Riassunto in italiano di Un sueño plurilingüe para España PDF

Title Riassunto in italiano di Un sueño plurilingüe para España
Author Francesca Spinelli
Course Lingua spagnola 1  
Institution Università degli Studi di Verona
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Summary

Riassunto in italiano del libro UN SUEÑO PLÜRILINGUE PARA ESPAÑA
Lingua spagnola 1 - prof Matteo de Beni...


Description

FRANCESCA SPINELLI

UN SUEÑO PLÜRILINGUE PARA ESPAÑA 1) SOBRE LAS LENGUAS DE ESPAÑA Y SU ESTADO DE INSATISFACCIÓN (da p. 15 a p. 24) Un fatto che richiede spiegazione è l’insoddisfazione dei difensori delle “altre lingue della Spagna” rispetto ai risultati raggiunti. Lo spagnolo resta la lingua per antonomasia, ma anche il valore di lingue come l’euskera, il gallego e il catalano è cresciuto considerevolmente (soprattutto a partire dal 1975, con la morte di Francisco Franco). Il problema, però, non sembra essere il non riconoscimento di questo valore: le comunità bilingue vedono la questione in diversi modi:  nei Paesi Baschi (Euskadi) il sentimento che prevale è che il basco abbia fatto molti progressi. Per esempio, Patxi Goenaga afferma che “il basco (euskera) un tempo ricopriva un ruolo molto importante ma solo in casa e nelle strade. Quarant’anni dopo la situazione è cambiata ed il cambiamento più importante è avvenuto nell’ambito dell’educazione, inserendo il basco nel sistema universitario; è stato introdotto poi nei cartelli stradali, nei mezzi di comunicazione, nei documenti… La diffusione del basco in questi termini è stata molto rapida”.  traspare meno convinzione dalle affermazioni degli autori di Valencia: Emili Casanova sottolinea la contraddizione del valenziano, mai stato così importante per la società e, al tempo stesso, mai stato così poco utilizzato nel corso della sua storia. “La situazione è buona dal punto di vista dell’ufficialità, del numero di persone che scrivono in lingua… ma non è mai stata così tragica per quanto riguarda la sua qualità e il suo uso. A partire dal 1982 il valenziano è stato introdotto nel sistema scolastico, in modo che tutti i giovani potessero più o meno conoscere la lingua, ed anche per impedire il “dominio” del castigliano, diffuso soprattutto tra le classi medie e tra gli immigrati. (…) Ciononostante, la lingua non rappresenta un fattore di autoidentificazione, ma solo uno strumento di comunicazione. Nessun simbolo identificatore: essere valenziano significa saper comunicare, bene o male, con entrambe le lingue (castigliano e valenziano). (…) Valencia è una comunità bilingue e la maggior parte dei giovani non dà nessuna importanza simbolica all’uso di una o dell’altra lingua”.  quanto a Galizia, Xesús Alonso Montero si interroga su quanto possa sopravvivere una lingua come il gallego, sopraffatta dal dominio del castigliano. A tal proposito afferma che “abbandonare o dimenticare la propria lingua equivale a perdere la propria personalità. Ci sono pochi modi per salvare questa lingua: sistema scolastico in lingua; radio, televisione, giornali in lingua; opere teatrali e letteratura in lingua; aumentare la pubblicazione di libri”. Nonostante molti di questi “buoni propositi” siano stati attuati, la situazione continua ad essere drammatica. Ana Iglesias “condanna” il cosiddetto bilinguismo armonioso (= lasciare che ognuno utilizzi la propria lingua madre: “Mentre in Catalogna il catalano è considerato come unica lingua e non è necessario convertirla nella prima lingua della comunità, in Galizia l’obiettivo esplicito è quello di raggiungere il bilinguismo armonioso”).  non è tutto oro ciò che luccica: nonostante l’ammirazione che le comunità bilingue provano per la Catalogna, i sociolinguisti catalani non si mostrano meno pessimisti rispetto agli altri. 22

