riassunto di \"Ugetsu monogatari\" PDF

Title riassunto di \"Ugetsu monogatari\"
Course Istituzioni di cultura giapponese
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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Summary

Informazioni riguardo all'opera contenute nella prefazione e nella postfazione. Non contiene riassunti dei racconti...


Description

Ugetsu monogatari – Racconti di pioggia e di luna Ueda Akinari (1734-1809): uno dei rappresentati più raffinati e originali della cultura del Giappone premoderno; buon conoscitore di letteratura cinese, sensibile filologo ed esegeta del patrimonio giapponese classico, è anche autore di racconti dove l’erudizione si intreccia alla fantasia, dove cronaca, storia e leggenda sono mescolate con mano sicura e anche gli elementi più drammatici e macabri acquisiscono una nuova raffinata coloritura grazie al gioco sapiente di allusioni e riferimenti alla grande pagina letteraria di epoca classica. Come scrittore ha legato il suo nome allo Harusame monogatari (“Racconti della pioggia di primavera”) scritto nel 1808, una raccolta di dieci racconti che spaziano dalla riproposta di eventi storici a libere elaborazioni di fatti di cronaca leggende e tradizioni, rivissuti alla luce di un’immaginazione che accetta il fantastico e il soprannaturale come parte integrante dell’esperienza umana. Apparso nel 1768, Ugetsu monogatari è una raccolta di nove storie di fantasmi, nelle quali l’autore utilizza spunti tratti dalla letteratura cinese e motivi del folclore, del romanzo e del teatro giapponesi, per rielaborare racconti del tutto originali. Ma questi elementi sono solo parte dell’intuizione poetica e della capacità dell’autore di trasformare le sue “futili storielle” in racconti dove il ricorso al soprannaturale è soprattutto in funzione estetica, la paura è mitigata dalla poesia e quando “cantano i fagiani e i draghi combattono” il brivido dell’orrore si accompagna all’emozione della bellezza. Motivo del titolo: “In una notte della tarda primavera del quinto anno dell’era Meiwa, finisco di scrivere quest’opera accanto alla mia finestra, mentre, cessata la pioggia, è apparsa la luna appena velata; perciò, nell’affidarla al tipografo, la intitolo Racconti di pioggia e di luna.” L’autore era nato e vissuto a Ousaka, centro principale della vita economica del Giappone durante l’epoca Tokugawa (1603-1867), che aveva inaugurato un lungo periodo di pace dopo più di un secolo di guerre feudali. Verso la metà del XVIII secolo Ousaka rimaneva un punto di riferimento anche per la vita culturale del paese. Il cosiddetto “secolo di Ousaka”, approssimativamente dal 1650 al 1750, che aveva visto il momento di maggior splendore della città, era stato contrassegnato da una fioritura straordinaria nel campo delle arti e delle lettere e dall’imporsi di una cultura popolare, attenta alla realtà contemporanea, che faceva propri gli ideali e le esigenze della borghesia chounin concentrandosi sulla vita dei grossi centri urbani, con i loro mercati, negozi, teatri e quartieri di piacere, questi ultimi scenario principale di quel “mondo fluttuante” (ukiyo) di cui già nel 1661 uno scrittore, Asai Ryoui, aveva tentato di delineare spirito e atteggiamento di vita: “Vivere momento per momento, volgersi interamente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio e alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni, bere sake, sonsolarsi dimenticando la realtà, non preoccuparsi della miseria che ci sta di fronte, non farsi scoraggiare, essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente dell’acqua: questo, io chiamo ukiyo.” Nel campo del romanzo si era imposto un genere nuovo che sarebbe stato definito per l’appunto ukiyozoushi (racconti del mondo fluttuante), dove lo scrittore descriveva la realtà sociale del Giappone contemporaneo, colta con uno spirito attento, scanzonato, non privo di cinismo e spregiudicatezza, moderati solo da un certo moralismo che gli derivava più dalle convenienze che da una personale convinzione. Verso la metà del Settecento la moda degli ukiyozoushi dominava ancora il mondo della narrativa ma nuove proposte stavano maturando. Ueda Akinari, figlio adottivo di una famiglia di mercanti, poco propenso a seguire con impegno le orme del padre, aveva dapprima esordito nel campo del romanzo con due opere, chiaramente vicine per titolo, contenuto e spirito agli ukiyozoushi. Le due

