsi una teoria della mente (ossia la capacità di costruire una rappresentazione adeguata degli stati mentali propri e degli altri) per comprendere i pensieri altrui, il bambino struttura una teoria della cultura che gli permette di dare senso al mondo di significati in cui si trova immerso. La cultura quindi consiste nella capacità umana di rappresentarsi il rapporto con il mondo e in questa veste gioca un duplice ruolo: - mondo cui adattarsi - insieme di modalità e strumenti con cui giungere a tale adattamento. Scopo della cultura è contenere i significati e gli strumenti di significato affinché le persone possano accedervi e partecipare attivamente alla loro costruzione. Attraverso 3

un processo situato di significazione si costituisce e si evolve la mente umana. Gli elementi che stanno alla base della cultura sono: - la rappresentazione, ossia la radice della cultura individuale, interiorizzata attraverso l’esperienza e la narrazione; - il sistema simbolico, ossia ciò che informa il contesto culturale esterno Lo stretto legame che si crea tra rappresentazioni e sistema simbolico permette agli individui di comunicare con il mondo esterno e tra loro. Questo costante processo di manipolazione implica non solo la volontà di agire in prima persona nel contesto da parte dell’individuo, ma anche un reale coinvolgimento nella situazione che si sta vivendo. Tra i numerosi strumenti di significazione che la cultura contiene e trasmette, i più “antropomorfi” sono il linguaggio e il pensiero narrativo e, a un secondo livello, il racconto autobiografico. I primi due hanno la funzione di interpretare gli eventi quotidiani, renderli comprensibili all’individuo e permettergli di riordinarli e organizzarli in modo da poterli immagazzinare nella memoria. Il racconto autobiografico, invece, è il principale strumento attraverso il quale, vicariata dalla famiglia, viene trasmessa la cultura. L’interazione tra madre e bambino prima, e tra famiglia e sistema sociale poi, ha il compito, oltre che di promuovere lo sviluppo delle capacità e delle competenze individuali del bambino, anche di introdurre progressivamente quest’ultimo nel sistema culturale di riferimento. È a partire dall’interazione con la madre che il bambino inizia a interiorizzare modi di agire, immaginare e simbolizzare significati coerenti con la cultura di cui fa parte. A mano a mano che i significati interiorizzati aumentano, aumentano anche le sue competenze e potenzialità. Questo processo d’interiorizzazione si avvale di meccanismi di rappresentazione che possono essere di tre modalità: 1. la rappresentazione attiva: uno schema di tipo operativo, atto a coordinare i movimenti necessari per il compimento di un determinato compito motorio 2. la rappresentazione iconica: un’immagine, uno schema di tipo spaziale 3. la rappresentazione simbolica: un sistema di riproduzione dell’esperienza attraverso sistemi simbolici, come il linguaggio. Ciascuna delle tre tipologie di processi di rappresentazione si avvale, a sua volta, nello sviluppo filogenetico e ontogenetico dell’essere umano, di specifici amplificatori culturali, ossia artefatti che facilitano o limitano lo sviluppo di alcune modalità rappresentative piuttosto che di altre. Al campo delle rappresentazioni attive corrispondono amplificatori delle attività motorie, cioè strumenti, meccanici e tecnologici, che supportano le attività pratiche; rispetto alle rappresentazioni iconiche interagiscono amplificatori delle attività sensorie; per quanto riguarda le rappresentazioni simboliche, vengono costruiti e utilizzati amplificatori delle attività del pensiero, come per esempio le teorie scientifiche o i miti. Sulla base di ciò, l’individuo costruisce il proprio racconto autobiografico, un discorso narrativo su di sé che ha il fine di riordinare l’esperienza connettendone i vari momenti attraverso reti di significato per renderle comprensibili, memorizzabili e trasmissibili. Ne risulterà la costruzione di un Sé vista come una struttura flessibile, culturalmente determinata e con ampi margini di negoziazione per l’adattamento al contesto socioculturale di appartenenza. L’individuo non è oggetto passivo di questa 4

mediazione di significati, ma agisce su di essi attivamente, li modifica e li trasmette, così modificati, alle generazioni successive.

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1.2 Natura e cultura: psicologia evoluzionistica e psicologia culturale Alla base della psicologia culturale non vi sono solo singoli autori ma anche interi filoni di pensiero: il dibattito inerente l’importanza dei fattori biologici e dei fattori ambientali sullo sviluppo del comportamento è uno di questi. L’interazione fra fattori biologici e fattori non biologici, cioè socioculturali, è un’esperienza comune nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Esiste una specifica branca della psicologia che si occupa di questo tema, la cosiddetta psicologia evoluzionistica. Secondo questo approccio, il cervello della specie umana ha sviluppato di generazione in generazione una serie di tratti psicologici adattativi. Essi consentono, in funzione degli stimoli presenti nell’ambiente, di attivare vari tipi di processi di adattamento (emozioni, percezioni, processi cognitivi, comportamenti). I tratti sono elementi pan-umani, caratteristici di tutta la specie e costanti in ogni individuo. I processi di adattamento variano invece in funzione delle condizioni socioculturali e storiche. Queste ultime costituiscono anche i fattori che avevano portato alla formazione dei tratti specie-specifici. L’intero processo appare evidentemente bioculturale: elementi biologici e culturali interagiscono in modo inestricabile a livello sia della formazione dei tratti base sia della loro epsressione nei diversi contesti storico-sociali. La cosa interessante è che i tratti adattativi, secondo gli evoluzionisti, non sono stati selezionati in quanto portavano direttamente a un aumento della possibilità di riproduzione e di sopravvivenza (aumentando la fitness). Essi permettevano invece il raggiungimento di obiettivi immediati indirettamente collegati all’aumento della fitness. Più recentemente, è stato sottolineato come il comportamento derivi da un processo non semplicemente di interazione quanto piuttosto di co-costruzione tra geni e cultura, nel senso che essi si influenzano reciprocamente. Il genoma inoltre va considerato come fattore di potenzialità e non di vincolo rigido: non programma risposte automatiche di fronte alle diverse situazioni sociali e ambientali. Doppia eredità, una co-evoluzione tra geni e cultura: la storia di una persona e quella di una società derivano in modo congiunto dalla selezione naturale a dalla selezione culturale, che si influenzano a vicenda. Un modello tipico dell’approccio bioculturale è quello dell’equazione adattativa estesa proposta da Massimini. Secondo questo modello, la cultura, con i suoi elementi, influenza in modo basilare i processi psichici e il comportamento, pur sempre in relazione continua con i fattori biologici e ambientali. L’equazione è così sintetizzabile:

