Riassunto e parafrasi \"I SEPOLCRI\" (Ugo Foscolo) PDF

Title Riassunto e parafrasi \"I SEPOLCRI\" (Ugo Foscolo)
Author Irene Costa
Course italiano (letteratura)
Institution Liceo (Italia)
Pages 4
File Size 194.1 KB
File Type PDF
Total Downloads 13
Total Views 161

Summary

Introduzione dettagliata dell'opera di Ugo Foscolo "I Sepolcri" con spiegazione di alcuni passaggi, allegorie in esso presenti e significato di alcuni passaggi o termini. Segue l'intera parafrasi (295 versi) anch'essa con spiegazione o approfondimenti del contesto....


Description

I Sepolcri Il tema dei sepolcri era già diffuso nella cultura che precedette il Romanticismo, ma Foscolo lo affronta in modo diverso, per il tono, il languore malinconico e l’ispirazione civile e politica. L’attacco al carne è perentorio. La domanda retorica con cui apre il poema è retorica e ammette solo risposta negativa in quanto ammette una verità innegabile all’uso della ragione: per chi è morto, a nulla giova una tomba, e una lapide non potrà mai risarcire nessuno della vita perduta. Foscolo mette in chiaro fin dall’incipit a sua visione materialistica (v 17-20) con la ripresa della frase di Lucrezio. La forza operosa è quella della materia, l’unica realtà veramente conoscibile, la cui legge di continua trasformazione non consente la permanenza di alcuna identità: il tempo musa ogni cosa. Il materialismo di Foscolo è visibile anche alla fine delle Ultime lettere di Jacopo Ortis e viene poi confermato con lo studio di Lucrezio. Non esiste altro mondo e, di conseguenza rifiuta la religione cattolica e le pratiche connesse alle sepolture. La morte è presentata in modo sfumato, come un sonno, poi viene riproposta nella lugubre e cruda immagine delle ossa sparse per terra e per mare definendo il tratto cupo e notturno dell’interno carme che si intreccia con il tratto contrario della bellezza della vita. “Morte”, “Urna”, “Tomba” sono le parole chiave dell’intera opera e questo tema si accosta al filone del Settecento che aveva attratto Foscolo il quale si concentra, invece che sulle resurrezione dei morti, sulla figurazione delle tombe. Altro tema ricorrente è quello della vita, dell’armonia vitale dell’universo. La vita è intesa come “armonia”, parola che compare due volte nell’incipit (una a indicare l’ispirazione malinconica dei versi di Pindemonte, l’altra per indicare “l’armonia del giorno” al v. 27; quest’ultima rappresenta anche l’immagine visionaria della poesia capace di superare il silenzio che avvolge le generazioni sommerse dall’alterna vicenda della storia). Si lega anche la figurazione della danza delle ore, ossia l’attesa del futuro. Queste immagini positive son, la maggior parte delle volte, presentate come negazione in quanto la morte consiste nella privazione della vita rappresentata nei suoi elementi di bellezza sensibile: la luce prima di tutto, ma anche tutti gli elementi materiali che compongono “l’armonia del giorno” del verso 27. Dopo i primi 22 versi Foscolo imprime un energico scatto alla meditazione fino ad ora negativa con un’altra domanda. È qui che introduce la figura del mortale che viene trattenuto sulla soglia della morte grazie all’illusione di poter vivere ancora un poco nel ricordo dei vivi. La parola “illusione” quasi smentisce l’interpretazione materialistica della natura. Natura e Illusione sono due punti importanti per il carme all’interno delle quali lo stesso Foscolo percepisce un’opposizione tra: - La natura onnipotente che crea e distrugge tutte le cose - Il valore delle azioni umane che si realizzano nel corso della storia A risolvere questo problema si introduce la lezione di Gianbattista Vico che individuava nella storia un’evoluzione che conduce gli uomini all’elaborazione di comportamenti e valori civili. L’origine comune di tutte le civiltà è individuata nella fondazione di una qualche religione, nell’istituzione del matrimonio e delle leggi, in particolare nel rispetto dei morti che si realizza col rito della sepoltura. L’intento di Foscolo è quello di ricercare le basi sulle quali sia possibile dare un senso alla propria esistenza. Tutti questi valori sono illusioni in quanto destinati ad essere sopraffatti dallo scorrere del tempo e dall’ordine della natura, ma sono tuttavia capaci di illuminare la civiltà delle nazioni e la vita dei singoli. Se tutto è dominato dalla natura e dalle leggi, allora non c’è bisogno di credere nell’al di là. La sopravvivenza è concentrata sulla terra e sulla memoria del posteri, concessa solo a chi ha un animo generoso e una passione civile. Parla anche di un sentimento più forte, la “corrispondenza d’amorosi sensi” al v. 30. Quello che Foscolo sta cercando di combatter è l’oblio. Chi non si è procurato affetti ha due soluzioni dopo la morte, o gli inferi oppure il perdono d’Iddio, ma non sulla Terra. In Foscolo vi è anche una duplice visione della Natura: - Come meccanismo di trasformazione della materia - Come entità compassionevole del destino degli uomini Il silenzio della Natura viene animato dalla presenza di un passeggero che istituisce una corrispondenza di sensi malinconici tra il vivo e le tombe recuperando il valore della vita. Da qui si sviluppa l’intero carme. Vi è un rapporto anche tra poeta e l’uomo Foscolo. La riflessione del poeta all’interno del carme è il tema centrale. Il soggetto poetico entra nell’esposizione in maniera diretta (“per me”) a si presenta in primo piano annunciando la sua situazione di esule (“mia vita raminga”). La ricerca attorno al proprio destino culmina nel riconoscimento della propria missione: dar voce ai sepolcri per riscattarli dal silenzio inflitto loro dalla decadenza dei tempi e dalla vicenda storica italiana. Alla poesia verrà poi attribuita la funzione eternatrice dei valori che danno senso alla vita individuale e collettiva.

