Riassunto Fondamenti Psicologia di comunità-Francescato PDF

Title Riassunto Fondamenti Psicologia di comunità-Francescato
Course Psicologia di comunità
Institution Università Telematica Internazionale UniNettuno
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Principi e riferimenti teorici della psicologia di comunità-Reti sociali e sostegno sociale-Lo sviluppo di comunità-Analisi organizzativa multidimensionale-Metodologia di ricerca-I gruppi di self-help...


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RIASSUNTO FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DI COMUNITA`-Francescato1 ORIGINI E SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA’ La psicologia di comunità nasce negli USA e si sviluppa in modo decisamente pragmatico studiando concrete situazioni di disagio sociale e il modo in cui poterle migliorare. I teorici di questa disciplina lasciano progressivamente la visione individuale e intrapsichica del disagio per cercare spiegazioni e forme di intervento nell’ambito del rapporto individuoambiente; il loro campo di azione, inizialmente limitato ai servizi psichiatrici e alla cura della malattia mentale, si amplia così alla prevenzione del disagio, alla promozione delle risorse sociali e al cambiamento della realtà sociale e istituzionale. Nascita ed evoluzione della PdC negli USA Alla fine del XIX Secolo, gli effetti della rivoluzione industriale determinano la progressiva affermazione di nuovi diritti sociali da parte delle masse svantaggiate; in questa cornice trovano spazio altre istanze sociali quali la denuncia degli abusi negli ospedali psichiatrici, la costituzione dei tribunali per i minorenni, la fondazione di organizzazioni divenute storiche, come la YMCA (Young Man Christian Association) o gli Scouts. La crisi economica culminata nella depressione del 1929 smorza iniziative simili, almeno fino al secondo dopoguerra, quando le necessità del reinserimento sociale dei reduci di guerra sollecitano nuove attenzioni. Anni 50

Anni 60

1965

Anni 70

La corsa al benessere e la spinta al raggiungimento di un certo status sociale dirotta la risposta al disagio verso l’intervento psicoanalitico; tuttavia, il simultaneo affermarsi del behaviorismo favorisce l’accantonamento delle variabili individuali e l’analisi del contesto e delle reti di comunicazione. Le sempre più diffuse lotte sociali (movimenti dei neri, studenti, donne, antimilitaristi) smontano il mito della società dalle uguali opportunità e rinnovano la fiducia nelle risorse collettive. La psicologia assume una nuova attenzione socioambientale (fattori socioeconomici, ecologici e culturali). Nuove leggi riducono i ricoveri nelle strutture psichiatriche, offrono trattamenti nelle comunità di appartenenza e promuovono attività di educazione e prevenzione. L’espressione Psicologia di comunità compare per la prima volta in un convegno rivolto agli psicologi operanti nei servizi di igiene mentale, dove si sottolinea l’importanza di interventi preventivi a livello di comunità, la necessità di demedicalizzare i servizi psichiatrici e l’opportunità di adottare un ampio approccio interdisciplinare. La fine degli anni 60 rappresenta un periodo favorevole per la PdC. La crisi politica e istituzionale limita fortemente i fondi per i servizi sociali. Riemerge la voce degli psichiatri conservatori, che auspicano il ritorno a metodi tradizionali di cura, alla quale fa da contraltare l’ala radicale della disciplina, che riversa le responsabilità del disagio proprio nei problemi di natura politico-economico-sociale. Le critiche conservatrici e radicali stimolano la riflessione e la disciplina ridefinisce con maggiore realismo i propri metodi di studio e di intervento. E’ così che vengono approfonditi, mutuandoli dalla teoria generale dei sistemi, concetti più prossimi alla psicologia ambientale, ecologica e sociale. Alla fine degli anni 70, la PdC ha maturato atteggiamenti più realisti, centrati soprattutto su interventi di prevenzione primaria.