opere furono pubblicate nel 1767 ma già un anno dopo Akinari si era rivolto verso una nuova strada, spinto probabilmente anche dalla decisione di dedicarsi agli studi classici, di essere prima di tutto uno studioso, un erudito, un poeta. Ultimo fra gli scrittori di ukiyozoushi, egli avrebbe inaugurato un genere nuovo, destinato a imporsi ben presto e a ottenere un grande successo non solo a Ousaka ma soprattutto a Edo, fino a essere considerato uno dei prodotti letterari più significativi della cultura di quella città: si tratta del racconto di ambientazione storica che, se da una parte ripercorreva i principali avvenimenti del passato sulla spinta di una nuova emergente consapevolezza nazionale, dall’altra non esitava a far ricorso a elementi fantastici e meravigliosi. Nella formazione di questo genere di racconto confluivano due componenti culturali: la prima era costituita dalla crescente diffusione di opere cinesi in vernacolo, la seconda era la spinta impressa dalla scuola di “studi nazionali” (kokugaku) che portava molti intellettuali non solo a riscoprire e commentare il patrimonio letterario classico, ma a trovare in esso fonte di ispirazione per nuove opere. L’Ugetsu monogatari si presenta come una raccolta di storie di fantasmi. Queste avevano costituito un soggetto molto popolare nel folclore, nel romanzo e nel teatro giapponesi, dove troviamo abbondanza di apparizioni e spettri, oltre che di folletti, draghi, volpi e demoni; ma solo durante l’epoca Tokugawa esse avevano conosciuto una nuova ripresa, emergendo come un genere letterario ben definito e ispirandosi alla letteratura popolare cinese di epoca Ming sullo stesso argomento, importata e tradotta in Giappone. Anche Akinari avrebbe tenuto presenti i racconti fantastici cinesi, ora seguendoli passo passo nella successione degli avvenimenti, ora riprendendone situazioni e spunti, ma allo stesso tempo inserendoli nella realtà giapponese e facendo agire i personaggi in modo coerente con il momento storico e l’ambiente sociale in cui vivono e operano. Inoltre, rispetto alle fonti e alle elaborazioni operate in precedenza da altri scrittori, egli mette in atto un processo di rinnovamento, arricchendo e traponendo episodi fino a ottenere soluzioni e effetti drammatici originali e riuscendo, con un sapiente gioco di anticipazioni e allusioni, a are ai racconti, forse per la prima nella letteratura giapponese, tutta l’ambiguità propria del genere fantastico. Delle nove storie che compongono l’Ugetsu monogatari, cinque sono costruite attorno a un personaggio morto in tragiche circostanze che riprende sembianze umane per tornare in questo mondo; la loro natura può essere rivelata subito, come nel caso di Shiramine (Il piccolo bianco), oppure si manifesta in un secondo momento, lasciando fino all’ultimo gli altri personaggi nel dubbio se si tratti di esseri umani o apparizioni soprannaturali. La passione del serpente viceversa presenta un essere soprannaturale, un serpente-demone che si fa donna per amore di un uomo, un tema ben presente nel folclore giapponese. Nella Passione del serpente, Manago, la protagonista, non è quindi un fantasma e non a caso non possiede gli attributi che la credenza popolare attribuisce agli spettri: quello di non fare ombra e indossare vestiti privi di cuciture. Ma la vera natura di Managoserpente è suggerita dall’autore in più di un’occasione: la pioggia scrosciante che precede la sua prima comparsa richiama la tradizione cinese e giapponese secondo al quale draghi e serpenti sovraintendono a nuvole e pioggia; analogamente il fatto che la donna viva da sola, senza la protezione di un uomo, ne accentua la condizione in qualche modo sospetta. Su un piano diverso si trovano altri due racconti, La carpa del sogno e Dibattito su ricchezza e povertà, che ricorrono più alle convenzione del meraviglioso che non a quelle del fantastico: nell’uno infatti troviamo il monaco trasformato in carpa, mentre nel secondo lo spirito dell’oro, bonario, sottile nei suoi ragionamenti, spregiudicato nella sua morale, illustra le leggi dell’economia ad un samurai, molto più disposto a tener conto del potere del denaro di quanto la sua posizione e il suo rango farebbero supporre. Nel Cappuccio blu la situazione è ancora diversa e il soprannaturale, pur non completamente assente, ha un ruolo marginale. Più vittima che colpevole, l’abate che si nutre di carne umana è pur