FRANCESCA SPINELLI Antoni Ferrando y Miquel Nicolàs affermano che “nell’ambito della comunicazione pubblica il catalano è mantenuto in molti contesti d’uso, nonostante una chiara situazione diglossica (diglossia = situazione tipica di un paese in cui due lingue conservano ruoli sociali differenti e gerarchizzati). Per dirlo in altri termini, il catalano è una lingua che sta per essere sostituita dalle lingue di stato: spagnolo, francese, italiano e, in alcuni casi, dall’inglese”.  ci si aspetterebbe solo ottimismo per lo spagnolo, lingua che sta prendendo il posto delle altre: in realtà, anche in questo caso ci sono molte lamentele. La Asociación por la Tolerancia, (Barcellona), nel suo sito web afferma che “la Catalogna non compie la volontà costituzionale. La situazione con la Catalogna si è infatti aggravata con la Legge di Politica Linguistica approvata in Parlamento nel 1998, che ha portato ad un monolinguismo istituzionale, alla scomparsa dello spagnolo dalle istituzioni pubbliche catalane e alla concezione dello spagnolo come lingua straniera, portando ad un monolinguismo sociale.” Juan Ramón Lodares afferma che “la comunità linguistica in Spagna sarà progressivamente compromessa nei prossimi anni. Sembra che si lavori per fomentare un bilinguismo transitorio.”

Nonostante le visioni dei vari territori bilingue siano diverse, nessuno crede che lo spagnolo stia regredendo.

2) LOS DATOS SOCIOLINGÜÍSTICOS (da p. 25 a p. 33) In base ad un censimento del 1996 non ci sono dubbi in base ad alcune questioni: 

il fatto che il 40,94% della popolazione abbia vissuto il passaggio dal 20esimo al 21esimo secolo in comunità bilingue, è un chiaro segnale che il plurilinguismo costituisce una peculiarità della Spagna nella sua totalità, non solo in alcune zone



lo spagnolo è solidamente radicato nelle comunità bilingue, quindi il numero di madrelingua spagnoli si aggira - attorno alla metà della popolazione (Catalogna, Galizia, Baleari) - supera la metà (Valencia) - è sensibilmente maggiore della metà (comunità di lingua basca)



salvo in Galizia e in alcune zone di Navarra in cui si parla basco, negli altri territori c’è una notevole differenza di percentuale tra le persone che parlano la propria lingua e quelle che la capiscono soltanto, il che indica che i processi di estensione del bilinguismo e di sostituzione dello spagnolo come lingua madre non sono ancora conclusi

Ci sono anche altri dati relativi a Catalogna, Valencia, Paesi Baschi e Galizia:

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CATALOGNA: gli psicolinguisti denominano le 4 abilità basilari per la “gestione” di una lingua: capire, parlare, leggere, scrivere. Si suppone che chi legge sappia scrivere, chi legge sappia parlare e che chi sa parlare sappia capire, relazioni che non possono mai mancare. Dai dati si evince che i più giovani sono più abili nel leggere e scrivere



VALENCIA: la situazione è simile a quella della Catalogna, seppur con diverse sfumature: il 30-40% degli intervistati afferma di saper solo comprendere il valenziano, dichiarandosi incapace di parlarlo



PAESI BASCHI: saltano all’occhio i risultati delle promozioni del basco, che hanno fatto sì che solo dei più giovani – ovviamente – non lo capisca



GALIZIA: dal momento che l’immigrazione è quasi assente, praticamente tutta la popolazione capisce il gallego.

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Per quanto riguarda la conoscenza dello spagnolo da parte dei cittadini delle comunità bilingue, possiamo così riassumere: più del 97% degli intervistati di tutte le comunità dichiara di possedere pienamente le 4 abilità basilari. In generale, si osserva un calo dell’uso della propria lingua ed un corrispondente aumento dell’uso dello spagnolo nelle città con più di 50.000 abitanti: è evidente che lo spagnolo funziona come lingua generale, legata alla globalizzazione economica e culturale. Ad ogni modo, dati e attitudini sono due aspetti ben distinti. Prendiamo come esempio la Galizia: ai partecipanti è stato chiesto di dimostrare il grado di dominio di ognuna delle 4 abilità basilari (scegliendo tra mucho – bastante – poco – nada). È emerso che le competenze orali fossero avanzate e che buona parte dei problemi fosse incentrata su lettura e scrittura (perché si legge poco e perché il gallego è considerato minoritario). Non è però tutto rose e fiori, soprattutto per quanto riguarda la lingua madre, perché è emerso che è lo spagnolo ad avanzare tra i cittadini più giovani, preoccupando gli intellettuali galiziani. Anche il quadro relativo alla lingua abituale non è dei migliori, alla luce del predominio dello spagnolo nella popolazione. Alla domanda “Chi è più galiziano?” tutti gli intervistati hanno risposto “chi è nato in Galizia”.