Anni 80

Anni 90

L’inizio degli anni 80 porta un nuovo momento di crisi a causa dei nuovi e drastici tagli ai programmi assistenziali operati dal governo Reagan e di un nuovo clima sociale che riprende l’idea del successo individuale e delle gratificazioni narcisistiche. Alla fine di questa decade la crisi viene superata; ormai gli psicologi di comunità cercano di rispondere ai bisogni sociali emergenti: ecologia e inquinamento ambientale, urbanistica, educazione sanitaria per i lavoratori, risvolti psicologici della disoccupazione, programmi per i lavoratori a rischio. Iniziano a farsi strada i concetti di sostegno sociale ed empowerment, che negli anni 90 diverranno due nodi cruciali per la promozione della comunità competente. Matura la riflessione sul concetto di empowerment, che consente anche di affrontare più facilmente le divergenze tra i due schieramenti ormai tradizionali; l’ala moderata pone al primo posto la libertà individuale e la responsabilità personale nella riuscita, accettando le diseguaglianze sociali come fatto inevitabile, mentre l’ala radicale si focalizza sul bene comune e individua la giustizia sociale come valore primario, favorendo gli interventi governativi tesi ad attenuare le diseguaglianze e a garantire concretamente pari opportunità.

Il concetto di empowerment Il concetto di empowerment è inteso come obiettivo perseguibile attraverso: -

Forme di auto-aiuto che valorizzano il contributo del singolo, responsabilizzandolo;

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Forme di sostegno sociale e solidarietà.

Inoltre, riconosce: La distribuzione iniqua delle risorse e dell’accesso alle fonti di potere nei diversi gruppi sociali ed etnici; - Che la persona che si sente impotente spesso non è in grado di individuare e utilizzare le risorse personali e sociali alle quali potrebbe accedere. Per questo, i programmi centrati sull’empowerment mirano ad aumentare il senso di potere individuale e la capacità di leggere i sistemi sociali. In questa prospettiva, la PdC è intervenuta, ad esempio: -

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Valorizzando la diversità culturale, etnica o sessuale dei gruppi più emarginati;

-

In relazione ai problemi dell’acculturazione e della diversità di valori tra le prime generazioni di immigrati e le successive;

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Sostenendo progetti per la riduzione dell’abbandono scolastico nei ghetti urbani e migliorando le competenze degli insegnanti.

Dalla fine degli anni 80 gli psicologi di comunità statunitensi hanno moltiplicato i loro sforzi per sostenere le politiche sociali a livello locale, statale e federale e sollecitato mutamenti legislativi e stanziamenti per ricerche e progetti rivolti a gruppi svantaggiati, ottenendo risultati tangibili. Negli anni 90 questa influenza sulle politiche sociali si è ulteriormente rafforzata, in particolare in relazione alla popolazione degli adolescenti (prevenzione del disagio, adattamento e rendimento scolastico, abuso di sostanze, stress, violenza e disoccupazione), ma anche rispetto alle donne abusate, alla salute degli homeless, ai gruppi a rischio di AIDS, particolarmente presenti nei gruppi etnici minoritari. La diffusione della PdC nei paesi extraeuropei

La diffusione in questi paesi inizia a cavallo degli anni 70 e 80 ed è più rapida dove la psicologia è già una disciplina affermata e insegnata nelle università ed esiste una tradizione nei servizi di comunità (Canada, Australia, Nuova Zelanda), ma trova una pronta accoglienza anche nei paesi del Terzo Mondo, bisognosi di strategie per la gestione di grandi problemi sociali, di salute e di igiene e per questo orientati ad una visione della disciplina particolarmente impegnata. -

Nuova Zelanda e Australia: progetti comuni per gli aborigeni dei due paesi;

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Israele: ricerche sugli stress da guerra sui bambini e progetti-intervento sui problemi etnici e sui rapporti tra ebrei e arabi; problemi psicologici dei soldati;

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Sud Africa: effetti della violenza razziale sui bambini, effetti dell’apartheid sui diversi gruppi sociali;