sempre personaggio di questo mondo, anche se il karma delle vite precedenti e la sua passione lo hanno trasformato in un mostro. La presenza del soprannaturale non è l’elemento più originale dell’opera: l’originalità si ritrova nell’abilità con cui l’autore sa elaborare gli spunti che gli provengono dai predecessori, integrandoli con altri elementi, fra i quali domani il discorso storico. Il periodo scelto da Akinari per ambientare le sue storie spazia dal X al XVII secolo, ma solo due episodi, La carpa del sogno e con ogni probabilità La passione del serpente, si svolgono nel periodo Heian, e in essi la vicenda storica è poco più che un pretesto. Nonostante fosse uno studioso e un ammiratore della cultura letteraria classica, Akinari ne avrebbe tuttavia lasciato in secondo piano la storia, preferendo ricavare suggerimenti soprattutto sul piano estetico e letterario. Viceversa, gli avvenimenti politici del medioevo (in particolare l’ascesa al potere dell’aristocrazia militare nel XII secolo e il lungo periodo di guerre civili nei secoli XV e XVI) avrebbero offerto all’autore più di un’occasione per creare la base drammatica degli altri racconti. In alcuni casi, la conoscenza della storia del Giappone è elemento essenziale per la comprensione dell’opera, e Shiramine costituisce un esempio a questo riguardo. Esso si svolge nel XII secolo e prende le mosse da una contesa per la successione al trono entro la famiglia imperiale. In Shiramine l’imperatore Sutoku si presenta sotto le vesti di un demone al monaco Saigyou, a sua volta personaggio storico e famoso soprattutto per essere stato uno dei maggiori poeti del medioevo giapponese. L’incontro offre a Sutoku non solo l’occasione di informare Saigyoo sulle future sorti della guerra civile ancora in atto, e sulla fine di coloro che lo hanno tradito e osteggiato, ma anche la possibilità di tentare una giustificazione al proprio gesto (giurare in punto di morte di diventare un demone e di scatenare il caos nel paese dopo essersi ribellato all’imperatore e sconfitto), interpretandolo alla luce degli insegnamenti confuciani: il diritto cioè di un suddito di ribellarsi al proprio sovrano, “obbedendo alla volontà del Cielo e ai desideri del popolo”, qualora questi si mostri indegno del ruolo che occupa. A questo principio, derivato dalla lontana Cina, Saigyoo contrappone la tradizione nazionale che difende la linea ininterrotta della discendenza legittima e l’impossibilità di usurparne il trono. Lo stesso Sutoku, alla fine, sembra disposto ad accettare suo malgrado le considerazioni che il monaco gli presenta, ma non per questo la propria sorte gli appare meno ingiusta e la vendetta contro i nemici meno necessaria e inevitabile. La dimensione tragica che Sutoku assume in Shiramine è condivisa in parte da un altro personaggio, il misterioso protagonista che nella Ghiandaia celeste compare a metà del racconto, circondato da una folla di guerrieri e la cui identità rimane nascosta fino all’ultimo. Si tratta di Toyotomi Hidetsugu, conosciuto anche come il “cancelliere assassino”. Nella realtà storica, Hidetsugu era nipote di Toyotomi Hideyoshi, famoso condottiero vissuto nella seconda metà del XVI secolo, che contribuì in modo determinante all’unificazione politica del paese. Il racconto non è solo una rievocazione di un periodo di lotte spietate, intrighi e tradimenti; è anche pretesto per una lunga disquisizione colta, al limite della pedanteria, su una citazione poetica; disquisizione che, da una parte, testimonia l’importanza che i signori della guerra dell’epoca attribuivano alla cultura come elemento fondamentale della propria formazione, e dall’altra è dimostrazione delle qualità di filologo ed esegeta dello stesso Akinari. Negli altri racconti la conoscenza di episodi e personaggi storici può offrire al lettore ifnormato un maggior stimolo ma non risulta essenziale per l’apprezzamento della vicenda. Così, i fatti relativi alle guerre civili che avevano tormentato il paese nel corso dei secoli XV e XVI fanno da sfondo anche all’Appuntamento dei crisantemi e alla Casa fra gli sterpi ma, pur necessari all’economia dell’intreccio, non richiedono informazioni più dettagliate di quelle che l’autore stesso fornisce. In Dibattito su ricchezza e povertà Akinari difende in modo esplicito l’importanza del denaro e conseguentemente dell’attività mercantile, che pure l’ideologia più ortodossa tendeva a disprezzare