A IPPOLITO PINDEMONTE (vv. 1-22) La morte è forse meno terribile dall’ombra dei cipressi del cimitero o dentro le tombe degli amici e dei parenti? Quando il Sole (forza vitale della natura) avrà smesso di illuminare per me le piante e gli animali, e quando non avanzerà più per me il futuro, quando non potrò più ascoltare i tuo canti (Ippolito), quando non mi parlerà più l’ispirazione delle Muse, né quella dell’amore (unica consolatoria della sua vita da esule), quale sarà il risarcimento che una lapide mi darà distinguendomi da infinite altre ossa? Anche la Speranza, l’ultima ad abbandonare gli uomini, fugge dalle tombe e l’oblio avvolge tutte le cose nella sua tenebra (notte) e una forza attiva la trasforma in un movimento perenne mentre il tempo tramuta tutto (le tombe, le tracce, ciò che è rimasto). (vv. 23-40) Ma perché l’uomo dovrebbe privarsi dell’illusione che una volta morto, rimane sulla soglia di Dite? Egli vive anche sottoterra quando gli sarà cessata la bellezza della vita (l’armonia del giorno) quando questa viene ridestata nella mente dei cari mediante l’affetto. Questa corrispondenza di affetti è divina e spesso grazie a questa l’amico morto vive con noi e noi con lui, solo a patto che la terra che lo mise al mondo e lo accolse (terra madre e sacra) renda inviolabili le sue reliquie dalle offese e dagli uomini. La lapide deve portare il nome e un albero ne deve consolare le spoglie con le sue ombre dolci. (vv. 41-50) Solo chi non lascia affetti sulla terra riceve una scarsa considerazione dalla tomba e se prova a immaginare la sua vita dopo la morte vede la sua anima vagabondare in mezzo al pianto dei luoghi attraversati dal fiume Acheronte, oppure ricevere il perdono di Dio. lascia i suoi resti alle ortiche delle terra dove nessuna donna innamorata, nessun passante può pregare e non sentirà il sospiro che la natura ci manda dalla tomba. (vv 51-61) Tuttavia una nuova legge impone che le tombe siano poste lontano dagli sguardi pietosi e nega loro un nome. O Talìa (musa della poesia comica) senza una tomba giace anche Parini che con la sua poesia fece crescere per te con costante dedizione un lauro e appendeva corone in tu onore, mentre tu lo compensavi ornando con la tua ispirazione le poesie che criticavano gli aristocratici milanesi come Sardanapalo (re per antonomasia di lusso e vizi) a cui era piacevole il muggito dei buoi. (vv. 62-90) Dove sei Musa? Non sento il diffondersi dell’ambrosia (cibo degli dei; poiché manca un segno che distingua la tomba di Parini risulta impossibile sentire la presenza della poesia segnata, appunto dal profumo dell’ambrosia) tra le piante dove siedo e piango Zante. Un tempo ella veniva e sorrideva sotto il tiglio che ora ha i rami abbassati e freme di sdegno perché non può fare ombra alla tomba del vecchio poeta. Forse tu Musa, vaghi nei tumulti dei plebei alla ricerca della sua sepoltura? La città di Milano ha sempre ignorato Parini (si era posto contro l’evirazione dei giovani cantanti, ma non fu ascoltato per favoreggiare Luigi Marchesi che elargiva questi cantanti di onori) e dopo la sua morte non gli pose onore (né con una p ianta, una lapide, un’iscrizione) e forse la sua tomba potrebbe essere contaminata da quella di un ladro. Tu