[In ultimo luogo va sottolineato uno studio condotto da Kathryn Woolard, realizzato col metodo matched roles (– papeles aparejados – ruoli accoppiati), in cui si evince che chi parla catalano si sente più “attratto” da chiunque parli il catalano; mentre chi parla spagnolo preferisce lo spagnolo “vero”, soprattutto se di un certo livello (madre lingua).]

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3) SOBRE TERAPIAS LINGÜÍSTICAS (da p. 34 a p. 38)

Le lingue proprie possono svilupparsi a tal punto da sostituire completamente lo spagnolo? Possiamo rispondere con un’equazione ingannevole:

“è vero che la lingua costituisce il sostegno principale – se non l’unico – delle nazioni; ma è anche vero che la configurazione statale costituisce un supporto solido per salvaguardare la nazione. Quindi, se si raggiunge una situazione di monolinguismo, si sarà concretizzata la possibilità di conseguire uno stato nazionale.” In quest’equazione transitiva A → B →C si cela l’ideologia della standardizzazione linguistica, che si rivendica ogni volta che si adottano misure pratiche di educazione linguistica nelle comunità bilingue; ciò rappresenta tuttavia un luogo comune. Ciò che emerge dagli studi, infatti, è che la lingua spagnola non stia retrocedendo nelle comunità bilingue dello Stato spagnolo, ma attenzione: non è che non retroceda perché le norme standard applicate siano state deboli, bensì perché NON PUÒ retrocedere. Risulta sempre più chiaro che queste politiche standard esclusiviste rappresentino un errore, non solo perché un’alta percentuale della popolazione va avanti con l’immigrazione e quindi la lingua è in continua espansione, ma soprattutto perché i nativi spagnoli o meno utilizzano lo spagnolo indistintamente. La copertura ideologica non funziona ora e mai funzionerà: per quanto in Catalogna si parli il catalano, nei Paesi Baschi il basco e in Galizia il gallego, queste comunità non smetteranno di usare, per esempio, l’inglese quando e se avranno voglia… ma non dominano l’inglese nello stesso modo in cui dominano lo spagnolo. Rafael Lluis de Ninyoles afferma che “da un lato, standardizzare significa dare norme, regolare, codificare una lingua; d’altra parte questo termine suggerisce il ritorno di una cultura al suo livello , creando una situazione di uguaglianza tra le culture, ponendole allo stesso piano”. Tutto ciò però non si raggiunge senza conflitti: “la normalizzazione non è una risposta ai problemi e alle nuove opportunità di una società democratica moderna” (…) “normalizzare una cultura è la condizione certa per un paese”. Nel senso pratico, si tratta di sostituire lo spagnolo con la lingua propria… inutilmente. Al giorno d’oggi lingue proprie come il catalano/valenziano, il basco e il gallego vivono in un ambiente hispanohablante, e non potrebbero sopravvivere fuori dal loro territorio. È ciò che succede con lo spagnolo internazionale, che progredisce solo in territori nei quali non deve confrontarsi “faccia a faccia” con l’inglese. Si crea una situazione di asimmetria funzionale: in Spagna ci sono comunità bilingue dove si può usare lo spagnolo o un’altra lingua, ma ci sono anche comunità monolingue in cui si parla SOLO lo spagnolo. In Portogallo la lingua per antonomasia è il portoghese, ma i cittadini comunque – seguendo il modello brasiliano – lasciano un piccolo spazio allo spagnolo e lo capiscono. Non sembra che questa situazione cambierà. È possibile adottare una soluzione radicalmente differente: la lengua de lenguas.

