Riassunto il cardillo addolorato PDF

Title Riassunto il cardillo addolorato
Author Giulia Guzzetti
Course Letteratura italiana contemporanea
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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IL CARDILLO ADDOLORATO Il Cardillo è un uccello molto colorato con la testa rossa e bianca e le ali nere e gialle.

Molti sbagliano sostenendo che la Ortese ha scritto un testo intitolato “Il Cardillo innamorato” perché si ricollegano alla canzone “Lu Cardillo”. La canzone affronta il tema topico della cultura popolare e letteraria napoletana. Il Cardellino è un messaggero d’amore che si rivolge all’amata per portarle le dichiarazioni del tuo spasimante. Anche Cavalcanti scrive un testo dove invia la sua anima alla donna amata (Ballatetta). CONSIDERAZIONI tratte dal “il portale del Sud”: Il Cardellino, l’uccellino preferito dalla cultura napoletana, è un fringillide diffuso, differenziatosi in dodici specie per l’adattamento agli ecosistemi dell’Eurasia e dell’area Berbera. Un tempo quasi ogni famiglia in Campania aveva una gabbia con cardellini. In quest’antica cultura l'uccello, solitamente il cardellino, rappresenta l'anima dell'uomo che vola via al momento della morte. Il significato nella cultura pagana è stato acquisito nella cristiana, che ha legato il cardellino alla Passione del Cristo. Una leggenda cristiana narra che un cardellino si macchiò del sangue del Cristo Crocifisso estraendo le spine della corona posta sul capo ed acquisì la macchia rossa sul volto.

La Ortese interrompe la scrittura di Alonso e inizia a scrivere il Cardillo (ci impiega 3-5 anni nel 1986). “Il Cardillo” esce nel 1993. Successivamente termina di scrivere anche Alonso. Con “L’iguana”, questi 3 testi rappresentano la trilogia sugli animali: l’uccello, l’iguana e il puma. Nell’Iguana e in Alonso il tema è il sacrificio legato alla crocifissione. Nel Cardillo non c’è l’elemento diretto legato alla crocifissione di Cristo – nella cultura napoletana il Cardillo è l’anima che sta lasciando il corpo e viene assunta dalla cultura cattolica che cerca di togliere le spine dalla testa di Cristo crocifisso che si macchia del sangue. Il cardellino si ciba dei semi del frutto del cardo. Si posa su di esso, strappa i semi (collegato all’immagine della cultura cristiana che il Cardillo strappa le spine dalla testa di Cristo), li butta per aria e siccome gli acheni hanno un effetto planante, i semi di dispargono nell’ambiente.

STORIA DEL TESTO E’ un autrice che scrive e riscrive più volte lo stesso testo. Quali sono gli antenati del Cardillo? Cosa sta dietro al romanzo? “Il Cardillo” viene definito dalla Ortese il libro più amato e felice dei suoi libri ed è un libro-fiaba ma c’è anche il problema che alcuni lo catalogano come un romanzo appartenente al fantastico. In realtà contiene entrambe le diciture. - La prima notizia che sta scrivendo quello che diventerà “il Cardillo” la troviamo in una lettera scritta a Citati il 20 settembre 1984, presente all’archivio di Napoli. In questa lettera la Ortese dice che già in gennaio su una rivista diretta da Moravia era pubblicato un testo intitolato “La morte del folletto”. La Ortese sostiene che aveva già un libro di 200 pagine centrato tutto su un personaggio solo (Alonso e i visionari). - Nel 1986 la Ortese scrive una lettera al traduttore Martin che stava traducendo “l’iguana” in lingua inglese. Martin si mette a leggere anche gli altri romanzi: “Poveri e semplici” e “Il porto di Toledo”. La Ortese lo invita a non leggere gli altri romanzi perché sosteneva che se erano fondamentali glieli avrebbe consigliati lei. Solo il nome di Toledo la facevano stare male quindi la lettura di questo testo avrebbe forviato “l’iguana”. La Ortese dice che quei testi sono antecedenti al suo modo di scrivere attuale quindi non li riconosce più. Ritiene che i vecchi racconti (scritti dal 1976 al 1986) erano delle storie fantastiche. - C’è un altro documento importante grazie a una lettera scritta il 30 maggio1980 a Natalia Ginsburg. La Ginsburg suggerisce alla Ortese di raggruppare le sue opere e pubblicare presso Adelphi tutti i suoi racconti. 