Musa senti raspare fra le macerie la cagna randagia che vaga e ulula famelica, senti l’upupa uscire da un teschio da dove si stava riparando dalla luna e volare tra le croci (descrive il cimitero in cui è sepolto). Tu, Musa, lo cerchi invano ma non nasce nessun fiore sui defunti se questi non vengono onorati dai vivi con lodi e pianti. (vv. 91-103) Da quando (snodo fondamentale) il matrimonio, le leggi e la religione diedero agli uomini che vivevano come animali, di essere rispettosi verso se stessi e verso gli altri, i vivi sottraevano alla devastazione dagli agenti atmosferici e dalle belve il corpo dei defunti che la natura poi destinava ad altre forme attraverso una trasformazione. Le tombe erano testimonianza delle opere nobili del defunto ed erano sacre come gli altari e da esse venivano tratti i responsi delle divinità familiari (Lari) e il giuramento (o il responso degli oracoli) fatto su di esse era altrettanto sacro. Questa religione (usanza) venne tramandata per diverse generazioni. (Foscolo allarga lo spunto dei versi ripercorrendo la storia degli uomini) (vv. 104-114) Non sempre i riti sono quelli del Medioevo o del culto cattolico dove i cadaveri erano sepolti sotto le chiese dentro le quale vi era puzza e che facevano paura a chi pregava, dove la raffigurazione degli scheletri rattristava le città facendo svegliare di terrore le donne che la notte dormivano e che tendevano la mano sul capo del loro bambino per far si che non venisse svegliato dai gemiti di un defunto che chiede agli eredi la preghiera di suffragio (vd. Dante). (vv. 114-129) Ma come accadeva nel mondo classico (in quel tempo era tornata in voga grazie a degli scavi), cipressi e cedri impregnano l’aria (con gli zefiri = vento primaverile) di profumi, protendevano sulle tombe con il verde delle loro foglie e vasi preziosi raccoglievano le lacrime offerte in voto. Gli amici accendevano una lampada per illuminare il buoi della tomba perché gli occhi degli uomini cercano la luce; le acquee purificatrici delle fontane facevano nascere amaranti (di color scuro = immortalità) e viole; chi sedeva accanto versava latte sulla tomba e raccontava le proprie pene sentendo l’odore dei Campi Elisi. (gioco di contrasti per evidenziare le differenze con la strofa precedente) (vv. 130-150) Questa corrispondenza di affetti è un’illusione (dettata dalla pietas della religione) che rende cari agli inglesi i giardini dei cimiteri posti ai margini della città dove esse pregano le divinità protettrici di concedere il ritorno del valoroso ammiraglio Nelson che sconfisse la flotta francese e spagnola trovandovi la morte (significato antinapoleonico; l’esempio dei cimiteri inglesi serve a dimostrare che anche nel presente si possono coltivare riti come quelli del passato. Ma dove l’entusiasmo per le imprese eroiche è spento e dove la guida per la vita civile è lo sfoggio delle ricchezze e la viltà, i monumenti funebri sorgono come inutile ostentazione dell’oltretomba. Il popolo intellettuale, borghese e nobile ricco di onore e intelligenza, già possiede la sua sepoltura da vivo nei palazzi in cui vi è l’adulazione e lo stemma nobiliare (Italia in contrasto con l’immagine gloriosa di Nelson; i cimiteri ispirano virtù dove l’eroismo è