collocandone i rappresentanti sul gradino più basso della gerarchia sociale. In realtà, tale rigida condanna non doveva essere così diffusa, almeno ai tempi di Akinari, e non a caso l’autore immagina che lo spirito dell’oro trovi come attento interlocutore proprio un samurai, Sanai, ben convinto del valore delle teorie che l’altro gli espone. I suggerimenti offerti a Sanai non sono molto diversi in ultima analisi da quelli che ritroviamo nei codici privati che le grandi famiglie di mercanti dell’epoca Tokugawa avevano provveduto a stilare per i membri della casa o per i loro dipendenti: l’esortazione a essere diligenti, ambiziosi, a lavorare strenuamente, ma anche a essere frugali pur senza cadere nell’avarizia e nella meschinità. Più significativo è forse il discorso che le virtù dei mercanti- diligenza e frugalità- non sono di per sé valori religiosi e che la ricchezza non deriva necessariamente da un comportamento morale, interpretato alla luce delle virtù confuciane o della teoria buddhista della retribuzione. È la stessa visione laica che era stata già anticipata da Saikaku nei suoi libri sui mercanti, ma Saikaku, forse più cinico e anticonformista di Akinari, non aveva esitato a sostenere che neppure la dedizione più scrupolosa può da sola garantire il successo economico laddove manchino i capitali di partenza e che talvolta una certa disonestà può essere elemento moralmente condannabile ma non per questo meno essenziale. Parsimonia e operosità erano doti che lo stesso governo aveva abbondantemente incoraggiato e il racconto si chiude con un implicito elogio di Ieyasu, fondatore del bakufu Tokugawa, meritevole per essere stato non solo un buon stratega ma anche un accorto e prudente amministratore. Se nel Dibattito su ricchezza e povertà l’autore fa propria l’ottica dei choonin, in altri racconti e particolarmente nell’Appuntamento dei crisantemi sembra voler mettere in luce valori molto più vicini al codice morale dei samurai. Anche questi ultimi erano tenuti, in base alle leggi promulgate dallo shoogun a essere frugali e a badare al buon nome della famiglia, non diversamente dai mercanti, ma altre virtù erano state onorate, idealizzate fino a identificarsi con la “via del guerriero” e poi sistematizzate nei termini di una filosofia ispirata confucianesimo: il senso del dovere, l’assoluta fedeltà al proprio signore la lealtà verso gli amici. Essere costituiscono il tema dell’Appuntamento dei crisantemi. Come si è detto, la vendetta, la lealtà e l’onore, valori del Giappone medievale codificati durante l’epoca Tokugawa attraverso la filosofia confuciana, sono componenti essenziali nella struttura del racconto ma si intrecciano ad un altro elemento, scisso quest’ultimo da riferimenti a un determinato momento storico o a u gruppo sociale. Il discorso dell’amicizia fra i due uomini è interpretabile infatti come un valore assoluto e, nella visione poetica dell’Ugetsu monogatari, come unica forza capace di costringere lo spirito di un morto a prendere sembianze umane per incontrare ancora una volta il compagno di un tempo. Da questo punto di vista, Sooemon condivide con buona parte dei personaggi dell’Ugetsu monogatari un sentimento tenace che gli impedisce di recidere i legami con questo mondo anche dopo la morte. In Shiramine e La ghiandaia celeste, l’odio e il desiderio di vendicare le ingiustizie subite permettono ai protagonisti di ricomparire sulla terra, avvicinandoli in questo alla linea più tradizionale delle storie giapponesi di spettri, dove il rancore (inteso come conseguenza di una prevaricazione sofferta da chi non può difendersi) costituisce la molla determinante per permettere a un fantasma di compiere quella vendetta che gli è stata negata finché era in vita (es. in Pentola di Kibitsu). Tutta l’opera risente profondamente dell’influenza della letteratura classica, nel linguaggio, nelle numerose poesie sparse nel testo, nel dettaglio di episodi e descrizioni. Ma allo stesso tempo è facilmente avvertibile anche la presenza di suggerimenti derivati dal teatro noo, nella visione estetica e religiosa che sottende i racconti e nella loro struttura. Shiramine ha del noo le convenzioni e il movimento: il passaggio iniziale è modellato sul michiyuki (descrizione lirica di un viaggio) e Saigyoo ha la stessa funzione dello waki o secondo attore che anticipa, prepara ed evoca con le sue