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4) UNA PROPUESTA LINGÜÍSTICA TRANSVERSAL: LA LENGUA DE LENGUAS (da p. 39 a p. 45) In Spagna la questione delle lingue non è ancora stata risolta; le ragioni sono molte e quasi tutte trovano le loro radici nel passato. Storicamente la struttura della Spagna è federale, passando poi attraverso regni che hanno condotto ad una monarchia, dalla quale dipendono in qualità di possedimenti patrimoniali. Ognuno di questi regni aveva una lingua propria che godeva di identici privilegi. 

La conquista dell’America (sotto la Corona di Castiglia) e del Brasile (sotto il Regno del Portogallo) crearono una prima distorsione in questo schema paritario, convertendo il castigliano – lingua più estesa tra quelle peninsulari – in una lingua internazionale.

Questo squilibrio tuttavia non ha avuto conseguenze per la convivenza linguistica, dal momento che gli spagnoli che viaggiavano verso le Indie riuscivano comunque ad integrarsi. 

Una seconda distorsione è costituita dalla conversione dello Stato, che è passato dall’essere medievale, federale e linguisticamente poco “conflittuale”, ad essere uno Stato accentratore nel quale, seguendo il modello francese, si impone legalmente il castigliano come lingua ufficiale.

Questa svolta è avvenuta in momenti differenti per ognuna delle comunità bilingue: negli stati della Corona di Aragona (Catalogna, Valencia, Baleari, Aragona) è stata imposta dai Borbone nel XVIII secolo per “castigare” il posizionamento dei regni a favore dell’Arciduca d’Austria. In Galizia era già successo nel XV secolo, in occasione delle guerre civili che precedettero la salita al potere dei Re Cattolici, come castigo alla presa di partito della nobiltà gallega. Nei Paesi Baschi e Navarra è una conseguenza della perdita dei fueros (fuero = diritto, statuto, corpo di leggi) verso la metà del XIX secolo sempre perché, avendo optato per il carlismo, si trovarono ad affrontare la posizione politica vincente. Queste misure non hanno avuto così tanta importanza almeno fino alla fine del XIX secolo, quando l’industrializzazione della Catalogna e dei Paesi Baschi le converte in centro di attrazione dell’immigrazione. Il risultato è che la diglossia (causata dal fatto che le classi borghesi di questi territori erano solite usare il castigliano come lingua A e la loro lingua propria come lingua B), è sostituita da una situazione bilingue, in cui la maggior parte della popolazione passa dal tenere come lingua propria la lingua ufficiale, lasciando l’altra parte della popolazione in una situazione di minoranza. Lo Stato spagnolo (che in forma moderna nasce con la Costituzione di Cádiz del 1812) non è mai riuscito a superare questa situazione. 



I regimi più liberali hanno teso a favorire le lingue diverse dallo spagnolo nei loro rispettivi territori, senza però poter impedire che le misure applicate fossero interpretate dagli hispanohablantes come aggressione alla loro cultura e alla loro personalità. I regimi più autoritari (tra cui la dittatura di Miguel Primo De Rivera e Francisco Franco) hanno invece l’uso delle lingue diverse dal castigliano creando negli utenti una sensazione di vessazione e di schiacciamento.

Si può dire che entrambe le distorsioni siano tuttora vigenti: -

nei territori bilingue si è diffusa l’ideologia del cosiddetto conflitto linguistico, che nega la possibilità del bilinguismo e propugna la sostituzione progressiva del castigliano con la lingua propria. Tutto ciò si è tradotto in una serie di misure di standardizzazione linguistica che stanno però dividendo le società 22

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nei territori monolingue è cresciuto un sentimento di distacco nei confronti delle comunità bilingue e, soprattutto, un rifiuto delle sue manifestazioni linguistiche. La conversione dello spagnolo in lingua mondiale ha solo incentivato la tendenza di sollevare la questione in termini economici e quantitativi, con una conseguente distanza insormontabile che separa lo spagnolo dalle altre lingue peninsulari.