riconosciuto, altrimenti le architetture funebri servono solo a ostentare lo sfarzo; i potenti sono cadaveri ambulanti dentro il lusso dei loro palazzi). A me, invece, la morte possa preparare un sereno ricovero dove la sorte cessi di perseguitarmi e gli amici possano raccogliere non ricchezze ma sentimenti appassionati e la poesia libera (liberal carme = ispiratrice di libertà) (vv. 151-167) Le tombe dei grandi uomini infiammano gli animi grandi a imprese eroiche come le loro, e rendono sana e bella agli occhi dello straniero la terra che lo accoglie. Io, quando vidi nella chiesa di Santa Croce il monumento di Macchiavelli, colui che riuscì a rafforzare il potere dei principi spogliandolo di ogni gloria e mostrando su quali crimini si regge, e vide la tomba di Michelangelo, colui che a Roma innalzò un monumento eccezionale, quella di Galileo che osservò i pianeti ruotare attorno al Sole aprendo le strade allo studio astronomico a Newton; gridai quanto fosse fortunata Firenze per l’aria felice e piena di vita e per i corsi d’acqua che l’Appennino fa scorrere verso di lei. (Questo tratto autobiografico funge da testimonianza; istituisce un pantheon italiano di eccellenze) (vv. 168-185) La luena, lieta per il tuo clima riveste di luce i colli pronti per le vendemmie e le valli popolate di case e di uliveti mandando verso il cielo infiniti profumi di fiori. E tu per prima hai potuto udire la Divina Commedia che alleviò l’ira di Dante esule, tu fornisti la madre lingua a Petrarca che rivestendo di un velo l’amore nudo in Grecia e a Roma lo rese degno di stare in grembo a Venere (dea dell’amore), ma ancora più fortunata tu che conservi raccolte in un unico luogo le spoglie delle glorie italiane, le uniche da quando le Alpi mal difese ti hanno sottratto armi, ricchezze e territorio, tutto tranne la memoria della grandezza passata (per celebrare ancora Firenze parla dei due: uno focalizzato sulla politica dell’esiliato, l’altro nella caratteristica del poeta d’amore). (vv. 186-195) Poiché se c'è un posto, come il Sepolcro di Santa Croce, dove brilla speranza di gloria per i giovani forti e per l'Italia, da questo posto prenderemo i buoni auguri per un futuro migliore. A questi sepolcri venne spesso ad ispirarsi Vittorio Alfieri (scrittore del '700 ammirato molto da Foscolo e per questo chiamato qui per nome). Egli era pieno d'ira per gli dei della Patria (che non era libera) e in silenzio cercava i luoghi più deserti, guardando il cielo, pieno di speranza; e, poiché niente del suo periodo lo rendeva sereno, si riposava qui; e aveva il viso pallido ma desiderosi di un riscatto italiano (la patria non è quella storica ma quella sognata) (vv. 196-212) Alfieri ora è sepolto qui con gli altri grandi uomini ed esprime ancora l’amor di patria (in realtà in vita si era ritirato in un orgoglioso isolamento ma Foscolo lo designa come un’immagine patriottica). Della pace delle tombe, parla una Divinità, la stessa che diede agli Ateniesi (pochi di numero) il coraggio di vincere i Persiani (numerosi) nella battaglia di Maratona (Grecia), dove Atene costruì un sepolcro (Sepolcro di Maratona). Chi navigava il mare Egeo, vicino Maratona, vedeva ancora il ripetersi di quella famosa battaglia con elmi scintillanti nella notte, spade tra loro cozzanti; il fumo dei roghi, fantasmi di guerrieri lampeggianti per le armi di ferro che cercavano la battaglia; e nell'orrore del notturno silenzio si sentiva per i campi un tumulto di schiere, un suono di trombe, un correre precipitoso di cavalli scalpitanti sugli elmi dei moribondi; il pianto dei feriti, gli inni dei vincitori e il canto delle Parche . (vv. 213-225) Felice te, Ippolito, che da giovane hai percorso il Mar Mediterraneo. Avrai sentito i fatti antichi della Grecia e il mare ce portava le armi di Achille sul sepolcri di Aiace, ma le ebbe con astuzia e con l’aiuto di Agamennone, Ulisse. Così la morte dà giustamente la gloria, né l'astuzia, né i re, poterono conservare le armi coraggiose che, con una tempesta le fecero cadere dalla nave di Ulisse. (vv. 226-234) La poesia (le Muse o le Plimpee) eternatrice delle azioni umane, chiami me per cantare gli eroi, ma il triste periodo e il mio desiderio di libertà rendono esule. Esse stanno presso i sepolcri per custodirli e quando il tempo le porta via, allietano con il canto le zone deserte superando il silenzio dei secoli. (vv. 235-253) Oggi nell’Asia deserta vi è un sepolcro eterno grazie alla ninfa Elettra, amata da Giove, e da cui nacque Dardano, poi Ilo ed Assaraco, Priamo e la stirpe dei latini. Quando Elettra sentì vicino la morte, chiese l'ultima preghiera a Giove: se ti fu caro il mio amore e i fati non possono darmi premio maggiore, almeno guardami dal cielo e fai in modo che resti eterno il mio nome. Così pregando moriva. Giove piangeva; e dicendo di sì col capo, pioveva dai capelli su Elettra ambrosia e così rese eterno quel Sepolcro. (Questo mito fu cantato da Omero = spetta ai poeti rendere eterne le imprese del passato). (vv. 254-267) Lì furono seppelliti grandi eroi, le donne scioglievano i capelli sperando di allontanare i mariti dalla morte invane. Cassandra, quando il dio Apollo la ispirava a cantare la fine di Troia, venne lì e cantò a questa tomba un canto d'amore e sempre qui portava i nipoti insegnando loro il canto di dolore. (vv. 268-278) E diceva: Ahimè! Se mai voi giovani dalla Grecia dove, schiavi pascerete i cavalli a Diomede e ad Ulisse ritornerete in Patria, non la troverete più. Infatti le mura di Troia bruceranno. Ma le divinità della Patria staranno in questo sepolcro poiché anche nelle disgrazie mantengono la loro dignità. E voi, cipressi, che piantano le nuore del Re Priamo, crescerete annaffiati da lacrime di vedove, proteggete i miei padri; colui che allontanerà l'ascia dagli alberi sacri, avrà pochi lutti familiari e potrà avvicinarsi santamente all'altare (profezia che allude alle sventure dei capi greci dopo la conquista). → RIBADISCE IL FULCRO DEI SEPOLCRI: L’ISPIRAZIONE VIENE DAI MORTI → IMPLICITA MALEDIZIONE CONTRO COLORO CHE NON SONO RISPETTOSI DELLE PIANTE DEL CIMITERO