Natalia Levi, fu il suo primo nome. Dopo il matrimonio ha ereditato il cognome Ginsburg dal marito, uomo che si è formato in Italia morto giovane perché è stato ucciso dai fascisti. Lei si ritrova vedova con tre figli tra cui Carl Ginsburg, un giornalista. Natalia è un importante scrittrice di romanzi tra cui “Lessico familiare” e “Le piccole virtù”. È torinese e lei ha lavorato nell’Einaudi, era in contatto con la Ortese, Calvino e Pavese.

Un altro antecedente del “Cardillo” è “La casa nel pozzo” dove racconta una storia magica di una Napoli assalita dai francesi ma ancora in presenza dei borboni, siamo nel 700. Questo testo in realtà non ha questo nome ma ci sono tre titoli: - Mistero doloroso (in testa alla pagina): è stato scelto perché le continuità con “Il Cardillo addolorato” sono più in linea con la genetica del testo. È un titolo che rinvia alla tematica del dolore. “Mistero doloroso” è stato recitato a teatro nel 2013 ed è stato pubblicato da Adelphi curato dalla Farnetti. - Flori (in fondo alla pagina) - Il figlio del re (in fondo alla pagina). “Mistero doloroso” è da collocare tra il 1971 e il 1980. “La casa nel pozzo” è un titolo successivo, che matura dopo quando la Ortese scrive alla Ginsburg. Il pozzo ha una collocazione spaziale che si collega al “Mistero doloroso”. “Flori” e “Il figlio del re” si contendono la figura del protagonista/o. -

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Il saggio di Flora Ghezzo è collegato con “Il Cardillo”. Individua un’analogia con il dipinto di Bosh che rappresenta un folletto dal volto umano con un grande copricapo da cui escono 2 penne. L’analogia si basa molto sui personaggi che sono quello femminile, quello maschile e il mostriciattolo (folletto) che è un bambino-nano con una penna di gallina chiamato Geronte.. Un altro antecedente può essere collegato al mito del “Monaciello”. La Ortese scrive questo testo nel 1940 che pubblicherà nella rivista “Ateneo Veneto” (sono gli anni in cui Bontempelli e la Masino si sono trasferiti a Venezia e chiamano con loro l’autrice). È il primo testo che rappresenta il modello che piano piano andrà a comporre il Cardillo. Già alla fine del 16° secolo c’è la presenza di uno gnomo che a volte è benevolo mentre altre volte no, piccolo, il Monacello è avvolto in un cappuccio e saio monacale e l’origine di questa figura è dubbia, si collega a due ambiti:

- si ispira al “Pozzarolo” in quanto Napoli ha tanti cunicoli che si estendono sotto la superficie per chilometri e chilometri (in questi cunicoli sono presenti dei pozzi che in passato si otturavano. Erano proprio i Pozzaroli a doverli ripulire per far rifluire l’acqua) - l’altra versione si può collegare a Matilde Serao che descrive questo essere come un soggetto malizioso e maligno misto a dei sentimenti di benevolenza figlio di un amore proibito. Appare con un fanciullo reietto che appare ai bambini. È un essere che è stato rifiutato e grazie a questo rifiuto risulta essere cattivo. Il bambino è associato a via Toledo che è il luogo della sua giovinezza. Probabilmente è con questo testo che la Ortese si classifica al secondo posto ai i Littoriali nel 1939 che poi verrà pubblicato sulla rivista l’anno successivo. Il racconto è un vero e proprio INCUNABOLO cioè l’antenato di stampa del “Il Cardillo”. La narrazione favolistica-fantastica, i luoghi e lo sfondo geografico sono gli stessi del Cardillo. Il gruppo centrale dei personaggi sono descritti con le stesse connotazioni; c’è il motivo dei dispetti e piccoli drammi famigliari; c’è uno sfondo sonoro che in questo caso è “il Carcerato”; c’è la figura femminile che cerca di “salvare” il reietto.