parole l’apparizione del personaggio principale o del suo fantasma. Anche il ritmo è quello del noo: l’inizio ha un tempo piuttosto lento che acquista via via sempre maggiore velocità fino al momento di massima tensione che precede la conclusione poetica del finale. Un simile processo è riconoscibile nella Ghiandaia celeste, mentre tracce di michiyuki si ritrovano agevolmente anche nella Carpa del sogno. L’operazione culturale consiste nella fusione di vari elementi, che dava vita all’Ugetsu monogatari è già anticipata nel titolo: esso contiene infatti una rete di allusioni che vanno al di là della semplice proposta di una scelta occasionale, offerta dallo stesso autore nel paragrafo introduttivo. Pioggia e luna erano state associate al mondo del soprannaturale nella tradizione letteraria cinese a cui Akinari si riferiva in prima istanza, e costituivano quindi un richiamo immediato che informava il lettore sul contenuto dell’opera. Ma era possibile leggervi anche ulteriori e più sofisticati riferimenti. Ugetsu (luna e pioggia) è titolo di un dramma noo che, non a caso, ha come protagonista il monaco Saigyoo, al centro di un dibattito riguardante per l’appunto luna e pioggia. Analogamente, non è casuale l’uso della parola monogatari che definiva il genere: un termine orma in disuso in epoca Tokugawa ma che richiama alla mente la grande pagina della narrativa in prosa del passato e soprattutto quella celebratissima dell’epoca Heian. Del resto, nell’introduzione, sotto un’apparente frivolezza, lo scrittore cita, come palesi esempi da accostare alla propria opera, non solo il romanzo cinese Shuihuzhuan ma anche il Genji monogatari, che diventa un ideale modello da seguire. Ma al di là della scelta meditata e intellettualistica del richiamo ad un mondo culturale di cui l’autore e il lettore subivano il fascino, il titolo si giustifica pienamente con l’atmosfera dei racconti, essendo la notte di luna il momento ideale per l’apparizione dei fantasmi. In Shiramine la luna quasi piena del tardo autunno è nascosta dal folto degli alberi ma la sua presenza semi invisibile rende ancora più profonda la desolazione della radura abbandonata dove sorge il tumulo dell’eximperatore, e anticipa l’apparizione di quest’ultimo. Quando Katsushiroo, nella Casa fra gli sterpi, torna al suo villaggio, il cielo è coperto di nuvole cariche di pioggia, ma verso l’alba, la pallida luna si attarda nel cielo che gli rivela che la casa in cui ha trascorso la notte è in realtà semidiroccata e invasa dalle erbacce. Sempre la luna ha un ruolo insostituibile nella Pentola di Kibitsu perché il suo chiarore inganna i due uomini in attesa del mattino. Infine, nel Cappuccio blu, la luna illumina ogni cosa quando il monaco folle inizia la ricerca delle sue vittime. La presenza della luna- malinconica, dolente, sommessa- si accompagna a un paesaggio che non raggiunge mai colori foschi o tenebrosi. Ben lontano da tuto l’arsenale gotico che caratterizza le ghost stories scritte dai contemporanei anglosassoni di Akinari, l’Ugetsu monogatari ha paesaggi che più dell’orrore o dell’angoscia vivono di una certa mestizia: non a caso parole come malinconia, solitudine tristezza, a...


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