(vv. 279-288) Un giorno vedrete umile e modesto un cieco (il poeta Omero) vagare ed entrare nelle tombe, abbracciare il sepolcro e chiedere ispirazione. Le tombe risponderanno (funzione ispiratrice della poesia) e parleranno di Ilio distrutta due volte (da Ercole e dalle Amazzoni) e due volte risorta in silenzio per rendere più gloriosa la conquista ai greci, portati dal Fato. (vv. 289-295) Omero calmando gli eroi morti con la poesia, renderà, col suo canto eterni i capi greci per uno spazio quasi infinito per tutto il mondo. E tu, Ettore, sarai onorato in tutti i posti dove è ritenuto sacro il sangue versato per la Patria fino a quando il sole illuminerà le infelicità della vita.

Il riconoscimento della grandezza avviene con due le condizioni: → CONDIVISIONE DEI VALORI DELL’EROISMO → DURATA NELLA STORIA

La conclusione abbraccia l’intero percorso storico rimanendo fedele al suo punto di vista materialistico: - L’eroismo è giustificato ella storia e non va oltre essa - La durata del genere umano è subordinata a ragioni materiali come la durata del Sole, ma anche dalle sventure La fine spetta a Ettore sconfitto in quanto la poesia rende eterno, ma serve anche per rendere giustizia alle iniquità che la storia comporta. Ettore, in questo caso, ha affrontato il nemico Achille per difendere la propria patria pur sapendo di non avere speranze....


Similar Free PDFs