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Paesi latino-americani: contesti multietnici e con grandi differenze di classi. In questi paesi, molto disomogenei politicamente ed economicamente, la disciplina non è sempre formalizzata, anche dal punto di vista accademico. Ad esempio, a Cuba non si parla di PdC, ma esiste un modello di “Medicina della comunità” che integra sevizi preventivi, curativi e riabilitativi che tengono conto degli aspetti biologici, sociali e psicologici dei diversi problemi;

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Venezuela: problemi di migrazione dalle zone rurali;

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Messico: centri di servizio comunitari lavorano con gli abitanti della zona identificando aree-problema, risorse locali e formando leader di quartiere;

Colombia e Brasile: la PdC si diffonde per l’insoddisfazione degli psicologi clinici nell’uso di terapie individuali a fronte dei notevoli problemi sociali. La diffusione della PdC nei paesi europei Anche in questi paesi lo sviluppo avviene negli anni 70 e 80: -

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Portogallo: empowerment di comunità basato sull’apporto di gruppi di volontariato e interventi nei confronti di gruppi a rischio. A Lisbona, progetto a finanziamento CEE per giovani psicotici ex-ricoverati di ospedali psichiatrici, inseriti in gruppi di auto-aiuto tramite i quali vengono avviati al lavoro;

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Gran Bretagna: l’andamento è altalenante. In Scozia ci si è occupati degli effetti della disoccupazione e del lavoro precario;

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Germania: gli psicologi di comunità sono ancora alla ricerca di una loro identità, anche se le nozioni di sostegno e rete sociale sono centrali nella psicologia dei servizi tedesca. Molto diffusi i gruppi di auto-aiuto;

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Olanda: i servizi psichiatrici di comunità hanno una lunga tradizione e preesistono alla fondazione della PdC negli USA;

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Polonia: il tradizionale contesto sociale ha favorito un approccio comunitario alla salute mentale;

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Norvegia: la PdC viene insegnata nelle università da decenni ed esiste una notevole sensibilità verso i temi e le metodologie propri di questa disciplina.

La PdC europea si differenzia presto da quella americana, troppo astorica, politicamente ingenua, più interessata all’azione che alla riflessione teorica e sempre orientata in via preferenziale al cambiamento dell’individuo piuttosto che del gruppo o del tessuto sociale. La diffusione della PdC in Italia A partire dagli anni 70, come negli USA, anche in Italia la PdC prende piede soprattutto sulla base di interessi concreti mirati al miglioramento della qualità di vita e della competenza della comunità. Fattori trainanti

Elementi di ostacolo

Innovazioni legislative degli anni 70:

Ostacoli culturali:

- Trasferimento

di competenze alle Regioni/enti locali: riforma carceraria; legge sui consultori, inserimento scolastico dei portatori di handicap nelle classi normali; - Riforma sanitaria: decentramento dei servizi, potenziamento della prevenzione, sicurezza sul lavoro, lotta all’inquinamento.

- Diffidenza, ancora nel dopoguerra, di ampi settori della cultura italiana (e della popolazione) verso la psicologia.

Fattori ideologici ereditati dagli anni 60:

dal 1971; Albo e Ordine professionale solo dal 1993.

- Diffusione

di un orientamento progressista; attenzione ai bisogni dei gruppi emergenti (es. movimenti studentesco e femminista).

Ostacoli professionali:

- Corsi di laurea in psicologia istituiti solo

- Affermazione dei diritti dei lavoratori; consapevolezza del rapporto tra condizioni lavorative, stress e qualità di vita. La psicologia del lavoro sviluppa una concezione sistemica affine a quella della PdC.

Attuazione parziale della riforma sanitaria: - Soprattutto in alcune zone del paese: carenza di personale, insufficienza delle strutture, mancata applicazione di strategie della prevenzione.