Questa questione dovrebbe essere prioritaria per il Governo spagnolo, che invece lascia tutto nelle mani delle comunità autonome, avviando un proceso centrífugo secondo il quale la lingua propria delle comunità bilingue si allontana sempre di più dai punti che aveva in comune con lo spagnolo. Così come è da escludere che un paese come la Spagna possa sostenersi sulla mera coesistenza delle varie lingue e culture, neanche la coesistenza delle lingue della Spagna e del portoghese risponde adeguatamente alle esigenze di integrazione economica che l’Unione Europea sta cercando di promuovere. Risulta quindi necessario trasformare il paradigma di coesistenza linguistica in paradigma di convivenza linguistica, dando vita così ad un proceso centrípeto.

Per convivenza linguistica si intende definire una situazione in cui i cittadini della Penisola Iberica possano vivere esprimendosi nella loro lingua madre se lo vogliono, essendo però capaci di comprendere le lingue altrui ai fini della comunicazione e dei rapporti sociali.

La lengua de lenguas è un tentativo per uscire da questa situazione di stallo e una soluzione valida per tutti: per il catalano, valenziano, gallego e basco perché guadagnano 26mln di persone che le capiscono; per lo spagnolo perché diventa lingua propria di coloro che già la ritenevano come propria nelle comunità bilingue.

5) HABLAR Y ENTENDER UNA LENGUA (da p. 46 a p. 50) Nell’ambito delle lingue c’è un’asimmetria tra parlare e capire che si traduce poi in leggere e scrivere. La ragione è che (nell’ambito delle lingue NON madre) tendiamo a giudicare le nostre capacità con lo stesso metro con cui giudichiamo le nostre abilità nel padroneggiare la nostra lingua madre. La neurolinguistica moderna spiega quest’asimmetria: le capacità linguistiche si sviluppano durante la crescita, vale a dire tra i 2 e i 10 anni, quando si apprende la propria lingua madre. A partire da questo momento le nuove lingue – che si apprendono, non si acquisiscono – si servono di circuiti neuronali differenti, che riescono a “soddisfare” la funzione linguistica. Nelle comunità bilingue (Paesi Baschi, Catalogna, Galizia) una delle risposte che più irrita i cittadini consapevoli della situazione linguistica nazionale è “capisco il catalano/basco/gallego, ma non lo parlo”.

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FRANCESCA SPINELLI Nel caso del basco il rifiuto a questa attitudine è scarso perché per uno spagnolo non risulta difficile capirlo (anche senza parlarlo), e il fatto di comprenderlo presuppone molte ore di studio alle spalle. Ma negli altri casi tutto ciò è percepito come una chiara mancanza di compromesso col Paese e, inoltre, come un disprezzo della lingua e dei suoi abitanti. Effettivamente non hanno tutti i torti, ma una cosa sono i cittadini che hanno studiato le due lingue, un’altra sono gli abitanti delle altre comunità. Comunque, gli utenti delle lingue NON madre sono coscienti della loro “impotenza” espressiva; per loro è più importante comprendere (e leggere) perché si tratta dell’unica destrezza che possono riuscire a dominare.

6) ACERCARSE AL OTRO (da p. 51 a p. 53) Nelle lingue sono sempre esistite delle varianti, dal momento che non tutti ci esprimiamo allo stesso modo. Il problema sorge quando certe varianti si considerano preferibili. Il risultato della “normativizzazione”, dell’imposizione di una normativa nel dizionario e nella sintassi, è una stratificazione sociale nella quale si distingue ciò che è considerato normale da ciò che non lo è. In altre parole, che una conseguenza diretta della normativizzazione è la normalizzazione. Nel dominio delle norme linguistiche chi usa pronunce stigmatizzate, costruzioni definite volgari, lessico poco colto, è implicitamente giudicato e potenzialmente discriminato. Nelle società bilingue, dove l’equilibrio assoluto tra le lingue è una prospettiva ideale ma molto lontana, quest’ossessione “normalizzatrice” si acuisce, e siccome si crede che una lingua valga più dell’altra, chi è solito padroneggiare l’altra è automaticamente discriminato dalla società. Le conseguenze sono notevoli: mentre la normalizzazione spinta da chi parla è emarginante, la normalizzazione spinta da chi ascolta è unificante. Vale a dire che la norma hablante, che ha effetti centrifughi, affronta la norma oyente, con effetti centripeti. Chi parla cerca di distinguersi: è vero che u...


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