ANALISI DEL TESTO Come afferma Flora Ghezzo “Il Cardillo” è un romanzo storico cioè che si interroga sul problema della conoscenza storica. Più che i fatti, è il racconto della storia ciò che conta, le strategie enunciative messe in atto per “mostrare che la verità è fatta di parole e che nella sua trasmissione sono importanti il punti di vista, la distanza, la prospettiva e la forma della narrazione, tutti elementi in grado di alterare la sostanza”. Il testo è ambientato tra il 700-800, il riferimento è la televisione. È stato stampato nel giugno 1993 ma in realtà il 20 maggio, il libro era già presente alla fiera del libro ed ebbe molto successo. Il libro rimase per 22 settimane di fila al secondo posto. Ha avuto 150 critiche nel giro di pochi giorni. Adelphi manda 20000 copie in vendita, in giugno c’è la seconda ristampa e il 6 luglio c’è la quarta. A fine mese di luglio le copie sono 60000 e a settembre hanno raggiunto le 100000 copie. La novità del “Cardillo” è quello di essere un testo che continua a vendere. Adelphi poco dopo lo pubblica nei “pocket” (collana economica). Questo libro vince il premio “speciale alla cultura” dato dal presidente del Consiglio nel 1993 ma la Ortese non accettò il premio perché aveva detto che non avrebbe più partecipato a nessun concorso. Il 1993 non è un anno facile per la Ortese perchè muore sua sorella e inoltre poco dopo c’è la seconda pubblicazione del “Il mare non bagna Napoli” che destò ancora molte polemiche. “Il Cardillo” è ambientato nel quartiere di San Bernardo, a pochi passi da Monte di Dio. La Ortese lo ambienta a Napoli perché è un modo nella quale lei può tornare a Napoli dopo tanti anni di assenza. Il libro lo possiamo ricondurre a generi diversi, è un libro metaforico che prende aspetti da modelli narrativi diversi. Uno di questi elementi è quello del genere fantastico. Non possiamo definirlo del tutto fantastico in quanto ci sono presenti anche degli elementi tipici della fiaba. Molti hanno definito che il fantastico è un modo che incorpora generi diversi e ha la caratteristica di effettuare un’irruzione che interrompe la serenità della vita quotidiana. L’irruzione crea nel lettore il turbamento. Nel “Cardillo” i temi tipici del fantastico sono molti ma di elementi fantastici ce ne sono pochi in quanto ci sono più elementi della fiaba. Cosa c’è di fantastico? - richiamo a Hoffman che scrisse “Il mago della sabbia”: visibile quando Ferrantina (la domestica) dice a Sasà che se non chiude gli occhi arriva la penna di gallina che la porta via. C’è il richiamo alle lente magica che nel “mago della sabbia” è rappresentata dalla presenza di un occhialaio che vende le lenti. Inoltre nel “Il mago della sabbia” il protagonista Natalien vede da fuori una casa enorme che si rivelerà molto piccola mentre nel “Il Cardillo” avviene il contrario, quando Neville va a visitare la Casarella, da fuori sembra molto piccola ma una volta entrato, tutto è molto grande - il tema funebre dei morti che parlano

impostare il racconto sulle dilazioni operate dalla voce narrante che in più punti sembra anticipare una cosa che subito smentisce dicendo che non se ne parlerà subito, in questo modo crea delle aspettative (ad esempio quando viene utilizzato: da ciò che vedremo, non vogliamo dilagare per ora) - gli inganni ottici e le allucinazioni come ad esempio la rilevanza degli specchi e il potere della lente - fenomeni che non riusciamo a spiegare subito: stranezze che non si spiegano con le norme. Per esempio il medaglione che raffigura una bambina, cambia e si vede la figura di un cavaliere - la presenza dei maghi: Neville e Ruscaglia). Il termine “negromante” si ricollega al fatto che la Ortese capisce le cose senza vederle e non se ne rende conto (vede il fondo delle cose senza guardarle); coglie la verità; è incapace di un ragionamento filato ma capisce tutto. Dietro la stesura di questo testo sembra esserci un articolo scritto da Luigi Compagnone pubblicato sul “Corriere della sera” il 26 gennaio 1976. Risulta essere un Compagnone più affettuoso con la Ortese. Si riferisce al capitolo “Il silenzio della ragione” che all’interno di quel racconto lo descrive come un personaggio negativo. Voleva scrivere un testo sui giovani di Napoli ma dentro di lei aveva la malinconia (stessa malattia di Neville). Da qui l’idea di inserire all’interno del Cardillo un mago. Nel personaggio di Neville c’è il ritorno a Napoli della Ortese in quanto anche lui è tornato a Napoli dopo tanto tempo. Inoltre le accuse di Compagnone fanno si che la Ortese fa spiare Neville nelle case degli altri grazie alla lente: stessa cosa che fa lei quando guarda attraverso la finestra nel “Il silenzio della ragione”. -