C = f (G, CI, n) + (AN, CE, n) + I (G, CI, CE)! C = comportamento f = funzione di G = istruzioni genetiche o biologiche CI = cultura interna, intrasomatica AN = ambiente naturale

CE = cultura esterna, extrasomatica, materiale e immateriale n = penetranza I = inerzia!

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Secondo il modello dell’equazione adattativa, ogni comportamento umano dipende dall’interazione e dalla co-azione di un numero ristretto di fattori. • Un primo gruppo di fattori concerne l’individuo. Si tratta di istruzioni e vincoli comportamentali depositati all’interno del sistema nervoso centrale. Da un lato vi sono le istruzioni genetiche di tipo biologico ereditate e depositate nel DNA della persona (G); dall’altro vi sono le istruzioni culturali intrapsichiche (CI, elementi culturali che vengono profondamente incorporati nel Sé) frutto dell’apprendimento e dell’elaborazione individuale avvenuti nel corso della vita. La cultura interiorizzata è continuamente in relazione con la base biologica e con le istruzioni genetiche al comportamento. Ciò avviene attraverso diversi gradi di penetranza (n) o acculturazione dell’individuo nei gruppi sociali e nella cultura; la penetranza rappresenta l’importanza relativa tra i due tipi di istruzioni così come essa si manifesta nelle diverse situazioni comportamentali • Un secondo gruppo di fattori concerne invece il mondo esterno. Si tratta di istruzioni e vincoli comportamentali depositati all’esterno dell’individuo, da un lato nell’ambiente naturale (AN) e, dall’altro, nella cultura, ossia negli artefatti (oggetti, idee, valori, simboli esterni all’individuo), cioè nella cultura materiale o immateriale della popolazione di appartenenza (CE). Esiste, di volta in volta, un’importanza relativa di uno dei due fattori rispetto all’altro e quindi una diversa penetranza dell’ambiente naturale verso la cultura e viceversa • Un terzo gruppo di vincoli è connesso al fattore tempo: sono, cioè, istruzioni comportamentali biologiche o della cultura (intrapsichica individuale o extrasomatica) che erano utili e adattative in un periodo passato ma non lo sono più nel momento attuale, pur rimanendo, per inerzia (I), a disposizione del comportamento di un individuo. In generale, questi due sistemi di informazione, l’attuale e il passato, possono andare incontro a due destini:" - possono integrarsi, creando nuove configurazioni psichiche e culturali, dando luogo cioè a un positivo aumento della complessità psichica e a uno sviluppo del comportamento e della cultura." - possono rimanere in conflitto e in opposizione, creando forme variabili di disagio, sofferenza e anche un possibile blocco dello sviluppo. Modello come questo sembra utile per due motivi: 1. sottolinea come il comportamento umano abbia una base non solo biologica ma anche culturale 2. risvolti applicativi, in quanto costituisce un utile griglia osservativa per lo studio dei fenomeni comportamentali considerati in tutte le loro componenti.

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1.3 Il contributo dell’antropologia alla psicologia culturale e la definizione di cultura Un apporto fondamentale alla nascita della psicologia culturale è stato naturalmente offerto dall’antropologia. A partire da Franz Boas (considerato un caposcuola dell’antropologia americana) si svilupparono studi e una nuova attenzione scientifica per il concetto di cultura, per le relazioni tra processi psicologici e culturali, per le concezioni e le definizioni connotate culturalmente di personalità, del Sé e dei processi mentali normali e patologici. Da allora emersero due punti fondamentali che 6

tuttora caratterizzano la psicologia e l’antropologia: la controversia sulla localizzazione individuale o collettiva della cultura e le divisione e lo scontro metodologico tra l’approccio oggettivo e quello soggettivo allo studio dei fenomeni psicoculturali. Boas e i suoi allievi sottolinearono l’importanza dell’azione modellatrice della cultura su una natura umana sostanzialmente plastica, che così si conforma in modo appropriato al funzionamento e alle caratteristiche della società. Si tratta quindi di un’impostazione definibile come relativismo culturale. Altra importante figura dell’antropologia, ossia Ruth Benedict, fu influenzata dalla psicologia della Gestalt e ciò contribuì alla sua visione della cultura e dei suoi membri come un insieme coerente e coeso: Benedict sostiene che ogni cultura ha una configurazione che rappresenta una guida coerente per il comportamento e per la strutturazione delle idee. In questo senso, individua le società di tipo “apollineo” (tendenti alla moderazione e al controllo) e quelle di tipo “dionisiaco” (tendenti allo ...


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