Sviluppo dell’associazionismo:

Identità professionale:

- Gruppi ambientalisti; impegno religioso; volontariato sociale; promozione

- I modelli prevalenti di psicologo sono a

Fattori del mondo produttivo:

sportiva; animazione nei quartieri. In questi fenomeni si ravvisa una diffusione di una Weltanshauung vicina a quella della PdC, ovvero di una concezione del mondo e di una visione della realtà sociale in termini di forze interdipendenti e di gruppi che autodefiniscono attivamente le proprie condizioni di vita.

lungo stati quello dell’esperto clinico e dello psicoterapeuta libero professionista.

Nel 1980 la Società italiana di psicologia costituisce la Divisione di PdC, che nel 1994 diviene la Società italiana di PdC. 2 PRINCIPI E RIFERIMENTI TEORICI DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA’ Da un punto di vista generale, esistono due visioni del disagio: Teoria eccezionalista (o della selezione sociale) Il disagio e/o la patologia sono determinati da fattori individuali casuali (genetici, di personalità). E’ un incidente di percorso al quale si cerca di rimediare attraverso un trattamento (terapeutico, farmacologico, riabilitativo) del disturbo o identificando precocemente i soggetti a rischio.

Teoria universalista (o delle cause sociali) Il disagio non è un’eccezione o un’anomalia del normale stato di salute, ma espressione dei rapporti sociali di una comunità. Pertanto, le condizioni che lo provocano non sono insolite e occasionali, ma prevedibili e come tali prevenibili.

Le due teorie non sono mutuamente esclusive, data la reciprocità tra variabili individuali e ambientali (es. lo stress aumenta la probabilità del disagio psichico, ma la presenza del disagio eleva a sua volta la probabilità di un evento stressante). In ogni caso, la PdC studia l’interazione tra individuo e strutture sociali e fissa come unità di analisi “la persona nel contesto”; questo orienta la concezione del disagio individuale verso una visione universalista. Obiettivi fondamentali della PdC -

Prevenzione del disagio. Poiché il disagio non è né insito nell’individuo, né unicamente determinato dalle strutture sociali, la sua prevenzione diventa un obiettivo centrale;

-

Promozione della salute e del benessere degli individui nei loro contesti. La “qualità della vita” è intesa dalla PdC non solo come criterio per valutare le condizioni di vita in una certa comunità, ma anche come obiettivo di un’azione trasformativa che armonizzi il rapporto individuo-ambiente. Nel valutare la qualità di vita, la PdC utilizza un approccio sistemico-ecologico che integra variabili oggettive o “hard” (es. reddito pro-capite, numero di reati) e soggettive o “soft” (es. percezioni, aspettative, vissuti, rappresentazioni sociali);

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Promozione dell’autoconsapevolezza dei membri della comunità; -

Partecipazione dei membri della comunità;

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Sviluppo della competenza della comunità.

Per perseguire questi obiettivi, la PdC mira sia a rinforzare le risorse personali, sia a potenziare le competenze della comunità, ritenendo che un miglioramento della qualità della vita possa realizzarsi solo congiungendo queste due strade. La strategia preventiva della PdC In medicina sociale si distinguono 3 tipi di prevenzione: Primaria Ridurre le possibilità di malattia in una popolazione a rischio (es. messa a punto di un vaccino). Il fine è impedire la malattia; Secondaria Diminuire durata, diffusione e contagio di una malattia in una popolazione in cui è già penetrata. Trattamento precoce; Terziaria Attenuare le conseguenze di una malattia in chi l’ha già subita.

La PdC utilizza gli stessi concetti nell’ambito dell’igiene mentale; secondo Caplan: Prevenzione primaria

Prevenzione secondaria Prevenzione terziaria

Nella societ à Nella comunit à

Ogni iniziativa che promuove la qualità della vita, il benessere sociale, l’istruzione e il lavoro.

Nei piccoli gruppi

Interventi che accrescono le competenze e consentono di affrontare le crisi prevedibili.

Consulenza per il miglioramento e la programmazione di un sistema o la formazione di persone-chiave e operatori non professionali.