SPIEGAZIONE DEL TESTO Neville nel romanzo parla la sua lingua originale che è il francese, il suo nome significa “città” (arriva a Napoli per condurre un’inchiesta per svelare il mistero di Elmina). Il fatto che Nodier doveva vendere i suoi guanti, in realtà obbedisce al fenomeno sociale del “Gran Tour”: nell’educazione del nobile settecentesco è di norma che doveva compiere un viaggio in Europa presso le grandi capitali. L’Italia era una dei paesi più visitato proprio come racconta Gothe nel suo scritto “Viaggio in Italia”. Nella prima parte del racconto, la narratrice dice subito che il racconto sarebbe stato poco chiaro come le storie di Sibille, Sirene e creature femminili (Napoli mitica) in rapporto con gli Inferi. Neville viene descritto in termini negativi – ma subito dopo la narratrice dice che forse ha sbagliato a definirlo come uomo non buono è qui che inizia il nuovo modo di scrivere della Ortese. È una narratrice che sa molto di più del personaggio e inizia subito con “correzioni, sbagli e se”. Albert Duprè viene descritto come uomo felice, vivace, aveva una qualità rara cioè l’amore di vivere. Viene paragonato a molte immagini (marina ionica, bosco in aprile). Alla fine del racconto la narratrice fa un appello al lettore: dietro le cose che la voce narrante narra, non c’è nulla.

La Casa del Pallonetto appare come una grande villa, ampi spazi e sensazioni di solitudine con oggetti che vengono dall’esterno. C’è l’insistenza sugli specchi: atmosfera di sogno e il fatto che ci siano gli specchi non è un dettaglio trascurabile in quanto lo specchio è un oggetto che riflette la nostra immagine e produce uno sdoppiamento. L’effetto ottico degli specchi può anche produrre, oltre allo sdoppiamento, alla scissione dell’Io e alla sensazione di freddezza (la dà anche a Elmina che viene definita come una pietra). Se io ho tanti specchi ho tante proiezioni diverse di me e l’effetto è quello di una moltiplicazione di immagini e angolazioni diverse. Cominciamo ad entrare in un ambientazione che si fonda su varianti di un medesimo fatto: diverse visioni di un unico fatto. Ogni occasione è buona per sottolineare l’atmosfera del sogno e dell’irreale. Nel sogno l’ordine fondamentale della razionalità è sovvertito: il sogno è costruito con una logica che sovrintende all’attività onirica ed è completamente diversa dalla locazione razionale di quando siamo svegli (la legge dello spostamento: noi sogniamo di uccidere uno sconosciuto ma questo sconosciuto per

una caratteristica ci permette di collegarlo a una persona a noi conosciuta). Nel sogno ogni rovesciamento è possibile ed è anche legittimo. Il sogno coinvolge Duprè e Neville. Si configurano come regioni della soglia (la soglia di casa: tratto che dobbiamo superare per entrare in un ambiente esterno a uno interno e quindi vuol dire stare al confine tra due zone diverse). Duprè farà la fine del pazzo e morirà da pazzo mentre Neville è malato di malinconia (il suo cuore era ossessionato da ombre e presentimenti). Il cambiamento è un elemento importante nel percorso di Neville. Quando torna a Liegi gli sembra di aver sognato tutto, infatti viene rimarcata la dimensione del sogno. Neville va incontro a un percorso di crescita che è presentato nel testo come un’inchiesta. Neville fa molti riferimenti a Napoli specialmente a luoghi sotterranei. Il rimandare a immagini e visioni corrisponde a una precisa strategia narrativa che prevede che il narratore giochi con la fiducia del lettore e cerchi di confonderlo, di farlo precipitare in questa vertigine di cose dette in cui non si riesce a spiegare quali sono vere e quali sono false. L’elemento delle dicerie e delle contraddizioni confondono il sogno onirico. La voce narrante per ottenere questo effetto fa formulare della ipotesi diverse le une dalle altre. La voce narrante utilizza il “noi” perché è un noi di autore, non significa che coincide con la voce della Ortese ma corrisponde a una voce narrante che sostiene di essere la voce del romanzo, che sta raccontando questa storia a una distanza di tempo abbastanza precisa. La voce narrante interrompe spesso la narrazione per rivolgersi al lettore. Questi appelli sono ben precisi: - si rivolge al lettore con la L maiuscola - si dà molta importanza al lettore - coinvolge il lettore - utilizza termini positivi (benevolo, sensibile) - c’è un tono ironico della voce narrante nei confronti del lettore - l’appello al lettore è cosi frequente che ha a che fare con la strategia narrativa dello spaesamento. È una vicenda che è ingarbugliata, la voce narrante sa che il lettore si può perdere al suo interno quindi cerca di richiamare il lettore, non lasciandolo da solo e riportandolo in superficie. Il fine di questa strategia è quella di gettare il lettore nella stessa situazione del protagonista maschile. La voce narrante si traveste da negromante, prende il punto di vista di Neville, di Elmina e del Pennarulo. La voce narrante veste i panni anche del cronista come se stesse facendo un repourtage. La voce narrante auto-denuncia la sua parte nell’ingarbugliare il racconto.

Per capire la filosofia di Elmina sono importanti le dichiarazioni di Simone Weil che hanno determinato delle scelte nel metodo di scrittura della Ortese. La Ortese non dichiara gli scrittori che legge ma ci sono degli indizi che ci fanno capire, specialmente in “Corpo celeste” che ha letto gli scritti di Nicola Chiaromonte.  Chiaromonte nasce nel 1905 in un paese in provincia di Potenza e muore nel 1972 a Roma. I suoi scritti non sono stati pubblicati, solo attualmente Goffredo Fofi sta pubblicando le sue opere. A Nicola Chiaromonte noi dobbiamo la scoperta di Simone Weil in Italia. Nel 1943, Chiaromonte era in Francia quando recencisce su una rivista il saggio di Weil e negli anni 50 fa pubblicare il primo libro di Weil.  Simone Weil nasce nel 1909 a Parigi da una famiglia benestante e muore nel 1943 a Londra. Lei studia filosofia e pubblica dei saggi. Andrà a insegnare filosofia nei licei e poi abbandona l’insegnamento nel 1933 per andare a lavorare in fabbrica (solo per un anno). Non è stata battezzata, si è avvicinata alla religione non convertendosi al cristianesimo, era una feroce sostenitrice del problema religioso. La scelta di Elmina è riservata ed paragonata alla scelta di Francesco D’Assisi (abbandonare tutti i propri averi per indossare un saio; impedisce ai suoi fratelli di possedere dei libri perché il possesso è sintomo di potere).

CREDO DI ELMINA: la vita è male, la felicità è male, amare le creature è male. Si deve amare solo Dio e il Re. Dio ha fatto le creature e il dolore: le creature vivono nel dolore e il dolore si deve amare. Questa affermazione si può capire grazie all’aiuto di Simone Weil dopo che viene pubblicata in Italia un antologia “L’ombra e la grazie” divisa in 4 volumi che la casa editrice Adelphi nel 1985 pubblica grazie all’aiuto di Gaeta che è andato a studiare l’edizione francese, tutti i quaderni e le carte che riguardavano Weil. Adelphi pubblica questi volumi quando la Ortese già collabora con la casa editrice “Ama il tuo prossimo come te stesso”: accettazione del dolore (essenza fondamentale dell’uomo perché solo con l’accettazione di miseria, si può raggiungere la grazia) e della sofferenza, prendere su di sé la sofferenza del tuo prossimo, comprendere la compassione (unico atteggiamento che permette di entrare nel corpo dello sventurato), obbedienza. Concependo la sventura di un individuo come miseria umana, c’è l’immagine di Dio nella carne, e a questo punto l’uomo diventa simile al Cristo. Senza amare il male non si può arrivare alla felicità. Quando si accetta la sofferenza degli altri, siamo noi stessi che soffriamo. Il bello nasce dall’accettazione e dall’amarezza. Elmina viene descritta con degli aggettivi detti da persone che non la capiscono veramente quindi possono essere considerati aggettivi di accusa. Pensano anche che Elmina stia scontando un peccato. Un passo di Simone Weil sostiene che “Il male è per l’amore ciò che il mistero è per l’intelligenza”:...


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