Interventi precoci sui primi sintomi di disturbo e disagio. Serve saper riconoscere i problemi e conoscere gli strumenti per affrontarli, superando resistenze e pregiudizi che talvolta frenano la richiesta di aiuto. Counseling terapeutico e formazione individuali per lo sviluppo di comportamenti utili al reinserimento e al superamento dell’emarginazione.

9 Ostacoli e difficoltà nella strategia preventiva Predominio della concezione eccezionalista. Considerare il problema come il risultato di un evento insolito o un difetto individuale invece che qualcosa di prevedibile favorisce interventi orientati all’individuo piuttosto che al sistema (sociale, organizzativo), alla cura e alla riabilitazione piuttosto che alla prevenzione del disagio e alla promozione del benessere; Attribuzione di scarsa scientificità alla prevenzione primaria. Perché i programmi di prevenzione primaria implicano importanti mutamenti nella distribuzione delle risorse materiali primarie. Ad esempio, in Europa le politiche del lavoro hanno creato 34 milioni di disoccupati o sottoccupati fra i quali sono aumentati i casi di disagio mentale; in questo caso la prevenzione primaria significherebbe scardinare le

stratificazioni sociali, rendendo meno empowered i gruppi che lo sono troppo e trasferendo risorse economiche a chi vi ha meno accesso; L’orientamento preventivo è meno ovvio e consolidato di quello riparativo. Non sempre è facilmente sostenibile, anche per la crescente presenza di situazioni di disagio. La carenza di risorse che accompagna la crisi dello stato sociale fa sì che vengano prese in carico le situazioni più gravi e disagiate (prevenzione secondaria e, spesso, anche terziaria); Presunta settorialità. La prevenzione del disagio viene considerata generalmente come una competenza tecnica e specialistica; Eziologia complessa del disagio. Mentre in medicina la prevenzione di successo implica la conoscenza di cause univoche e ben identificabili, nelle scienze sociali i fattori alla base del disagio sono spesso molteplici e poco conosciuti; A questo si aggiunge una ancora scarsa competenza degli operatori nella pianificazione del cambiamento e nell’individuazione dei relativi indicatori. In ogni caso, dal 1977 l’OMS richiama l’attenzione sulla necessità di operare interventi di prevenzione primaria su livelli di sofferenza psicosociale sempre in crescita. Prevenzione primaria PROATTIVA Si propone di migliorare la qualità di vita e dell’ambiente. Ricerca-intervento e analisi organizzativa tese a modificare la struttura di un sistema o di una comunità; Programmi di sviluppo del sostegno sociale e del senso di comunità.

Prevenzione primaria REATTIVA Si propone di incrementare le competenze degli individui. Strategie educative e formative intese a promuovere il benessere psicofisico e la capacità di coping; Consulenza ad operatori di base e figure non professionali.

Quadro di riferimento concettuale USA In PdC è difficile mettere a fuoco una teoria-guida unificante; il quadro di riferimento concettuale è piuttosto mutuato da contributi e riferimenti diversi, quali: Teoria generale dei sistemi

Prospettiva ecologica (Kelly)

Il concetto di sistema fa riferimento ai “ sistemi sociali”, concepiti come insieme di rapporti tra elementi di complessità crescenti (individui, piccoli gruppi, organizzazioni e comunità) i cui legami di interdipendenza vengono concepiti sia in orizzontale (complementarietà e/o simmetria), sia in verticale (sovra/sottosistemi), come nel caso di Bronfrenbrenner. Osservazione dei fenomeni nei loro setting naturali, coerentemente con l’orientamento della PdC che enfatizza la relazione tra persona e ambiente e la ricerca “sul campo”. Kelly indica 4 principi fondamentali per lo sviluppo di un intervento:

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Interdipendenza. Il cambiamento di un componente in un ecosistema produce cambiamenti, non sempre prevedibili, in ogni altro componente. L’oggetto di analisi è pertanto l’intera comunità. Ad esempio, la chiusura di un ospedale psichiatrico avrà ripercussioni sul sistema giudiziario, sui servizi territoriali e sugli atteggiamenti dei cittad...


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